Nel settembre del 2003, la testata tedesca Der Spiegel pubblicò su Spiegel International un articolo, Panoply of the Absurd (nell'originale tedesco Panoptikum des Absurden), che affrontava di petto le tesi cospirazioniste e le faceva a pezzi senza tanti complimenti, rivelandole per quelle che erano: assurdità e, in alcuni casi, vere e proprie falsificazioni.
Questa è la prima parte della traduzione di quell'articolo, per la quale ringrazio Brain_Use. Le parti successive verranno pubblicate prossimamente. Le immagini sono state aggiunte traendole dagli archivi di Undicisettembre.
Letto oggi, l'articolo di Der Spiegel permette di cogliere il quadro di com'era il cospirazionismo qualche anno fa e di ricordare chi furono i pionieri ben remunerati di quest'idea e da dove scaturirono alcune delle panzane più celebri. Letto all'epoca dai vari cospirazionisti nostrani, avrebbe forse risparmiato loro imbarazzi e ridicolo.
Per tutti costoro abbiamo una sola domanda: se la sentono di accusare i giornalisti di Der Spiegel di far parte della cospirazione?
La rassegna dell'assurdo
di Dominik Cziesche, Jürgen Dahlkamp, Ulrich Fichtner, Ulrich Jaeger, Gunther Latsch, Gisela Leske, Max F. Ruppert – © Der Spiegel 2003
Gli attacchi a New York e Washington furono il più grande atto di terrorismo della storia, o semplicemente un'enorme cospirazione dei servizi segreti? I sostenitori delle teorie cospirazioniste stanno riempiendo bestseller con le loro presunte prove e hanno già convinto un quinto dei tedeschi delle loro mezze verità.
L'uomo dal sorriso timido che è comparso sul banco degli imputati nell'aula 237 della Corte Suprema Regionale Anseatica di Amburgo dal 14 agosto è accusato di essere coinvolto in una cospirazione. Si chiama Abdelghani Mzoudi ed è accusato di complicità in ben 3066 omicidi, in quanto membro del gruppo terrorista segreto di cui faceva parte Mohammed Atta e che cambiò il mondo con i suoi attacchi l'11 settembre 2001.
Dopo che il rappresentante del Pubblico Ministero Federale, in piedi dietro ad uno spesso cristallo antiproiettile, ha letto ad alta voce gli esiti delle indagini contro questo marocchino trentenne durante il primo giorno del processo, l'avvocato della difesa, Michael Rosenthal, ha presentato il quadro di una cospirazione differente, molto più vasta, pericolosa e mostruosa di quella di cui è accusato il suo cliente: “Sembra che gli Stati Uniti d'America fossero già coscienti dei benefici politici di un attacco al World Trade Center, almeno in teoria, prima che esso accadesse”.
“Un evento catastrofico e catalizzante” non era forse esattamente ciò che gli strateghi americani desideravano da tempo? E George W. Bush e la sua squadra non avevano forse “applicato... con rapidità sbalorditiva... concetti geopolitici che non possono essere disgiunti da un'analisi dell'attacco?”
Non appena i mormorii stupefatti nell'aula gremita di giornalisti hanno cominciato a smorzarsi, Rosenthal ha proseguito tranquillamente: “Se guardo con attenzione i risultati delle indagini attraverso le lenti dei miei occhiali, trovo anomalie che saltano subito all'occhio. A partire dalle liste dei passeggeri, che includono i nomi arabi di persone che sono tuttora piuttosto vive. E ci sono certamente altri elementi di prova che possono generare alcune ipotesi”.
Indubbiamente si può fare qualche ipotesi. Soprattutto si può fare qualche ipotesi sugli occhiali dell'avvocato Rosenthal.
Era del tutto serio, questo noto avvocato, nel suggerire che l'amministrazione statunitense, pur di perseguire i suoi obiettivi di politica estera, non si era tirata indietro nemmeno di fronte all'omicidio di massa di oltre 3000 suoi concittadini?
Il Pubblico Ministero Federale, Walter Hemberger, è rimasto senza parole. Ha detto che sperava che Rosenthal “non dubitasse davvero che Atta e i suoi compagni fossero responsabili” degli attacchi. “Se fosse così”, ha proseguito, “qui stiamo in due mondi diversi”.
L'avvocato della difesa ha cambiato rapidamente approccio, sostenendo che stava solo tentando di provocare il rilascio dei dossier che gli investigatori statunitensi avevano fino allora rifiutato di fornire alle autorità tedesche: “Non avevo assolutamente intenzione di sostenere teorie cospirative assurde”.
Tuttavia questo è precisamente ciò che ha fatto, conferendo un'aria di accettabilità sociale alle argomentazioni confuse che da mesi note case editrici stanno portando al pubblico – con considerevole successo – in cosiddetti libri di saggistica. Gli autori di questi libri teorizzano che i “maestri di scacchi geopolitici” della Casa Bianca possano aver sacrificato “due torri” per ottenere il "dominio mondiale". Essi affermano di svelare “le menzogne e contraffazioni dei mezzi di comunicazione e dei servizi segreti” e di gettare luce sul ruolo giocato dalla CIA nel terrorismo internazionale.
In sostanza, le loro analisi di alcune “irregolarità” portano a quello che loro definiscono un “convincente modello alternativo dell'operazione 11 settembre”. La conclusione ovvia: l'amministrazione USA allestì essa stessa l'attacco terroristico o almeno ne permise consapevolmente lo svolgimento.
Nel suo libro “Operazione 11/9 – Attacco Globale”, Gerhard Wisnewski, dipendente della rete televisiva tedesca ARD, presenta presunte prove a sostegno della teoria che il Pentagono fu distrutto da missili americani e che nessun aereo si schiantò presso Shanksville, in Pennsylvania. L'ex-ministro tedesco Andreas von Bülow (“La CIA e l'11 settembre”), dello stesso parere, sospetta che le torri del World Trade Center possano essere state fatte esplodere dall'interno. Mathias Bröckers, ex giornalista di Taz [un periodico tedesco, N.d.T.], vede George Bush Jr. come la “vera reincarnazione di Hitler” e per questa ragione lo crede capace di praticamente qualsiasi nefandezza.
Queste presunte rivelazioni hanno avuto successo presso il pubblico. A Wisnewski è stato permesso di presentare al pubblico le proprie ipotesi da veggente sotto forma di un documentario trasmesso dalla rete televisiva tedesca WDR. Il libro di von Bülow ha raggiunto il terzo posto nella classifica dei bestseller di Spiegel in poche settimane, e sono state tirate più di 100.000 copie del primo libro cospirazionista di Bröcker, rendendolo il prodotto di maggior successo di vendita per la casa editrice Zweitausendeins Verlag da anni a questa parte. Il seguito è disponibile da luglio e ci si aspetta che sia anch'esso molto redditizio.
Anche i risultati di un sondaggio condotto da Forsa [una società di ricerca statistica tedesca, N.d.T.] indicano che questa “corsa sfrenata di una fantasia costruttivista senza limiti” (Neue Zürcher Zeitung [un noto quotidiano svizzero, N.d.T.]) è divenuta un autentico sport popolare in Germania. In base a questo sondaggio, un quinto dei tedeschi oggi crede “che il governo americano potrebbe aver ordinato esso stesso gli attacchi dell'11 settembre”. Il 29% degli intervistati della Germania orientale e ben il 31% dei tedeschi sotto i trent'anni credono a questa affermazione.
Anche in altri paesi il mondo sembra essere impazzito. In Francia, lo scrittore Thierry Meyssan ha venduto circa 200.000 copie del suo libro intitolato "L'Effroyable imposture” (nella versione tedesca “La messa in scena del terrorismo" [in quella italiana “L'incredibile Menzogna”, N.d.T.]). Su Internet, migliaia di siti web offrono a una banda internazionale di investigatori dilettanti la possibilità di fantasticare sulle supposte “verità” che si celano dietro la versione “ufficiale”.
Il peggior atto di terrorismo della storia sta entrando nell'atmosfera rarefatta di quella mitologia in cui Elvis è vivo, John F. Kennedy cadde vittima di una cospirazione che coinvolgeva la mafia e agenti dei servizi segreti, lo sbarco sulla Luna fu messo in scena nel deserto del Nevada e la principessa Diana fu assassinata dai servizi segreti britannici.
E' una rassegna dell'assurdo, eppure è ben radicata nel nostro mondo. Lo storico Dieter Groh scrive che i teorici della cospirazione “rappresentano una tentazione costante per tutti noi” perché sono una costante nella storia occidentale. Secondo Groh, “la sequenza storica prima della Rivoluzione Francese è costituita da ebrei, eretici e streghe, seguita da ebrei, comunisti, capitalisti e servizi segreti” dopo il 1789, l'anno della Rivoluzione.
Per quanto siano variegate queste teorie e i loro seguaci, condividono un modello di pensiero di base: le grandi tragedie devono avere grandi cause. Secondo questo schema di pensiero, sarebbe impossibile per un piccolo gruppo di islamici infliggere un colpo a sorpresa così duro alla superpotenza degli Stati Uniti, con tutte le sue armi e servizi segreti.
“La cosa meravigliosa di una teoria cospirativa è che ti permette di capire tutto perfettamente”, dice lo studioso di politica americano Michael Barkun, nel tentativo di spiegare il ricorrente successo delle teorie cospirative. “Ti rivela che tutto il male del mondo può essere attribuito a una singola causa e che LORO, chiunque essi siano, sono questa causa”.
Naturalmente, LORO – gli americani, nel caso dell'11 settembre – rendono facile il compito per chi ha molta fantasia. Questo avviene perché le teorie cospirative, dice Groh, prendono piede soltanto quando vengono a contatto con la realtà. Per garantire che il loro “meccanismo funzioni correttamente, devono innestarsi sullo schema interpretativo prevalente di un gruppo, una nazione, una cultura o una religione così come una chiave si innesta in una serratura”.
Dopotutto, non hanno forse Bush e Blair ingannato i loro stessi concittadini, le Nazioni Unite e il resto del mondo con scenari di minacce falsificate o esagerate per rendere più semplice l'invio dei loro soldati in Iraq? E che dire del Vietnam, dell'affare Iran-Contra e del supporto statunitense a bin Laden e ai talebani quando combattevano l'esercito sovietico in Afghanistan?
E che dire di piani come l'“Operazione Northwoods” – un complotto escogitato nel 1962 dall'alto comando americano? Secondo questo piano, un aereo passeggeri che volava sui Caraibi sarebbe stato sostituito da un aereo identico ma teleguidato. L'aereo sarebbe stato fatto esplodere e Cuba accusata di averlo abbattuto. Anche questa cospirazione era forse frutto della fantasia di qualcuno?
Tutte queste supposte cospirazioni sono esistite, ma sono fallite tutte. Il piano Northwoods fu cancellato da Kennedy, l'accordo Iran-Contra cadde e i suoi attori principali furono smascherati, e il fatto che gli americani fornissero assistenza alla guerriglia afghana semplicemente mise in evidenza un dilemma persistente della base concettuale spesso disastrosa della politica estera americana, basata sul principio che il nemico del mio nemico è mio amico.
Bröckers evidenziò già nel suo primo libro che, a suo modo di vedere, il grande burattinaio dietro l'11 settembre era George W. Bush, che cominciò “la sua ascesa al ruolo di grande leader con una finzione ideologica”, quella della “cospirazione globale alqaedista e binladenista”. Secondo Bröckers, Bush trasformò gli islamici in babau “con l'aiuto di un sistema organizzato sostanzialmente come una società segreta”.
I terroristi zombi
Il modo in cui circostanze banali possono trasformarsi in oscuri misteri in certe condizioni è evidente nella strana storia che ha spinto l'avvocato di Mzoudi, Rosenthal, a lasciarsi in ipotesi in tribunale la notizia che almeno sei dei presunti dirottatori era ritenuti vivi e che le loro voci venissero trasmesse da varie emittenti numerosi dopo gli attacchi.
Il 12 settembre, si dice che un settimo uomo abbia contattato il proprio padre. Il suo nome era Mohammed Atta. Il padre di Atta, un avvocato del Cairo, non ha più avuto notizie da suo figlio da allora ed è convinto che sia stato ucciso da sicari americani. Con o senza Atta, per i sedicenti investigatori alternativi la teoria dei terroristi zombi funge da prova chiave di oscure macchinazioni delle autorità americane.
“Questo”, dicono Bröckers e il suo coautore Andreas Hauß, in quello che la quarta di copertina chiama un libro basato su ricerche eseguite “meticolosamente”, “ha... conseguenze di lunga portata per l'intera vicenda, perché mette completamente in dubbio chi realmente pilotasse gli aerei”.
Quanto sia traballante questo ragionamento diviene evidente in un'affermazione appena tre righe più sotto. “Noi”, scrivono gli autori, “non li abbiamo contattati o intervistati personalmente, né lo sono stati da altri, di recente”. Gli autori proseguono sostenendo che sia possibile che i non morti siano ora in realtà morti. Secondo loro, se queste persone sono vive, dev'essere perfettamente comprensibile che qualcuno “accusato di diverse migliaia di omicidi” si nasconda "e non sia disponibile per interviste".
Bröckers e Hauß dedicano quindici pagine a rendere apparentemente plausibile la loro versione del racconto degli assassini suicidi; Bülow fa la stessa cosa in cinque pagine. Eppure basta qualche telefonata per distruggere le loro teorie degli zombi. Ciò che questi giornalisti investigatori avrebbero dovuto fare è ascoltare per un momento coloro che essi stessi citano come fonti “credibili” delle loro argomentazioni. Prendiamo la BBC, per esempio, che in effetti il 23 settembre 2001 riferì che alcuni dei presunti terroristi erano vivi e in buona salute e avevano contestato il fatto di essere stati additati come assassini.
Ma c'è un dettaglio. Il giornalista della BBC responsabile dell'articolo ricorda questo supposto scoop soltanto dopo che gli viene detta la data in cui fu pubblicato. “No, non avevamo alcun filmato o fotografia di queste persone a quell'epoca”, dice, e ci informa che il servizio fu basato su articoli apparsi in giornali arabi come Arab News, un giornale saudita in lingua inglese.
L'operatore del centralino ha il numero dell'Arab News in memoria. Chiamiamo Gedda, in Arabia Saudita. Pochi secondi e il direttore John Bradley è in linea. Quando gli raccontiamo la nostra storia, sbuffa e dice: “E' ridicolo! La gente qui ha smesso da molto tempo di parlare di questa vicenda”.
Bradley ci dice che all'epoca i suoi reporter non avevano parlato direttamente con i cosiddetti “sopravvissuti”, ma avevano invece messo insieme articoli tratti da altri giornali arabi. Questi articoli, dice Bradley, uscirono quando l'unica informazione disponibile sugli aggressori era una lista di nomi che l'FBI aveva pubblicato il 14 settembre. L'FBI pubblicò fotografie soltanto quattro giorni dopo l'uscita degli articoli, il 27 settembre.
Le fotografie chiarirono rapidamente la sciocchezza riguardante i terroristi sopravvissuti. Secondo Bradley, “tutto ciò si può attribuire al caos che prevalse durante i primi giorni successivi all'attacco. Qui abbiamo a che fare con nomi identici per coincidenza”. In Arabia Saudita, dice Bradley, i nomi di due dei presunti terroristi sopravvissuti, Said al-Ghamdi e Walid al-Shari, sono "comuni quanto John Smith negli Stati Uniti o in Gran Bretagna."
La spiegazione finale viene fornita dal giornale Asharq Al-Awsat, una delle fonti di Arab News, a sua volta utilizzata dalla BBC. Mohammed Samman è il reporter che intervistò a Tunisi un uomo di nome Said al-Ghamdi, per poi scoprire che al-Ghamdi era decisamente inorridito all'idea di scoprire il proprio nome sulla lista di assassini dell'FBI.
Samman ricorda bene quella che fu per lui uno scoop. “Fu una storia fantastica”, dice. E fu solo quello. Non c'entra niente con la versione costruita dalle fantasie combinate di Bröckers e Bülow.
“Il problema”, dice Samman, “fu che dopo che era stata pubblicata la prima lista dell'FBI, la CNN rilasciò una foto del pilota di nome Said al-Ghamdi che era stata ottenuta dagli archivi dei piloti sauditi che avevano, in un momento qualsiasi, ricevuto addestramento formale al volo negli Stati Uniti."
Un'immagine della CNN del 16 settembre 2001 mostra a sinistra la foto errata di Saeed AlGhamdi.
Un fotogramma tratto da un documentario della rete televisiva Arte mostra più chiaramente la foto errata di Saeed al-Ghamdi.
Dopo che la storia di Samman fu riportata dalle agenzie di stampa, fu contattato dalla CNN. “Diedi loro il numero di telefono di Ghamdi. Quelli della CNN parlarono col pilota e si scusarono profondamente. Tutta la faccenda era chiaramente un fraintendimento. La famiglia Ghamdi è una delle più grandi in Arabia Saudita e ci sono migliaia di uomini di nome Said al-Ghamdi."
Quando chiediamo a Samman di dare un'altra occhiata alla lista delle fotografie dell'FBI, è più che lieto di farlo, e ci dice: “Il Ghamdi della foto non è il pilota con cui io parlai”.
A sinistra, il pilota Saeed al-Ghamdi (quello innocente e ancora vivo); a destra, il Saeed al-Ghamdi accusato dall'FBI.
Quei giornalisti investigativi avrebbero dovuto essere in grado di capire quanto fosse semplice la soluzione del rebus. Scrissero tutti che un uomo di nome Abd al-Asis al-Umari era stato indicato come responsabile dall'FBI e che c'erano, a quanto pareva, molti individui con quel nome. Bröckers e Hauß avevano persino notato che l'FBI aveva inizialmente rilasciato alla stampa un nome inesatto. Tutto ciò sicuramente suggerisce che ci fosse stato un fraintendimento, ma è anche qualcosa che i teorici della cospirazione a quanto pare non considerano plausibile.
Nel caso del presunto terrorista sopravvissuto Walid al-Shari, la verità è ancora più ovvia. Almeno von Bülow avrebbe avuto modo di evitare questo errore. Nel suo libro, scrive che il presunto assassino Shari “vive a Casablanca e lavora come pilota, in base alle informazioni fornite dalla compagnia aerea Royal Air Maroc”.
Se von Bülow si fosse informato presso la compagnia aerea, avrebbe scoperto che il nome del pilota che vive a Casablanca è Walid al-Shri e non Walid al-Shari, come quello dell'assassino [le grafie in caratteri occidentali sono variabili, ma quella usata ufficialmente è Waleed Alshehri (N.d.T.)]. Questo dettaglio secondario fa una grande differenza, ovvero la differenza tra un terrorista morto e un innocente vivo. Ma per i teorici della cospirazione, scoprire la verità è come risolvere un cruciverba per bambini: animale domestico, quattro lettere? Gtto.
In alto, il pilota saudita Waleed al-Shehri che chiamò la stampa per dichiarare la propria innocenza e di essere ancora vivo; in basso, il Waleed al-Shehri accusato dall'FBI. Si noti che i loro secondi nomi sono differenti (rispettivamente Ahmed e Mohammed).
Tutto ciò che non calza viene adattato, e tutto ciò che calza viene preso senza verifica. “L'accettazione acritica di qualsiasi argomentazione che suggerisca una cospirazione” è una pietra angolare di tutte le teorie cospiratorie, scrive lo storico conservatore americano Daniel Pipes. “I teorici della cospirazione partono dalle conclusioni e poi cercano ragioni per liquidare tutto ciò che non vi si adatta”. Chi ha in mano un martello tende a vedere chiodi ovunque.
Charles Ward, ex collaboratore di Jim Garrison, il principale teorico della cospirazione sull'omicidio Kennedy, descrive il funzionamento di questo metodo come segue: “Garrison ipotizzava una conclusione e quindi organizzava i fatti. E quando i fatti non quadravano, amava sostenere che erano stati alterati dalla CIA”.
Questo metodo di trovare cospirazioni dove non ce ne sono è stato utile anche ai teorici della cospirazione dell'11 settembre. Diversamente, si potrebbe semplicemente aggiungere che la ragione per cui molte notizie controverse non sono riemerse è che sono già state chiarite, come dimostra la storia degli “assassini viventi”. Non è un segreto, ma è anzi una lezione importante a proposito di un mercato dell'informazione altamente competitivo, nel quale i giornalisti hanno copiato l'uno dall'altro pur di non lasciarsi sfuggire neppure un pezzo, e alla fine hanno sbagliato tutti; e tutti avevano messo da parte gli scrupoli.
A questo punto la vicenda sembra restare in vita solo là dove Bröckers, von Bülow e simili a quanto pare preferiscono cercare le loro informazioni: nella “memoria globale di Internet, che, nei suoi archivi, registra, colleziona e fornisce accesso a tutte queste briciole scartate” (Bröckers/Hauß).
Ed è soltanto là, dove il vecchio e il nuovo, l'errato e l'esatto sono posti su uno stesso piano, che questo genere di notizie sembra avere ancora l'attualità dalla quale questi autori confezionano i loro sospetti e le loro accuse.
(continua)
7 commenti:
Nel settembre del 2003
Solo questo vorrei sottolineare.
C'è in giro gente che va borbottando di "spezzare i muri del silenzio".
C'è in giro gente che va vantando "anni di ricerca".
Nel settembre del 2003, quando "Der Spiegel" pubblicò questo articolo, tutte le principali tesi cospirazioniste già circolavano.
E già avevano trovato spiegazioni e smentite.
umm mi sorge spontanea una domanda: con che accuratezza un governante riesce ad avere informazioni per decidere come agire? Come dimostrare che è o non è pregiudizievole nell'utilizzo delle fonti?
In campo internazionale fonti di informazione sono gli ambasciatori, le statistiche di vari enti, gli osservatori internazionali,...forse i giornalisti con i loro scoop.
Ma se uno di questi fosse un novello Giulietto Chiesa, tutto cadrebbe come un castello di carte.
Non credo ci sia una ricetta unica in merito, ma di solito si procede per controlli incrociati, riscontri indipendenti e controlli di coerenza e compatibilità scientifica.
Chiaramente, un governante in malafede può fabbricare una storia o un'accusa. Ma quell'accusa viene poi sottoposta al vaglio del pubblico, della stampa e dei governi oppositori. Non è facile costruire una falsità senza finire smascherati, e più è complessa, più è facile finire smascherati per autocontraddizione o perché qualcuno spiffera. Si veda la questione delle armi di distruzione di massa in Iraq o anche la questione Iran-Contra citata nell'articolo, giusto per fare qualche esempio.
>Per tutti costoro abbiamo una sola
>domanda: se la sentono di accusare i
>giornalisti di Der Spiegel di far
>parte della cospirazione?
certo che se la sentono!
certo che se la sentono!
In tal caso, avranno soltanto se stessi a cui dare la colpa del loro fallimento.
bhe... accusano tutti, sono fatti così :D
Attivissimo pagato dalla Cia.
Giulietto Chiesa che accusa Gli USA di impedire alla stampa Europea di assistere a Zero ( al parlamento europeo).
ecc. ecc.
Chiaramente, un governante in malafede può fabbricare una storia o un'accusa. Ma quell'accusa viene poi sottoposta al vaglio del pubblico, della stampa e dei governi oppositori. Non è facile costruire una falsità senza finire smascherati, e più è complessa, più è facile finire smascherati per autocontraddizione o perché qualcuno spiffera. Si veda la questione delle armi di distruzione di massa in Iraq o anche la questione Iran-Contra citata nell'articolo, giusto per fare qualche esempio.
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Non credo che governi oppositori siano una buona fonte di verifica, anche perchè c'è una forte differenziazione fra i paesi democratici in cui si può arrivare a scrivere poesie di ode ad Osama Bin Laden senza venire arrestato, ed i paesi non democratici in cui vige una sola linea di pensiero, ed il carcere per tutte le altre opinioni.
Iran ed Iraq non li userei così a cuor leggero.
Anche nel primo intervento verso l'Iraq intervenì la disinformazione e si disse erroneamente che non c'era il tanto paventato supercannone con cui Saddam voleva distruggere Israele.
Quanto a distruggere Israele, non occorre ricordare chi oggi minaccia di farlo ad ogni uscita pubblica, senza alcuna critica da parte del popolo dei 9/11trutter. Anzi, Mazzucco una volta ha pure tentato di difendere un discorso pubblico di Amadinejad.
Infine ad osservare bene non sembra che dai governi europei si sollevi chissà quale critica contro il mancato ritrovamento di armi di distruzione di massa (tra l'altro per uno stato americano PNAC-style secondo la visione dei 911trutter sarebbe stato estremamente semplice creare false prove portando qualche barile di sostanze nocive).
Le critiche verso il mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa vengono per ora mosse dallo stesso gruppo politico che segue la filosofia del "dubito, quindi è" riguardo alla questione 9/11.
Ad esser sinceri pare quindi più probabile nel caso di regimi illiberali ottenere informazioni contraffatte più che certe e verificate. Considerando che la disinformazione, cioè la non-informazione, vige dove ci sono notizie non verificate, adultere, marchiate dalla mancanza di fatti, è evidente come questa agisca sia che si debba giudicare, o decidere come agire.
Insomma chi si basa su Zero ricerche è favorito dalle questioni che si svolgono in una dittatura, dove di per se l'informazione non è libera, tanto che magari può pure fare una sontuosa carriera giornalistica ed acquisire un nome/fama.
Al contrario se la questione riguarda un evento accaduto in uno stato in cui vi è libertà di stampa, anche se vige il sigillo del segreto di stato, bene o male possono essere reperiti dei fatti utili per confermare o sbufalare una teoria.
Al momento credo così, tuttavia mi rendo contro della difficoltà di trasporre tali affermazioni alla generalità delle questioni internazionali.
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