2025/08/22

Sui luoghi dove vissero i dirottatori a San Diego

Mi trovo per la prima volta a San Diego, città del sud della California dove trascorsero molto tempo Khalid al-Midhar e Nawaf al-Hazmi, grazie anche al supporto dell'agente dei servizi sauditi Omar al-Bayoumi, prima di diventare due dei dirottatori del volo American Airlines 77 che si schiantò contro il Pentagono. Dopo aver visto i luoghi degli incontri tra i due terroristi e al-Bayoumi a Los Angeles lo scorso anno, decido di dedicare mezza giornata di questo viaggio a vedere dove al-Midhar e al-Hazmi vissero e lavorarono qui a San Diego.


La prima tappa del giro di oggi sono i Parkwood Apartments in Mount Ada Avenue, oggi noti come Blossom Walk Condominiums, dove i due vissero dapprima nell'appartamento dello stesso al-Bayoumi e poi in un altro alloggio del medesimo complesso trovato sempre grazie all'aiuto di quest'ultimo. Mi interessa trovare due appartamenti: il 152, dove viveva al-Bayoumi, e il 150, dove dopo si spostarono i due terroristi.

"Strana destinazione" commenta l'autista di Uber che mi sta portando lì, ma ho la risposta pronta: "Vado a trovare degli amici che ci abitano." Scendo in mezzo ai due complessi, quello al numero 6333 e quello al 6401. Si tratta di una zona residenziale in cui ci sono solo un negozio di liquori e due chiese, per il resto attorno a me vedo solo case. Inizio dal primo dei due blocchi e faccio un giro tutt'attorno cercando l'appartamento 152, durante il giro vedo solo due persone che tornano a casa o che escono a buttare la pattumiera, per il resto non passa nessuno. Purtroppo i numeri degli appartamenti sono visibili solo dal vialetto di accesso interno e quindi posso solo desumere che il 152, essendo il primo, sia il primo a sinistra del piano inferiore. Lo fotografo da oltre la ringhiera e non posso fare null'altro.


Vado quindi alla ricerca del 150, ma qui individuare l'appartamento giusto da fuori è praticamente impossibile perché nel secondo blocco i numeri al piano terreno vanno da 129 a 151 e all'interno non si vede abbastanza in profondità. Devo accontentarmi di una foto generica da fuori, ma solo dopo aver atteso che due delle persone che abitano lì e che parlano tra loro nel vialetto di ingresso se ne vadano.


Vado quindi verso il Centro Islamico, che i due scelsero proprio perché si trova a breve distanza dai Parkwood Apartments. Mi ci vogliono circa dieci minuti di cammino sotto il sole della California per arrivare, entro e trovo un cartello che dice che i visitatori devono come prima cosa parlare con l'ufficio dell'amministrazione. Seguo la freccia e trovo una guardia armata con giubbotto antiproiettile che parla con una signora di circa settant'anni in abito islamico. Chiedo alla signora se posso vedere la sala della preghiera e mi risponde che mi avrebbe accompagnato. Posso fare foto, mi dice, purché non ci siano persone. Mi conduce verso la stanza antistante dove devo togliermi le scarpe e intanto, parlandomi molto gentilmente, mi chiede cosa io sappia dell'Islam, ne so abbastanza da poter conversare con lei. Mi racconta la storia del centro, fondato nel 1985, mi mostra il tappeto su cui i fedeli si inginocchiano, il pulpito da cui predica l'Imam e mi indica le mensole tutto intorno alla sala su cui ci sono molte copie del Corano tradotto in varie lingue che i fedeli possono prendere per leggere e pregare.


Converso ancora qualche minuto con la signora dell'amministrazione e mi faccio raccontare qualche altra usanza islamica, mentre parla mi chiedo se sappia che due dei dirottori dell'11/9 frequentavano questo centro. Vista l'età della signora è probabile che li abbia anche conosciuti, ma mi tengo il dubbio non volendo rischiare reazioni avverse, visto che è stata così gentile.

Chiamo un secondo Uber perché mi porti alla moschea al-Ribat e metto come tappa intermedia la stazione di servizio della Chevron dove entrambi i terroristi hanno lavorato, quando era una stazione della Texaco, su University Avenue. Spiego all'autista che quando arriviamo alla prima destinazione dovrà aspettarmi un attimo mentre faccio un paio di foto.


Quando risalgo in macchina l'autista mi chiede perché mi sia fermato a fotografare una stazione di servizio. "Hai intenzione di comprare questa stazione?" mi chiede ridendo, rispondo che lavoro nel settore energetico e mi piace confrontare le foto delle stazioni di servizio con le immagini storiche su Google Maps. Non fa altre domande, ma probabilmente si sta chiedendo perché questo atipico cliente italiano che fotografa stazioni della Chevron si stia facendo portare da un Centro Islamico a una moschea.

Arrivo alla moschea che da fuori è molto più piccola e insignificante di quanto mi aspettassi, nulla a che vedere con il Centro Islamico o con la moschea King Fahad di Los Angeles. Ci metto anche qualche minuto a capire di essere nel posto giusto. In questo luogo i due dirottatori incontrarono l'alto leader di al-Qaeda Anwar al-Awlaki che predicava in questa moschea. Sarebbe la tappa più importante del giro, ma è chiusa e non c'è segno che ci sia in giro nessuno. Provo ad aprire le porte sia dal parcheggio che dall'ingresso principale, ma sono chiuse. Busso, ma non c'è nessuno. Mi devo accontentare di qualche foto da fuori, anche perché il sole picchia e di ombra ce n'è pochissima. Devo desistere.


Torno verso downtown, anche perché ormai è ora di pranzo, dopo aver aggiunto un altro tassello alle mie visite sui luoghi del peggiore e più distruttivo attentato terroristico della storia. E dopo aver visto dei luoghi dove il male supremo dell'estremismo islamico si mischia ai misteri dell'intelligence, del perché al-Bayoumi abbia aiutato due terroristi e del perché i tre non siano stati bloccati prima che due di loro partecipassero ad uccidere quasi tremila persone.

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