di Hammer
In occasione del diciottesimo anniversario degli attentati dell'11/9, il giornalista Garrett Graff ha pubblicato il volume The Only Plane in The Sky: The Oral History of 9/11, in cui ricostruisce gli eventi drammatici di quel giorno attraverso i racconti in prima persona di testimoni, sopravvissuti, soccorritori, di chi ha perso i propri congiunti negli attentati e di persone coinvolte negli attacchi a vari livelli, come gli insegnanti di una scuola di Arlington.
Il libro di Graff costituisce davvero un lavoro monumentale, avendo raccolto centinaia di contributi che offrono uno spaccato completo e toccante dello svolgimento di quei tragici attentati. Grazie ai racconti raccolti da Graff riviviamo infatti le emozioni di chi si è trovato a dover evacuare dalle Torri Gemelle e dal Pentagono in fiamme, dei soccorritori che sono stati chiamati a intervenire e anche di chi ha assistito inerme allo svolgersi degli eventi.
Oltre a raccontare i fatti che si sono svolti nelle tre zone del disastro, narrati anche in numerosi altri libri e documentari, Graff ha raccolto testimonianze più rare come quelle dei controllori di volo, del personale del NORAD, di quello presente nel Presidential Emergency Operations Center (struttura interrata della Casa Bianca utilizzata come centro di comando in caso di emergenze nazionali), dei medici e degli infermieri che accolsero i feriti negli ospedali e di chi era presente sull'Air Force One (come personale della stampa, collaboratori del Presidente e ufficiali dello United States Secret Service) che volava in una zona mai precisamente chiarita al pubblico sul Golfo del Messico. Inoltre, Graff riporta le testimonianze anche di personalità di spicco come Dick Cheney, Condoleezza Rice, Richard Clarke e Rudy Giuliani, che servono a chiarire come l'evento fosse completamente imprevedibile anche per le autorità che dovettero prendere decisioni mai prese prima su come fronteggiare la crisi.
Il libro di Graff è quindi prezioso non solo perché approfondisce i fatti ampiamente noti, ma anche perché racconta aspetti meno conosciuti degli attenti, come ciò che è accaduto nel pomeriggio al World Trade Center e al Pentagono per la gestione della situazione e anche l'intervento dei soccorritori a Shanksville che hanno rinvenuto sul luogo dello schianto solo i frammenti dell'aereo e nessun ferito da soccorrere.
The Only Plane in The Sky: The Oral History of 9/11 è ad oggi uno dei migliori libri mai pubblicati sull'11/9, proprio per la sua completezza e per aver approfondito aspetti che spesso non vengono messi in luce. Garret Graff deve sicuramente essere encomiato per il suo sforzo e per il risultato della sua ricerca che aggiunge una pietra miliare utile a preservare la memoria di quanto avvenuto in quei tragici momenti.
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2019/12/16
2013/07/21
Opinioni esperte sul crollo delle Torri Gemelle: Matthys Levy
di Paolo Attivissimo
Durante il mio recente dibattito video con un sostenitore delle tesi alternative, Massimo Mazzucco, ho segnalato e mostrato il libro Why Buildings Fall Down, di Matthys Levy e Mario Salvadori, come esempio di esperti in strutture che non trovano nulla di anomalo nella dinamica dei crolli delle Torri Gemelle e confermano quella che viene impropriamente definita “versione ufficiale”.
Mario Salvadori (1907-1997) era ingegnere strutturista e professore d'ingegneria civile e architettura presso la Columbia University. Autore di dieci libri sulle strutture architettoniche e di cinque testi di matematica applicata (per esempio Structural Design in Architecture, 1967, e Numerical Methods in Engineering, 1953), aveva lavorato per la società d'ingegneria Weidlinger Associates, Inc. come consulente, diventandone poi membro e infine presidente onorario. Era stato insignito del Founders Award della National Academy of Engineering nel 1997 e della Hoover Medal da parte della American Society of Civil Engineers (ASCE) nel 1993.
Matthys Levy è da oltre cinquant'anni ingegnere civile e consulente in strutture; attualmente è anche presidente onorario della medesima Weidlinger Associates. Fra i suoi numerosi riconoscimenti professionali si può citare il premio Innovation in Civil Engineering dell'ASCE (1994). Levy ha anche pubblicato due articoli tecnici sul crollo delle torri: The Anatomy of the World Trade Center Collapses, A Structural Engineering Investigation, con N. Abboud et al., (Proc. Of the Third Forensic Engineering Congress, ASCE, San Diego, ottobre 2003) e Anatomy of a Disaster: A Structural Investigation of the World Trade Center Collapses (SFPE-SEI Proc. Conference on Designing Structures for Fire, Baltimore, settembre 2003). È progettista di grandi strutture come il Georgia Dome Stadium di Atlanta (70.000 posti coperti da quella che fino al 1999 è stata la cupola più grande del mondo), il Rose Center for Earth and Space a New York e lo stadio La Plata in Argentina.
Why Buildings Fall Down, scritto originariamente nel 1992 per esaminare i grandi crolli di edifici nella storia antica e contemporanea, è stato aggiornato ed ampliato da Matthys Levy dopo la morte di Salvadori per includere gli eventi dell'11/9. Questa è la trascrizione della parte saliente della sezione dedicata all'11/9 nel libro (da pagina 263 a pagina 268), specificamente nella sua edizione del 2002 (ISBN 0-393-311525).
Qualora vi fosse interesse sufficiente in una traduzione in italiano di questo brano, Undicisettembre si adopererà per fornirla.
Durante il mio recente dibattito video con un sostenitore delle tesi alternative, Massimo Mazzucco, ho segnalato e mostrato il libro Why Buildings Fall Down, di Matthys Levy e Mario Salvadori, come esempio di esperti in strutture che non trovano nulla di anomalo nella dinamica dei crolli delle Torri Gemelle e confermano quella che viene impropriamente definita “versione ufficiale”.
Mario Salvadori (1907-1997) era ingegnere strutturista e professore d'ingegneria civile e architettura presso la Columbia University. Autore di dieci libri sulle strutture architettoniche e di cinque testi di matematica applicata (per esempio Structural Design in Architecture, 1967, e Numerical Methods in Engineering, 1953), aveva lavorato per la società d'ingegneria Weidlinger Associates, Inc. come consulente, diventandone poi membro e infine presidente onorario. Era stato insignito del Founders Award della National Academy of Engineering nel 1997 e della Hoover Medal da parte della American Society of Civil Engineers (ASCE) nel 1993.
Matthys Levy è da oltre cinquant'anni ingegnere civile e consulente in strutture; attualmente è anche presidente onorario della medesima Weidlinger Associates. Fra i suoi numerosi riconoscimenti professionali si può citare il premio Innovation in Civil Engineering dell'ASCE (1994). Levy ha anche pubblicato due articoli tecnici sul crollo delle torri: The Anatomy of the World Trade Center Collapses, A Structural Engineering Investigation, con N. Abboud et al., (Proc. Of the Third Forensic Engineering Congress, ASCE, San Diego, ottobre 2003) e Anatomy of a Disaster: A Structural Investigation of the World Trade Center Collapses (SFPE-SEI Proc. Conference on Designing Structures for Fire, Baltimore, settembre 2003). È progettista di grandi strutture come il Georgia Dome Stadium di Atlanta (70.000 posti coperti da quella che fino al 1999 è stata la cupola più grande del mondo), il Rose Center for Earth and Space a New York e lo stadio La Plata in Argentina.
Why Buildings Fall Down, scritto originariamente nel 1992 per esaminare i grandi crolli di edifici nella storia antica e contemporanea, è stato aggiornato ed ampliato da Matthys Levy dopo la morte di Salvadori per includere gli eventi dell'11/9. Questa è la trascrizione della parte saliente della sezione dedicata all'11/9 nel libro (da pagina 263 a pagina 268), specificamente nella sua edizione del 2002 (ISBN 0-393-311525).
Qualora vi fosse interesse sufficiente in una traduzione in italiano di questo brano, Undicisettembre si adopererà per fornirla.
As the towers fell, the piston effect of the collapse hurled debris and flaming embers violently against adjacent buildings, damaging many and causing some to burn and collapse. The roof of a subway tunnel directly under the complex collapsed under the weight of the debris, as did some of the Trade Center's underground levels. In all, 12 million sq. ft. (1.1 million m²) of the magnificent Center were reduced to 1.2 million tons of debris: ash, rubble, and twisted steel. Entombed in this rubble were more than three thousand people who either had been trapped on the floors above the impact or did not have sufficient time to escape the inferno before the towers collapsed. It was the most devastating event ever witnessed and the greatest domestic tragedy since the Galveston flood of 1900, but unlike that natural event, this one was the direct result of terrorism – the destruction of a symbol of America and the city of New York.
The two planes that smashed into the World Trade Center had been hijacked by a group of terrorists that also hijacked two other planes. One of these dove into the Pentagon, the headquarters of the United States military establishment and symbol of American military might. The fully fueled plane, a Boeing 757, flying diagonal to one face of the building at an estimated 345 mph (550 km/hr), destroyed a large section of one corner. The force of the impact demolished the plane, sending parts penetrating through three outer rings of the structure. The building, a reinforced concrete structure built at the start of the Second World War, had recently been partly renovated, reinforcing the two foot (600 mm) thick concrete and masonry outer wall with a grid of steel members. Windows had also been made blast resistant and a layer of Kevlar was introduced on the inner face of the outer wall to catch debris. All these measures, which were virtually complete in the affected section of the building, contributed to the survival of the structure for a half hour before it collapsed, allowing survivors time to escape. The major damage to the adjacent sections of the complex was caused by the ensuing fire, smoke, and water used to extinguish the fire. In spite of it all, the Pentagon stayed open and the affected section of the building was soon stabilized and isolated.
The fourth plane crashed in a field in Pennsylvania, apparently as a result of passengers overwhelming the terrorists. A total of nineteen terrorists, some of whom were trained as pilots, undertook this coordinated attack. It is believed that these perpetrators were connected with and financed by Osama bin Laden, who had also directed the early attacks on the U.S. embassies in Africa and on the U.S. cruiser Cole in the port of Aden.
After the fall
How could two such seemingly sturdy and powerful structures collapse? The 110-story towers, which were completed in the 1970s, consisted of a steel column-supported core housing elevators and services surrounded by a clear span office space supported along the perimeter by a ring of closely spaced steel columns. These perimeter columns were rigidly joined to short and deep steel beams, thus forming a stiff tubular structure designed to resist the effect of wind and giving the buildings their characteristic lace-like appearance. Floors consisted of concrete topped light steel trusses spanning between the core and exterior. The building's structural engineer, Leslie Robertson, had developed a unique device using a viscoelastic material to connect the trusses to the columns. This device responded like soft rubber to slowly applied loads and like hard rubber to rapidly applied loads. In this way, the connector was able to damp-out uncomfortable vibrations due to the lateral sway of the slender towers under wind while not supporting loads from the floors.
The plane's momentum, when it struck a tower, carried it into the building, with parts penetrating the core and some parts exiting out the other side (see Chapter 2). The force of the collision was less than one-quarter of the towers wind-resisting capability, which is why it was able to survive the impact. The plane spilled its fuel, resulting in a fireball that enveloped several floors in the impact zone. The temperature of the fire was estimated to be 1000-2000°F (550-1100°C). It can be surmised that as the plane penetrated the structure, it scraped and destroyed much of the fireproofing material that protects steel from the damaging effects of heat. The steel columns in the core were then intensely heated; as they reached temperatures of 1100°F (600°C) they had lost half their strength and began to flow and buckle (Fig. 18.3). Floors in the impact zone also undoubtedly failed, pulling against the weakened columns and further hastening their tendency to buckle. The weight of the floors above the impact zone then caused the columns to fail, dropping the undamaged upper structure onto the lower one (Fig. 18.4). This impact force, estimated to have been thirty times the weight of the upper structure, caused the lower floors to fail in rapid sequence, dropping the tower vertically (similar to what happened at L'Ambiance Plaza [see Chapter 12]). This analysis assumes that the perimeter columns did not initially fail due to the fire because of the ventilating effect of wind on the exterior face of the building and only peeled off the tower as it fell. The second tower to be hit, which was the first to fail, actually tilted above the impact zone as it began to crumble, but then continued to drop vertically. This initial tilt was undoubtedly due to the fact that this tower suffered substantial damage on one face near a corner when the plane struck. Although the towers were designed and built as structurally efficient buildings and complied with existing regulations, they could not survive such an unanticipated, horrendous attack.
Other failure scenarios will undoubtedly be proposed and debated as investigations into the catastrophe take place over many years. Yet we believe that the basic outline of the failure is clear.
Can skyscrapers be designed to safely survive another such terrorist attack? The answer to this question is necessarily guarded. In both cases of planes crashing against skyscrapers – the Empire State building and the World Trade Center – the structure survived the initial impact. The redundancy in the rigidly joined beam and column outer tube of the World Trade Center served it well by redistributing column loads away from the damaged region. What doomed it was the fire. A more robust core structure, perhaps of reinforced concrete or an as yet undeveloped material and a more advanced fire suppression system might provide a more terrorist-resistant structure. But even the masonry and concrete wall of the Pentagon could not prevent a plane from penetrating the building. Heavy concrete bunkers can be designed to survive also almost any explosive event, but we do not want to live and work in such oppressive bunkers. A compromise between the bunker and the glass box will have to be accepted to reduce with the risk of future catastrophic structural collapses.
2012/01/10
Recensione: “11 settembre - io c'ero” di Giorgio Radicati
di Hammer
Nell'agosto del 2011 è stato pubblicato il volume intitolato “11 settembre - io c'ero” di Giorgio Radicati (editore Iacobelli, ISBN 8862521375). L'autore all'epoca degli attentati ricopriva l'incarico di Console Generale d'Italia a New York e in seguito ha avuto altri incarichi di carattere diplomatico in varie nazioni del mondo.
Il volume si compone di quattro parti distinte: nella prima l'autore racconta la sua esperienza relativa all'11 settembre e ai giorni successivi, nella seconda si focalizza sul breve periodo delle lettere “all'antrace” e sull'intervento militare in Afghanistan, nella terza narra della Seconda Guerra del Golfo mentre nell'ultima parte riporta il racconto del suo viaggio a Ground Zero nel 2010.
Nei primi due capitoli l'autore offre al lettore un racconto sull'11 settembre e sul periodo immediatamente successivo da un punto di vista davvero insolito: quello di un console che ha dovuto gestire il difficile scambio di informazioni con il ministero degli Esteri italiano che chiedeva informazioni sulle vittime e sui feriti, mentre anche negli USA le notizie arrivavano frammentate e confuse. Più tardi durante la giornata dell'11/9, il Console si recò personalmente a Ground Zero tra l'aria irrespirabile e le ruspe che iniziavano il loro lungo e ininterrotto lavoro.
Anche i giorni successivi furono ferventi di attività, quando in seguito alla riapertura dei voli l'autore si trovò in prima linea nel dover organizzare il rientro in patria dei turisti italiani rimasti bloccati negli USA, impegnandosi a risolvere gli inevitabili problemi logistici verificatisi con le compagnie aeree e gli scali aeroportuali.
Riguardo alle due guerre seguite all'11/9, l'autore racconta con dovizia di particolari le diverse fasi dei conflitti e della loro preparazione. Forte della propria lunga esperienza in politica internazionale, precisa di aver voluto fissare idee e ricordi in uno scritto affinché i lettori, soprattutto i più giovani, possano avvalersi del suo punto di vista per avere un quadro più completo degli avvenimenti.
In varie parti del libro l'autore non manca di criticare in modo molto preciso e circostanziato l'intelligence americana per la mancata prevenzione degli attacchi e il governo di Washington per l'imbarazzante vicenda delle armi di distruzione di massa irachene.
Il libro è chiuso dal racconto del viaggio dell'autore nel 2010 a New York, preso come spunto per alcune considerazioni sulla situazione in Afghanistan e Iraq dopo diversi anni dall'inizio dei conflitti. Un breve capitolo conclusivo propone infine qualche riflessione sul decesso di Osama bin Laden e sul futuro di Al Qaeda, decapitata del suo leader.
Il volume, in sintesi, offre al lettore una testimonianza singolare su quanto accaduto l'11/9 e negli anni e seguire e aiuta a capire le vicende internazionali che si sono svolte da allora. Proprio per questo motivo lo riteniamo un testo prezioso che consigliamo a chi voglia approfondire queste tematiche.

Il volume si compone di quattro parti distinte: nella prima l'autore racconta la sua esperienza relativa all'11 settembre e ai giorni successivi, nella seconda si focalizza sul breve periodo delle lettere “all'antrace” e sull'intervento militare in Afghanistan, nella terza narra della Seconda Guerra del Golfo mentre nell'ultima parte riporta il racconto del suo viaggio a Ground Zero nel 2010.
Nei primi due capitoli l'autore offre al lettore un racconto sull'11 settembre e sul periodo immediatamente successivo da un punto di vista davvero insolito: quello di un console che ha dovuto gestire il difficile scambio di informazioni con il ministero degli Esteri italiano che chiedeva informazioni sulle vittime e sui feriti, mentre anche negli USA le notizie arrivavano frammentate e confuse. Più tardi durante la giornata dell'11/9, il Console si recò personalmente a Ground Zero tra l'aria irrespirabile e le ruspe che iniziavano il loro lungo e ininterrotto lavoro.
Anche i giorni successivi furono ferventi di attività, quando in seguito alla riapertura dei voli l'autore si trovò in prima linea nel dover organizzare il rientro in patria dei turisti italiani rimasti bloccati negli USA, impegnandosi a risolvere gli inevitabili problemi logistici verificatisi con le compagnie aeree e gli scali aeroportuali.
Riguardo alle due guerre seguite all'11/9, l'autore racconta con dovizia di particolari le diverse fasi dei conflitti e della loro preparazione. Forte della propria lunga esperienza in politica internazionale, precisa di aver voluto fissare idee e ricordi in uno scritto affinché i lettori, soprattutto i più giovani, possano avvalersi del suo punto di vista per avere un quadro più completo degli avvenimenti.
In varie parti del libro l'autore non manca di criticare in modo molto preciso e circostanziato l'intelligence americana per la mancata prevenzione degli attacchi e il governo di Washington per l'imbarazzante vicenda delle armi di distruzione di massa irachene.
Il libro è chiuso dal racconto del viaggio dell'autore nel 2010 a New York, preso come spunto per alcune considerazioni sulla situazione in Afghanistan e Iraq dopo diversi anni dall'inizio dei conflitti. Un breve capitolo conclusivo propone infine qualche riflessione sul decesso di Osama bin Laden e sul futuro di Al Qaeda, decapitata del suo leader.
Il volume, in sintesi, offre al lettore una testimonianza singolare su quanto accaduto l'11/9 e negli anni e seguire e aiuta a capire le vicende internazionali che si sono svolte da allora. Proprio per questo motivo lo riteniamo un testo prezioso che consigliamo a chi voglia approfondire queste tematiche.
2011/10/10
“Zero2”: nuova edizione, vecchi errori
di Hammer, con il contributo di Paolo Attivissimo
In occasione del decimo anniversario dell'11 settembre è uscito il libro di Giulietto Chiesa “Zero2”, che a parte un'introduzione di 66 pagine dello stesso Chiesa ripropone lo stesso volume pubblicato con il titolo “Zero” nel 2007.
Stupisce anzitutto la scelta di pubblicare con un nuovo titolo un libro già edito, soprattutto considerando che la quarta di copertina parla di “nuove prove che smentiscono ciò che ci è stato raccontato”. A pagina 4 l'editore specifica che “La presente edizione ripropone da pag. 67 il testo già pubblicato da Edizioni Piemme con il titolo Zero”, ma crediamo che difficilmente chi si accinge ad acquistare il volume controlli cosa c'è scritto prima dell'introduzione. Il tutto sembra proprio una mossa commerciale per rifilare un libro in più ai lettori meno accorti.
Del resto lo stesso Chiesa a pagina 17 ammette candidamente che “Il volume, dovessi ri-progettarlo oggi, sarebbe arricchito da centinaia di nuovi contributi, da nuovi elementi, nuove prove, nuovi indizi, nuove scoperte circa la dinamica degli avvenimenti e i loro risvolti non immediatamente visibili”.
Una domanda sorge spontanea: signor Chiesa, ma se riconosce anche lei che il libro è obsoleto, perché lo ha ristampato? Perché non lo ha riprogettato come lei stesso suggerisce? In 4 anni ci pare che il tempo necessario ci sia stato, almeno avrebbe evitato di dare alle stampe un volume la cui introduzione, come vedremo, contraddice in diversi punti i successivi capitoli.
Del resto Giulietto Chiesa non risparmia nemmeno sé stesso: a pagina 22 dell'introduzione sostiene che il volo American Airlines 77 abbia, secondo il Rapporto della Commissione d'Inchiesta, colpito il Pentagono alle 9:37. Il dato è corretto, peccato che lo stesso Chiesa nel 2006, nell'introduzione al libro di William Rodriguez “11 settembre Bush ha mentito”, abbia invece sostenuto che lo schianto fosse avvenuto alle 9:40 e questo era, per l'autore, motivo di sospetti su presunte sincronie sospette, come già analizzato a suo tempo da Undicisettembre.
Questo modus operandi non ci sorprende più di tanto, conferma solo la tendenza dei complottisti a cambiare versione con la massima disinvoltura e senza mai farne menzione. Quella che Chiesa chiama “versione ufficiale” non è mai cambiata negli anni; le versioni complottiste cambiano invece con frequenza sorprendente.
A pagina 23 l'autore torna su uno dei suoi argomenti preferiti: la presunta assenza di ogni menzione al World Trade Center 7 nel Rapporto della Commissione d'Inchiesta. Scrive Chiesa: “[...] il 43% degli americani non aveva mai sentito parlare del WTC-7. Del resto tutti quelli che hanno letto il 9/11 Commission Report non potevano saperne niente perché in quelle 566 pagine non c'è una riga al riguardo.”
Okay, ormai è chiaro: Giulietto Chiesa non possiede una copia del Rapporto o, se ce l'ha, non l'ha mai letta. Signor Chiesa, se ne faccia una ragione. Questo argomento è falso, punto e basta. Il World Trade Center 7 è citato nel rapporto alle pagine 284, 293, 302, 305 come “7 WTC”. Per favore, vorremmo non tornarci più, è un dettaglio semplicissimo da verificare.
Sempre sul World Trade Center 7 il libro ha ancora altri spunti da offrire. In fondo a pagina 23, Chiesa lo descrive infatti come “Un edificio alto quasi 200 metri di 47 piani”. I dati sono corretti, peccato che nel capitolo di Claudio Fracassi (pagina 120 di “Zero2”, pagina 56 dell'edizione del 2007) si dica che il WTC7 è “un gigante di ben 60 piani”: come preannunciato il libro contraddice sé stesso.
Chiesa passa poi ad occuparsi del Pentagono e nella nota 42 di pagina 35 scrive una sciocchezza che fa accapponare la pelle a chiunque si occupi di 11/9 da più di cinque minuti. Scrive infatti nella nota “Incontreremo tra poco la storia dei due piloti che la versione ufficiale assegna al volo AA77. I loro nomi sono Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar e l'inchiesta non poté non rilevare che la loro esperienza di piloti era al di sotto del minimo accettabile per condurre un Boeing 757.”
Ad una prima lettura si può supporre che Chiesa si sia semplicemente sbagliato. Purtroppo no, infatti a pagina 45 ripete il concetto: “Prima tra tutte la scoperta che i due presunti piloti del volo AA77, quello che avrebbe colpito il Pentagono - Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar - alloggiarono [...] in quel di San Diego, California.”
Caro Chiesa, questa volta siamo d'accordo con lei: Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar non erano in grado di pilotare un aereo di linea. Infatti nessuno si è mai sognato di dire che fossero loro i piloti dirottatori del volo AA77: il pilota di AA77 fu Hani Hanjour, che aveva conseguito il brevetto di pilota commerciale.
Proseguendo la lettura scopriamo a pagina 39 che finalmente Chiesa riconosce che sul prato antistante il Pentagono siano stati abbattuti cinque pali della luce dall'“oggetto misterioso” (espressione di Chiesa) che ne ha colpito la facciata. L'errore, però, non è stato corretto nel capitolo di Andreas von Bülow, che ancora riporta (pagina 143 di “Zero2”, pagina 79 di “Zero” del 2007) che sarebbe stata abbattuta “una serie di semafori”.
Giunti a questo punto della lettura ci è venuto il dubbio di aver frainteso la quarta di copertina. Forse le “nuove prove” non smentiscono ciò “che ci è stato raccontato” dalla Commissione d'Inchiesta, ma quello che è stato dichiarato da Chiesa e dal suo entourage negli ultimi quattro anni.
Come detto, i capitoli seguenti sono quelli già editi senza nessuna variazione. Ecco qualche esempio delle assurdità tecniche verificabili, degli errori e delle incoerenze che vi si possono trovare: l'elenco verrà ampliato man mano che prosegue la lettura. Fra parentesi è indicato il numero di pagina corrispondente dell'edizione 2007.
Se dovessimo dare un voto a questa pubblicazione, pur attingendo al massimo della nostra magnanimità, non daremmo nemmeno un 5 di incoraggiamento. L'unico voto che ci sentiamo di dare è un inevitabile zero. Oppure Zero2: tanto è uguale.

Stupisce anzitutto la scelta di pubblicare con un nuovo titolo un libro già edito, soprattutto considerando che la quarta di copertina parla di “nuove prove che smentiscono ciò che ci è stato raccontato”. A pagina 4 l'editore specifica che “La presente edizione ripropone da pag. 67 il testo già pubblicato da Edizioni Piemme con il titolo Zero”, ma crediamo che difficilmente chi si accinge ad acquistare il volume controlli cosa c'è scritto prima dell'introduzione. Il tutto sembra proprio una mossa commerciale per rifilare un libro in più ai lettori meno accorti.
Del resto lo stesso Chiesa a pagina 17 ammette candidamente che “Il volume, dovessi ri-progettarlo oggi, sarebbe arricchito da centinaia di nuovi contributi, da nuovi elementi, nuove prove, nuovi indizi, nuove scoperte circa la dinamica degli avvenimenti e i loro risvolti non immediatamente visibili”.
Una domanda sorge spontanea: signor Chiesa, ma se riconosce anche lei che il libro è obsoleto, perché lo ha ristampato? Perché non lo ha riprogettato come lei stesso suggerisce? In 4 anni ci pare che il tempo necessario ci sia stato, almeno avrebbe evitato di dare alle stampe un volume la cui introduzione, come vedremo, contraddice in diversi punti i successivi capitoli.
Del resto Giulietto Chiesa non risparmia nemmeno sé stesso: a pagina 22 dell'introduzione sostiene che il volo American Airlines 77 abbia, secondo il Rapporto della Commissione d'Inchiesta, colpito il Pentagono alle 9:37. Il dato è corretto, peccato che lo stesso Chiesa nel 2006, nell'introduzione al libro di William Rodriguez “11 settembre Bush ha mentito”, abbia invece sostenuto che lo schianto fosse avvenuto alle 9:40 e questo era, per l'autore, motivo di sospetti su presunte sincronie sospette, come già analizzato a suo tempo da Undicisettembre.
Questo modus operandi non ci sorprende più di tanto, conferma solo la tendenza dei complottisti a cambiare versione con la massima disinvoltura e senza mai farne menzione. Quella che Chiesa chiama “versione ufficiale” non è mai cambiata negli anni; le versioni complottiste cambiano invece con frequenza sorprendente.
A pagina 23 l'autore torna su uno dei suoi argomenti preferiti: la presunta assenza di ogni menzione al World Trade Center 7 nel Rapporto della Commissione d'Inchiesta. Scrive Chiesa: “[...] il 43% degli americani non aveva mai sentito parlare del WTC-7. Del resto tutti quelli che hanno letto il 9/11 Commission Report non potevano saperne niente perché in quelle 566 pagine non c'è una riga al riguardo.”
Okay, ormai è chiaro: Giulietto Chiesa non possiede una copia del Rapporto o, se ce l'ha, non l'ha mai letta. Signor Chiesa, se ne faccia una ragione. Questo argomento è falso, punto e basta. Il World Trade Center 7 è citato nel rapporto alle pagine 284, 293, 302, 305 come “7 WTC”. Per favore, vorremmo non tornarci più, è un dettaglio semplicissimo da verificare.
Sempre sul World Trade Center 7 il libro ha ancora altri spunti da offrire. In fondo a pagina 23, Chiesa lo descrive infatti come “Un edificio alto quasi 200 metri di 47 piani”. I dati sono corretti, peccato che nel capitolo di Claudio Fracassi (pagina 120 di “Zero2”, pagina 56 dell'edizione del 2007) si dica che il WTC7 è “un gigante di ben 60 piani”: come preannunciato il libro contraddice sé stesso.
Chiesa passa poi ad occuparsi del Pentagono e nella nota 42 di pagina 35 scrive una sciocchezza che fa accapponare la pelle a chiunque si occupi di 11/9 da più di cinque minuti. Scrive infatti nella nota “Incontreremo tra poco la storia dei due piloti che la versione ufficiale assegna al volo AA77. I loro nomi sono Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar e l'inchiesta non poté non rilevare che la loro esperienza di piloti era al di sotto del minimo accettabile per condurre un Boeing 757.”
Ad una prima lettura si può supporre che Chiesa si sia semplicemente sbagliato. Purtroppo no, infatti a pagina 45 ripete il concetto: “Prima tra tutte la scoperta che i due presunti piloti del volo AA77, quello che avrebbe colpito il Pentagono - Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar - alloggiarono [...] in quel di San Diego, California.”

Proseguendo la lettura scopriamo a pagina 39 che finalmente Chiesa riconosce che sul prato antistante il Pentagono siano stati abbattuti cinque pali della luce dall'“oggetto misterioso” (espressione di Chiesa) che ne ha colpito la facciata. L'errore, però, non è stato corretto nel capitolo di Andreas von Bülow, che ancora riporta (pagina 143 di “Zero2”, pagina 79 di “Zero” del 2007) che sarebbe stata abbattuta “una serie di semafori”.
Giunti a questo punto della lettura ci è venuto il dubbio di aver frainteso la quarta di copertina. Forse le “nuove prove” non smentiscono ciò “che ci è stato raccontato” dalla Commissione d'Inchiesta, ma quello che è stato dichiarato da Chiesa e dal suo entourage negli ultimi quattro anni.
Come detto, i capitoli seguenti sono quelli già editi senza nessuna variazione. Ecco qualche esempio delle assurdità tecniche verificabili, degli errori e delle incoerenze che vi si possono trovare: l'elenco verrà ampliato man mano che prosegue la lettura. Fra parentesi è indicato il numero di pagina corrispondente dell'edizione 2007.
- Pagina 144 (80): c'è scritto ancora che il Pentagono sarebbe stato colpito da un “parassita militare”: espressione completamente priva di senso. Sono quattro anni che aspettiamo che qualcuno ci spieghi cos'è un “parassita militare”: magari ci faranno questo favore prima che escano “Zero3” e “Zero4”.
- Pagina 144 (80): “Le torri erano sostenute da quarantasette piloni centrali in acciaio [...] controventati a dei pilastri esterni sempre in acciaio a 236 metri di distanza”. Chiesa, per opera di Andreas von Bülow, ci sta dicendo che le Torri Gemelle avevano pilastri esterni situati a oltre duecento metri dalle Torri stesse. Un'assurdità architettonica piuttosto evidente anche per i non addetti ai lavori. Un semplice esame delle fotografie d'epoca conferma che tali pilastri esterni sono un'invenzione di von Bülow.
- Pagina 173 (109): nel capitolo scritto da Jürgen Elsässer si afferma che “sono più che legittime le indagini volte a dimostrare che gli aerei dirottati furono comandati a distanza da terra [...] oppure che il Pentagono non fu colpito da un aereo ma da un missile cruise”. Entrambe sono asserzioni abbandonate da tempo dai principali sostenitori delle tesi di complotto, per esempio perché è pittosto difficile che i 55 testimoni oculari dell'impatto al Pentagono abbiano confuso un missile Cruise, lungo sei metri, con un aereo di linea lungo quasi cinquanta.
- Pagina 180 (116): si dice che “tutto ciò che i due [Ramzi Binalshibh e Khalid Sheikh Mohammed] raccontarono sui fatti dell'11/9 dopo il loro arresto fu divulgato solo con la mediazione delle autorità statunitensi”, ma si omette di dire che i due avevano già confermato il loro racconto nel 2002, quando erano uomini liberi, al giornalista di Al Jazeera Yosri Fouda, come descritto nel libro Masterminds of Terror (in italiano Le menti criminali del terrorismo, Newton e Compton Editori).
- Pagina 223 (159): Steven Jones scrive che “La Torre più vicina distava circa trecento metri dal WTC7”. È errato: la distanza dalla Torre Nord (WTC1) era di 112 metri. La distanza asserita, quasi tripla rispetto a quella reale, fa sembrare impossibile che il crollo delle Torri abbia avuto effetto sul WTC7.
- Pagina 287 (223): Webster Tarpley scrive di “presunte chiamate telefoniche partite dai cellulari delle vittime dei dirottamenti” attribuendo alla “versione ufficiale” quest'origine delle chiamate. Ma la “versione ufficiale” afferma tutt'altro: tutte le 66 chiamate, tranne due brevi, provennero dai telefoni di bordo degli aerei, non dai cellulari, e quindi non erano affatto impossibili come si vuole insinuare.
- Pagina 289 (225): “Grazie alla tecnologia Global Hawk, si possono anche controllare a distanza gli aeroplani intercettati”. Qualunque pilota di aereo di linea sa che questa è un'asserzione tecnica del tutto priva di fondamento.
- Pagina 353 (289): Thierry Meyssan afferma che “gli individui accusati di aver dirottato gli aerei non figuravano sulle liste d'imbarco”, ma in realtà erano presenti nelle liste d'imbarco, che ne indicano anche i posti, confermati oltretutto dalle telefonate fatte dalle assistenti di volo durante i dirottamenti.
Se dovessimo dare un voto a questa pubblicazione, pur attingendo al massimo della nostra magnanimità, non daremmo nemmeno un 5 di incoraggiamento. L'unico voto che ci sentiamo di dare è un inevitabile zero. Oppure Zero2: tanto è uguale.
2011/09/12
Recensione: "11 settembre - Una storia che continua" di Alessandro Gisotti
di Hammer
È uscito, in occasione del decimo anniversario degli attentati dell'11 settembre 2001, il volume “11 settembre - Una storia che continua” di Alessandro Gisotti, il primo libro italiano sull'11 settembre che non sia dedicato a teorie alternative o alla loro confutazione.
Nel libro Gisotti raccoglie le testimonianze di persone che sono state toccate personalmente dall'11/9 sotto diversi punti di vista: l'anchorman della CNN Aaron Brown, che condusse la diretta degli attacchi; l'ex comandante dei Vigili del Fuoco di New York Daniel Nigro; il Presidente del Pentagon Memorial Fund James Laychak, che nell'attentato perse un fratello, impiegato al Pentagono; i familiari di Honor Elizabeth Wainio, morta sul volo United 93, e Lori Armstrong, presidente dell'associazione Alumni della Towson University per la quale Elizabeth lavorava; il fotografo David Margules, a cui si devono alcune delle più significative foto di Ground Zero; l'ex poliziotto di New York Vito Friscia, la cui vicenda è raccontata nel documentario Vito After; il direttore esecutivo di Faithful Response Michael J. Arcari; il reverendo Kevin Madigan, parroco della St. Peter's Church, che si trova a pochi isolati a sud del World Trade Center.
Gisotti (foto qui accanto) ci porta nel cuore delle testimonianze di queste persone, dalle quali emerge quanto siano ancora vivi il dolore e la rabbia per quanto accaduto ma anche quanto sia forte la voglia di risorgere, di ricostruire e di superare lo shock che dopo 10 anni è ancora presente. Che si tratti di un'opera di lodevole giornalismo è confermato non solo dalle nostre impressioni ma anche dal fatto che il volume in questione si è meritato una citazione sul sito del Pentagon Memorial.
Gli argomenti trattati sono tra i più vari e disparati. Aaron Brown racconta i suoi sentimenti contrastanti durante la diretta dell'11/9: da un lato la determinazione di raccontare al meglio quanto stava accadendo, dall'altro il dolore per le migliaia di morti, tra cui molte persone che conosceva. David Margules e Vito Friscia raccontano dei danni di salute provocati dal lungo e duro lavoro a Ground Zero. Il reverendo Madigan affronta la tematica della costruzione di una moschea nelle vicinanze di Ground Zero, smorzando la polemica suscitata da molti giornali.
Il libro di Gisotti non risparmia nemmeno l'argomento del complottismo con Daniel Nigro che stronca ogni teoria alternativa sul crollo del World Trade Center 7 raccontando come questo sia stato gravemente danneggiato dal crollo delle Torri Gemelle, che oltre ad averne compromesso la struttura ha innescato incendi nel palazzo. Nigro sull'argomento è lapidario: “Ogni altra spiegazione è falsa.” Con buona pace dei complottisti che sostengono che i Vigili del Fuoco danno loro ragione: l'ex comandante li smentisce, se ne facciano una ragione.
Aggiungiamo una considerazione: i giornalisti seri come Gisotti si prendono la briga di incontrare chi ha vissuto l'11/9 e ne traggono un libro, i complottisti restano comodi sulle poltrone di casa e indagano studiando su Youtube. Chissà perché.
Il libro di Alessandro Gisotti è consigliatissimo a chiunque voglia entrare nel vivo del dolore e delle emozioni che l'11/9 ha portato con sè. È ancora Daniel Nigro che, con una frase che il gruppo Undicisettembre fa propria, riassume quelle che sono le sue emozioni dopo 10 anni:

Nel libro Gisotti raccoglie le testimonianze di persone che sono state toccate personalmente dall'11/9 sotto diversi punti di vista: l'anchorman della CNN Aaron Brown, che condusse la diretta degli attacchi; l'ex comandante dei Vigili del Fuoco di New York Daniel Nigro; il Presidente del Pentagon Memorial Fund James Laychak, che nell'attentato perse un fratello, impiegato al Pentagono; i familiari di Honor Elizabeth Wainio, morta sul volo United 93, e Lori Armstrong, presidente dell'associazione Alumni della Towson University per la quale Elizabeth lavorava; il fotografo David Margules, a cui si devono alcune delle più significative foto di Ground Zero; l'ex poliziotto di New York Vito Friscia, la cui vicenda è raccontata nel documentario Vito After; il direttore esecutivo di Faithful Response Michael J. Arcari; il reverendo Kevin Madigan, parroco della St. Peter's Church, che si trova a pochi isolati a sud del World Trade Center.

Gli argomenti trattati sono tra i più vari e disparati. Aaron Brown racconta i suoi sentimenti contrastanti durante la diretta dell'11/9: da un lato la determinazione di raccontare al meglio quanto stava accadendo, dall'altro il dolore per le migliaia di morti, tra cui molte persone che conosceva. David Margules e Vito Friscia raccontano dei danni di salute provocati dal lungo e duro lavoro a Ground Zero. Il reverendo Madigan affronta la tematica della costruzione di una moschea nelle vicinanze di Ground Zero, smorzando la polemica suscitata da molti giornali.
Il libro di Gisotti non risparmia nemmeno l'argomento del complottismo con Daniel Nigro che stronca ogni teoria alternativa sul crollo del World Trade Center 7 raccontando come questo sia stato gravemente danneggiato dal crollo delle Torri Gemelle, che oltre ad averne compromesso la struttura ha innescato incendi nel palazzo. Nigro sull'argomento è lapidario: “Ogni altra spiegazione è falsa.” Con buona pace dei complottisti che sostengono che i Vigili del Fuoco danno loro ragione: l'ex comandante li smentisce, se ne facciano una ragione.
Aggiungiamo una considerazione: i giornalisti seri come Gisotti si prendono la briga di incontrare chi ha vissuto l'11/9 e ne traggono un libro, i complottisti restano comodi sulle poltrone di casa e indagano studiando su Youtube. Chissà perché.
Il libro di Alessandro Gisotti è consigliatissimo a chiunque voglia entrare nel vivo del dolore e delle emozioni che l'11/9 ha portato con sè. È ancora Daniel Nigro che, con una frase che il gruppo Undicisettembre fa propria, riassume quelle che sono le sue emozioni dopo 10 anni:
"Ci sono momenti in cui sono davvero arrabbiato nel pensare che delle persone odino così tanto da infliggere un tale orribile e insensato dolore agli altri. A volte il dolore del ricordo è così forte che diventa anche un malessere fisico."
2011/09/03
Recensione: By the Grace of God di Jean Potter
di Hammer
Le testimonianze dei sopravvissuti degli attentati dell'11 settembre 2001 sono sempre lo strumento migliore per diffondere e tramandare la memoria di quanto accaduto in quel tragico giorno che cambiò la storia. Fortunatamente, proprio a questo scopo negli anni sono stati pubblicati molti libri che raccolgono i racconti di chi ha vissuto l'11/9 in prima persona: tra di essi spicca il volume "By the Grace of God" di Jean Potter (disponibile anche in brossura), uscito di recente proprio in occasione del decimo anniversario.
L'autrice non si limita a narrare quanto accaduto durante gli attentati e le loro conseguenze, ma offre al lettore un contesto molto più ampio, molto più coinvolgente, molto più emozionante.
Jean Potter dedica la prima parte del libro a raccontare in breve la storia della propria vita e di quella della sua famiglia, di origine italiana e trasferitasi negli Stati Uniti da quattro generazioni. Con brevi, vividi flash l'autrice descrive la quotidianità dei propri nonni e genitori dediti al duro lavoro (chi barbiere, chi ristoratore) per garantire al resto della famiglia e ai discendenti una buona posizione sociale e una vita agiata. Jean racconta poi del proprio incontro e matrimonio con il pompiere Dan Potter, così da dare al lettore un quadro preciso di quella che era la sua vita fino all'11 settembre 2001.
Nel 2001 Jean era impiegata presso la Bank of America, all'ottantunesimo piano della Torre Nord del World Trade Center, che le offriva quotidianamente una visuale impagabile: poteva vedere le nubi in arrivo e gli stormi di uccelli migratori ben prima che arrivassero a Manhattan. A volte le capitava anche di vedere elicotteri in volo al di sotto della finestra del proprio ufficio.
Quando il volo American Airlines 11 colpì la Torre Nord, Jean si trovava nel suo ufficio. In breve tempo l'aria si riempì di fumo caldo e di odore di carburante avio. Il racconto dell'evacuazione della Torre 1, grazie alla quale Jean si salvò, si fonde quindi con quanto vissuto dal marito pompiere, rimasto travolto dalle macerie dei crolli di entrambe le Torri e salvatosi per ben due volte.
Il racconto di Jean Potter non si ferma qui, ma si estende ai giorni successivi all'11 settembre, quando dovette trasferirsi con il marito per alcuni giorni in un albergo perché la loro casa di Battery Park City era stata seriamente danneggiata dai crolli delle Torri Gemelle e resa inagibile.
Jean si sofferma quindi a considerare come l'11/9 stravolse le loro vite: devastò la loro abitazione e quanto vi era contenuto, li costrinse a cambiare residenza e lavoro e causò la perdita di molti amici e colleghi morti nelle Torri.
I coniugi Potter hanno intrapreso un lungo processo di guarigione dal trauma subìto, che dura tuttora. E parte di questo processo di guarigione è stata anche la scrittura di questo prezioso libro. A distanza di dieci anni Jean è ancora vittima di incubi, anche se sempre meno ricorrenti, ma nonostante questo ha avuto il coraggio di regalarci questa testimonianza ricca, dettagliata ed estremamente toccante.

L'autrice non si limita a narrare quanto accaduto durante gli attentati e le loro conseguenze, ma offre al lettore un contesto molto più ampio, molto più coinvolgente, molto più emozionante.
Jean Potter dedica la prima parte del libro a raccontare in breve la storia della propria vita e di quella della sua famiglia, di origine italiana e trasferitasi negli Stati Uniti da quattro generazioni. Con brevi, vividi flash l'autrice descrive la quotidianità dei propri nonni e genitori dediti al duro lavoro (chi barbiere, chi ristoratore) per garantire al resto della famiglia e ai discendenti una buona posizione sociale e una vita agiata. Jean racconta poi del proprio incontro e matrimonio con il pompiere Dan Potter, così da dare al lettore un quadro preciso di quella che era la sua vita fino all'11 settembre 2001.
Nel 2001 Jean era impiegata presso la Bank of America, all'ottantunesimo piano della Torre Nord del World Trade Center, che le offriva quotidianamente una visuale impagabile: poteva vedere le nubi in arrivo e gli stormi di uccelli migratori ben prima che arrivassero a Manhattan. A volte le capitava anche di vedere elicotteri in volo al di sotto della finestra del proprio ufficio.
Quando il volo American Airlines 11 colpì la Torre Nord, Jean si trovava nel suo ufficio. In breve tempo l'aria si riempì di fumo caldo e di odore di carburante avio. Il racconto dell'evacuazione della Torre 1, grazie alla quale Jean si salvò, si fonde quindi con quanto vissuto dal marito pompiere, rimasto travolto dalle macerie dei crolli di entrambe le Torri e salvatosi per ben due volte.

Jean si sofferma quindi a considerare come l'11/9 stravolse le loro vite: devastò la loro abitazione e quanto vi era contenuto, li costrinse a cambiare residenza e lavoro e causò la perdita di molti amici e colleghi morti nelle Torri.
I coniugi Potter hanno intrapreso un lungo processo di guarigione dal trauma subìto, che dura tuttora. E parte di questo processo di guarigione è stata anche la scrittura di questo prezioso libro. A distanza di dieci anni Jean è ancora vittima di incubi, anche se sempre meno ricorrenti, ma nonostante questo ha avuto il coraggio di regalarci questa testimonianza ricca, dettagliata ed estremamente toccante.
2010/10/20
Recensione: September 11: an Oral History
di Hammer
In occasione del primo anniversario degli attentati dell'11 settembre fu pubblicato il volume "September 11: an Oral History" a cura del giornalista del New York Times Dean E. Murphy. Come suggerisce il titolo, il volume raccoglie le testimonianze dirette di chi visse gli attacchi in prima persona.
Ci imbattiamo fin da subito nelle parole vivide e cariche di emozioni dei protagonisti. Entriamo nel vivo dell'esperienza di chi affrontò scale interminabili tra fumo dall'odore acre e un rivolo d'acqua inquinata insieme a un collega non vedente assistito dal proprio cane guida. Conosciamo il dolore di chi dovette abbandonare un amico quadriplegico e sovrappeso in attesa di aiuti che non riuscirono a salvarlo e perirono con lui. Leggiamo di chi, per salvare altre persone, si trovò a spostare oggetti pesanti, stupito dalla propria forza fisica, che non credeva nemmeno di avere. Conosciamo un impiegato del Pentagono, preoccupato per la sorte del fratello che lavorava al World Trade Center e trovatosi a vivere un'esperienza molto simile in seguito allo schianto del volo American Airlines 77.
Mentre scorrono storie straordinarie ricche di dolore, di paura e di speranza, il lettore aspetta di arrivare a leggere una storia "normale", ovvero la vicenda di qualcuno che sia uscito dalle Torri o abbia assistito allo schianto del volo American 77 contro il Pentagono e non abbia particolari diversità rispetto a quella di centinaia di altre persone. Ma è presto chiaro che di storie "normali" proprio non ce ne sono; ogni storia riguardante l'11/9 ha qualcosa di speciale, qualcosa che la rende unica nei suoi aspetti umani ed emozionali.
Va notato che nessuna delle testimonianze raccolte da Murphy sostiene le teorie del complotto. Nessun sopravvissuto del World Trade Center parla di esplosioni misteriose e nessuno dei testimoni del Pentagono ha dubbi sul fatto che un aereo di linea si sia schiantato contro la facciata dell'edificio.
Il libro di Murphy ci regala uno spaccato molto incisivo ed emozionante di quanto accaduto l'11/9, ed è proprio grazie a libri encomiabili come questo che le parole dei testimoni possono diventare eterne e passare alle generazioni future, perché il ricordo delle stragi di New York e Washington non si perda mai.

Ci imbattiamo fin da subito nelle parole vivide e cariche di emozioni dei protagonisti. Entriamo nel vivo dell'esperienza di chi affrontò scale interminabili tra fumo dall'odore acre e un rivolo d'acqua inquinata insieme a un collega non vedente assistito dal proprio cane guida. Conosciamo il dolore di chi dovette abbandonare un amico quadriplegico e sovrappeso in attesa di aiuti che non riuscirono a salvarlo e perirono con lui. Leggiamo di chi, per salvare altre persone, si trovò a spostare oggetti pesanti, stupito dalla propria forza fisica, che non credeva nemmeno di avere. Conosciamo un impiegato del Pentagono, preoccupato per la sorte del fratello che lavorava al World Trade Center e trovatosi a vivere un'esperienza molto simile in seguito allo schianto del volo American Airlines 77.
Mentre scorrono storie straordinarie ricche di dolore, di paura e di speranza, il lettore aspetta di arrivare a leggere una storia "normale", ovvero la vicenda di qualcuno che sia uscito dalle Torri o abbia assistito allo schianto del volo American 77 contro il Pentagono e non abbia particolari diversità rispetto a quella di centinaia di altre persone. Ma è presto chiaro che di storie "normali" proprio non ce ne sono; ogni storia riguardante l'11/9 ha qualcosa di speciale, qualcosa che la rende unica nei suoi aspetti umani ed emozionali.

Il libro di Murphy ci regala uno spaccato molto incisivo ed emozionante di quanto accaduto l'11/9, ed è proprio grazie a libri encomiabili come questo che le parole dei testimoni possono diventare eterne e passare alle generazioni future, perché il ricordo delle stragi di New York e Washington non si perda mai.
2009/07/06
Recensione: Perfect Soldiers

"Quando una persona si muove attraverso il mondo, lascia una traccia che può essere seguita".
Queste parole, tratte dalla prefazione del libro "Perfect Soldiers" (ISBN 978-0060584696), descrivono molto bene il compito che l'autore, Terry McDermott, si è preposto: scandagliare le vite dei terroristi che progettarono ed eseguirono i tragici attentati dell'11 settembre 2001.
McDermott, all'epoca giornalista per il Los Angeles Times, ha scritto questo libro tre anni dopo la tragedia, dopo aver viaggiato attraverso quattro continenti e 20 paesi nel mondo, dal 2001 al 2003, per raccogliere informazioni e testimonianze sugli attentatori e sui loro complici, conoscenti e parenti.
Dal punto di vista del debunking, è evidente il valore di questa ricerca, giacché da sola essa stronca senza possibilità di appello le fandonie di chi afferma che i diciannove dirottatori non siano mai esistiti o siano ancora vivi.
Per di più, le ricerche dell'autore si sono estese anche alle vite dei loro complici e degli organizzatori, e finiscono per costituire l'ennesimo macigno sulle responsabilità di Osama bin Laden, Khalid Sheikh Mohammed e gli altri personaggi implicati, nonché su quelle di al-Qaeda.
McDermott ha raccolto elementi e testimonianze su una cinquantina di personaggi che in qualche modo hanno avuto un ruolo negli attentati, oltre ai dirottatori.
Dal punto di vista storico, la ricerca è importante perché si è svolta a ridosso degli attentati, dal 2001 al 2003, quindi prima che i testimoni intervistati da McDermott potessero essere influenzati dalle informazioni rilasciate dal 2004 in poi a conclusione del lavoro d'inchiesta della Commissione 9/11 o al termine del processo Moussaoui, e si incastra con le indagini, pressoché contemporanee, del giornalista arabo Yosri Fouda (autore del libro "Masterminds of Terror"), a tutto vantaggio della verificabilità e dell'attendibilità di entrambi.
Perfect Soldiers è suddiviso in tre parti: la prima è dedicata ai dirottatori, la seconda agli organizzatori e la terza alla pianificazione ed esecuzione degli attacchi. Le appendici contengono alcuni documenti che è utile tenere a portata di mano (i proclami di bin Laden, il testamento di Atta, le istruzioni per i dirottatori). Il tutto è completato da una esauriente elencazione delle fonti e da un prezioso indice analitico, oltre a un certo numero di fotografie in bianco e nero, alcune delle quali poco note o inedite.
Le ricerche di McDermott sono oggi in gran parte superate dalle ricostruzioni e indagini contenute nelle decine di migliaia di documenti che dal 2004 in poi sono stati oggetto di pubblicazione e desegretazione, rispetto ai quali rappresentano una ulteriore conferma della conoscenza fattuale di cui disponiamo. Nondimeno, da esse emergono spunti di riflessione interessanti.
Il ruolo di bin Laden nell'organizzazione degli attentati, per esempio, si arricchisce di alcuni particolari che lasciano intendere un coinvolgimento che andò ben oltre l'approvazione e il finanziamento del piano proposto da Khalid Sheikh Mohammed. Il leader di al-Qaeda spinse per accelerare i tempi e impose che i dirottatori fossero quasi tutti sauditi. Bin Laden avrebbe voluto anche che il quarto obiettivo fosse la Casa Bianca, ma Atta ritenne che sarebbe stato troppo difficile colpire quel bersaglio e preferì puntare al Campidoglio, in un giorno in cui il Congresso era riunito.
McDermott fa poi notare che la sezione speciale allestita dalla CIA nel 1996 per tracciare bin Laden fu la prima iniziativa del genere compiuta da quell'agenzia nei confronti di un singolo individuo, a testimonianza del fatto che la gravità della minaccia era stata ben percepita.
Un altro elemento, da tempo disponibile al pubblico ma spesso trascurato, sta nelle istruzioni fornite ai dirottatori, che McDermott attribuisce ad Abdulaziz al-Omari e non ad Atta. Dall'esame di questo documento si evince che i terroristi avrebbero dovuto portare con sé, nei propri bagagli caricati sugli aerei, tutti i propri effetti e documenti personali. Non si trattò, quindi, di una circostanza "strana", ma di una precisa decisione operativa.
Inoltre, l'arma di ciascun terrorista è indicata con il termine "coltello". Si tratta anche questo di un particolare molto significativo, perché è d'uso – quando si parla degli attentati – fare riferimento a "19 terroristi armati di taglierini". In realtà quello dei "taglierini" (o peggio "tagliacarte") è un mito che fonda più sulle superficiali cronache dei media che su fatti reali.
Difatti, le telefonate fatte da passeggeri e membri di equipaggio dei voli dirottati parlarono quasi sempre di coltelli: solo in un caso l'interlocutore parlò di taglierini, ma questo è il termine che – immotivatamente – è stato diffuso a livello mediatico.
L'autore si sofferma a considerare il contesto sociale dal quale provennero i dirottatori, in particolare i muscle hijacker: un contesto povero, senza valide prospettive economiche, nel quale le moschee rappresentavano l'unico centro di aggregazione e quindi un punto ideale di indottrinamento e di arruolamento di giovani che non vedevano futuro migliore davanti a sé.
La riflessione è particolarmente importante, perché di tenore analogo a quello di alcune considerazioni contenute nel Rapporto Finale della Commissione d'inchiesta sull'11 settembre, secondo cui la povertà e la depressione sociale ed economica di ampie aree islamiche è il principale bacino che alimenta il terrorismo integralista.
In conclusione, la lettura delle 330 pagine di "Perfect Soldiers" si rivela ancora utile nonostante il tempo trascorso dalla sua stesura (2003-2004) e pubblicazione (2005).
Il costo di copertina dell'edizione che abbiamo recensito (acquistata dall'Inghilterra) è di 12,99 sterline, ma il volume può essere facilmente reperito sul Web per una decina di euro.
2009/01/21
Recensione: Touching History di Lynn Spencer

"Touching History - The untold story of the drama that unfolded in the skies over America on 9/11" è un volume pubblicato nel 2008 da Free Press (ISBN 978-1416559252) e scritto da Lynn Spencer.
L'autrice ha ricostruito il dramma dell'11 settembre 2001 dal punto di vista degli uomini e delle donne che si ritrovarono a gestire e a vivere le situazioni di emergenza che si verificarono nei cieli americani in quella tragica mattina.
Un libro da leggere tutto d'un fiato, per la sua capacità di restituire le emozioni, le paure, lo sconforto, la sorpresa che attanagliarono centinaia di professionisti in quelle ore.
L'autrice, Lynn Spencer, è una donna pilota e istruttrice di volo della JetExpress Airlines, laureata alla Duke University e qualificata al volo ad alte quote presso il Johnson Space Center della NASA a Houston.
La Spencer ha intervistato centinaia di professionisti che hanno vissuto in prima persona quei momenti: i militari in servizio presso i comandi e le basi della difesa aerea; i piloti dei caccia intercettori decollati nell'impossibile tentativo di fermare gli eventi; i controllori del traffico aereo civile; i piloti degli altri aerei commerciali in volo in quegli stessi cieli in cui si consumava la tragedia.
Un lavoro prezioso, non tanto dal punto di vista della ricostruzione generale della vicenda (sotto questo aspetto il libro non aggiunge quasi nulla di significativo rispetto ai documenti e ai rapporti tecnici, alle trascrizioni e registrazioni di dati e comunicazioni, di cui già disponiamo) quanto da quello del comportamento e dei pensieri di tutte queste persone.
Cosa videro? Cosa ascoltarono? Cosa dissero? Cosa pensarono? Cosa fecero? Sono soprattutto queste le domande a cui il libro risponde, con straordinaria efficacia.
Apprendiamo così che Pete Zalewski, il controllore di volo che gestiva American 11 e che constatò che il velivolo aveva spento il transponder e non rispondeva alle comunicazioni radio, pensò che l'aereo avesse subito una grave avaria all'impianto elettrico: se l'aereo sta volando ma la radio non funziona e il transponder non emette più segnali, è quella la prima cosa a cui si pensa. E quando il suo supervisore gli chiese se stesse pensando a un dirottamento, Zalewski fu categorico: "Assolutamente no. E' fuori questione".
Le oltre 300 pagine del libro dimostrano che qualsiasi ragionamento fatto con il "senno del poi" rischia di rivelarsi grottesco, di fronte alla limpidezza e all'ineluttabilità dei comportamenti e delle reazioni che ogni essere umano, in quelle circostanze e con quella responsabilità, avrebbe avuto.
Il primo problema dei controllori di volo non fu tanto quello di capire cosa stava succedendo, quanto di scongiurare il rischio di collisioni tra le centinaia di aerei in volo e due velivoli – American 11 e United 175 – che non rispondenvano alle istruzioni via radio, non seguivano più la rotta assegnata e avevano il transponder spento o regolato in modo sbagliato (il transponder è associato al sistema automatico anti-collisione).
E difatti, il volo 7 della Midwest Express Airlines, un DC-9, si trovò in rotta di collisione con lo United 175. I piloti del DC-9 erano del tutto ignari che il Boeing 767 gli stava venendo addosso mentre eseguivano una serie di brusche virate, ordinate disperatamente dal controllo aereo a terra, per evitare l'impatto.
Uno dei problemi che si posero i responsabili della difesa aerea, invece, fu quello di assicurarsi che i propri uomini non avrebbero avuto esitazioni ad abbattere un aereo civile carico di passeggeri: ai piloti dei caccia, agli addetti alle postazioni di controllo che avevano il compito di trasmettere l'eventuale ordine di abbattimento, fu chiesto esplicitamente se avrebbero eseguito gli ordini in quella evenienza. Tutti assicurarono che l'avrebbero fatto, pur consapevoli che avrebbero dovuto sopportare per il resto della loro vita il peso di quella decisione.

Non manca un riferimento al fatto che forse, quella mattina, c'erano altri dirottatori a bordo di altri aerei che non decollarono per effetto della chiusura degli spazi aerei di New York: è il caso del volo United 23, pronto al decollo dall'aeroporto Kennedy di New York e diretto a Los Angeles.
Gli assistenti di volo avevano avvisato il comandante della presenza inusuale di quattro arabi seduti in prima classe, quando giunse l'ordine di abortire il decollo e di evacuare l'aeroporto.
I passeggeri di quel volo, così come di altre centinaia di voli, abbandonarono l'aerostazione nel caos generale senza essere controllati o interrogati.
L'ipotesi è inquietante, specialmente ove si consideri che Zacarias Moussaoui, l'aspirante pilota dirottatore arrestato dall'FBI nell'agosto del 2001, era giunto negli Stati Uniti per partecipare agli attentati e non risulta che lo stesso Mohammed Atta fosse a conoscenza della sua presenza.
Per stemperare la drammaticità della narrazione, citiamo anche un aneddoto curioso, quello del volo United 829, diretto a Chicago. In seguito alla decisione di bloccare tutti i voli sugli Stati Uniti, al pilota fu ordinato di cambiare rotta e di atterrare in Canada. Ignaro di quanto stava accadendo e nella presunzione che l'ordine fosse stato determinato da motivi futili e temporanei, il pilota protestò spavaldamente via radio con il controllore: "Ho tanto di quel carburante a bordo da poter restare in volo fino a domani, per cui lasciatemi in attesa dove vi pare, aspetterò istruzioni precise prima di fare qualsiasi cosa!". Non poteva proferire parole più infelici: i controllori di volo avevano un sacco di problemi per far atterrare centinaia di aerei a corto di carburante, per cui furono ben contenti di non doversi preoccupare dello United 829 e lo lasciarono a girare intorno per dare la precedenza a tutti gli altri prima di autorizzarlo ad atterrare. In Canada.
Tra i vari commenti di apprezzamento riportati sulla copertina del libro, spicca quello del presidente della National Air Traffic Controller Association, ennesima dimostrazione di quanto siano lontani il fantasioso mondo dei complottisti e la realtà del pensiero della comunità dei tecnici e dei professionisti.
2009/01/04
Zerobubbole: la versione integrale
di Paolo Attivissimo
Zerobubbole, l'analisi critica integrale e dettagliata del video Zero, è in dirittura d'arrivo dopo una lunga gestazione, dovuta al fatto che man mano il testo si è trasformato da una semplice critica del video punto per punto in un viaggio fra le principali tesi cospirazioniste e i principali errori di metodo dei "ricercatori della verità" ed è quindi fruibile anche a prescindere dal video in questione.
Per chi invece ha fretta c'è la versione pocket, già ultimata, che elenca in sintesi le oltre 110 fandonie e stupidaggini tecniche dell'opera di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi.
Qui sotto trovate per ora le prime 137 pagine di Zerobubbole; l'indice fornisce un'anteprima del contenuto delle pagine ancora in lavorazione. Il libro è scaricabile gratuitamente presso Scribd.com. Come sempre, siete pregati di segnalare eventuali errori, refusi o passaggi poco chiari nei commenti qui sotto oppure via mail. Gli aggiornamenti e la versione definitiva di Zerobubbole saranno pubblicati sempre qui. Buona lettura.
Zerobubbole, l'analisi critica integrale e dettagliata del video Zero, è in dirittura d'arrivo dopo una lunga gestazione, dovuta al fatto che man mano il testo si è trasformato da una semplice critica del video punto per punto in un viaggio fra le principali tesi cospirazioniste e i principali errori di metodo dei "ricercatori della verità" ed è quindi fruibile anche a prescindere dal video in questione.
Per chi invece ha fretta c'è la versione pocket, già ultimata, che elenca in sintesi le oltre 110 fandonie e stupidaggini tecniche dell'opera di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi.
Qui sotto trovate per ora le prime 137 pagine di Zerobubbole; l'indice fornisce un'anteprima del contenuto delle pagine ancora in lavorazione. Il libro è scaricabile gratuitamente presso Scribd.com. Come sempre, siete pregati di segnalare eventuali errori, refusi o passaggi poco chiari nei commenti qui sotto oppure via mail. Gli aggiornamenti e la versione definitiva di Zerobubbole saranno pubblicati sempre qui. Buona lettura.
2008/12/21
Pronti gli atti del convegno di Lugano
di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Sono disponibili gli atti del convegno "11/9 La Cospirazione Impossibile" tenutosi a Lugano l'11 settembre scorso, con la partecipazione dell'ingegnere civile Cristina Zanini Barzaghi, dell'ex capo dei servizi di sicurezza svizzeri Peter Regli, di un pilota di linea con esperienze militari (che ha chiesto l'anonimato online) e del sottoscritto, con la moderazione del direttore del Giornale del Popolo Claudio Mésoniat.
Il documento è sfogliabile qui sopra (cliccando sull'icona Full in basso a sinistra viene visualizzato a pieno schermo) oppure scaricabile da Slideshare.net. o da Attivissimo.net.
Gli atti del convegno sono stati aggiornati il 24/12/2008 per aggiungervi la copertina definitiva e alcune note di produzione.
L'edizione pubblicata inizialmente (dicembre 2008) presso Scribd.com è tuttora disponibile, ma i cambiamenti intercorsi nelle condizioni di utilizzo di Scribd sono risultati troppo disagevoli, per cui il 14 settembre 2010 è stata pubblicata l'edizione su Slideshare.
Sono disponibili gli atti del convegno "11/9 La Cospirazione Impossibile" tenutosi a Lugano l'11 settembre scorso, con la partecipazione dell'ingegnere civile Cristina Zanini Barzaghi, dell'ex capo dei servizi di sicurezza svizzeri Peter Regli, di un pilota di linea con esperienze militari (che ha chiesto l'anonimato online) e del sottoscritto, con la moderazione del direttore del Giornale del Popolo Claudio Mésoniat.
Il documento è sfogliabile qui sopra (cliccando sull'icona Full in basso a sinistra viene visualizzato a pieno schermo) oppure scaricabile da Slideshare.net. o da Attivissimo.net.
Gli atti del convegno sono stati aggiornati il 24/12/2008 per aggiungervi la copertina definitiva e alcune note di produzione.
L'edizione pubblicata inizialmente (dicembre 2008) presso Scribd.com è tuttora disponibile, ma i cambiamenti intercorsi nelle condizioni di utilizzo di Scribd sono risultati troppo disagevoli, per cui il 14 settembre 2010 è stata pubblicata l'edizione su Slideshare.
2008/07/23
Recensione: La Guerra Segreta della CIA

Steve Coll è un giornalista investigativo, è stato co-direttore del Washington Post, collaboratore del New Yorker e corrispondente dall'Asia e Medio Oriente.
Ha vinto due premi Pulitzer, uno nel 1990 e l'altro nel 2004 con il libro che ci accingiamo a recensire, la cui edizione originale in inglese ha il titolo di Ghost Wars.
Quest'anno l'edizione italiana è stata pubblicata nella collana Storia della BUR (codice ISBN 978-88-17-02230-9, prezzo di copertina 13 euro) con il titolo La guerra segreta della CIA e il sottotitolo: L'America, l'Afghanistan e Bin Laden dall'invasione sovietica al 10 settembre 2001.
La conoscenza degli antefatti dell'11 settembre 2001 è una parte fondamentale della ricerca storica su quella tragedia, e Coll ha fatto un lavoro magistrale, per certi versi incredibile, nel ricostruire ogni singolo dettaglio di un aspetto di cui si parla tanto ma si conosce poco: le attività della CIA in Afghanistan nel periodo 1979-2001.
Coll ha attinto le informazioni direttamente dai protagonisti di quelle vicende: americani, afghani, pakistani, sauditi. Ogni particolare è stato ricostruito con la memoria di chi lo ha realmente vissuto ed è stato verificato con le evidenze provenienti da numerose altre fonti. In oltre 800 pagine, Coll ci proietta nei colloqui, nelle riunioni, nelle decisioni e nelle azioni operative.
In estrema sintesi, il giornalista spiega e descrive come la CIA e l'ISI (il servizio segreto pakistano) finanziarono e fornirono equipaggiamenti, ciascuno per proprio conto, direttamente ai numerosi “capi” dei vari gruppi di guerriglieri che combattevano contro i sovietici e contro il governo da questi sostenuto.
Osama bin Laden non beneficiò di questi aiuti, in quanto lo sceicco disponeva di risorse finanziarie proprie. Inoltre USA e Pakistan avevano tutto l'interesse a finanziare i capi locali, in previsione di una loro futura ascesa al governo del paese, piuttosto che personaggi stranieri destinati (così si pensava) a sparire alla fine del conflitto. Ancora una volta viene smentita la tesi cara ai "complottisti" secondo cui il leader di al-Qaeda fu addestrato e finanziato dalla CIA.
Dopo il ritiro dei sovietici, l'agenzia americana si preoccupò di recuperare i missili antiaerei Stinger ceduti ai guerriglieri afghani e di monitorare le attività di India e Pakistan nel campo delle armi nucleari, disinteressandosi delle vicende politiche afghane.
Le cose cambiarono nel momento in cui Osama bin Laden avviò la sua campagna terroristica contro gli Stati Uniti e il regime dei Talebani (che godeva di ampio sostegno in Pakistan) gli diede asilo, protezione e appoggio logistico: la CIA fu costretta a riconsiderare l'opportunità di tornare in Afghanistan e di appoggiare i gruppi armati che si opponevano ai Talebani, al fine di eliminare la nuova e inaspettata minaccia.
Furono approntate vere e proprie strategie di intervento in quella terra sfortunata e martoriata. Quando sentiamo dire che i piani di invasione all'Afghanistan erano pronti già prima dell'11 settembre 2001, l'affermazione poggia su fatti veri, di cui Coll ci fornisce un quadro dettagliato.
Non è vero che l'11 settembre 2001 fu un complotto per invadere l'Afghanistan, ma è vero che esistevano piani di intervento per operazioni segrete (peraltro approvati dal Governo e dal Congresso americani) mirate a contrastare quella minaccia che si sarebbe poi drammaticamente concretizzata l'11 settembre del 2001.
Talvolta viene affermato dai sostenitori di teorie alternative (è successo proprio su questo blog) che Coll nel suo libro avrebbe confermato la tesi (sostenuta da ex ufficiali della polizia filippina, riportata da alcuni giornalisti e indagata dalla Commissione d'Inchiesta sull'11 settembre) secondo cui le autorità filippine informarono l'intelligence americana, sin dal 1995, del fatto che al-Qaeda stesse preparando attacchi suicidi utilizzando aerei di linea dirottati (per approfondire: articolo sull'Operazione Bojinka).
Ebbene, su questo punto Coll viene citato a sproposito. Nel suo libro fa un solo accenno a questa vicenda (capitolo 15, pagina 346 dell'edizione italiana qui recensita), citando come fonte un articolo del New York Times del 9 giugno 2002, che a sua volta si basa su quanto dichiarato dai già citati ex ufficiali della polizia filippina.
La fonte è rimasta sempre quella e Coll non aggiunge nulla di suo: purtroppo è l'ennesima dimostrazione che bisogna sempre diffidare di qualsiasi affermazione e citazione fatta dai complottisti, perché troppo spesso le cose sono ben diverse da come essi le presentano.
Il libro si chiude con ben 96 pagine di note che elencano le fonti utilizzate e una ricca e utilissima bibliografia. Si fa notare, purtroppo, l'assenza di un indice analitico.
2008/03/13
Le “guglie” delle Torri Gemelle
di Paolo Attivissimo, con il contributo di Federico Dite. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Dal libro New York September 11, una raccolta in grande formato delle immagini dell'11 settembre scattate dai fotografi dell'agenzia Magnum, è molto interessante segnalare l'immagine presentata qui sotto.
Questa fotografia è una delle più nitide documentazioni di un fenomeno che è sfuggito a molti osservatori superficiali della dinamica dei crolli, e soprattutto a coloro che teorizzano una demolizione controllata con taglio delle colonne portanti: dopo il crollo delle torri, una porzione considerevole di queste colonne rimase in piedi per diversi secondi, formando quelle che sono state definite “guglie” (spire in inglese).
Un'immagine scattata dalla medesima angolazione durante il crollo della Torre Nord ci permette di avere un riferimento posizionale e di collocare quindi la “guglia”: coincide con una porzione degli elementi del "core" (nucleo di colonne centrali).
Sovrapponendo le due immagini precedenti si ottiene quest'indicazione posizionale:
Confrontando con una pianta dell'edificio si nota la corrispondenza con la porzione destra del core.
Osserviamo questa “guglia” in dettaglio.
Le immagini che seguono sono di varia provenienza e documentano da altre angolazioni la struttura e l'evoluzione della “guglia” della Torre Nord.
Per la Torre Sud, la prima a crollare, il fenomeno della “guglia” è talmente rilevante da essere facilmente scambiabile per un altro grattacielo: soltanto il confronto con le immagini pre-crollo permette di capire senza ombra di dubbio che la struttura che si vede è una parte del core della Torre Sud, che successivamente collassa.
Da queste immagini si deduce chiaramente che la dinamica del crollo non è stata un semplice accatastamento rovinoso della struttura (cioè il pancaking tuttora citato erroneamente da molti video cospirazionisti), ma ha avuto fasi ben più complesse: dapprima sono caduti i solai, portando con sé le facciate, e soltanto in un secondo momento è crollata parte del nucleo centrale.
Questo fenomeno è perfettamente compatibile con un cedimento strutturale innescatosi nelle facciate portanti, come documentato dal rapporto NIST. Le facciate, tirate verso l'interno in corrispondenza di alcuni solai danneggiati dall'impatto e deformati dall'ammorbidimento dovuto al calore degli incendi, cedono: la massa soprastante la lesione inizia a ricadere sul resto della torre, e i solai, non più sorretti perimetralmente, si spezzano, cadendo in fuori; la soletta di cemento dei solai si frammenta, producendo grandi nubi di polvere. L'edificio si apre come i petali di un fiore, al centro del quale resta, per pochi istanti, una parte del nucleo portante della struttura.
Immagini come queste contraddicono invece irrimediabilmente le teorie che immaginano che il crollo delle Torri Gemelle sia stato prodotto tagliando le colonne del core, cosa chiaramente impossibile se il core è crollato in parte dopo il resto dell'edificio.
La domanda da rivolgere ai sostenitori della demolizione controllata è quindi molto semplice: se, come dicono loro, le torri sono state demolite dall'esplosivo o dalla termite, quale stravagante meccanismo di demolizione, senza precedenti nella storia, sarebbe stato utilizzato per ottenere questo risultato? Dove sarebbero state collocate le cariche in modo da lasciare in gran parte intatto il centro dell'edificio ma fargli crollare tutto il resto? E come sarebbe stato possibile ottenere questo risultato nascondendo le cariche alle decine di migliaia d'inquilini dell'edificio?
Le teorie alternative sono indubbiamente affascinanti, perché promettono soluzioni semplici ai dubbi che molti, giustamente, si sono posti di fronte a un evento indubbiamente incredibile perché senza precedenti. Purtroppo, però, quando a queste teorie si chiede di spiegare in dettaglio cosa è successo, ci si trova di fronte a contraddizioni e assurdità imprescindibili come queste.
Dal libro New York September 11, una raccolta in grande formato delle immagini dell'11 settembre scattate dai fotografi dell'agenzia Magnum, è molto interessante segnalare l'immagine presentata qui sotto.
Questa fotografia è una delle più nitide documentazioni di un fenomeno che è sfuggito a molti osservatori superficiali della dinamica dei crolli, e soprattutto a coloro che teorizzano una demolizione controllata con taglio delle colonne portanti: dopo il crollo delle torri, una porzione considerevole di queste colonne rimase in piedi per diversi secondi, formando quelle che sono state definite “guglie” (spire in inglese).
Un'immagine scattata dalla medesima angolazione durante il crollo della Torre Nord ci permette di avere un riferimento posizionale e di collocare quindi la “guglia”: coincide con una porzione degli elementi del "core" (nucleo di colonne centrali).
Sovrapponendo le due immagini precedenti si ottiene quest'indicazione posizionale:
Confrontando con una pianta dell'edificio si nota la corrispondenza con la porzione destra del core.
Osserviamo questa “guglia” in dettaglio.
Le immagini che seguono sono di varia provenienza e documentano da altre angolazioni la struttura e l'evoluzione della “guglia” della Torre Nord.
La “guglia” della Torre Sud
Per la Torre Sud, la prima a crollare, il fenomeno della “guglia” è talmente rilevante da essere facilmente scambiabile per un altro grattacielo: soltanto il confronto con le immagini pre-crollo permette di capire senza ombra di dubbio che la struttura che si vede è una parte del core della Torre Sud, che successivamente collassa.
Da queste immagini si deduce chiaramente che la dinamica del crollo non è stata un semplice accatastamento rovinoso della struttura (cioè il pancaking tuttora citato erroneamente da molti video cospirazionisti), ma ha avuto fasi ben più complesse: dapprima sono caduti i solai, portando con sé le facciate, e soltanto in un secondo momento è crollata parte del nucleo centrale.
Questo fenomeno è perfettamente compatibile con un cedimento strutturale innescatosi nelle facciate portanti, come documentato dal rapporto NIST. Le facciate, tirate verso l'interno in corrispondenza di alcuni solai danneggiati dall'impatto e deformati dall'ammorbidimento dovuto al calore degli incendi, cedono: la massa soprastante la lesione inizia a ricadere sul resto della torre, e i solai, non più sorretti perimetralmente, si spezzano, cadendo in fuori; la soletta di cemento dei solai si frammenta, producendo grandi nubi di polvere. L'edificio si apre come i petali di un fiore, al centro del quale resta, per pochi istanti, una parte del nucleo portante della struttura.
Immagini come queste contraddicono invece irrimediabilmente le teorie che immaginano che il crollo delle Torri Gemelle sia stato prodotto tagliando le colonne del core, cosa chiaramente impossibile se il core è crollato in parte dopo il resto dell'edificio.
La domanda da rivolgere ai sostenitori della demolizione controllata è quindi molto semplice: se, come dicono loro, le torri sono state demolite dall'esplosivo o dalla termite, quale stravagante meccanismo di demolizione, senza precedenti nella storia, sarebbe stato utilizzato per ottenere questo risultato? Dove sarebbero state collocate le cariche in modo da lasciare in gran parte intatto il centro dell'edificio ma fargli crollare tutto il resto? E come sarebbe stato possibile ottenere questo risultato nascondendo le cariche alle decine di migliaia d'inquilini dell'edificio?
Le teorie alternative sono indubbiamente affascinanti, perché promettono soluzioni semplici ai dubbi che molti, giustamente, si sono posti di fronte a un evento indubbiamente incredibile perché senza precedenti. Purtroppo, però, quando a queste teorie si chiede di spiegare in dettaglio cosa è successo, ci si trova di fronte a contraddizioni e assurdità imprescindibili come queste.
2008/02/17
WTC, non fu crollo a velocità di caduta libera
di Paolo Attivissimo
Uno dei temi ricorrenti del cospirazionismo è la velocità di caduta delle Torri Gemelle, che viene ritenuta sospetta perché troppo elevata. Vi sono coloro che affermano che le Torri sarebbero cadute a una velocità pari o simile a quella di caduta libera, e questo sarebbe secondo loro prova che la struttura non oppose resistenza e quindi doveva essere stata indebolita con mezzi artificiali. In altre parole, era stata minata di nascosto.
Ci si può appoggiare a lavori tecnici, come quelli di Zdenek Bazant, professore di ingegneria civile e scienza dei materiali alla Northwestern University in Illinois, o quello di Keith Seffen, Senior Lecturer nel Gruppo Strutture del Dipartimento di Ingegneria dell'Università di Cambridge (Regno Unito), ma le trattazioni tecniche possono risultare poco comprensibili ai non addetti ai lavori.
Vi sono però alcune immagini che permettono di trascendere la spiegazione tecnica e di capire molto chiaramente che l'affermazione cospirazionista sulla velocità di crollo è irrimediabilmente errata e che sono quindi infondate tutte le deduzioni fatte a partire da quest'affermazione.
L'immagine qui sotto, per esempio, è tratta dal libro New York - September 11 e mostra chiaramente che grandi frammenti della struttura precedono ampiamente il fronte di avanzamento del crollo. Questi frammenti, cadendo senza incontrare alcun ostacolo (salvo la resistenza dell'aria), sono effettivamente in caduta libera.
Se il fronte del crollo si trova più in alto, significa che sulla verticale della struttura delle Torri il crollo non sta avvenendo a velocità di caduta libera, ma più lentamente. I frammenti che cadono di lato sono a velocità di caduta libera: il resto della Torre no.
In altre parole, la struttura delle Torri Gemelle oppose sì resistenza al crollo: tanto da rallentarlo ma non abbastanza da fermarlo.
Un particolare di un'altra straordinaria immagine, tratta invece dal libro Above Hallowed Ground, mostra che i frammenti visibili nella foto qui sopra non furono un'eccezione, ma che tutti i pezzi che cadevano al di fuori della pianta delle Torri precedevano il fronte di crollo. In sostanza, quella che da lontano sembra essere una nube di macerie è in realtà più paragonabile a una cupola d'ombrello, al di sotto della quale la Torre s'innalza, ancora momentaneamente integra.
L'immagine completa mostra inoltre quanto fosse vicino e vulnerabile il WTC7, la cui sommità è visibile all'estrema sinistra.
Con la semplicità e forza di queste immagini, rese possibili dal coraggio dei fotografi del New York Police Department e dell'agenzia Magnum, anche questo caposaldo delle teorie complottiste può essere relegato nella collezione delle fandonie inventate dagli incompetenti.
Uno dei temi ricorrenti del cospirazionismo è la velocità di caduta delle Torri Gemelle, che viene ritenuta sospetta perché troppo elevata. Vi sono coloro che affermano che le Torri sarebbero cadute a una velocità pari o simile a quella di caduta libera, e questo sarebbe secondo loro prova che la struttura non oppose resistenza e quindi doveva essere stata indebolita con mezzi artificiali. In altre parole, era stata minata di nascosto.
Ci si può appoggiare a lavori tecnici, come quelli di Zdenek Bazant, professore di ingegneria civile e scienza dei materiali alla Northwestern University in Illinois, o quello di Keith Seffen, Senior Lecturer nel Gruppo Strutture del Dipartimento di Ingegneria dell'Università di Cambridge (Regno Unito), ma le trattazioni tecniche possono risultare poco comprensibili ai non addetti ai lavori.
Vi sono però alcune immagini che permettono di trascendere la spiegazione tecnica e di capire molto chiaramente che l'affermazione cospirazionista sulla velocità di crollo è irrimediabilmente errata e che sono quindi infondate tutte le deduzioni fatte a partire da quest'affermazione.
L'immagine qui sotto, per esempio, è tratta dal libro New York - September 11 e mostra chiaramente che grandi frammenti della struttura precedono ampiamente il fronte di avanzamento del crollo. Questi frammenti, cadendo senza incontrare alcun ostacolo (salvo la resistenza dell'aria), sono effettivamente in caduta libera.
Se il fronte del crollo si trova più in alto, significa che sulla verticale della struttura delle Torri il crollo non sta avvenendo a velocità di caduta libera, ma più lentamente. I frammenti che cadono di lato sono a velocità di caduta libera: il resto della Torre no.
In altre parole, la struttura delle Torri Gemelle oppose sì resistenza al crollo: tanto da rallentarlo ma non abbastanza da fermarlo.
Un particolare di un'altra straordinaria immagine, tratta invece dal libro Above Hallowed Ground, mostra che i frammenti visibili nella foto qui sopra non furono un'eccezione, ma che tutti i pezzi che cadevano al di fuori della pianta delle Torri precedevano il fronte di crollo. In sostanza, quella che da lontano sembra essere una nube di macerie è in realtà più paragonabile a una cupola d'ombrello, al di sotto della quale la Torre s'innalza, ancora momentaneamente integra.
L'immagine completa mostra inoltre quanto fosse vicino e vulnerabile il WTC7, la cui sommità è visibile all'estrema sinistra.
Con la semplicità e forza di queste immagini, rese possibili dal coraggio dei fotografi del New York Police Department e dell'agenzia Magnum, anche questo caposaldo delle teorie complottiste può essere relegato nella collezione delle fandonie inventate dagli incompetenti.
2008/02/12
Le Torri Gemelle? Si vedevano a malapena, secondo i complottisti

Di recente gli archivi di Undicisettembre si sono arricchiti di un'altra opera documentale di grande valore: il libro Above Hallowed Ground, contenente le fotografie scattate dal New York Police Department, l'11 settembre e nei giorni successivi, dal cielo e da altri luoghi inaccessibili ai comuni fotografi.
Una scansione a bassa risoluzione non può rendere l'efficacia e l'impatto emotivo delle immagini in grande formato che compongono le 192 pagine del libro, ma vi sono numerosi elementi, di grande interesse per chi segue le teorie alternative, che possono emergere anche in una semplice pubblicazione a bassa risoluzione sul Web, come quella che prende il via oggi.
Per esempio, vi è chi sostiene che le Torri Gemelle del World Trade Center fossero un bersaglio visivamente introvabile e quindi impossibilmente difficile per i dirottatori: "Viste da sotto, le Torri possono anche apparire enormi, ma dal cielo sono poco più di due matite che spuntano appena da una jungla di edifici tutti uguali" (fonte).
A simili considerazioni è sufficiente rispondere con quest'immagine, cliccabile per ingrandirla, scattata proprio dal cielo e tratta appunto da Above Hallowed Ground. Al lettore è lasciato il compito di identificare le Torri Gemelle. Quelle "due matite" che "spuntano appena".

2007/11/16
Pentagon 9/11: il libro storico del Dipartimento della Difesa
di John - http://www.crono911.org/. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Ci è appena giunta la prima copia del corposo volume "Pentagon 9/11", pubblicato nel secondo semestre del 2007 dall'Ufficio Storico del Dipartimento della Difesa Americano e dedicato all'attacco contro il Pentagono dell'11 settembre 2001.
Le 280 pagine del volume, riccamente illustrato, costituiscono una fonte storica e informativa di grande pregio e di indiscutibile valore.
Il libro traccia la storia di quella tragica mattina così come ricostruita sulla base delle testimonianze raccolte (oltre 900) e di svariati documenti tecnici.
Il testo principale è suddiviso in 8 capitoli, che tracciano storia e costruzione del Pentagono; l'attacco ed i suoi effetti, piano per piano; l'opera dei soccorritori e dei vigili del fuoco; le cure ai feriti; la ricerca dei resti umani; le prime operazioni per il ripristino dell'operatività della struttura; le operazioni di sicurezza di tutti i corpi di polizia intervenuti; le operazioni per l'identificazione delle vittime e quelle di rimozione delle macerie.
Le appendici e gli inserti comprendono fotografie inedite, grafici, tabelle e disegni, gli elenchi dei testimoni e quelli delle vittime, una dettagliata bibliografia, alcuni rapporti tecnici dell'NTSB.
Il tutto è completato da un utile indice analitico.
Tutte le foto sono state accreditate dall'Ufficio Storico del DOD e comprendono varie immagini dei rottami del Volo 77, uno dei quali mostra i numeri di identificazione dell'American Airlines, nonché una fotografia inedita della breccia sulla facciata, scattata in buone condizioni di luminosità.

Nell'immagine qui sopra (cliccabile per ingrandirla), la breccia centrale e il suo sviluppo laterale a destra non sono nascosti né dai getti degli idranti dei vigili del fuoco né dal fumo. Questa fotografia sembra incompatibile con le dichiarazioni di coloro che affermano che il foro d'impatto al Pentagono era largo "cinque metri, ripeto, cinque metri di diametro" (Dario Fo nel video Zero di Giulietto Chiesa).
Il libro è scaricabile in versione PDF, come descritto in fondo a questo articolo, oppure può essere ordinato in forma cartacea direttamente dalla libreria del Governo americano oppure da Amazon; costa una trentina di dollari, ma sono soldi ben spesi in rapporto al suo valore storico e informativo. Il volume è stato acquisito e catalogato anche nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Torneremo a occuparci dei suoi contenuti non appena lo avremo analizzato più a fondo.
È appena il caso di notare che mentre il mondo del complottismo continua da anni a riciclare vecchi miti e favolette ormai stantie, tutto il nuovo materiale documentale che si rende disponibile non fa che confermare e accreditare quella verità che essi tentano di negare.
Qui sotto riportiamo alcune altre immagini tratte dal libro. Tutte sono cliccabili per ingrandirle.

Una delle "scatole nere" recuperate al Pentagono, "vicino al foro nell'anello C interno" secondo la didascalia.

Una rara immagine del cantiere di ristrutturazione del Pentagono risalente a prima degli attacchi. Si notano il generatore mobile che verrà spostato dall'impatto, la posizione originale delle bobine di cavo e la presenza di una recinzione che verrà divelta dall'impatto.

Le condizioni del prato e dell'eliporto del Pentagono dopo l'impatto sembrano smentire coloro che sostengono che il prato era intonso. Sullo sfondo si nota il generatore colpito e tranciato.
Ringraziamo un lettore, Marco, per la segnalazione di come accedere alla versione scaricabile del libro Pentagon 9/11: è possibile scaricare il PDF (circa 44 MB) a questo link. In caso di difficoltà con il link diretto si può procedere come segue:

Le 280 pagine del volume, riccamente illustrato, costituiscono una fonte storica e informativa di grande pregio e di indiscutibile valore.
Il libro traccia la storia di quella tragica mattina così come ricostruita sulla base delle testimonianze raccolte (oltre 900) e di svariati documenti tecnici.
Il testo principale è suddiviso in 8 capitoli, che tracciano storia e costruzione del Pentagono; l'attacco ed i suoi effetti, piano per piano; l'opera dei soccorritori e dei vigili del fuoco; le cure ai feriti; la ricerca dei resti umani; le prime operazioni per il ripristino dell'operatività della struttura; le operazioni di sicurezza di tutti i corpi di polizia intervenuti; le operazioni per l'identificazione delle vittime e quelle di rimozione delle macerie.
Le appendici e gli inserti comprendono fotografie inedite, grafici, tabelle e disegni, gli elenchi dei testimoni e quelli delle vittime, una dettagliata bibliografia, alcuni rapporti tecnici dell'NTSB.
Il tutto è completato da un utile indice analitico.
Tutte le foto sono state accreditate dall'Ufficio Storico del DOD e comprendono varie immagini dei rottami del Volo 77, uno dei quali mostra i numeri di identificazione dell'American Airlines, nonché una fotografia inedita della breccia sulla facciata, scattata in buone condizioni di luminosità.

Nell'immagine qui sopra (cliccabile per ingrandirla), la breccia centrale e il suo sviluppo laterale a destra non sono nascosti né dai getti degli idranti dei vigili del fuoco né dal fumo. Questa fotografia sembra incompatibile con le dichiarazioni di coloro che affermano che il foro d'impatto al Pentagono era largo "cinque metri, ripeto, cinque metri di diametro" (Dario Fo nel video Zero di Giulietto Chiesa).
Il libro è scaricabile in versione PDF, come descritto in fondo a questo articolo, oppure può essere ordinato in forma cartacea direttamente dalla libreria del Governo americano oppure da Amazon; costa una trentina di dollari, ma sono soldi ben spesi in rapporto al suo valore storico e informativo. Il volume è stato acquisito e catalogato anche nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Torneremo a occuparci dei suoi contenuti non appena lo avremo analizzato più a fondo.
È appena il caso di notare che mentre il mondo del complottismo continua da anni a riciclare vecchi miti e favolette ormai stantie, tutto il nuovo materiale documentale che si rende disponibile non fa che confermare e accreditare quella verità che essi tentano di negare.
Qui sotto riportiamo alcune altre immagini tratte dal libro. Tutte sono cliccabili per ingrandirle.

Una delle "scatole nere" recuperate al Pentagono, "vicino al foro nell'anello C interno" secondo la didascalia.

Una rara immagine del cantiere di ristrutturazione del Pentagono risalente a prima degli attacchi. Si notano il generatore mobile che verrà spostato dall'impatto, la posizione originale delle bobine di cavo e la presenza di una recinzione che verrà divelta dall'impatto.

Le condizioni del prato e dell'eliporto del Pentagono dopo l'impatto sembrano smentire coloro che sostengono che il prato era intonso. Sullo sfondo si nota il generatore colpito e tranciato.
Aggiornamento: disponibile la versione scaricabile
Ringraziamo un lettore, Marco, per la segnalazione di come accedere alla versione scaricabile del libro Pentagon 9/11: è possibile scaricare il PDF (circa 44 MB) a questo link. In caso di difficoltà con il link diretto si può procedere come segue:
- Andare a http://stinet.dtic.mil/.
- Digitare, nella casella di ricerca, "Pentagon 9/11" (senza virgolette).
- Cliccare sul link alla versione in formato PDF (View Full-Text pdf - 44 MB).
- Si riceve un file di 44 MB di nome GetTRDoc, che va rinominato opportunamente.
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