2023/02/26

Chi è Saif al-Adel, il nuovo leader di al-Qaeda

di Leonardo Salvaggio

Dopo l'uccisione di Ayman al-Zawahiri avvenuta lo scorso mese di luglio a Kabul, al-Qaeda ha identificato l'egiziano Saif al-Adel come proprio nuovo leader, come risulta da un documento delle Nazioni Unite del febbraio di quest'anno.

Al-Adel è nato in Egitto, in una città chiamata Shibin al-Kawm a nord del Cairo, nei primi anni 60, l'anno esatto non è noto, con il nome di Mohammed Salahuddin Zeidan. Al-Adel rimase nel paese africano fino al conseguimento della laurea in economia. Nel 1987 si trasferì in Arabia Saudita dove rimase un solo anno e dove finse la propria morte. Al-Adel fece comunicare alla sua famiglia in Egitto la notizia del proprio decesso in un incidente d'auto da uno sconosciuto che riportò loro anche un giubbotto appartenente allo stesso al-Adel per provare la veridicità di quanto stava dicendo. La famiglia chiese alle autorità saudite di avere delle evidenze sulla morte del loro congiunto, ma senza successo; in assenza di prove certe sulla sorte dell'uomo il tribunale egiziano lo dichiarò legalmente morto. È probabile che a questo punto Al-Adel abbia rubato l'identità di un'altra persona e adottato il nome di battaglia con cui oggi è noto che significa spada della giustizia, per poi spostarsi in Afghanistan dove si unì ai gruppi jihdaisti che combattevano contro l'invasione sovietica. Al-Adel entrò a far parte di al-Qaeda già dalla fondazione e acquisì importanza all'interno della gerarchia dell'organizzazione diventando subito uno dei supervisori dei campi di addestramento. Tra i primi miliziani formati da Al-Adel si trova, ad esempio, Ramzi Yousef, responsabile del primo attentato contro il World Trade Center.

Tra il 1991 e il 1992 Saif al-Adel ebbe un ruolo rilevante nell'aiutare bin Laden a spostare al-Qaeda in Sudan e a espanderne l'influenza in Somalia e altri stari del corno d'Africa. Prima del ritorno di al-Qaeda in Afghanistan nel 1996, al-Adel viaggiò anche in Yemen per creare un ramo di al-Qaeda anche nella penisola araba. Negli anni seguenti fu tra gli organizzatori degli attentati contro le ambasciate americane in Africa del 1998, a seguito dei quali divenne uno dei ricercati most wanted dell'FBI, e dell'attacco contro la USS Cole del 2000. Durante la pianificazione degli attentati dell'11 settembre, al-Said fu tra quelli che si dissociarono delle intenzioni di Osama bin Laden e di Khalid Sheikh Mohammed, perché temeva che la reazione militare americana avrebbe distrutto al-Qaeda. Alcuni media riportano che al-Adel addestrò in Afghanistan alcuni dei dirottatori, tuttavia nessuno specifica quali dei diciannove sarebbero stati formati dall'egiziano.

In seguito agli attentati dell'11 settembre rimase in Afghanistan e insieme ad altri leader di al-Qaeda cercò un luogo dove potesse nascondersi; non trovandolo fuggì in Pakistan nel dicembre del 2001. Il Pakistan non si rivelò un posto sicuro dove dei leader di al-Qaeda potessero nascondersi, in quanto il presidente Pervez Musharraf si schierò a fianco degli Stati Uniti, e al-Adel vi rimase solo pochi mesi prima di trasferirsi con altri miliziani qaedisti in Iran. Sulle prime riuscirono a rimanervi senza troppe pressioni da parte delle autorita di Tehran, ma questa situazione durò poco e nel 2003 al-Adel venne arrestato insieme ad altri due terroristi e rimase in carcere fino al 2010 quando fu liberato in uno scambio di prigionieri tra l'Iran e la Rete Haqqani. Da allora le notizie sulla vita di al-Adel sono più vaghe. Tra il 2011 e il 2012 venne arrestato di nuovo durante un viaggio dal Pakistan all'Egitto e finì di nuovo detenuto in Iran. Al-Adel rimase in cella fino al 2015, quando venne liberato in un nuovo scambio di prigionieri, questa volta con il ramo di al-Qaeda attivo nella penisola araba.

Attualmente si ritiene che Saif al-Adel si nasconda ancora in Iran in una sorta di regime di arresti domiciliari autoinflitti, visto che l'Iran e al-Qaeda non sono alleati, e che diriga al-Qaeda da lì. In ogni caso al-Qaeda potrebbe presto trovarsi ad affrontare un serio problema di leadership. Se il fatto di essere in Iran dovesse ostacolare l'attività di al-Adel o se questi dovesse rivelarsi troppo vecchio per attirare nuovi adepti, al-Qaeda avrebbe avrebbe poche alternative. Le opzioni sarebbero di affidare la guida del gruppo a quelli che un rapporto dell'ONU del 2022 identifica come i successivi nella linea gerarchica, quali il marocchino Abdal Rahman al-Maghrebi, genero di al-Zawahiri, l'agerino Yazid Mebrak, leader del ramo magrebino di al-Qaeda, o il somalo Ahmed Diriye, capo di al-Shabbab. Se non si concretizzasse nessuna di queste ipotesi, una quarta ipotesi potrebbe essere il siriano Abu Abd al-Karim al-Masri che ha guadagnato notevole rilevanza da quando la Siria è afflitta dalla guerra civile e questa scelta potrebbe portare a una scissione, se lo spostamento del centro di gravità e dalla tradizione qaedista fosse troppo drastico.

Saif al-Adel è anche stato oggetto di uno scambio di identità da parte degli inquirenti americani. Per un periodo l'FBI ritenne infatti che Saif al-Adel non fosse Mohammed Salahuddin Zeidan, ma Mohammed Ibrahim Makkawi, un ex colonnello delle forze speciali egiziane che, come Zeiden, si unì ad al-Qaeda in Afghanistan. Makkawi venne arrestato nel 2012 al Cairo e alcuni media diedero erroneamente la notizia dell'arresto di al-Adel. Ad oggi, comunque, l'FBI elenca tuttora il nome di Mohammed Ibrahim Makkawi tra gli alias di al-Adel, nonostante l'equivoco sia stato chiarito.


Fonti:

2023/02/02

Il Qatar ha corrotto il governo afghano affinché lasciasse prendere il potere ai Talebani

di Leonardo Salvaggio

Nell'edizione delle 20 dell'1 febbraio 2023 il TG1 ha mostrato documenti esclusivi provenienti dall'ambasciata qatariota in Afghanistan, ottenuti dal giornalista svizzero Filippo Rossi, dai quali emerge che il Qatar ha pagato milioni di dollari ad alti funzionari del governo afghano affinché non si opponessero ai Talebani dopo la partenza delle forze americane nell'agosto del 2021.

Tra le persone che hanno ricevuto questi pagamenti illeciti si trovano il governatore della banca centrale afghana Ajmal Ahmadi in veste di rappresentante del presidente Ashraf Ghani (che ha ricevuto 110 milioni di dollari) e due importanti leader della provincia settentrionale di Balk, dove si trova la città di Mazar-i Sharif, quali il maresciallo Abdul Rashid Dostum (che ha ricevuto 50 milioni) e l'ex governatore della provincia Atta Muhammad Nur (a cui il TG1 si riferisce come Mohamed Atta Nur che ha ricevuto 60 milioni) che avrebbero dovuto guidare la resistenza contro i Talebani nella zona. I tre leader nominati dal servizio del TG1 vengono anche mostrati in eventi pubblici mentre dichiarano che avrebbero combattuto contro i Talebani per impedire loro di prendere il potere, si tratta evidentemente di promesse che non avevano intenzione di mantenere. Ghani, Dostum e Atta Nur hanno tutti e tre lasciato l'Afghanistan poco dopo la presa del potere da parte dei Talebani: l'ex presidente è scappato negli Emirati, mentre i due leader del nord del paese di trovano in Uzbekistan.

Al momento in cui scriviamo la notizia non è riportata da nessun media americano, ce n'è una buona sintesi solo sul sito dell'agenzia di stampa afghana Khaama Press.

Quanto rivelato dal TG1 spiega uno dei motivi per cui l'Afghanistan è caduto nelle mani dei Talebani così in fretta, del resto che la corruzione fosse uno dei problemi della nazione che ha facilitato la presa della capitale era stato evidenziato a Undicisettembre anche da Craig Covert, ex agente dell'NCIS da noi intervistato su questo tema nel 2020, e dall'ex Sottufficiale della Marina Malcolm Nance. Di certo non è questo l'unico motivo: ad esempio anche la frammentarietà del paese, le scarse capacità militari delle forze armate e le loro scarse dotazioni hanno sicuramente avuto un ruolo importante.

Tuttavia la notizia riportata dal TG1 apre altri interrogativi, come che peso abbia avuto la corruzione da parte del Qatar, quanti sono gli ufficiali afghani coinvolti e in ultimo perché Doha abbia voluto facilitare la presa del potere da parte dei Talebani.