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2014/10/27

Il volo Delta 1989

di Hammer

Tra i casi di “falso allarme” che si sono verificati l'11 settembre 2001, quello relativo al volo Delta 1989 è sicuramente il più noto e ne parla anche il 9/11 Commission Report.

La mattina dell'11/9 tre Boeing 767 decollarono dall'aeroporto Logan di Boston con destinazione Los Angeles; due di questi, i voli American Airlines 11 e United Airlines 175, si schiantarono contro le Torri Gemelle del World Trade Center tra le 8:46 e le 9:03. Alle 9:19 il centro di controllo di Boston informò l'FAA che un terzo velivolo, il volo Delta 1989, corrispondeva alla descrizione dei primi due e che poteva quindi essere anch'esso stato dirottato. Il centro di comando del NEADS di Cleveland, nel cui spazio aereo il volo si era nel frattempo spostato, e la FAA iniziarono a tenere sotto controllo il volo 1989 e la stessa FAA ordinò al centro di controllo di Cleveland di chiedere al volo Delta 1989 di aumentare la sicurezza nella cabina di pilotaggio. Anche il centro di controllo di Boston tentò di contattare il volo Delta 1989, ma non ottenne risposta in quanto l'equipaggio era in contatto con Cleveland, ma questo semplice errore da parte dei controllori di Boston bastò ad aumentare l'allarme.

Poco dopo, alle 9:28, uno dei controllori di volo di Cleveland credette di aver sentito due frasi molto allarmanti provenire dal volo Delta: “Get out of here” e “We have a bomb on board”. In realtà queste comunicazioni provenivano dal volo United 93, che si sarebbe poi schiantato a Shanksville e che in quel momento si trovava a sole 25 miglia dal volo Delta. Nel dubbio il NEADS ordinò di far decollare dei caccia dall'Ohio e dal Michigan per intercettarlo. A seguito di un nuovo contatto da parte dei controllori di Cleveland, il pilota confermò che non c'era alcuna attività sospetta sull'aereo e chiese di poter atterrare proprio nell'aeroporto di Cleveland. Stando a quanto riportato da USA Today, la richiesta del pilota generò nuovi allarmi e sorpresa tra i controllori, che non capivano per quale motivo il pilota chiedesse di atterrare prima che fosse diffuso l'ordine dell'FAA di liberare lo spazio aereo. Fu poi chiarito che anche la Delta Air Lines ebbe gli stessi dubbi riguardo alla possibilità che il proprio volo fosse dirottato e chiese quindi al pilota di cercare di atterrare nell'aeroporto più vicino.

Importanti dettagli sul volo e sull'atterraggio del Boeing 767 si possono leggere sul sito 50 Shades of Grey Watson, che pubblica un'email inviata da un amico del gestore del sito, che si trovava proprio sul volo Delta 1989. L'autore dell'email aggiunge infatti che il capitano aveva comunicato attività preoccupanti tra i passeggeri in quanto una persona stava parlando al cellulare in quella che sembrava una comunicazione urgente e rifiutava di interromperla nonostante i ripetuti richiami dell'equipaggio.

Il volo atterrò a Cleveland su ordine dell'FAA e fu subito fatto spostare in una zona isolata dell'aeroporto. Dopo un'attesa di oltre due ore, durante la quale ai passeggeri fu concesso di effettuare solo brevi telefonate per un periodo di tempo limitato, un gruppo di agenti dell'FBI con cani antibomba salì sull'aereo e dopo una lunga ispezione ai passeggeri fu consentito di scendere. Gli effetti personali dei passeggeri furono controllati in dettaglio mentre i passeggeri stessi venivano interrogati per oltre tre ore all'interno dell'aeroporto.

Al termine di tutte le verifiche si capì che si era trattato soltanto di un colossale errore e che non vi era mai stata alcuna attività sospetta sul volo Delta 1989.

Ovviamente questa vicenda ha da sempre stimolato la fantasia dei complottisti, che lo hanno immaginato parte dell'immenso complotto. Secondo il video Loose Change, per esempio, il volo Delta 1989 fu sostituito a United 93 e servì a far scendere i conniventi passeggeri di quest'ultimo e a farlo così sparire dai tracciati.

Inutile sottolineare che secondo queste assurde e infondate teorie i parenti delle vittime di United 93 che negli anni hanno raccontato la propria storia sarebbero prezzolati disinformatori, ed è anche inutile rimarcare che gli scenari immaginati dai complottisti, secondo cui i voli che generano sospetto possono essere abbattuti in pochi minuti, sono solo frutto di menti troppo fantasiose.

2014/05/18

Il caso del volo Korean Air 85

di Hammer

Uno degli aspetti meno noti dell'11/9/2001 riguarda quanto accaduto al volo Korean Air 85, un Boeing 747 della compagnia di bandiera sudcoreana decollato da Seul con destinazione New York. Durante il tragitto era prevista una sosta ad Anchorage, in Alaska, per il rifornimento di carburante, ma mentre il velivolo si stava avvicinando al confine statunitense, a causa di un errore di comunicazione, fu scambiato per un aereo dirottato e le forze armate degli Stati Uniti si stavano predisponendo all'eventualità di abbatterlo. Il Boeing aveva a bordo circa 200 passeggeri.

A quasi 13 anni di distanza la dinamica di quanto successo è ancora molto confusa e in rete si trovano dettagli fortemente discordanti. La notizia fu riportata nel 2002 da varie testate tra cui Usa Today, CNN e The Globe and Mail, ma per un'analisi il più possibile attendibile ci dobbiamo affidare alle interviste a due controllori di volo, Rick Wilder e Dave Connett, pubblicate dall'Alaska Public Media nel 2011.

Le diverse fonti concordano nel ritenere che il problema nacque quando nelle comunicazioni tra l'equipaggio del volo e l'ARINC, società a cui le compagnie aeree affidano lo scambio di messaggi con gli equipaggi dei velivoli di linea, questa ricevette alle 11:08 (orario della costa orientale) un messaggio contenente le lettere "HJK" che nella concitazione e nel caos di quella giornata vennero interpretate come comunicazione di un avvenuto dirottamento. L'ARINC ne informò prontamente l'FAA che a sua volta ne informò il NORAD e il centro di controllo di volo di Anchorage. Il NORAD inviò due caccia F-15 dalla base di Elmendorf ad affiancarlo e quanto accadde dopo che il velivolo entrò nello spazio aereo dell'Alaska intorno alle ore 13 è oggetto di racconti discordanti.

Alcune fonti, tra cui Usa Today, riportano che il pilota del volo Korean Air 85 inserì di sua iniziativa nel transponder il codice 7500, che indica un dirottamento in corso, invece entrambi i controllori sostengono di aver ricevuto ordine di chiedere al pilota di inserire tale valore. I racconti dei due controllori non collimano su chi dei due impartì l'ordine al pilota in quanto entrambi sostengono di essere stati i primi a farlo. Tuttavia entrambi asseriscono di essere rimasti molto sorpresi dall'aver ricevuto una simile richiesta in quanto a nessuno dei due era mai successo nel corso della loro esperienza di dover chiedere a un pilota di inserire il codice 7500. Connett chiarisce però che, nonostante lui non lo sapesse, questo era previsto dalla procedura dell'FAA per verificare che un eventuale dirottamento fosse veramente in atto.

Infatti lo scenario di dirottamento previsto prima dell'11/9 era che il pilota rimanesse ai comandi e si ritrovasse il dirottatore a puntargli un'arma per obbligarlo a ubbidirgli. La torre di controllo, in caso di sospetto dirottamento, doveva chiedere al pilota di inserire il codice 7500; se l'aereo fosse stato davvero dirottato il pilota doveva eseguire l'ordine così confermando l'avvenuto dirottamento inserendo un valore di cui difficilmente il dirottatore poteva conosce il significato, in caso di falso allarme il pilota avrebbe invece dovuto specificare che non era necessario inserire il 7500 in quanto non era in corso alcun dirottamento.

Il pilota del volo Korean Air 85, evidentemente ignorando la procedura, inserì il codice 7500 nel transponder, così aumentando l'allarme già in corso. Temendo quindi un quinto schianto suicida, la torre di controllo ordinò al pilota di non proseguire verso la popolosa città di Anchorage ma di atterrare a Whitehorse, nella provincia canadese dello Yukon. Nel frattempo, comunque, il governatore dell'Alaska ordinò l'evacuazione degli alberghi più grandi e degli edifici governativi di Anchorage.

Connett racconta di aver incontrato ripetute resistenze da parte del pilota ad allungare il proprio tragitto fino a Whitehorse e di essere riuscito a convincerlo solo dopo numerosi tentativi. Wilder aggiunge che il pilota comunicò di avere solo 65 minuti di autonomia e che il tragitto fino a Whitehorse sarebbe durato 50 minuti, l'atterraggio sarebbe quindi avvenuto con soli 15 minuti di autonomia residua. Il motivo delle resistenze del pilota è forse da individuarsi proprio nella scarsezza di carburante residuo e anche nel fatto che l'aeroporto di Whitehorse si trova in mezzo alle montagne (foto accanto) e l'atterraggio con un 747 può essere difficoltoso.

Il comando del NORAD di Winnipeg aveva acconsentito a fare entrare il volo Korean Air 85 nello spazio aereo canadese affiancato dai caccia F-15 statunitensi insistendo però che un eventuale abbattimento avrebbe dovuto essere deciso dal governo canadese. Come riportato da The Globe and Mail, l'allora Primo Ministro del Canada, Jean Chrétien, fu raggiunto da una telefonata e disse che in caso di accertato dirottamento sarebbe bastato chiamarlo di nuovo perché autorizzasse l'abbattimento.

Senza ulteriori complicazioni il velivolo atterrò a Whitehorse dove dei cecchini erano posizionati sui tetti degli edifici e dove i gendarmi canadesi della Royal Canadian Mounted Police attendevano l'aereo sulla pista. Secondo quanto riportato dall'Anchorage Daily News (che dedicò alla vicenda due articoli: uno e due) i Mounties entrarono nella cabina di pilotaggio con le armi spianate e fecero dapprima scendere il Primo Ufficiale tenendolo sotto tiro e poi il resto dell'equipaggio a cui fu ordinato di tenere le mani alzate in modo che potessero essere perquisiti. Dopo aver interrogato i piloti i Mounties chiarirono che si era trattato solo di un errore di comunicazione tra l'equipaggio e i controllori di volo.

Episodi come questo dimostrano quale caos regnasse l'11/9 nel NORAD, nell'FAA e tra i controllori di volo e mentre oggi, a distanza di 13 anni, è chiaro e noto che i voli dirottati fossero quattro e tutti decollati dagli Stati Uniti quel giorno non lo era e qualunque situazione poco chiara poteva essere interpretata come una minaccia. Inoltre un caso del genere mostra che gli scenari da Far West dei cieli in cui al minimo segnale un velivolo viene affiancato e abbattuto in pochi minuti ipotizzati dai complottisti sono solo il frutto della fantasia di chi ha visto troppi film d'azione.

2011/12/14

Cheney ordinò l'abbattimento del Volo 93. “Ordinare” non significa “abbattere”

di Paolo Attivissimo, con il contributo di ZeusBlue. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

C'è un certo clamore per una recente dichiarazione di Dick Cheney nella quale l'ex vicepresidente degli Stati Uniti afferma chiaramente di aver ordinato, l'11 settembre 2001, l'abbattimento del volo United 93, l'aereo dirottato precipitato in Pennsylvania.

Alcuni cospirazionisti hanno accolto con entusiasmo questa dichiarazione, considerandola un'ammissione delle menzogne della “versione ufficiale” da loro teorizzate in questi dieci anni.

Una confessione che smentisce in tronco la versione ufficiale della Casa Bianca rimasta in piedi fino a questa intervista secondo cui, il volo non sarebbe mai arrivato a destinazione grazie alla ribellione dei passeggeri che dopo aver capito la loro sorte decisero di sacrificarsi per evitare altre morti afferrando i comandi e dirigendo l'aereo contro il suolo. Una sorta di favola bella che in quelle ore di panico puro del 2001 fece molto bene all’opinione pubblica rinsaldando spaccature e accrescendo il senso patriottico contro il nemico “terrorismo”.

– Marirosa Barbieri, Primadanoi.it, 6/12/2011

Ieri Cheney ha dichiarato a Fox Tv che è stato lui a dare l'ordine di abbattere il quarto aereo. Segnalalo a quel certo Attivissimo che giura sulla versione ufficiale.
E mettiloo in caldo insieme alle altre tue "prove scientifiche".

– Giulietto Chiesa, Il Fatto Quotidiano, 12/11/2011

Ma va sottolineato, per chi si facesse prendere dalla foga così tanto da dimenticare cose basilari come il significato delle parole, che ordinare l'abbattimento di un aereo non significa abbatterlo. Ordinare non è lo stesso che fare. Per esempio, chiunque può ordinare al Sole di fermarsi, ma questo non implica avere successo nell'impresa (salvo rare eccezioni bibliche).

Nella sua recente dichiarazione a Fox News, citata come presunta prova di menzogna, Cheney afferma semplicemente che diede l'ordine. Non dice affatto che l'ordine fu eseguito con successo. Eccola infatti in originale:


La trascrizione completa dell'intervista, rilasciata a Fox News il 4 settembre scorso, è disponibile sul sito dell'emittente.

Le nuove affermazioni di Cheney, in sostanza, sono ininfluenti per la ricostruzione storica degli eventi. Era già ben noto (e quindi non "smentisce in tronco la versione ufficiale") che Cheney trasmise l'ordine, proveniente a suo dire dal presidente Bush, di abbattere gli aerei di linea civili che non avessero risposto all'ordine di atterrare l'11 settembre.

Chi presenta come “confessione” questa dichiarazione in realtà smentisce in tronco non tanto la “versione ufficiale”, quanto le tesi cospirazioniste di stand-down, secondo le quali Cheney avrebbe dato l'ordine contrario, ossia di non abbattere l'aereo diretto contro il Pentagono.

L'unico aspetto significativo di questa notizia è l'ennesima dimostrazione della disinvoltura dei sostenitori delle tesi alternative nell'interpretare le dichiarazioni per piegarle alle proprie tesi e nel contraddirsi da soli.

2009/05/12

2009: aereo di linea attiva segnale di dirottamento, non viene abbattuto

di Paolo Attivissimo

Esiste una diffusa mitologia secondo la quale già prima dell'11 settembre vi fosse l'ordine di abbattere senza esitazione gli aerei di linea fuori rotta o che risultassero dirottati. Questo non è vero neppure oggi, dopo gli attentati che hanno inasprito le regole di gestione degli eventi aerei.

Una dimostrazione eloquente del reale stato delle cose è avvenuta l'11 maggio 2009. Il volo American Airlines 535, un Boeing 737 con oltre 150 passeggeri a bordo, era in arrivo da San Juan, in Portorico, quando in cabina di pilotaggio è stata inavvertitamente commutata la frequenza del suo transponder, regolandola su quella da utilizzare in caso di dirottamento.

L'aereo è stato intercettato dai caccia della Homestead Air Force Base, ma non è stato abbattuto, bensì scortato fino ad atterrare in un'area isolata dell'aeroporto internazionale Miami, dove la polizia ha messo in sicurezza il velivolo. Non ci sono stati feriti.

(fonte: AP tramite KJRH)

2008/08/10

Volo 93: quel "jet bianco" visto dai testimoni

di Paolo Attivissimo con il contributo di Ice Rocket

Alcuni testimoni videro un "jet bianco" aggirarsi nelle vicinanze dell'area d'impatto del Volo 93, e la circostanza è stata ritenuta sospetta dai cospirazionisti.

Come spiegato a suo tempo nel libro 11 settembre: i miti da smontare, traduzione italiana di Debunking 9/11 Myths di Popular Mechanics, si trattò di un aereo privato che passava in quella zona e al quale fu chiesto di scendere di quota per vedere cosa era successo al Boeing 757 dirottato. L'aereo passò più volte sulla verticale del punto d'impatto per acquisirne le coordinate geografiche esatte e comunicarle ai controllori di volo, che le fornirono poi ai soccorritori. Ecco come ne parla appunto I miti da smontare:

Almeno sei testimoni oculari affermano di aver visto un piccolo jet bianco che volava a bassa quota sopra l’area d’impatto pochi istanti dopo che era precipitato il Volo 93... C’era davvero un jet di questo genere nelle vicinanze: un jet privato commerciale Dassault Falcon 20, di proprietà della VF Corporation, una società operante nel settore dell’abbigliamento, che commercia marche come Wrangler, The North Face e altre.

L’aereo della VF, con 8 posti a bordo e di colore principalmente bianco con insegne dorate, stava volando dal quartier generale della società nella Carolina del Nord verso Johnstown, in Pennsylvania, dove la società aveva all’epoca una fabbrica. L’aeroporto di Johnstown-Cambria si trova a poco più di 30 chilometri a nord di Shanksville.

Secondo David Newell, il responsabile per i voli e i viaggi della VF, il centro della FAA di Cleveland contattò il copilota, Yates Gladwell, quando il Falcon era a una quota “di circa 3-4000 piedi”... “Stavano già scendendo in direzione di Johnstown” aggiunge Newell. “La FAA chiese loro d’indagare e così fecero. Scesero fino a 1500 piedi [circa 500 metri] dal suolo e iniziarono a volare in cerchio. Videro nel terreno una buca dalla quale usciva del fumo.” Newell afferma inoltre che l’aereo girò due volte intorno al luogo dello schianto e poi lo sorvolò direttamente per segnare l’esatta latitudine e longitudine sul sistema di navigazione del velivolo.


Il Falcon 20 è un velivolo di fabbricazione francese: la casa produttrice è attualmente nota come Dassault Aviation dal 1990, ma in precedenza era denominata Avions Marcel Dassault-Breguet Aviation. Per questo talvolta l'aereo è denominato Dassault-Breguet Falcon.

A sua volta, il nome Falcon 20 non è l'unico utilizzato per identificare il velivolo. E' infatti noto anche come Mystère 20, e le versioni per il mercato statunitense sono chiamate Fan Jet Falcon oppure, appunto, Falcon 20, per distinguerlo dalle varianti Falcon 10 (più piccola) e Falcon 50 (trigetto, più grande). La versione utilizzata dalla Guardia Costiera statunitense ha un altro nome ancora: HU-25 Guardian. Per brevità, comunque, qui verrà usato soltanto il nome Falcon 20.

Il Falcon 20 è un aereo con ala bassa a freccia, impennaggio a croce (stabilizzatore orizzontale collocato a metà della deriva) e due motori a getto collocati in gondole sporgenti dalla fusoliera verso la coda, come visibile nella foto qui accanto (fonte: Wikipedia).

La società VF Corporation ha sede a Greensboro, nella Carolina del Nord, come documentato da Indeed.com. Secondo i dati di North-carolina.aircraftdata.net e di Aircraftone.com, il tail number (numero di identificazione) del Falcon 20 della VF Corporation è attualmente N3VF363. Più precisamente, N3VF è l'FAA Registration Number e 363 è il serial number.

Immettendo questo tail number nel database della FAA, il registration number risulta confermato; lo è anche il serial number, in una pagina a parte. Il database della FAA indica inoltre che la VF Corporation non ha altri Falcon 20: possiede a proprio nome solo l'N3VF363.

In altre parole, sembra proprio che N3VF363 sia l'identificativo del "jet bianco" che i testimoni videro sorvolare il cratere d'impatto del Volo 93. Questo identificativo ci permette di trovare una foto di quello specifico Falcon 20 della VF Corporation qui. Eccola: risale al 4 marzo 2008.



Il mistero delle due pinne verticali: Susan McElwaine


I testimoni (per esempio quelli raccolti presso Historycommons.org) descrivono alcuni elementi dell'aereo che corrispondono al Falcon 20 della VF: il colore bianco con sostanziale assenza d'insegne (Brandt, Spinelli, Decker, Chaney, McElwaine, Purbaugh) e i motori situati in coda (McElwaine, Decker, Chaney).

C'è però una testimonianza, quella di Susan McElwaine pubblicata dal Mirror inglese, che descrive un particolare molto curioso, di quelli che spiccano e sembrano difficili da fraintendere: due pinne verticali ai lati.

It had two rear engines, a big fin on the back like a spoiler on the back of a car and with two upright fins at the side. I haven’t found one like it on the Internet.

Aveva due motori posteriori, una grossa pinna sul dorso, come uno spoiler sul retro di un'auto, e con due pinne verticali di lato. Non ne ho trovato uno simile su Internet.

La signora McElwaine dice, nell'articolo, di aver cercato invano su Internet un aereo corrispondente alla sua descrizione. I teorici della cospirazione hanno invece avuto più fortuna, a quanto dicono, e hanno trovato un aereo militare che ha due motori in coda e due pinne verticali ai lati: l'A-10 Thunderbolt II, denominato familiarmente Warthog dai suoi piloti.




La teoria del Thunderbolt II è caldeggiata dal sito American Free Press e proposta da Luogocomune:



Poco importa, ai cospirazionisti, che l'A-10 non abbia la grande pinna sul dorso descritta dalla McElwaine, abbia ali diritte anziché a freccia (come quelle descritte da altri testimoni), e sia un aereo da attacco al suolo anziché un caccia atto ad abbattere altri velivoli. E' un aereo militare, perdinci, e qualche suo dettaglio quadra con la teoria cospirazionista; basta ignorare quelli che non quadrano, e si ottiene l'ennesima prova incontrovertibile del complotto.

Una volta tanto, tuttavia, sono i complottisti stessi a sbufalarsi da soli. In questo video, un complottista intervista la signora McElwaine. A 1:02, l'intervistatore mostra alla McElwaine la foto di un Falcon 20 e le chiede se ha visto qualcosa del genere. Lei risponde "No". Ma anche quando l'intervistatore le mostra la foto di un A-10, lei risponde ancora "No". Il complottista ci rimane maluccio, e la signora precisa che gli aerei che ha visto lei erano "molto alti... sembravano come quelli... io li avrei chiamati caccia perché così sembravano...". La signora conferma le ali a freccia e dice che era "semplicemente un triangolo nel cielo... era molto alto."

L'intervistatore le chiede poi conferma delle parole che le vengono attribuite in un articolo della American Free Press (che le fa dire di aver visto un A-10), e la McElwaine si mette a ridere. Descrive un oggetto "piccolo come un furgone", senza rivettature e tutto liscio, che lei in qualche modo avrebbe misurato (non è chiaro come).

La signora prosegue poi con una descrizione davvero strana della propria esperienza: dice che l'aereo precipitato le ha sfiorato l'auto, è passato sotto i fili elettrici dei pali ai lati della strada, e non faceva rumore. Non solo: lei l'ha visto schiantarsi, ma ha sentito il rumore dello schianto "due giorni dopo".

A questo punto, è abbastanza chiaro che la signora non è certo un'esperta d'aviazione, né si pretende che lo debba essere, e che la sua testimonianza non è particolarmente rigorosa. Nel video si vede che è tuttora molto commossa dal ricordo, pur essendo passati anni, e quindi non sarebbe corretto pretendere da lei una totale lucidità.

Inoltre la sua descrizione delle pinne compare, a quanto risulta, soltanto nell'articolo del Mirror, testata britannica che non brilla per rigore giornalistico, e non compare nelle altre interviste rilasciate dalla signora McElwaine. Anzi, come nota una fonte piuttosto insospettabile come il forum di Loose Change, alla signora è stato mostrato l'articolo del Mirror durante un'intervista video, e la signora ha negato di aver mai usato le parole attribuitele dall'articolo. Tutta la storia delle pinne, insomma, non ha un fondamento preciso.

C'è tuttavia una possibile spiegazione per la descrizione delle pinne verticali, sempre che la McElwaine l'abbia fatta (in sette anni di interviste, è anche possibile che l'abbia fatta e non se ne ricordi). Questa spiegazione è stata suggerita da un lettore di Undicisettembre, Ice Rocket, e potrebbe anche spiegare perché la signora, quando le viene mostrato un Falcon 20, non lo riconosce.

La signora potrebbe aver letto l'identificativo N3VF, scritto in grandi lettere sulla coda del "jet bianco", e averlo cercato su Internet. Oppure, avendo saputo che l'aereo della "versione ufficiale" era un Falcon 20 della VF Corporation, potrebbe averne cercato e trovato su Internet i dati di identificazione, come ho fatto io nella prima parte di quest'articolo.

Ma una ricerca su Internet della sigla N3VF (senza il serial number 363 aggiuntivo) produce immagini come questa:



E questa:



Queste immagini mostrano un piccolo jet bianco, con due motori in coda e ali a freccia, esattamente come descritto dai testimoni, e con la sigla N3VF e due pinne laterali (denominate winglet in gergo). Due pinne che sembrano combaciare con la descrizione della signora McElwaine.

Ma l'aereo mostrato in queste due foto non è un Dassault Falcon 20: è un Westwind della Israel Aerospace Industries. L'equivoco è dovuto al fatto che i due velivoli hanno lo stesso FAA registration number, N3VF, ma serial number differenti: 363 nel caso del Falcon 20 della VF Corporation, 324 nel caso del Westwind. Inoltre le foto del Westwind risalgono rispettivamente al 1995 e al 1997, come indicato nelle rispettive pagine Web.

La confusione fra i due modelli di velivolo è abbastanza facile: tant'è vero che questa pagina mostra la foto del Westwind, sigla N3VF, e la presenta come Falcon 20, nonostante si tratti di un sito specializzato in immagini di aerei.



Se sbagliano gli appassionati e gli addetti ai lavori, è perlomeno plausibile che si sia sbagliata la signora McElwaine.

L'ipotesi che si delinea, sia pure con prudenza, a questo punto è che la signora McElwaine abbia visto il Falcon 20, senza riconoscerlo come tale e senza memorizzarne i dettagli, e abbia poi saputo che il Falcon 20 intestato alla VF Corporation era sul posto l'11 settembre. Cercando su Internet, avrebbe trovato che l'aereo della VF Corporation aveva la sigla N3VF. Cercando questa sigla, avrebbe trovato foto di un N3VF, che però in realtà ritraevano il Westwind, e ne avrebbe notato le due pinne verticali e lo stabilizzatore orizzontale, decisamente più grande e meno a freccia di quello del Falcon e quindi facilmente interpretabile come uno spoiler.

A questo punto, secondo un processo di sovrapposizione e rinforzo retroattivo dei ricordi ben noto a chi si occupa di testimonianze, potrebbe aver applicato ai propri ricordi emotivi e confusi l'immagine nitida del Westwind e delle sue pinne. La sua descrizione, insomma, sarebbe il frutto di una rielaborazione dei ricordi falsata dalla visione di una fotografia ingannevole.

In effetti l'intervista del Mirror che cita le sue parole a proposito delle due pinne verticali risale a un anno dopo gli eventi (è datata 12 settembre 2002), per cui vi sarebbe stato il tempo per una rielaborazione di questo genere.

Le complesse dinamiche di formazione e rielaborazione dei ricordi sono descritte molto efficacemente da un articolo della BBC, che ne descrive un esempio notevole: dieci mesi dopo un incidente aereo in Olanda (quello di Bijlmer, documentato in questo articolo di Hammer), a un gruppo di persone fu chiesto se avevano visto in TV il filmato che mostrava l'impatto dell'aereo: oltre la metà del gruppo rispose affermativamente. In un sondaggio successivo, i due terzi degli intervistati confermarono di aver visto il video. Ma in realtà non esiste alcun filmato dell'impatto.

Se tutto questo è accaduto, allora ha senso che la signora non riconosca né la foto del Falcon 20, né quella dell'A-10, perché ha in mente quella del Westwind con le sue vistose pinne laterali.

Sia ben chiaro che si tratta di una congettura e non di una certezza, ma in considerazione delle stranezze del processo di generazione e mantenimento dei ricordi, non è implausibile.

2006/12/29

Difesa antiaerea al Pentagono?

di John - www.crono911.org

E' opinione piuttosto diffusa, non solo tra i cospirazionisti, che il Pentagono sia difeso da sofisticati sistemi missilistici antiaerei che, per qualche ragione, l'11 settembre 2001 non hanno funzionato nei confronti del Boeing 757 del volo AA77 che ha impattato contro l'edificio. La verità, come dimostreremo in questo approfondimento, è che il Pentagono non era difeso da nessun tipo di sistema antiaereo, e che persino se ci fosse stato un simile sistema, esso non avrebbe potuto far nulla.

La materia che andiamo a trattare è estremamente tecnica, e pertanto è necessario utilizzare documentazione di tipo professionale. In particolare, ci siamo basati su alcuni testi professionali, utilizzati dai tecnici del settore, e precisamente:
  • il Jane's Strategic Weapon Systems, un manuale che descrive tutti i sistemi difensivi posti a protezione di bersagli e aree di valenza strategica, ed i sistemi offensivi concepiti per distruggere gli stessi bersagli;
  • il Jane's Land Based Air Defence, un manuale che descrive tutti i sistemi di difesa aerea basati a terra;
  • il “Jane's Weapon Systems” (ISBN 0710608551), un manuale che descrive tutti i sistemi d'arma esistenti al mondo. Il testo è oggi fuori catalogo ma può essere ancora acquistato da Amazon;
  • il “World Defence Almanac”, una vera e propria guida tecnica alle forze armate di tutto il mondo ed ai loro equipaggiamenti.
Poiché si tratta di testi di non facile reperibilità e di costo elevato, cercheremo di indicare alcune fonti consultabili sul web che fanno uso di questa documentazione o i cui dati sono coincidenti.

Il Pentagono come obiettivo


Il Pentagono è la sede del DOD, il Dipartimento della Difesa USA, l'equivalente del Ministero della Difesa italiano: non si tratta, quindi, di un vero e proprio centro di comando operativo concepito per resistere a un'offensiva strategica nemica.

Un centro di comando di questo tipo, infatti, esiste, ed è il Comando Strategico delle forze armate americane, che comprende vari comandi tra i quali il NORAD che è competente per la difesa del Nord America ed ha sede nel cuore di una montagna, la Cheyenne Mountain di Colorado Springs.

La Cheyenne Mountain è virtualmente invulnerabile contro ogni tipo di attacco, anche nucleare, mentre il Pentagono è un normale edificio la cui costruzione risale agli anni '40, quando non esisteva alcun bombardiere ed alcun missile in grado di raggiungere Washington D.C..

Difatti negli anni '50, quando comparvero i primi missili e bombardieri intercontinentali armati di testata nucleare, fu attivato il Comando nella Cheyenne Mountain in quanto la struttura del Pentagono non consentiva alcun tipo di resistenza nei confronti di un attacco nucleare.

Infatti a nemmeno due chilometri di distanza dal Pentagono sorge il Ronald Reagan Airport, ed era previsto che tale aeroporto fosse utilizzato per l'evacuazione delle personalità in caso di attacco imminente.

Che genere di attacco poteva minacciare Washington, ed in particolare il Pentagono? Solo un attacco condotto con un missile balistico intercontinentale, ossia un ICBM (basato a terra, tempo di volo intorno ai 25 minuti) oppure SLBM (basato su sottomarini, tempo di volo di 10-15 minuti).

Gli unici bombardieri sovietici con autonomia sufficiente per colpire il territorio americano erano una manciata di grandi e lenti plurimotori a turboelica Bear, che non sarebbero mai riusciti a penetrare la difesa aerea americana, basata su una serie di radar che controllava tutto lo spazio aereo esterno degli Stati Uniti e del Canada e su numerosi caccia intercettori supersonici.

La difesa


Come abbiamo visto, i bombardieri nemici non costituivano una minaccia credibile, e potevano essere agevolmente respinti con i caccia intercettori.

Al contrario, contro i missili balistici intercontinentali (caratterizzati da una traiettoria che li porta nello spazio orbitale terrestre per poi rilasciare piccole testate nucleari che piombano sul bersaglio a una velocità di svariati chilometri al secondo) non c'era alcun tipo di difesa: il trattato ABM del 1972 aveva limitato lo sviluppo e lo schieramento di missili anti-missile, consentendo a USA e URSS la protezione di un solo punto del proprio territorio: l'URSS scelse Mosca, e schierò un sistema anti-missile ancora oggi operativo, mentre gli USA scelsero di proteggere la base aeromissilistica di Grand Forks in North Dakota, anche se poi decisero di smantellare il sistema e di rinunciare a qualsiasi protezione.

In conseguenza di questa decisione, nessuna città e nessuna base militare americana, fino ad oggi, è protetta da alcun tipo di sistema missilistico di difesa antiaerea.

I missili antiaerei americani


E' possibile, nonostante tutto questo, che il Pentagono fosse segretamente protetto da postazioni di missili antiaerei, come sostengono i cospirazionisti?

No, non è possibile, per una semplice ragione: non sarebbe possibile nascondere i missili, i loro lanciatori ed i loro sistemi di scoperta e di guida.

Gli americani non dispongono di una vasta gamma di missili antiaerei: la filosofia operativa delle forze armate americane prevede la rapida conquista della superiorità aerea contro qualsiasi tipo di nemico, e non è previsto che le proprie truppe si ritrovino nella necessità di doversi difendere da attacchi aerei nemici.

Di avviso completamente opposto è ad esempio la dottrina sovietica/russa: nel corso della guerra fredda e fino ad oggi sono stati sviluppati e schierati oltre 20 diversi tipi di sistemi antiaerei missilistici, la gran parte dei quali è tutt'ora in servizio.

Al contrario, nel 2001 gli USA disponevano soltanto di due sistemi antiaerei: il sistema Patriot ed il missile spalleggiabile Stinger.

Una batteria di missili Patriot comprende un certo numero di veicoli o rampe di lancio, un veicolo con una grossa antenna radar per la scoperta dei bersagli e la guida dei missili, una stazione di comando e controllo, una stazione di comunicazione per assicurare il collegamento tra i vari elementi della batteria ed una stazione per la produzione di energia elettrica. Poiché l'antenna radar non è rotante, ma piana e fissa, e quindi copre solo un settore di spazio aereo, ci vogliono almeno due batterie per assicurare una protezione su 360 gradi.

Alcuni elementi di una batteria Patriot.


E' impossibile tenere nascosto un simile apparato, che peraltro richiede ore per la dislocazione e la messa in opera. Se il Pentagono fosse stato protetto da una o più batterie di Patriot, esse sarebbero ben visibili nelle fotografie satellitari o in qualsiasi fotografia scattata da qualsiasi curioso che si trovi a transitare sulle arterie stradali che passano proprio accanto all'edificio.

Resta quindi il missile Stinger (US Missiles, Jane's), presentato nella foto qui accanto. Lo Stinger è un piccolo missile antiaereo a guida infrarossa, contenuto in un tubo lanciatore sigillato. Grazie ai suoi ingombri ridotti (un metro e mezzo circa di lunghezza, meno di 20 kg di peso complessivo) il missile può essere trasportato e lanciato anche da un singolo individuo, a spalla, come mostrato appunto nella foto.

Lo Stinger è completamente indipendente: dispone di un sensore infrarosso che si aggancia automaticamente contro le sorgenti di calore (tipicamente i motori degli aerei) per cui, una volta lanciato, non ha bisogno di essere guidato dall'operatore: è uno di quei missili chiamati “fire and forget”, ossia “lancia e dimenticatene”.

Lo Stinger è un'arma di estrema autodifesa, concepita per essere utilizzata dalle truppe che si trovano improvvisamente sotto attacco di aerei ed elicotteri nemici. La sua testata esplosiva è estremamente ridotta: pesa solo 3 kg e contiene appena 1 kg di esplosivo. Una testata così piccola è sufficiente ad abbattere un elicottero o un aereo d'attacco, o quanto meno a danneggiarlo al punto da costringerlo a interrompere la missione.

Per le sue caratteristiche, lo Stinger può essere trasportato ovunque ed in modo molto discreto: non per nulla è un'arma ambita da terroristi e guerriglieri (esistono missili di analoghe caratteristiche, prodotti in Russia ed in altri paesi nel mondo).

Si ritiene che la scorta presidenziale di Bush abbia in dotazione almeno un lanciatore Stinger, per proteggere il Presidente nei confronti di attacchi aerei terroristici, ed è opinione comune che gli addetti alla protezione della Casa Bianca abbiano in dotazione questo sistema d'arma. Si tratta però di voci, mai confermate né ufficialmente né da foto o altre evidenze.

Sta di fatto che ci sono stati almeno un centinaio di casi di sorvoli non autorizzati della Casa Bianca, e non è mai successo che sia stato sparato uno Stinger o qualcuno abbia visto personale armato di questi missili (Strategy Page).

Non c'è invece alcuna ragione di ritenere che il Pentagono fosse protetto da personale armato di missili Stinger: il missile non è un giocattolo, è un'arma che richiede personale estremamente addestrato (l'US Army prevede un corso della durata di 136 ore) ed ovviamente è intrinsecamente pericolosa. Di solito i missili se ne stanno chiusi nei loro depositi, e ci vogliono autorizzazioni precise e specifiche per prenderli in consegna ed impiegarli. Ammesso che il Secret Service disponga di una simile autorizzazione per proteggere l'incolumità del Presidente, davvero non c'è ragione logica di fare altrettanto per il Pentagono che – come abbiamo visto – non è poi un obiettivo più sensibile di tantissimi altri.

E se ci fossero stati?


Ma ammettiamo per un attimo che effettivamente il Pentagono fosse stato protetto da segretissime batterie di Patriot nascoste chissà dove e chissà come, e che vi fossero missili Stinger disponibili. Tutto ciò avrebbe consentito di abbattere il volo AA77?

Noi riteniamo di no, sia per ragioni logiche che per ragioni tecniche.

Innanzitutto, l'impiego di un missile antiaereo per abbattere un aereo civile risponde esattamente alla stessa necessità di autorizzazione richiesta per l'impiego dei caccia intercettori.

Sappiamo che l'autorizzazione all'abbattimento di aerei civili dirottati, la mattina dell'11 settembre 2001, giunse solo alle ore 10:10 circa (vedi Cronologia dei fatti) quando il volo AA77 si era già schiantato (ore 09:37) contro il Pentagono.

Sappiamo che nessuno sapeva che il volo AA77 stesse puntando sul Pentagono: difatti non ci fu nessun tentativo di evacuare l'edificio prima dell'impatto, e persino alla stessa Casa Bianca l'evacuazione iniziò alle ore 09:45, quindi pochi minuti dopo l'impatto contro il Pentagono.

Le batterie antiaeree, quindi, ove fossero state effettivamente presenti, non avrebbero avuto alcuna autorizzazione per far fuoco contro un aereo non identificato.

Ma c'è di più.

Come sappiamo, Hanjour, il terrorista che pilotava il Boeing schiantatosi sul Pentagono, adottò un profilo di attacco a bassissima quota, al punto da colpire persino i pali della luce posti lungo il tragitto finale. Questo dato ci fornisce una quota di volo di circa 10 metri, forse anche meno.

Ebbene, il missile Patriot può colpire bersagli che volano a quote comprese tra i 60 ed i 24.000 metri, quindi il Boeing 757 di Hanjour era ben al di sotto delle capacità di intercettazione del missile.

Anche la portata minima di ingaggio del Patriot, pari a 3 km di distanza, esclude che un sistema antiaereo di questo tipo avrebbe potuto far fuoco quando l'aereo si era ormai indirizzato contro il Pentagono.

Né ha senso sostenere che un Patriot avrebbe potuto far fuoco prima ancora che l'aereo si abbassasse, ossia quando era giunto sulla capitale e stava effettuando l'ampia virata che poi gli ha consentito di perdere quota e allinearsi contro l'edificio: abbattere un aereo carico di carburante su una zona densamente popolata avrebbe certamente provocato perdite umane ben maggiori di quelle causate dall'impatto contro il Pentagono.

Lasciamo da parte quindi l'impiego del Patriot (peraltro ipotesi del tutto accademica, visto che non c'erano batterie di Patriot), e passiamo alla possibilità che qualcuno, dal Pentagono, potesse utilizzare un missile tipo Stinger, nel presupposto che avesse consapevolezza dell'arrivo dell'aereo e le autorizzazioni necessarie per lanciare il missile.

Lo Stinger, come abbiamo visto, è un missile piccolo e del tutto indipendente. Questo significa che non ha bisogno di radar per la scoperta del bersaglio, né per la guida del missile. Inoltre è in grado di attaccare bersagli volanti a quote estremamente basse e a distanze ridotte: la distanza minima di ingaggio è infatti di soli 200 metri.

Il rovescio della medaglia è che il bersaglio deve essere acquisito visivamente dall'operatore, che deve puntare il missile contro il bersaglio, attendere che il sensore del missile agganci il calore emesso dal bersaglio (l'aggancio viene segnalato da un sistema acustico e sonoro) e quindi premere il grilletto. L'intera sequenza di attivazione, aggancio e sparo richiede circa 6 secondi.

Ma Hanjour, volando a oltre 800 km/h, a bassissima quota, nascosto da quella leggera sopra-elevazione che nasconde il Pentagono (e sulla quale i cospirazionisti hanno scritto fiumi di inchiostro) che tempi di reazione avrebbe concesso ad un eventuale omino armato di Stinger?

Si ritiene che il percorso finale di attacco, quando Hanjour è “sbucato” da dietro la “sommità” del quadrifoglio (l'incrocio di strade sopraelevate che si trova in corrispondenza della facciata colpita) abbia una lunghezza di circa 250 metri. Utilizzando Google Earth abbiamo verificato: effettivamente la distanza è compresa tra 250 e 300 metri.

Ma anche se volessimo prendere a riferimento l'albergo Sheraton (Hanjour gli è passato praticamente di fianco), tenuto conto che prima di esso era impossibile vedere l'aereo a causa dei numerosi edifici che l'avrebbero nascosto alla visuale, abbiamo una distanza di 1.300 metri.

Ebbene, volando a oltre 800 km/h, Hanjour percorreva circa 220 metri al secondo. Questo significa che l'aereo avrebbe percorso 1.300 metri in poco meno di 6 secondi, e bisogna considerare pure che negli ultimi duecento metri il missile non era in grado di ingaggiarlo (abbiamo visto che la distanza minima di ingaggio è di 200 metri).

Nel caso dello Stinger, poi, non c'era alcuna possibilità che il missile ingaggiasse l'aereo prima che esso si abbassasse dietro gli edifici: come si evince chiaramente dal rapporto NTSB, l'aereo ha virato abbassandosi di quota quando si trovava a 4 miglia dal Pentagono (ossia circa 6 km e mezzo), ben al di fuori del raggio d'azione operativo del missile Stinger (circa 4 km e mezzo).

Nemmeno uno Stinger, quindi, avrebbe potuto far nulla. Peraltro, la sua piccola carica esplosiva non avrebbe in ogni caso potuto impedire che l'aereo si schiantasse contro il Pentagono.

Conclusioni


Non c'erano batterie di missili antiaerei al Pentagono: non sarebbe stato possibile nasconderle e non c'era alcuna ragione per schierarle. Se ci fossero state, non avrebbero avuto né la consapevolezza del pericolo, né le autorizzazioni necessarie a far fuoco. Se avessero avuto consapevolezza e autorizzazioni, non sarebbero state comunque tecnicamente in grado di abbattere l'aereo.

Avremmo potuto arrivare a queste conclusioni con un percorso molto più breve, ma volevamo condividere la piena consapevolezza di un argomento che di certo non è facile conoscere e che comprende aspetti tecnici che non fanno certamente parte dell'esperienza comune.