2020/12/20

Storia del World Trade Center - quarta parte

di Leonardo Salvaggio

Le prime tre parti di questo articolo sono disponibili qui, qui e qui.


Le Torri Gemelle non furono gli unici edifici a far parte del complesso del World Trade Center, perché attorno ad esse furono costruiti altri cinque edifici noti come World Trade Center 3, 4, 5, 6 e 7.

Il primo a essere costruito fu il World Trade Center 5, realizzato tra il 1970 e il 1972. L'edificio 5 occupava l'angolo a nord-est della Plaza ed era un palazzo di uffici di nove piani, alto trentasei metri, a forma di "L". Nel 1973 fu completato anche il World Trade Center 6, che occupava l'angolo a nord-ovest, di otto piani e alto ventotto metri; l'edificio 6 era un palazzo governativo che ospitava varie agenzie federali come l'agenzia delle dogane, il dipartimento del lavoro e l'ATF. Nel 1977 aprì anche il World Trade Center 4, all'angolo di sud-ovest, della stessa altezza dell'edificio 6 e occupato principalmente dalla New York Board of Trading (società finanziaria di trading) e dalla Deutsche Bank. Una caratteristica comune di questi tre edifici fu quella di essere prevalentemente di colore nero dall'esterno.


L'ultimo palazzo che completava la Plaza fu il World Trade Center 3, che aprì nel 1981. L'edificio 3 ospitava un albergo; dapprima noto come Vista International Hotel, fu venduto dalla Port Authority alla catena Marriott nel 1995 e da allora fu chiamato anche con il nome Marriott World Trade Center. Il palazzo 3 di trovava tra le due Torri Gemelle, all'angolo sud-occidentale della Plaza.

Nel 1987 un settimo palazzo entrò a far parte del complesso, l'unico a non essere stato previsto inizialmente dal progetto di Yamasaki e a non sorgere all'interno della Plaza ma appena a nord di essa, su Vesey Street. All'edificio fu dato il nome di World Trade Center 7. Il grattacielo era alto 226 metri ed aveva cinquantadue piani; di forma trapezoidale, si ergeva sopra a una sottostazione elettrica della Con Edison. Il World Trade Center 7 era anche noto come Salomon Building, perché la banca d'affari Salomon Brothers era il principale affittuario del palazzo e ne ha occupato la maggior parte dei piani dalla sua apertura fino al 2001.

Nella seconda metà degli anni 80, un altro complesso di edifici fu eretto tra il World Trade Center e il fiume Hudson e si frappose tra l'acqua e le Torri Gemelle nello skyline di New York visto da ovest. Tra il 1982 e il 1988 la società canadese Olympia and York costruì le quattro torri del World Financial Center, un complesso di uffici e negozi costruito anch'esso su una discarica di materiale edilizio, in questo caso quello proveniente dagli scavi per la costruzione del World Trade Center. Le quattro torri, tuttora esistenti, hanno altezza compresa tra i centocinquanta metri del World Financial Center 4, fino ai duecentoventicinque del World Financial Center 3. Oltre alle quattro torri, fa parte del complesso sin dalla sua apertura anche il padiglione di vetro chiamato Winter Garden, che al suo interno ospita negozi e piante.


La Olympia and York fallì nel 1989 e le sue proprietà furono comprate da un'altra società canadese: la Brookfield Properties. Nel 2013 l'azienda acquistò anche l'adiacente One North End Avenue di sedici piani e lo annesse al complesso, di cui cambiò il nome in Brookfield Place.

Dal 1988 al 2001 la punta meridionale di Manhattan costituì quindi uno degli skyline più noti e famosi al mondo che tuttora costituisce un'icona inconfondibile del cosidetto sogno americano. La storia di questo straordinario complesso di edifici affonda le sue radici nel secondo dopoguerra e terminò in una mattina di fine estate a causa della follia distruttiva di diciannove terroristi.

2020/12/12

Storia del World Trade Center - terza parte

di Leonardo Salvaggio

Le prime due parti di questo articolo sono disponibili qui e qui.


La Port Authority iniziò ad acquistare il terreno su cui avrebbe dovuto costruire il nuovo complesso nel marzo del 1965 e un anno dopo nello stesso mese diede l'incarico alla Ajax Wrecking and Lumber Corporation di iniziare la demolizione degli edifici che lo occupavano. Lo scavo iniziò invece il 5 agosto del 1966. Tuttavia i costruttori incapparono subito in un grosso ostacolo: il sito scelto per la costruzione si trovava sopra a una discarica di materiale proveniente da demolizioni, la cui base rocciosa era venti metri più in basso, restava quindi il problema di come scavare così a fondo senza che in fiume Hudson invadesse l'area.


La soluzione individuata fu quella di costruire quella che da allora è nota come bathtub, vasca da bagno, che delimitasse l'area della costruzione. Il metodo escogitato da John Kyle, ingegnere capo della Port Authority, fu quello di tagliare una porzione di ciò che sarebbe diventato il perimetro esterno della bathtub di sette per venti metri, riempire il tratto di una miscela di acqua e bentonite che tenesse fuori l'acqua del fiume, poi calare una gabbia di acciaio che avrebbe fatto da scheletro per la parete esterna, infine riempire la gabbia di calcestruzzo il quale oltre a costruire la struttura definitiva avrebbe fatto uscire la miscela di bentonite. L'operazione doveva essere reiterata per tutto il perimetro. Il lavoro fu affidato alla società canadese Icandia, che era una sussidiaria di un'azienda italiana con sede a Milano, la Impresa Costruzioni Opere Specializzate. Il motivo per cui la scelta cadde su una società italocanadese era che questa tecnica era già stata usata in Canada e in Europa, ma non negli USA, pertanto non esisteva nessuna azienda statunitense che avesse esperienza di un lavoro del genere. La costruzione del muro esterno della bathtub richiese quattordici mesi, al termine dei quali fu possibile iniziare la rimozione del materiale al suo interno.

La costruzione della Torre Nord iniziò ad agosto del 1968, mentre quella della Torre Sud iniziò a gennaio del 1969. La Port Authority decise di comprare l'acciaio da vari fornitori diversi, invece di affidarsi a uno solo. Il materiale veniva stipato presso una sede della compagnia interstatale di trasporto ferroviario Penn Central, che operò tra il 1968 e il 1975; l'acciaio veniva poi portato al sito della costruzione con dei camion e sollevato con gru. Alcuni pezzi più grandi vennero portati nella zona da navi rimorchiatori e sollevati con gru speciali, una delle quali era costruita in Australia ed era per questo nota come kangaroo crane.


I lavori non furono privi di incidenti e problemi di varia natura. Nel marzo del 1969 un'escavatrice tranciò dei cavi telefonici, causando un'interruzione del servizio in tutta l'area di Lower Manhattan che durò ore. Nei primi mesi del 1970 i lavoratori dei rimorchiatori avviarono uno sciopero per il rinnovo del contratto. La Port Authority tentò quindi di trasportare l'acciaio che avrebbe dovuto viaggiare via nave con degli elicotteri. Tuttavia già dal primo tentativo l'elicottero perse il proprio carico, un singolo pannello per i pavimenti, nello stretto Kill Van Kull che collega la baia di Newark con il porto di New York. Il trasporto via elicottero non function di fatto mai, e i lavori ripresero normalmente solo alla fine dello sciopero dei marinai dopo sessanta giorni. Nel marzo del 1970 un altro avvenimento funesto colpì la costruzione delle Torri Gemelle: uno dei camion per il trasporto del materiale fece un incidente con un'autocisterna che trasportava propano, nell'esplosione che ne conseguì persero la vita sei lavoratori. A causa di questo e altri incidenti, persero la vita un totale di sessanta persone durante la costruzione delle torri.

Un ruolo importante nella costruzione dei due edifici fu ricoperto da un nutrito gruppi di nativi americani tra gli operai, in particolare Mohawk. Dapprima relegati a lavori di basso profilo, come scaricare il materiale dai camion, si rivelarono in breve tempo più bravi degli altri nel lavoro di costruzione ai piani più alti, per via di un'innata capacità nell'arrampicarsi, nello stare in equilibrio su basi strette e nel non essere intimoriti dell'altezza.

La cerimonia di completamento della Torre Nord si svolse il 23 dicembre del 1970, mentre la Torre Sud fu inaugurata il 19 luglio dell'anno dopo. Il primo affittuario della Torre Nord avviò la propria attività addirittura prima dell'inaugurazione, il 15 dicembre del 70, mentre la Torre Sud iniziò a essere operativa a settembre del 71.


Due mesi prima dell'apertura la Torre Nord superò l'Empire State Building in altezza superando quota 380 metri e diventando così l'edificio più alto del mondo (inteso come edificio abitabile, perché la torre Ostankino di Mosca di 540 metri era stata completata nel 1967), titolo che perse nel 1974 dopo il completamento della Sears Tower (oggi Willis Tower) a Chicago. Tuttavia la Torre Nord del World Trade Center tornò a superare l'edificio di Chicago quando nel 1979 fu installata sopra di essa l'iconica antenna per le telecomunicazioni, che la portò a 527 metri di altezza. Il World Trade Center mantenne il primato fino al 2000, quando i proprietari della Sears Towers innalzarono la propria antenna, fino a superare le torri di New York di pochi centimetri.


La quarta parte di questo articolo è disponibile qui.


Fonti:
  • Twin Towers: The Life of New York City's World Trade Center di Angus Kress Gillespie, 2002
  • Up from Zero: Politics, Architecture, and the Rebuilding of New York di Paul Goldberger, 2004
  • City in the Sky: The Rise and Fall of the World Trade Center di James Glanz ed Eric Lipton, 2003
  • The World Trade Center: A Modern Marvel: 1973-2001 di History Channel, 2002

2020/11/30

World Trade Center: an interview with survivor Alan Lindquist

by Leonardo Salvaggio. An Italian translation is available here.

Undicisettembre offers its readers today the personal account of survivor Alan Lindquist who was in the South Tower when the first plane crashed into World Trade Center 1.

We would like to thank Alan Lindquist for his availability and kindness.




Undicisettembre: Can you give us a general account of what you saw and experienced on 9/11?

Alan Lindquist:
September 11th was a beautiful day, it was such a great day I thought about not going to work but I had a meeting at 8 o’clock that morning that I had to make, so obviously I went to work. That meeting was in Tower 2 on the 64th floor. At about 8:45, the gentleman giving his speech, his name was Philip Roth and he was the Chief Technical Analyst in Morgan Stanley, opened up for the discussion and asked if anyone had any questions and qualified it “Don’t ask me a question that’s going to take me an hour to answer because I have another meeting in World Trade Center 1 starting at 9 and I want to get out of here on time and get to that meeting.” He called to an individual sitting next to me and that person asked a question that took three minutes to get out of his mouth. Philip got upset and said “I’m not going to answer your fucking question; if anybody has a question like that, please come and see me in my office.” So of course no one else wanted to ask a question. Philip said “Okay, meeting adjourned”, he shut his briefcase up and left.

A buddy of mine named Giovanni came over to me and said “Let’s go grab a quick smoke.” In the towers there were three staging floors, meaning that there were elevators which would take you there without any interruptions or stop. So we got in an elevator at the 64th floor, changed elevator at the 48th floor and went all the way down. I had just walked outside and I heard a plane approaching very rapidly. Planes do fly over Manhattan, but this one was much louder. I looked up in the sky to look at the plane and then I looked at a guy walking across the street right in front of me and all of a sudden he said “Get the fuck inside” and motioned with his hand to get inside.

I don’t recall the sound of the plane impacting Tower 1; obviously I heard it, I just don’t remember it. So I was looking at the guy who motioned me to get inside and ten feet to the side of him a cross section of one of the jet engines fell in the street. There were flames coming off of it; I looked at it and said “What is that?” Debris was coming down and I remember two women screaming across the street, I looked at them and they started running. There was another woman walking and a window came down and hit her, she died from that impact immediately.

That moment I finally woke up and I thought “I might die right now, whatever it’s going on, I might die.” The debris was coming down too intensely so my instinct was to go back inside the tower. Everyone rushed towards the revolving door that I was nearest to, some guy’s leg got stuck in the turnstile and the door wouldn’t turn. For twenty or twenty five seconds I was the farthest guy out of the protection of the building, the door was not turning and I tried to say a prayer of absolution but I couldn’t formulate a prayer in my head, I just couldn’t.

I yelled at the guy in front of me “Turn that fucking door” even though he wasn’t in the door. I looked at the guy in front of me, who was taller than me, and thought “Focus on the guy’s neck and don’t look up”. Those twenty five seconds were like an eternity and after that time someone in the turnstile said “Everybody, stop pushing and back up, there’s a guy’s leg stuck and the door is not going to turn unless we get the guy’s leg unstuck.”

I convinced myself to take a six inches step backwards, it sounds so small but I can’t explain how hard it was. The door started turning, I got inside the building, I found the buddy I wanted to have a cigarette with, he and a few people from Morgan Stanley were gathered in a circle and he had a cellphone in his hand but he was shaking so intensely he was disturbing to look at. He said “We need to call back upstairs and see if everyone is okay, but what’s the number?” and than he said “We need to go back upstairs”

I had an aunt who had died of breast cancer five years before and I kind of felt her presence there and I felt the need to leave the building.

The Port Authority came over the PA system of the building and said “We had an emergency in Tower 1, we need to keep the area clear for EMS, please stay in your places of business.”. I told the group “Listen, whatever is going on Morgan Stanley has an evacuation policy, so let’s not go back upstairs. If anyone get separated, let’s meet in Midtown Manhattan.” We agreed on a place to meet and we made our way to the exits of Tower 2. It took about fifteen minutes to exit because it was obviously a very big building. At the center of the building there was the subway system but no one wanted to take it to get out of there.

There was an odor in the air, a strange smell that I can’t translate to my brain but it was a mixture of fire, jet fuel and this sort of things. I knew something was going on, I just didn’t know what.

I got to the exit and run about 75 yards, I turned around and started looking up at Tower 1: there were floors on fire, smoke coming out and papers coming down. As I was watching I saw an object coming down a lot quicker and I knew it was probably a person. Halfway down I could tell you it was a woman with a navy blue skirt and a white long sleeved shirt. I watched her all the way down and I saw the impact, she hit the ground and I couldn’t believe what I saw. I turned to walk away and to my right were two construction workers, the one farther away said “They are jumping out like flies”, I looked back up and out of one room they were just coming out. I said to myself “I’m not going to watch this”.


I turned again up the street and started walking. I was on the right side of the street and Giovanni was on the left side, he was still looking back at Tower 1. He was twenty feet in front of me and he turned flash white in a second, he yelled “RUN!”. I tried to run with my business shoes on, but I had no traction on my feet. The second plane impacted and I started tripping, maybe because of the sound of the impact, the whole way down the street I was tripping. There was a hot flash on the back of my neck. Your brain works so quickly in combat situations, and this was a war situation, and I thought it was a bomb. I fell while thinking this stuff, my hands hit the ground, I got back up and started running for maybe a mile and a half at full speed.

As I was maybe three hundred yards away from the Tower one of the wheels sections of one of the planes was on the corner of a street, there was a guy standing there who was keeping people away, he said “This is a crime scene, everyone stay away from this!”

Finally I had to stop and the dryness in my throat was such that I was dry into my stomach; I can’t explain this because it only happened once in my life, there was no liquid in my esophagus, I couldn’t catch my breath, it was very weird. I sat there for maybe five minutes with my hands on my knees trying to catch my breath. I finally caught it but I had to start running again, all the way out to the Interstate 495. I jumped in front of a taxi, made it stop and said “Take me to Midtown Manhattan”. He said “I’m going to Brooklyn” and I said “No, you are taking me to Midtown Manhattan right now.” So I went on the expressway and to my left I looked at the towers and I said to the guy “What’s happening to them? What’s going on?” and he goes “You don’t know? Two planes hit the Towers.” I said “I was working in there” and he said “You need to thank Allah right now.”

He drove me to Midtown and I was the first guy to arrive to the meeting place I discussed with my colleagues at Morgan Stanley. I went into a bar and ordered a shot of Jager, I was watching the TV, took the shot and my hands were shaking and I thought “Why am I drinking this? What’s wrong with me? Am I an alcoholic?” Then I looked at a table with three women and they were talking to each other as if it was a regular day and it was so strange I thought “What the fuck is going on today?”

Twenty minutes after that, my tower collapsed, which was the first tower to fall, and still none of the people I’ve been with were there and I thought “My God, everyone died!”.

After both tower collapsed I found out they survived, as pretty much everyone else from Morgan Stanley, who was the largest employer in the World Trade Center. We had an evacuation policy and the only people that died at Morgan Stanley were in the security and they volunteered to stay behind and help.


Undicisettembre: When did you go home?

Alan Lindquist: Later that night. We stayed out drinking basically the all day. That night a bomb sniffing dog positively reacted to a suspicious package at the Empire State Building at one of the top floors. I was watching the news - I had studied biochemistry and microbiology at university - and heard about that and I was so freaked out I said “Ok, listen, if that’s a biological or chemical weapon we’re dead.” and we were so close to it that out of the window I could see the Empire State Building.

I literally wanted to swim the river and get out of Manhattan but everyone convince me to settle down because maybe I was a little too drunk and scared. I was in Manhattan for about three days and then drove all the way to Phoenix that was my hometown.


Undicisettembre: When and how did you restart working after 9/11?

Alan Lindquist: Morgan Stanley was a wonderful employer, when you needed time they gave you time to gather yourself together, but eventually I left Morgan Stanely because I was a little too disturbed. It took me six months to stop medicating, I was drinking everyday till eventually I got in touch with a Vietnam veteran who ended up being my counselor and he told me I had to treat it as an event of power in my life because I would have said for the rest of my live “I’m a 9/11 survivor” and that made it a little bit more manageable for me.


Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life even today?

Alan Lindquist: For me it has become a thing of power; it’s a gift in the sense that you understand that your days on this Earth are limited and you have no control on it. When you realize it, it gives you freedom in a sense. Each day is a gift, make the most of it as you would.

It still affects me because when we get close to 9/11 I still get nightmares. I don’t always cry or get emotional when I tell someone the story of 9/11, but sometimes I get stirred up and it becomes a little bit more crisp in my memory, as it did today.


Undicisettembre: What do you think of conspiracy theories according to which 9/11 was an inside job?

Alan Lindquist: These people are carpetbaggers, they are peddling to make money. The plain and simple explanation is what you saw on TV is what happened. Why the buildings collapsed is the trusses got so hot they folded in and like a deck of cards they fell down. It’s that simple.


Undicisettembre: How would you compare the crisis after 9/11 with the COVID-19 crisis the country is living now?

Alan Lindquist: There are similarities among any drastic events in how they affect the nation; but 9/11 unified anyone, not just in the United States but anyone in the world. In New York it was like every person was your friend or even family. On the contrary COVID is much more individualistic, people don’t want to be told what to do, countries do different things, so there’s no unification worldwide even if everyone is experiencing the same thing because everyone has a different opinion on how to handle it.

World Trade Center: intervista al sopravvissuto Alan Lindquist

di Leonardo Salvaggio. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale del sopravvissuto Alan Lindquist che era nella Torre Sud quando il primo aereo ha colpito il World Trade Center 1.

Ringraziamo Alan Lindquist per la sua cortesia e disponibilità.




Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l'11 settembre?

Alan Lindquist:
L’11 settembre era una bellissima giornata, così bella che pensai di non andare al lavoro, ma avevo una riunione alle 8 quella mattina a cui non potevo mancare, quindi ovviamente andai a lavorare. La riunione era nella Torre 2 al sessantaquattresimo piano. Verso le 8:45, il signore che aveva presieduto la riunione, si chiamava Philip Roth ed era il capo analista tecnico di Morgan Stanley, aprì la fase di discussione e chiese se qualcuno avesse delle domande specificando "Non fate domande a cui ci voglia un'ora per rispondere, perché ho un altro incontro nel World Trade Center 1 alle 9 e voglio uscire da qui in tempo e arrivarci.” Diede la parola a una persona seduta accanto a me e quella persona fece una domanda che impiego tre minuti a formulare. Philip si arrabbiò e disse: “Non risponderò alla tua fottuta domanda; se qualcuno ha una domanda del genere, venga a trovarmi nel mio ufficio." Quindi, ovviamente, nessun altro volle fare domande. Philip disse "Va bene, riunione aggiornata", chiuse la valigetta e se ne andò.

Un mio collega di nome Giovanni venne da me e mi disse "Andiamo a fumarci una sigaretta velocemente". Nelle torri c'erano tre piani intermedi, nel senso che c'erano ascensori che portavano lì senza interruzioni o fermate. Prendemmo l’ascensore al sessantaquattresimo piano, cambiammo ascensore al quarantottesimo e scendemmo fino a terra. Ero appena uscito e sentii un aereo avvicinarsi molto velocemente. L'aereo sorvolò Manhattan, ma era molto più rumoroso del solito. Guardai in alto per vedere l'aereo e poi vidi un uomo che attraversava la strada proprio di fronte a me e improvvisamente disse "Andate dentro, cazzo" e fece cenno con la mano di entrare.

Non ricordo il rumore dell'aereo che colpisce la Torre 1; ovviamente l'ho sentito, solo che non lo ricordo. Stavo guardando l’uomo che mi aveva fatto cenno di entrare e a tre metri da lui una sezione trasversale di uno dei motori cadde sulla strada. Ne uscivano fiamme; lo guardai e dissi "Cos'è?" Cadevano detriti e ricordo due donne che urlavano dall'altra parte della strada, le stavo guardando e iniziarono a correre. C'era un'altra donna che camminava e una finestra cadde e la colpì, morì sul colpo.

In quel momento finalmente capii e pensai "Potrei morire in questo momento, qualunque cosa stia succedendo, potrei morire". Cadevano troppi detriti, quindi il mio istinto fu di tornare dentro la Torre. Tutti si precipitarono verso la porta girevole a cui ero più vicino, la gamba di un uomo rimase bloccata nel tornello e la porta si bloccò. Per venti o venticinque secondi ero il più lontano dal riparo dell'edificio, la porta non girava e provai a dire una preghiera di assoluzione ma non riuscivo a formulare una preghiera nella mia testa, non ci riuscivo.

Urlai all’uomo davanti a me "Gira quella cazzo di porta" anche se non era arrivato alla porta. Guardai l’uomo davanti a me, che era più alto di me, e pensai "Concentrati sul suo collo e non guardare in alto". Quei venticinque secondi furono un'eternità e dopo quel tempo qualcuno nel tornello disse "Smettete di spingere e state indietro, c'è la gamba di una persona bloccata e la porta non girerà se non riusciamo a sbloccare la gamba."

Mi convinsi a fare un passo indietro di quindici centimetri, sembra poco ma non riesco a spiegare quanto sia stato difficile. La porta iniziò a girare, entrai nell'edificio, trovai il collega con cui volevo fumare una sigaretta, lui e alcune persone di Morgan Stanley erano riuniti in cerchio e aveva un cellulare in mano ma tremava così intensamente che era spaventoso da guardare. Disse "Dobbiamo chiamare di sopra e vedere se stanno tutti bene, ma qual è il numero?" e poi ha disse "Dobbiamo tornare di sopra".

Avevo una zia che era morta di cancro al seno cinque anni prima e sentii la sua presenza lì con me e sentii il bisogno di lasciare l'edificio.

La Port Authority intervenne all’interfono e disse "C’è un'emergenza nella Torre 1, dobbiamo mantenere l'area libera per i mezzi di soccorso, per favore rimanete nei vostri uffici". Dissi al gruppo "Sentite, qualunque cosa stia succedendo Morgan Stanley ha una procedura di evacuazione, quindi non torniamo di sopra. Se qualcuno si perde, incontriamoci a Midtown Manhattan [l’area centrale di Manhttan, NdT]". Concordammo un luogo per incontrarci e ci dirigemmo verso le uscite della Torre 2. Ci vollero circa quindici minuti per uscire perché ovviamente era un edificio molto grande. Al centro del palazzo c'era l’uscita per la metropolitana ma nessuno voleva prenderla.

C'era un odore nell'aria, uno strano odore che il mio cervello non riesce a tradurre ma era un misto di fuoco, carburante avio e cose del genere. Sapevo che stava succedendo qualcosa, ma non sapevo cosa.

Arrivai all'uscita e corsi per circa cento metri, mi girai e iniziai a guardare la Torre 1: c'erano piani in fiamme, fumo che usciva e carta che volava. Mentre guardavo vidi un oggetto scendere molto più velocemente e sapevo che probabilmente era una persona. A metà capi che era una donna con una gonna blu navy e una camicia bianca a maniche lunghe. La guardai fino alla fine e vidi l'impatto, colpì il suolo e non potevo credere a quello che avevo visto. Mi voltai per allontanarmi e alla mia destra c'erano due operai, quello più lontano disse “Saltano giù come mosche”, alzai lo sguardo e da una stanza c’erano persone che saltavano. Mi sono dissi "Non guardo più".


Mi voltai di nuovo e iniziai a camminare. Ero sul lato destro della strada e Giovanni era sul lato sinistro che stava ancora guardando la Torre 1. Era sei metri davanti a me e in un secondo diventò bianco cadaverico, gridò "CORRI!". Provai a correre con le scarpe da ufficio, ma non avevo presa al suolo. Il secondo aereo si schiantò e iniziai a inciampare, forse a causa del rumore dell'impatto, per tutta la strada inciampavo. Sentii una vampata di calore sulla nuca. Il cervello funziona velocemente in situazioni di combattimento, e quella era una situazione di guerra, e pensai che fosse una bomba. Caddi mentre pensavo a queste cose, toccai terra con le mani, mi rialzai e iniziai a correre per oltre due chilometri alla massima velocità.

Quando mi trovavo a circa trecento metri dalla Torre, c’era ad un angolo di una strada una delle sezioni delle ruote di uno degli aerei, c'era un uomo che teneva lontane le persone dicendo "Questa è una scena del crimine, state alla larga!"

Mi dovetti fermare e avevo la gola così secca che avevo secco anche lo stomaco; non riesco a spiegarlo perché mi è successo solo una volta nella vita, non avevo liquido nell’esofago, non riuscivo a riprendere fiato, fu stato molto strano. Rimasi seduto lì per circa cinque minuti con le mani sulle ginocchia cercando di riprendere fiato. Alla fine ripresi fiato e dovetti ricominciare a correre, fino all'Interstate 495 [strada interstatale che porta al Queens, NdT]. Saltai davanti a un taxi, lo feci fermare e dissi "Portami a Midtown Manhattan". Mi disse "Vado a Brooklyn" e io risposi "No, mi porti a Midtown Manhattan adesso". Così presi la superstrada e alla mia sinistra vedevo le torri e dissi al tassista: “Cosa sta succedendo alle torri? Cosa sta succedendo?" e lui: “Non lo, sai? Due aerei hanno colpito le Torri." Dissi "Ero al lavoro lì dentro" e lui disse "Devi ringraziare Allah immediatamente".

Mi ha portato a Midtown e sono stato il primo ad arrivare al luogo d'incontro che avevo concordato con i miei colleghi di Morgan Stanley. Entrai in un bar e ordinai un bicchiere di Jagermeister, guardavo la TV, presi il bicchiere e mi tremavano le mani e ho pensai "Perché lo sto bevendo? Cosa mi sta succedendo? Sono un alcolizzato?" Poi ho guardai un tavolo con tre donne che stavano parlando tra loro come se fosse un giorno normale e era così strano che pensai "Che cazzo sta succedendo oggi?"

Venti minuti dopo la mia torre crollò, fu la prima a crollare, e ancora nessuna delle persone con cui ero era arrivata e pensai "Mio Dio, sono morti tutti!".

Dopo che entrambe le torri crollarono scoprii che erano sopravvissuti, come quasi tutti gli altri di Morgan Stanley, che era il più grande datore di lavoro del World Trade Center. Avevamo una procedura di evacuazione e le uniche persone morte a Morgan Stanley erano nella sicurezza e si sono offerte come volontari per rimanere indietro ad aiutare.


Undicisettembre: Quando sei tornato a casa?

Alan Lindquist: Più tardi quella sera. Siamo rimasti fuori a bere praticamente per tutta la giornata. Quella notte un cane antibomba rilevò un pacco sospetto all'Empire State Building a uno dei piani più alti. Stavo guardando il notiziario, avevo studiato biochimica e microbiologia all'università, e sentii la notizia ed ero così fuori di testa che dissi "Ok, sentite, se è un'arma biologica o chimica siamo morti". Ed eravamo così vicini che dalla finestra vedevo l'Empire State Building.

Volevo letteralmente attraversare il fiume a nuoto e scappare da Manhattan, ma mi convinsero a riprendermi perché forse ero un po' troppo ubriaco e spaventato. Rimasi a Manhattan per tre giorni e poi andai in macchina fino a Phoenix, la mia città natale.


Undicisettembre: Quando e come hai ricominciato a lavorare dopo l'11 settembre?

Alan Lindquist: Morgan Stanley è un ottimo datore di lavoro, quando avevi bisogno di tempo ti lasciavano il tempo per sistemarti, ma alla fine lasciai Morgan Stanely perché ero un po' troppo sconvolto. Mi ci vollero sei mesi di cure, bevevo tutti i giorni finché alla fine entrai in contatto con un veterano del Vietnam che diventò il mio consulente e mi disse che dovevo trattarlo come un evento della mia vita da cui trarre forza perché avrei detto per il resto della mia vita "sono un sopravvissuto dell'11 settembre" e questo lo ha reso un po' più sopportabile per me.


Undicisettembre: L'11 come condiziona la tua vita quotidiana anche oggi?

Alan Lindquist: Per me è diventato un aspetto da cui trarre forza; è un dono nel senso che capisci che i tuoi giorni su questa Terra sono limitati e non hai alcun controllo. Quando te ne rendi conto, ti rende libero in un certo senso. Ogni giorno è un regalo, va sfruttato al meglio che sia possibile.

Ancora mi condiziona perché quando ci avviciniamo all'11 settembre ho tuttora gli incubi. Non sempre piango o mi commuovo quando racconto a qualcuno la storia dell'11 settembre, ma a volte mi agito e diventa un po' più nitido nella mia memoria, come mi è successo oggi.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l'11 settembre è stato un inside job?

Alan Lindquist: Queste persone sono sciacalli, lo fanno per soldi. La chiara e semplice spiegazione è che quello che si è visto in TV è quello che è successo. Il motivo per cui i palazzi sono crollati è che le travi si sono scaldate fino a piegarsi e sono crollati come un mazzo di carte. È tutto qui.


Undicisettembre: Come paragoneresti la crisi dopo l'11 settembre alla crisi per il COVID-19 che il paese sta vivendo adesso?

Alan Lindquist: Ci sono similitudini tra eventi drastici nel modo in cui influiscono sulla nazione; ma l'11 settembre ha unito tutti, non solo negli Stati Uniti ma chiunque nel mondo. A New York era come se tutti fossero amici o anche famigliari. Al contrario, il COVID è molto più individualista, la gente non vuole sentirsi dire cosa fare, le nazioni fanno cose diverse, quindi non c'è unità in tutto il mondo anche se tutti stanno vivendo la stessa cosa perché ognuno ha un'opinione diversa su come gestirla.

2020/11/21

Secondo Arab News Pakistan al-Zawahiri, il più alto leader di al-Qaeda, è morto

di Leonardo Salvaggio

Il giornale online Arab News Pakistan, edizione online con sede a Islamabad del giornale saudita Arab News, ha riportato oggi la notizia che il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri è morto in Afghanistan, nella città di Ghazni poche settimane fa. Il decesso è avvenuto per cause naturali legate all'asma, che non ha potuto curare adeguatamente viste le condizioni precarie del paese asiatico. Il giornale cita come propria fonte primaria un traduttore di al-Qaeda, la circostanza è stata confermata anche da un ufficiale della sicurezza pakistana. Entrambe le fonti rimangono anonime.


La notizia è stata riportata su Twitter anche dal giornalista del New York Times Hassan Hassan, autore nel 2015 di uno dei più completi libri sulla storia dell'ISIS, il quale ne è venuto a conoscenza da fonti vicine ad al-Qaeda. Hassan nei suoi tweet invita alla cautela fino a un riscontro indipendente; tuttavia aggiunge che una delle fonti che gli ha riportato il decesso di al-Zawahiri lo aveva anche informato della morte di Abdullah Ahmed Abdullah, confermata poi anche dal New York Times. Hassan aggiunge che non è da scartare l'ipotesi che al-Zawahiri abbia contratto il COVID-19 che lo avrebbe portato alla morte aggravando l'asma.

Se la notizia della morte di al-Zawahiri fosse confermata si aprirebbe per al-Qaeda un notevole vuoto di potere, perché ultimamente sono stati uccisi i due uomini ritenuti i numeri due, Abdullah Ahmed Abdullah e Abu Muhsin al-Masri, e anche Hamza bin Laden, figlio di Osama, era stato ucciso nel 2019. Secondo Arab News Pakistan il prossimo leader di al-Qaeda potrebbe essere l'egiziano Saif al-Adel, uno degli organizzatori degli attentati in Africa del 1998 che è sulla lista dei terroristi più ricercati dall'FBI sin dalla sua creazione nel 2001. Secondo il 9/11 Commission Report al-Adel fu una delle alte figure di al-Qaeda che nel luglio del 2001 si opposero agli attentati che all'epoca erano programmati per l'11 settembre.

2020/11/16

Storia del World Trade Center - seconda parte

di Leonardo Salvaggio

La prima parte di questo articolo è disponibile qui.

Una volta individuata la sede per la realizzazione, la Port Authority iniziò a cercare locatari per il complesso. La prima agenzia ad essere contattata nel 1962 fu lo United States Custom Service (il servizio federale delle dogane) che avrebbe costituito un primo occupante il cui prestigio ne avrebbe attirati altri e che al contempo non era soddisfatta della sede che occupava; al tempo infatti la sede dell'agenzia era l'Alexander Hamilton U.S. Custom House, poco distante dalla sede designata del World Trade Center, considerata troppo piccola e vetusta. La Port Authority, mentre si impegnava a trovare locatari nelle agenzie statali, chiese anche aiuto allo stato di New York affinché ricercasse aziende private a cui affittare lo spazio.

Lower Manhattan nei primi anni 60.

Nel dicembre del 1962 anche il presidente John Fitzgerald Kennedy tenne un discorso all'Economic Club di New York (organizzazione non profit dedita alla discussione di problemi economici, sociali e politici) in cui spese parole di elogio verso il World Trade Center. Grazie anche al vigore dato dal discorso presidenziale, la Port Authority riuscì nei tre anni successivi ad affittare lo spazio del complesso ad alcuni uffici dello stato di New York, ad aziende private tra cui molte banche e anche allo United States Custom Service.

Al fine di attirare più compagnie private, i direttor della Port Authority Guy Tozzoli e Austin Tobin capirono che il modo migliore di aumentare il prestigio del complesso sarebbe stato renderlo il più grande al mondo. Al tempo l'edificio più vasto del mondo era il Pentagono, con i suoi seicento mila metri quadri, la Port Authority decise quindi che il nuovo complesso sarebbe stato di oltre novecento mila metri quadrati di spazio.

Per il disegno degli edifici, Tobin e Tozzoli non diedero l'incarico ai tre architetti che erano stati coinvolti nello studio di fattibilità, ma incaricarono l'architetto Minoru Yamasaki di Seattle, figlio di immigrati giapponesi. Fino ad allora l'edificio più alto realizzato da Yamasaki era il Michigan Consolidated Gas Company di Detroit, alto trenta piani. Vista la scarsa esperienza in grattacieli, l'architetto pensò sulle prime che l'offerta della Port Authority di duecentottanta milioni di dollari fosse un errore di battitura: chiarito l'equivoco, Yamasaki accettò l'incarico. L'architetto di Seattle sarebbe stato aiutato dallo studio Emery Roth & Sons, fondato dallo stesso Emery Roth, che era figlio di immigrati ebrei ungheresi, a New York.

Yamasaki fu il primo a proporre l'idea di una coppia di edifici uguali con una piazza tra di loro che fungesse da luogo di aggregazione, perché, disse l'architetto, l'unica alternativa sarebbe stato un complesso di tanti edifici alti e larghi che avrebbero ricordato le case popolari. Dapprima Yamasaki propose una coppia di edifici di ottanta piani, ma così facendo non avrebbe soddisfatto il requisito di creare il complesso più vasto del mondo in termini di metratura. Yamasaki dovette quindi aumentare l'altezza delle torri che stava disegnando, ma si trovò davanti un nuovo problema: gli ascensori. Infatti palazzi molto alti richiedono molti e larghi ascensori che portano via spazio disponibile per gli uffici. I progettisti allora adottarono una soluzione che all'epoca era stata utilizzata solo per il John Hancock Center di Chicago che era in fase di realizzazione in quegli stessi anni, cioè aggiunsero al progetto dei piani intermedi a un terzo e due terzi di altezza chiamati Sky Lobbies dove si fermavano degli ascensori più grandi che non si fermavano ai piani intermedi e da cui si potevano prendere degli ascensori locali che andavano ai singoli piani. Questo accorgimento consentì a Yamasaki di arrivare a centodieci piani di altezza.

Schema di funzionamento degli ascensori.
Fonte: NIST.

Il progetto originale, che comprendeva le Torri Gemelle e i quattro palazzi più piccoli, fu svelato per la prima volta il 18 gennaio del 1964 durante una conferenza stampa al New York Hilton alla presenza di rappresentanti dei governi degli stati di New York e New Jersey e dei comuni di New York, Jersey City e Hoboken (città del New Jersey che si affaccia sul fiume Hudson). Secondo alcuni racconti, come sosteneva ad esempio il New York Times all'epoca, la piazza al centro del complesso era ispirata a quella di San Marco a Venezia, secondo altri era invece ispirata a quella della Mecca anche per via della sua struttura circolare. Yamasaki aveva comunque esperienza di architettura orientale, avendo realizzato anche l'aeroporto di Dhahran insieme al gruppo industriale della famiglia bin Laden (proprio quello fondato dal padre di Osama bin Laden).

Il disegno iniziale delle Torri si attirò da subito molte critiche: da quelle estetiche, a quelle di chi pensava che i due palazzi avrebbero creato problemi alla migrazione degli uccelli. Ma l'opposizione più aspra venne dall'imprenditore Lawrence Wien, proprietario dell'Empire State Building, il quale temeva che l'eccesso di spazio affittabile ne avrebbe fatto crollare i prezzi e ovviamente anche il palazzo che amministrava perdesse prestigio. Wien fondò il Committee for a Reasonable World Trade Center (Comitato per un World Trade Center ragionevole) che includeva i costruttori Harod Uris, fondatore della Uris Building Corporation, ed Erwin Wolfson, che aveva da pochi anni realizzato il Pan Am Building, oggi noto come MetLife Building.

Modello originale del 1964, oggi conservato al 9/11 Memorial Museum.
Fonte: Wikipedia.

La diatriba tra la Port Authority e il comitato portò a uno stallo di due anni, e nel 1966 Wien trovò un potente alleato nel neoeletto sindaco di New York John Lindsay che sosteneva che la città di New York non avesse un adeguato livello di coinvolgimento nella progettazione e che la Port Authority dovesse limitare il proprio ambito al porto ai trasporti. Sotto a questi due problemi se ne celava ovviamente un terzo di fondamentale importanza: le tasse che la Port Authority doveva pagare alla citta di New York. Le due parti raggiunsero un accordo nell'agosto del 1966. La Port Authority avrebbe pagato alla città parte degli introiti degli affitti; inoltre la città avrebbe costruito il Manhattan Cruise Terminal (terminal navale a Midtown) e la Port Authority avrebbe invece costruito il South Brooklyn Marine Terminal (terminal navale a Brooklyn).


La terza parte di questo articolo è disponibile qui.


Fonti:
  • Twin Towers: The Life of New York City's World Trade Center di Angus Kress Gillespie, 2002
  • Up from Zero: Politics, Architecture, and the Rebuilding of New York di Paul Goldberger, 2004
  • City in the Sky: The Rise and Fall of the World Trade Center di James Glanz ed Eric Lipton, 2003
  • The World Trade Center: A Modern Marvel: 1973-2001 di History Channel, 2002

2020/11/14

Alto leader di al-Qaeda, organizzatore degli attentati del 1998, ucciso in Iran

di Leonardo Salvaggio

Secondo quanto riportato dal New York Times alcuni ufficiali di non meglio precisate agenzie di intelligence statunitensi avrebbero comunicato che il 7 agosto scorso è stato ucciso in Iran il terrorista di al-Qaeda Abdullah Ahmed Abdullah, noto anche con il nome di guerra di Abu Muhammad al-Masri. L'uomo sarebbe anche stato il secondo leader più alto di al-Qaeda dietro a Ayman al-Zawahiri, anche se lo stesso titolo è stato attribuito anche a Abu Muhsin al-Masri, ucciso a ottobre in Pakistan.


L'uomo è stato ucciso per le strade del distretto Pasdaran di Tehran intorno alle nove di sera mentre si spostava sulla sua Renault L90 bianca (modello venduto in Europa come Dacia Logan), quando è stato affiancato da due uomini su una moto che lo hanno ucciso con cinque colpi di pistola. Gli esecutori dell'operazione sono agenti israeliani che agivano per conto degli Stati Uniti. L'uomo è morto insieme alla figlia Miriam, moglie del deceduto Hamza bin Laden, figlio di Osama. Al-Masri era stato uno degli organizzatori degli attentati contro le ambasciate americane in Africa nel 1998 ed è sulla lista dei terroristi più ricercati dell'FBI dalla sua creazione nel 2001.

Ciò che non è ancora chiaro è perché l'Iran offrisse protezione a un leader di al-Qaeda, che secondo l'intelligence USA si nascondeva lì dal 2003, visto che il governo di Tehran è sempre stato uno strenuo oppositore dell'organizzazione fondata da Osama bin Laden; il primo è infatti una teocrazia sciita, mentre la seconda è un gruppo jihadista sunnita.

Dapprima, quando si sparse la notizia della sparatoria, i media Iraniani riportarono che l'uomo morto nell'incidente era un professore universitario libanese di storia chiamato Habib Daoud legato a Hezbollah. Per quanto questa versione potesse sembrare plausibile, i media libanesi indagarono e chiarirono che non esisteva nessun professore con quel nome; inoltre gli agenti israeliani sono soliti non colpire Hezbollah per evitare di causare guerre. Uno degli ufficiali dell'intelligence consultati sostiene che Habib Daoud possa essere uno pseudonimo di al-Masri datogli dal governo iraniano come copertura.

La spiegazione più probabile avanzata dal New York Times è che Tehran abbia offerto protezione al alcuni leader di al-Qaeda per avere in cambio la garanzia che l'organizzazione jihadista non colpisca in Iran.

Per ora non ci sono conferme ufficiali dell'uccisione del miliziano né da parte degli USA, né di Israele, né dell'Iran. Quest'ultimo al contrario ha smentito l'uccisione di al-Masri definendo la ricostruzione del New York Times come uno scenario da Hollywood. Al momento le informazioni sono quindi lacunose e provengono da una sola fonte.

2020/11/02

World Trade Center: an interview with survivor Lila Nordstrom

by Leonardo Salvaggio. An Italian translation is available here.

Undicisettembre is offering today its readers the personal account of survivor Lila Nordstrom who was a senior in high school three blocks away from the World Trade Center when the attacks happened.

We would like to thank Lila Nordstrom for her kindness and availability.




Undicisettembre: Can you give us a general account of what you saw and experienced on 9/11?

Lila Nordstrom: I was a senior in high school on 9/11, my high school was about three blocks from the World Trade Center and we were in class when the first tower was hit. We stayed in class until just before the North Tower fell. When the first tower was hit we were not sure what was going on, then the second tower was hit and we were watching all of that from a panorama view out of our classroom. When the South Tower fell they told everyone to go to the homerooms and wait for further instruction, I think the administration was getting contradictory advice from different officials about whether they should evacuate or was safer to stay inside; since we were so close it would have been possible we were going to be caught in the dust cloud if we evacuated.

After the first tower fell the police or somebody else told them we should evacuate so they suddenly evacuated us in this very chaotic evacuation where they just opened the doors to the north of the school and told everyone to run. There were about three thousand students at our school, so it was a lot of people to get out of the building. I was one of the first students out, because instead of going to my homeroom I went to the nurse’s office, which was kind of near to the exit. I’m asthmatic, so when the first tower collapsed and the dust cloud rushed towards our building I realized I needed to get to the other side of the building and away from the windows. The moment that I stepped outside, literally the moment I put foot to pavement, the second tower started to fall and all the evacuees that I was with started running. We ran for a quarter of a mile and then ran out of breath. When I stopped I found one of my teachers and we started walking uptown together, acquiring other students as we went. I think I walked ten miles – all the way to Queens. I lived in Manhattan but I walked passed my own house because I lived under the Empire State Building and I had heard on the radio before I left that there was a chance a plane was going to hit it too, so we kept walking and I decided not to go home. Since I was with a friend who lived in Queens, I walked with her. We walked across 59th Street Bridge with thousands of other people and then we made it to her house. I spent the night there and came back to the city the next day.


Undicisettembre: What happened to you on the next day?

Lila Nordstrom: The next day was scary. I immediately wanted to leave the city and go to upstate New York, where my grandparents lived. My friends took the subway with me till 60th street, my parents met me up there and we walked to Downtown. It was alarming, we walked through these different stages of New York City disaster zones where up in the sixties it seemed kind of normal but in Time Square is was quieter than usual, in Herald Square it was kind of eery. We walked to 14th street and there was a cut off. I lived in the twenties so we walked a bit further just to see what was going on: it was smokey, eerie. There was a line at an armory near our house, people looking for missing people. There were missing posters already up.

We went back to our house and we just sat and I insisted that we leave the city right away, and my parents said “No, we are going to do it in two days” and I replied “We have to leave right now. We can’t stay here. Anything can happen.” There also were these fighter jets flying overhead and the sound of the airplanes was making me jump, it was a common thing for people who were at school with me. So I just sat for two days in my apartment and we finally left the city and we went upstate New York.


Undicisettembre: How long did you stay there?

Lila Nordstrom: We stayed there for like a week. I just needed to leave the city at that moment, it was just too alarming and noisy. I grew up in an industrial block so there were always a lot of loud crashes and bangs, but I was finding the noise in the city and sound of airplanes a little bit too much. I think it was a common thing, many people from my school said they felt that after the attack, and to some extent I still feel that now.

We didn’t really understand what happened. We didn’t know why terrorists attacked us, we didn’t know if there was more coming, I though we should just get out of there.


Undicisettembre: You were very young in 2001, do you consider yourself part of the 9/11 generation? I mean, did it affect your life and the lives of people your age?

Lila Nordstrom: Yes, I think so. I was 17, about to turn 18, so that was the moment that separated my childhood from my adulthood. It was a very impactful time because next year I was going off to college: all the things that happen when you are 18 were right around the corner for me and then this huge thing happened, meaning the adult world I was entering into changed fully. We are the oldest of this “9/11 generation”. We remember what things were like before 9/11. For me the adult world I was entering into became much scarier, darker and more violent than I expected, because immediately after that they tried to send us to war and were using our experience as an example of why we should fight. The argument didn’t really make sense because they got very obsessed with Iraq and starting building the case against Iraq pretty soon after 9/11 and it was clear to anyone who was listening that Iraq had nothing to do with 9/11. We became the excuse for this horrible mission the US embarked on.

I think it was a rude awakening to adulthood and we were able to understand all of these mechanics, whereas as a I kid I don’t think I would have understood exactly what was going on.

We felt like we were the symbol they were using to justify all of this violence while we were just sitting there saying “Wait a minute, don’t use us, this is not true.”

One interesting thing I noticed when I moved to California after college is that everyone in the US thinks they’ve experienced 9/11 personally, and because of that they have a hard time distinguishing between actually experiencing it in a tangible sense and experiencing it theoretically. That’s behind a lot of my frustration with the era right after 9/11 where we were used as symbols that the rest of America was heating up with “You are either with us or against us” and all this crazy rhetoric.

At the same time they were sending us to school in a dangerous neighborhood where the air wasn’t safe while they were justifying all this terrible stuff on our backs.


Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life even today?


Lila Nordstrom: For one thing I founded a group called StuyHelth that does work around this issue, and the reason I do this is there were tremendous health impacts in my community from our exposures. Actually one thing I think is not well understood outside of New York City is that the day of 9/11 itself isn’t really the reason why we have these health impacts. I mean people have PTSD and people who were in the dust cloud on 9/11 have health impacts from that experience, but most of us got sick because we were sent back. The clean up went on for months and we were going to school right in the middle of the clean up, so they were dumping debris from the site right next to our school.

We were going through multiple police checkpoints to go into our school. At the time we were dimly aware that part of the reason we were sent back was symbolism - to make it look like things went back to normal. I see a real parallel with the kind of rhetoric that is being used to justify opening the schools here during COVID and, like what happened to us, it’s clear that a lot of the argument has to do with the economy and has nothing to do with the safety of kids. We haven’t really done the work to make the schools safe here, we are just sending kids back. That’s basically what happened to us as well, so our health impacts are largely related to what happened in the months after 9/11: we returned to our school three blocks away from the World Trade Center on October 9th, our school wasn’t fully cleaned until the following summer, so we attended school in a contaminated building for a full school year. That’s how we ended up being impacted, it would have been nothing more than a traumatic memory if it wouldn’t been for the fact that it became a part of our everyday life for months.


Undicisettembre: What do you think of conspiracy theories according to which 9/11 was an inside job?

Lila Nordstrom: Well, I don’t believe them. I am aware of why those theories were compelling to people. This era is the first parallel on the scale of 9/11 that I’ve experienced in my life. After 9/11 there was already a sense of distrust in the Bush administration; Bush was not a popular president, so people were willing to believe that somehow the administration had had knowledge of it because of the incompetence we had been living with for a really long time. And it was also such a bizarre shock to everyone because something like that never happened here. We like to go to war elsewhere, World War 2 was fought entirely elsewhere. We were not used to being the target of something like that and there was a sense that no one could fully explain what happened. So I understand why those theories were compelling.

In the immediate aftermath of the attack we saw an administration floundering to explain what had gone on, searching for ways to make it fit into an agenda that they already had and that had nothing to do with anything. Especially the fact that they used this to justify a war that had nothing to do with it made people feel the official story was not something they could trust.

I remember Loose Change, the movie that was an early viral sensation: that was all fake science information, but no one had any background in those topics, so if someone tells you steel can’t collapse like that, you really don’t know, you don’t have the information to say “I know better than them” so people believed that video. The same way, I don’t know better than doctors how COVID spreads, but for some reasons people seem to believe that they do know better than doctors.

So, there was information vacuum, they were scary times. People wanted answers and official channels were not providing them. And people do crazy stuff when they are scared. I saw that on 9/11 and I’m seeing that now too.


Undicisettembre: How would you compare the crisis after 9/11 to the COVID crisis the country is living now?

Lila Nordstrom: I’m seeing a lot of the same themes emerge. First of all, not taking appropriate public health preventive measures and then endangering people’s lives in order to reopen the economy. 9/11 had an environmental crisis which was very different from 9/11 as a terrorist attack; as someone who experienced it as an environmental crisis I see a lot of parallels that have to do with the broken ways our public health infrastructure functions and the priority that it has. The reason to live in a society at all is that when something this big happens you can take care of each other; this mandate of rugged individualism that we were so proud of does not serve us well in a crisis like this and we are seeing the results of that with COVID.

The thing I think is unique about how a crisis like that affect people here in the USA is that we don’t have a guaranteed health care of any sort; a crisis like this has really long lasting consequences for people in a way that it doesn’t if you have universal healthcare. If you ask students to return to school or people to return to work here and you are not positive that it’s safe you might not just be sentencing them to a future of health issues but also to a future of massive medical debts or bankruptcy because of their medical bills where they are unable to see a doctor because of the costs.

We fought for twenty years to have a healthcare program that maybe takes care of 30% of our needs related to 9/11. The fact that I had to fight for twenty years in a country that supposedly has the best healthcare system in the world is astonishing. And I think the same is going to happen after COVID because we don’t have a system that allows us to address ongoing aspects of a health crisis like this. We are going to constantly find it as a drain on our economy, our society, our healthcare system in ways that it just doesn’t have to be. We are seeing the same ignorance about the problem and the refusal to address the obvious solution that we saw after 9/11. And 9/11 as an environmental crisis happened on a much smaller scale, it happened to three hundred or four hundred thousand people in Lower Manhattan, not to millions of people all over the nation. But little 9/11’s happen constantly here. Flint, Michigan is a little 9/11, they are having an environmental crisis that is going to have long lasting consequences and we have done nothing to take care of the problem. The gun violence is another example of this, we ask people to pay their medical bills after they are shot in acts of mass violence in this country. The number of medical claims on GoFundMe counts for a third of their business.

We sort of allowed these crisis to go on for much longer than it’s necessary because we refuse to take care of the consequences of them. I can see that emerging right now with COVID, we are doing the exact same thing. We’ve never done it on a scale this big, we’re about to refuse to take care of the long term consequences of something that touched the lives of every single person in America, not something that’s just in Lower Manhattan or Flint, Michigan, or whatever. We have not taken any steps to address those mistakes; so I feel like for me watching the COVID crisis emerge has been like a slow motion car wreck where I see all these mistakes and how they all impact us in the long term and how these gaps in our disaster response are going not just to impact us right now. It’s pretty inconvenient right now that no one can work and we are still stuck at home seven months after we first went inside; but I also see how twenty years down the line this is going to impact us and continue to, and I see no one making any steps to address that, which is frustrating.

World Trade Center: intervista alla sopravvissuta Lila Nordstrom

di Leonardo Salvaggio. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai propri lettori il racconto personale della sopravvissuta Lila Nordstrom che era all'ultimo anno di scuola superiore a pochi isolati dal World Trade Center quando avvennero gli attacchi.

Ringraziamo Lila Nordstrom per la sua cortesia e disponibilità.




Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l'11 settembre?

Lila Nordstrom: L'11 settembre ero all’ultimo anno di scuola superiore, la mia scuola era a circa tre isolati dal World Trade Center ed eravamo in classe quando la prima torre è stata colpita. Rimanemmo in classe fino a poco prima che la Torre Nord crollasse. Quando la prima torre fu colpita non sapevamo cosa stesse succedendo, poi fu colpita anche la seconda e guardavamo tutto ciò da una vista panoramica fuori dalla nostra classe. Quando la Torre Sud crollò, dissero a tutti di andare nelle aule magne e attendere nuove istruzioni, penso che l'amministrazione stesse ricevendo indicazioni contraddittorie da diversi funzionari sulla possibilità di evacuare o se fosse più sicuro rimanere all'interno; dato che eravamo così vicini era possibile che rimanessimo travolti dalla nube di polvere in caso di evacuazione.

Dopo il crollo della prima torre, la polizia o qualcun altro disse loro che dovevamo evacuare la scuola, così improvvisamente ci fecero uscire e l’evacuazione fu molto caotica perché aprirono solo l’uscita a nord della scuola e dissero a tutti di scappare. C'erano circa tremila studenti nella nostra scuola, quindi c’erano molte persone che uscivano dall'edificio. Fui tra i primi studenti a uscire, perché invece di andare nell’aula magna andai in infermeria, che era vicino all'uscita. Sono asmatica, quindi quando la prima torre crollò e la nube di polvere corse verso il nostro edificio, capii che dovevo andare dall'altra parte dell'edificio e lontano dalle finestre. Nel momento in cui uscii, letteralmente nel momento in cui misi un piede a terra, la seconda torre iniziò a crollare e tutti le persone in fuga con cui mi trovavo iniziarono a correre. Corremmo per circa quattrocento metri finché non rimanemmo senza fiato. Quando mi fermai trovai una delle mie insegnanti e iniziammo a camminare insieme verso i quartieri più a nord, altri studenti si unirono a noi durante la strada. Penso di aver camminato per oltre quindici chilometri, fino al Queens. Vivevo a Manhattan, ma passai oltre casa mia perché vivevo sotto l'Empire State Building e prima di uscire dalla scuola avevo sentito alla radio che c'era la possibilità che un altro aereo lo colpisse, quindi continuammo a camminare e decisi di non tornare a casa. Dato che ero con un'amica che viveva nel Queens, feci la strada con lei. Attraversammo il 59th Street Bridge [ponte che collega Manhattan al Queens, NdT] con migliaia di altre persone e arrivammo a casa sua. Passai la notte lì e tornai in città il giorno successivo.


Undicisettembre: Cosa ti è successo il giorno dopo?

Lila Nordstrom: Il giorno successivo era spaventoso. Volevo immediatamente lasciare la città e andare a nord dello stato di New York, dove vivevano i miei nonni. I miei amici presero la metropolitana con me fino alla 60esima strada, i miei genitori mi incontrarono là e andammo insieme a Downtown. Era allarmante, attraversammo diverse zone con diversi livelli di devastazione, tra la sessantesima e la settantesima strada sembrava abbastanza normale, ma a Time Square c’era più silenzio del solito, a Herald Square era inquietante. Camminammo fino alla quattordicesima dove c'era uno sbarramento. Vivevo tra la ventesima e la trentesima strada, quindi abbiamo camminato un po’ oltre solo per vedere cosa stava succedendo: c’era fumo ed era spaventoso. C'era una fila davanti un'armeria vicino a casa nostra, gente che cercava persone scomparse. C'erano già i manifesti per gli scomparsi.

Tornammo a casa e ci sedemmo e io insistetti perché lasciassimo la città subito, i miei genitori dicevano “No, ce ne andremo tra un paio di giorni” e io rispondevo “Dobbiamo andarcene subito. Non possiamo restare qui. Può succedere di tutto." C'erano anche jet militari che passavano sopra di noi e il rumore di quegli arei mi faceva sobbalzare, succedeva a molti di quelli che erano a scuola con me. Così rimasi in casa per due giorni e poi finalmente lasciammo la città e andammo a nord.


Undicisettembre: Quanto tempo sei rimasta lì?

Lila Nordstrom: Rimanemmo lì per una settimana. In quel momento avevo solo bisogno di lasciare la città, era semplicemente troppo spaventoso e rumoroso. Sono cresciuta in una zona industriale, quindi c'erano sempre molti rumori e scoppi, ma trovavo insopportabile il rumore in città e il suono degli aeroplani. Penso che fosse una cosa comune, molte persone della mia scuola hanno detto di aver provato le stesse sensazioni dopo l'attentato, e in una certa misura è ancora così.

Non avevamo capito cosa fosse successo. Non sapevamo perché i terroristi ci avessero attaccato, non sapevamo se ci fossero altri attacchi in arrivo, pensavo solo che dovevamo semplicemente andarcene.


Undicisettembre: Eri molto giovane nel 2001, ti consideri parte della generazione dell'11 settembre? Voglio dire, ha influenzato la tua vita e quella delle persone della tua età?

Lila Nordstrom: Sì, penso di sì. Avevo 17 anni, quasi 18, quindi quello è stato il momento che ha separato la mia infanzia dalla mia età adulta. Fu un periodo di grande impatto perché l'anno successivo sarei andata al college: tutte le cose che accadono quando hai 18 anni erano proprio dietro l'angolo per me e poi accadde questa cosa enorme, il che significa che il mondo degli adulti in cui stavo entrando cambiò completamente. Siamo i più vecchi di questa "generazione dell'11 settembre". Ricordiamo com'erano le cose prima dell'11 settembre. Per me il mondo degli adulti in cui stavo entrando divenne molto più spaventoso, più oscuro e più violento di quanto mi aspettassi, perché subito dopo cercarono di mandarci in guerra e usarono quello che ci era accaduto come esempio del perché avremmo dovuto andare in guerra. L'argomentazione era insensata perché erano ossessionati dall'Iraq e iniziarono a costruire il caso contro l'Iraq subito dopo l'11 settembre ed era chiaro a chiunque ascoltasse che l'Iraq non aveva nulla a che fare con l'11 settembre. Diventammo la scusa per questa orribile missione che gli Stati Uniti hanno intrapreso.

Penso che sia stato un brusco risveglio nell'età adulta e fummo in grado di capire tutti questi meccanismi, al contrario da bambina non credo che avrei capito esattamente cosa stava succedendo.

Ci siamo sentiti come se fossimo il simbolo che stavano usando per giustificare tutta questa violenza mentre eravamo seduti lì a dire "Aspetta un minuto, non usateci, questo non è vero".

Una cosa interessante che notai quando mi trasferii in California dopo il college è che tutti negli Stati Uniti pensano di aver vissuto personalmente l'11 settembre, e per questo motivo hanno difficoltà a distinguere tra viverlo effettivamente in senso tangibile e viverlo teoricamente. Questo è alla base di gran parte della mia frustrazione riguardo al periodo subito dopo l'11 settembre in cui fummo usati come simbolo del fatto che il resto dell'America si stava scaldando con frasi tipo "O sei con noi o contro di noi" e tutta questa folle retorica.

Allo stesso tempo ci stavano facendo tornare a scuola in un quartiere a rischio dove l'aria non era sicura mentre giustificavano tutte queste cose terribili sulle nostre spalle.


Undicisettembre: L'11 settembre come influisce sulla tua vita quotidiana anche oggi?


Lila Nordstrom: Per prima cosa ho fondato un'associazione chiamata StuyHelth che si occupa di questo problema, e il motivo per cui lo faccio è che ci sono stati enormi impatti sulla salute nella mia comunità a causa di ciò a cui siamo stati esposti. In realtà una cosa che penso non sia ben compresa al di fuori di New York City è che il giorno dell'11 settembre in sé non è il vero motivo per cui abbiamo queste conseguenze per la salute. Voglio dire che c’è chi soffre di stress post-traumatico e chi si è trovato nella nube di polvere ha avuto conseguenze di salute, ma la maggior parte di noi si è ammalata perché siamo stati rimandati a scuola. La rimozione delle macerie andò avanti per mesi e noi stavamo andando a scuola proprio nel bel mezzo di quell’operazione, scaricavano i detriti del sito proprio accanto alla nostra scuola.

Attraversavamo vari posti di blocco della polizia per entrare a scuola. All'epoca avevamo poca consapevolezza del fatto che parte del motivo per cui siamo siamo tornati a scuola era simbolico, per far sembrare che fosse tutto tornato alla normalità. Vedo un vero parallelo con il tipo di retorica utilizzata per giustificare l'apertura delle scuole ora durante il COVID e, come successe a noi, è chiaro che gran parte delle argomentazioni hanno a che fare con l'economia e non con la sicurezza degli studenti. Le scuole qui non sono state messe in sicurezza, stiamo semplicemente rimandandoci i ragazzi. Questo è fondamentalmente ciò che è accaduto anche a noi, pertanto gli impatti sulla nostra salute sono in gran parte dovuti a ciò che è accaduto nei mesi dopo l’11 settembre: siamo tornati a scuola a tre isolati di distanza dal World Trade Center il 9 ottobre, la nostra scuola non venne completamente ripulita fino all'estate successiva, quindi frequentammo la scuola in un edificio contaminato per un intero anno scolastico. È così che siamo stati colpiti, sarebbe stato solo un ricordo traumatico se non fosse stato per il fatto che è diventato parte della nostra vita quotidiana per mesi.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l'11 settembre è stato un inside job?

Lila Nordstrom: Beh, non ci credo. Capisco il motivo per cui queste teorie sono convincenti. Questo periodo è il primo parallelo sulla scala dell'11 settembre che ho vissuto nella mia vita. Dopo l'11 settembre c'era un senso di sfiducia nell'amministrazione Bush; Bush non era un presidente popolare, quindi le persone erano disposte a credere che in qualche modo l'amministrazione ne fosse a conoscenza a causa dell'incompetenza con cui convivevamo da molto tempo. Ed è stato anche uno shock stranissimo per tutti perché una cosa del genere non era mai successa qui. A noi piace andare in guerra altrove, la seconda guerra mondiale è stata combattuta interamente altrove. Non eravamo abituati a essere l'obiettivo di una cosa del genere e c'era la sensazione che nessuno fosse in grado di spiegare completamente cosa fosse successo. Quindi capisco perché quelle teorie fossero convincenti.

Immediatamente dopo l'attacco abbiamo visto un'amministrazione annaspare nel tentativo di spiegare cosa fosse successo, alla ricerca di modi per inserirlo in un'agenda che avevano già e che non aveva nulla a che fare con ciò che era successo. Soprattutto il fatto che lo usassero per giustificare una guerra che non aveva c’entrava nulla faceva credere a molti che la storia ufficiale non era affidabile.

Ricordo Loose Change, il film che è stato uno dei primi successi virali: era pieno di falsa scienza, ma nessuno aveva alcun background di quegli argomenti, quindi se qualcuno diceva che l'acciaio non può collassare in quel modo, nessuno sapeva valutare, nessuno aveva le conoscenze per dire "Ne so più di loro", quindi molti credettero a quel video. Allo stesso modo, io non so più dei medici su come si diffonde il COVID, ma per qualche motivo molti sembrano credere di saperne più dei medici.

Quindi, c'era un vuoto di informazioni, erano tempi spaventosi. La gente voleva risposte e i canali ufficiali non le fornivano. E le persone fanno cose folli quando hanno paura. L'ho visto l'11 settembre e lo vedo anche adesso.


Undicisettembre: Come paragoneresti la crisi dopo l'11 settembre alla crisi per il COVID che il paese sta vivendo adesso?

Lila Nordstrom: Sto vedendo emergere molti degli stessi temi. Prima di tutto, non adottare adeguate misure preventive per la salute pubblica e poi mettere in pericolo la vita delle persone per rilanciare l'economia. L'11 settembre ha causato una crisi ambientale che era molto diversa dall'11 settembre inteso come attacco terroristico; da persona che l'ha vissuto come crisi ambientale, vedo molti paralleli in come funziona la nostra infrastruttura sanitaria pubblica e le priorità che ha. La ragione per voler vivere in una società è che quando succede qualcosa di così grande ci si può prendere cura l'uno dell'altro; questo richiamo al ruvido individualismo di cui eravamo così orgogliosi non ci è d’aiuto in una crisi come questa e ne stiamo vedendo i risultati con il COVID.

La cosa che penso sia unica al modo in cui una crisi del genere colpisce le persone qui negli Stati Uniti è che non abbiamo alcuna assistenza sanitaria garantita; una crisi come questa ha conseguenze molto durature che non avrebbe se ci fosse di un'assistenza sanitaria completa. Se chiedi agli studenti di tornare a scuola o alle persone di tornare al lavoro e non sai per certo se sia sicuro, potresti non solo condannarli a un futuro di problemi di salute, ma anche a un futuro di enormi debiti medici o fallimento a causa della spese mediche per le quali non possono vedere un medico a causa dei costi.

Abbiamo lottato per vent'anni per avere un programma sanitario che si facesse carico di almeno il 30% delle nostre necessità dovute all'11 settembre. Il fatto che ho dovuto combattere per vent'anni in un paese che in teoria ha il miglior sistema sanitario del mondo è sorprendente. E penso che lo stesso accadrà dopo il COVID perché non abbiamo un sistema che ci consenta di affrontare gli aspetti in corso di una crisi sanitaria come questa. Drenerà costantemente la nostra economia, la nostra società, il nostro sistema sanitario in modi che semplicemente non dovrebbero verificarsi. Stiamo assistendo alla stessa ignoranza del problema e al rifiuto di affrontare l'ovvia soluzione che abbiamo visto dopo l'11 settembre. E l'11 settembre come crisi ambientale è avvenuta su scala molto più piccola, ha colpito trecento o quattrocentomila persone a Lower Manhattan, non milioni di persone in tutta la nazione. Ma piccoli 11/9 accadono costantemente qui. Flint nel Michigan [città dove è avvenuta una crisi sanitaria dovuta a contaminazione delle acque, NdT] è un piccolo 11 settembre, stanno attraversando una crisi ambientale che avrà conseguenze di lunga durata e non abbiamo fatto nulla per risolvere il problema. Il problema delle armi da fuoco è un altro esempio di ciò, in questo paese chiediamo alle persone di pagare le spese mediche dopo essere state colpite da colpi di arma da fuoco in atti di violenza di massa. Il numero di richieste di risarcimento mediche su GoFundMe rappresenta un terzo della loro attività.

Abbiamo consentito a queste crisi di protrarsi per molto più tempo del necessario perché ci rifiutiamo di prenderci cura delle loro conseguenze. Lo vedo che sta arrivando proprio ora con il COVID, stiamo facendo la stessa identica cosa. Non l'abbiamo mai fatto su una scala così grande, stiamo per rifiutarci di prenderci cura delle conseguenze a lungo termine di qualcosa che ha toccato la vita di ogni singola persona in America, non qualcosa che ha toccato solo Lower Manhattan o Flint nel Michigan, o un altro posto qualsiasi. Non abbiamo fatto nulla per affrontare questi errori; quindi per me vedere arrivare la crisi da COVID è come un incidente d'auto al rallentatore in cui vedo tutti questi errori e il modo in cui hanno un impatto su di noi di lungo termine, e come queste lacune nella reazione ai disastri avranno impatti su di noi non solo adesso. È brutto adesso che nessuno possa lavorare e che siamo ancora bloccati a casa sette mesi dopo esserci chiusi dentro per la prima volta; ma vedo anche come tra vent'anni continuerà ad avere un impatto su di noi, e non vedo nessuno fare un passo per affrontare la questione, il che è frustrante.

2020/10/26

Ucciso in Afghanistan Abu Muhsin al-Masri, alto leader di al-Qaeda

di Leonardo Salvaggio

Il National Directorate of Security (anche noto come NDS, il servizio di sicurezza e intelligence afghano) ha annunciato il 24 ottobre su Twitter di aver ucciso in un'operazione delle forze speciali il terrorista Husam Abd-al-Ra'uf, noto anche con il nome di guerra Abu Muhsin al-Masri, considerato il leader di al-Qaeda nel subcontinente indiano e il secondo in comando dell'intera organizzazione dietro a Ayman al-Zawahiri. L'uccisione di al-Masri è stata confermata anche dal direttore dello US National Counterterrorism Center, ente federale americano preposto a coordinare tutte le attività antiterrorismo, Chris Miller.


Il terrorista era dal 2018 nella lista dei terroristi più ricercati dall'FBI. L'NDS ha pubblicato in un altro tweet (ATTENZIONE - foto impressionante) la foto di un uomo deceduto che effettivamente corrisponde alla persona che compare sul sito dell'FBI. Il vice governatore della provincia di Ghazni, dove è avvenuta l'operazione, ha comunicato all'Associated Press che i militari avrebbero invaso la casa in cui vivevano sette terroristi, tra cui al-Masri, nel villaggio di Kunsaf. Secondo l'NDS e secondo il governatore della provincia, al-Masri viveva sotto la protezione dei Talebani, in quanto il villaggio in cui si nascondeva era sotto il loro controllo. Sempre secondo l'Associated Press, anche i Talebani starebbero conducendo indagini, non meglio chiarite, sull'accaduto.

Se fosse confermato che al-Marsi viveva sotto la protezione dei Talebani, questi ultimi avrebbero violato il trattato di pace firmato a febbraio con gli USA, in quanto il secondo punto della sezione che elenca gli obblighi dei Talebani (denominati nel documento Islamic Emirate of Afghanistan) vieta espressamente di cooperare con gruppi che minaccino la sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati.