di Leonardo Salvaggio. L'originale inglese è disponibile qui.
Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale della ex giornalista della CBS Christine Dobbyn che si è occupata del volo United 93 il giorno stesso dello schianto e nel periodo seguente.
Ringraziamo Christine Dobbyn per la sua cortesia e disponibilità
Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di quello che hai visto e vissuto quel giorno?
Christine Dobbyn: Lavoravo come giornalista presso la stazione della CBS di Columbus, Ohio. Ero all’inizio della mia carriera giornalistica e avevo il turno del mattino. Chi guarda il notiziario del mattino potrebbe non rendersi conto che i giornalisti si alzano alle 2 del mattino per andare al lavoro. Columbus è proprio nel mezzo dello stato dell'Ohio e ci occupavamo degli eventi di quello stato. Proprio quel giorno c’era una conferenza stampa a circa due ore a est di Columbus su un caso di omicidio. Dopo la diretta del mattino avremmo dovuto occuparci di questa conferenza stampa, credo che fosse nella contea di Grimes. Poco prima che arrivassimo, ricevemmo una telefonata dalla direzione che ci disse "Andate a New York" e aggiunsero un paio di frasi veloci su quello che stava succedendo.
Non c’erano ancora gli smartphone, avevamo i cellulari, ma non avevamo l’accesso immediato alle notizie che abbiamo oggi. Quella mattina in particolare stavamo parlando tra di noi e non avevamo la radio accesa, eravamo io e il mio fotografo. A volte accendevamo la radio durante i viaggi, a volte ci facevamo compagnia tra di noi e basta e fu uno shock sentire cosa stava succedendo. Assolutamente incredibile. Ovviamente avremmo voluto maggiori informazioni, ma l’unica direttiva era "Andate a New York". Con noi c’era anche il camion satellitare con l'operatore perché anche ne avremmo avuto bisogno per la conferenza stampa di cui avremmo dovuto occuparci inizialmente. Dopo circa un'ora di strada, ricevemmo un'altra telefonata dalla direzione. Questa volta ci dissero "Non andate a New York, c'è stato un incidente a Shanksville, Pennsylvania. Andate lì, invieremo altre squadre per la conferenza stampa."
A parte i media locali della Pennsylvania, credo che fossimo tra i primi ad arrivare. Ricordo di aver guardato la collina dove si trovava il personale di emergenza e vidi quello che mi sembrava un rottame metallico sulla cima e pensai che fosse l'aereo, poi capii che quello che stavo guardando non c’entrava, era una discarica di rottami metallici e il luogo dell'incidente era in realtà oltre la collina in una valle o in un burrone sull'altro lato. Era interessante notare che mi ero occupata di migliaia di notizie dell'ultima ora negli anni e la maggior parte delle volte quando arrivi su una scena c’è molta confusione, succedono molte cose, devi correre in giro in cerca di interviste con testimoni oculari e primi soccorritori; ma questo caso era l'esatto contrario perché l’aereo precipitò in un’area rurale della Pennsylvania e non c'erano sopravvissuti. C'era il personale di emergenza locale sulla collina, ma noi dei mezzi di informazione eravamo lì a guardare la collina e a chiederci "Cosa facciamo?"
Nel pomeriggio le forze dell'ordine portarono alcune troupe dei media sopra la collina in piccoli gruppi per poter girare dei video. Fu davvero scioccante vedere che non c'era niente, neanche il fumo. Era tutto nero per via dell'incendio. Era sbalorditivo vedere che non c’era nient’altro. Quando vedi i video sull’incidente di Shanksville non si vede molto delle prime fasi perché non c'erano i media locali nella zona, quello che si vede nei video era più o meno quello che ho visto io; i soccorritori in tuta ignifuga nella buca che si guardano intorno.
Nei giorni successivi facemmo molti reportage dalla comunità. Trovammo persone che avevano sentito il rumore, perché l’aereo cadde vicino al cortile di una proprietà di un contadino; parlammo con le persone della zona di quello che era successo e cose del genere. Quello divenne ciò che raccontammo, parlavamo con la gente di Shanksville e della contea di Somerset di ciò che era appena successo nella loro zona. Ora la gente conosce il nome di Shanksville, ma allora era solo una piccola città pittoresca, tipica degli Stati Uniti. È una bella comunità, le persone sono gentili e questa tragedia le ha fissate sulla mappa da un punto di vista storico. Certamente, in un modo che non si sarebbero mai aspettati.
Undicisettembre: Ti sei occupata dell’evento anche nei giorni seguenti?
Christine Dobbyn: Sì. Nei giorni seguenti la scena divenne molto più attiva. Arrivò l'FBI e fece dei briefing due volte al giorno. Arrivavano poche informazioni e ovviamente le famiglie delle vittime erano sparse per tutto il paese, quindi per la nostra stazione locale fu complicato. I media nazionali avevano più risorse e parlavano con le famiglie in tutto il paese, trovare famiglie con cui parlare in zona era difficile. C'erano esperti di aviazione e antiterrorismo che vennero sulla scena. Alcune reti presero accordi per farli venire, e poi loro si offrirono per le interviste. Da un punto di vista giornalistico è stata un evento impegnativo da raccontare perché lì in particolare c'era la gravità di ciò che era successo, ma le risorse e il contenuto per raccontare l’evento non lo lì presenti, erano sparsi in giro.
Undicisettembre: Hai menzionato di aver parlato con le famiglie, cosa puoi raccontarci di loro? Cosa ti ha colpito?
Christine Dobbyn: Successe dopo. Una volta tornati a Columbus contattammo una famiglia della zona. In seguito intervistai anche famiglie da tutto il paese. C'era la famiglia del pilota del volo 93 Jason Dahl, aveva parenti a Columbus e nel resto del paese. Abbiamo fatto molte interviste con la sua famiglia negli anni. Una cosa che mi viene in mente è che era un pilota che amava il suo lavoro, aveva cambiato turno con un altro pilota per essere a casa prima per un anniversario o compleanno o qualcosa del genere.
Ricordo la prima volta che presi un aereo dopo l'11 settembre con le nuove restrizioni, mentre attraversavo i controlli di sicurezza mi sono emozionata molto quando mi tolsi le scarpe ed eseguii i nuovi protocolli a cui ora siamo totalmente abituati. Per molto tempo quando camminavo in un aeroporto, e soprattutto quando vedevo un pilota, pensavo al capitano Jason Dahl. Pensavo alla foto che la sua famiglia ci aveva dato e che avevamo usato per il nostro servizio.
Dopo essermi trasferita a Houston circa quindici anni fa per lavorare per la ABC, conobbi un'altra famiglia, la famiglia Catuzzi, la cui figlia Lauren Catuzzi Grandcolas rimase uccisa nello schianto. Un’altra situazione casuale, era stata nel nord-est per il funerale di sua nonna e aveva deciso di cambiare volo e prenderne uno prima e finì per trovarsi sul volo 93. Viveva nell'area di San Francisco all’epoca. Intervistai i suoi genitori e sua sorella e colsi che tipo di persona fosse. Stava scrivendo un libro e in seguito la sua famiglia completò il libro e lo pubblicò in suo onore. È un libro interessante, è una sorta di libro sulle ragazze scout che incoraggia, in particolare le donne, a provare queste nuove avventure. Era entusiasta e amava la vita avventurosa. Penso che questo suo lascito sia stato tramandato con il suo libro.
Undicisettembre: Cosa puoi dirci del luogo dell'incidente? C’è stato qualcosa in particolare che ti ha colpito?
Christine Dobbyn: Alcuni dei familiari dissero: "Se proprio doveva accadere, non avrebbe potuto esserci un posto più bello". In quella valle ci sono i resti dei loro cari. È davvero un posto bellissimo. Le persone di quella comunità lo curano molto seriamente, onorandoli e proteggendo quel sito. Ero lì nel decimo anniversario con Larry Catuzzi, il padre di Lauren. È stato uno dei membri più attivi del comitato per la costruzione del memoriale e del museo. Lo intervistai da una posizione da cui si vedeva il sito e mi disse: "È sereno, pacifico, tranquillo". Parole di questo tipo sono state usate per descrivere il sito. Anche se è molto triste, è un posto speciale per quelle famiglie.
L’area vera e propria in cui si trovano alcuni dei resti è delimitata in modo che solo le famiglie possano andarci. Adesso ci sono più strutture: il memoriale e un'area boschiva in cui solo le famiglie possono andare. L'ultima volta che ci sono andata sulla collina avevano costruito il muro dei nomi e il memoriale. Recentemente è stato completato anche il centro per i visitatori.
Per quanto riguarda la comunità e la città, passai del tempo nella città e nella contea di Somerset e parlai con proprietari di negozi e altre persone. Dissero di aver incontrato molte delle famiglie che vengono in città per visitare il sito o che fanno parte del comitato per la costruzione del memoriale. Hanno un ruolo importante nello sviluppo del sito e nell’assicurasi che non se ne perda la memoria.
Mi vengono in mente altra due cose. Dopo l’evento, le persone reagirono in modi diversi, molti volevano venire a vedere per condividere il loro dolore o lasciare una nota o un oggetto di altro tipo. Quindi, per i primi anni, misero una recinzione di metallo per delimitare il sito prima che ci fosse costruito qualcosa e che la gente arrivasse da ogni parte. È un luogo rurale e all’uscita di una delle principali autostrade interstatali. Chi viaggia nella zona della costa orientale si ferma per andare a vederlo e lasciare orsacchiotti, note e tutto ciò che si può immaginare. Inizialmente un piccolo museo della contea se ne assunse la responsabilità e iniziò a prendersi cura di questi oggetti. Ricordo il primo anniversario quando ci tornai, avevano raccolto questi oggetti e li conservavano, curandoli, spolverandoli, pulendoli e conservandoli in scatole per poi portarli nel museo. Pensai che fosse una mentalità di una lungimiranza incredibile l’assicurarsi che ogni persona che aveva lasciato qualcosa si sentisse davvero importante.
La seconda cosa che mi viene in mente è che c'è un prete che ha acquistato una cappella abbandonata nelle vicinanze, che ora si chiama Cappella del Volo 93. Fondamentalmente l’ha trasformata in un memoriale solo grazie alle donazioni. Ho scritto un paio di articoli su di lui. Ha realizzato un piccolo memoriale attorno alla cappella, puoi camminarci intorno e leggere le vite e le storie di ciascuna delle vittime.
Undicisettembre: Essendo una giornalista, in cosa questo caso è stato unico rispetto agli altri di cui ti sei occupata?
Christine Dobbyn: Ero agli inizi della mia carriera da giornalista, quindi penso di aver avuto un trauma quel giorno. Tutti lo hanno avuto, ma dal punto di vista della carriera pensai che avrebbe potuto essere l’evento più importante di cui mi sarei mai occupata.
Tutti ricordiamo dove eravamo e il mio 11 settembre è stato il volo 93, ciò che ho visto e l’essere stata sulla scena. Penso che la sensazione generale è che il sito del volo 93 non venga ricordato; New York e Washington ricevono molta attenzione e sono grandi città che hanno molti visitatori, ma questo luogo non deve essere dimenticato. Penso anche che sia un evento completamente diverso, non solo per come si è concluso, ma anche per ciò che abbiamo saputo che hanno fatto i passeggeri. Sono stati eroi, hanno tentato, e molti credono che fossero quasi riusciti a sconfiggere i terroristi.
Undicisettembre: Mentre eravate lì, qualcuno aveva dei dubbi sul fatto che un aereo si fosse schiantato in quell’area?
Christine Dobbyn: No. Non credo che nessuno avesse dubbi. Non ricordo che sia stato chiesto all'FBI durante le loro conferenze stampa. Penso che la principale domanda a quel punto fosse quale fosse l'obiettivo di quell'aereo; all'epoca la teoria più diffusa era che l'obiettivo fosse Camp David, ma non si sapeva con certezza. Alla fine, la conclusione fu il Campidoglio, ma c'erano molte ipotesi diverse. C'erano più congetture su questo tema nelle conferenze stampa e, naturalmente, tutti volevano risposte subito. Poi, ovviamente, la stampa chiese come avevano localizzato le scatole nere, perché ci volle tempo per trovarle. Non voglio dare dettagli cruenti, ma la risposta fu che era in profondità nel terreno. Questa era la linea di domande che ricordo.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l'11 settembre è stato un inside job e che nessun aereo si è schiantato a Shanksville?
Christine Dobbyn: Ad essere onesti, non ci ho mai badato molto. Come giornalista cerco la verità, mi sono occupata di questo caso molte volte. Ho visto il luogo dell'incidente con i miei occhi. Ho visto quanto erano scossi i primi soccorritori locali. A parte alcune domande a cui non avremo mai risposta, non ho mai avuto dubbi su ciò che ci è stato raccontato e su ciò che io ho raccontato. Ci ho sempre creduto e ho sempre trovato sensato ciò che veniva detto. Penso che come giornalista si maturi un istinto che ti fa capire quando qualcosa non va e per quanto riguarda le informazioni che ho raccolto nel corso dei miei viaggi a Shanksville, non ho mai sentito che non fossero corrette o precise.
Undicisettembre: Come paragoneresti la crisi dopo l'11 settembre alla crisi dei COVID che il paese sta vivendo ora?
Christine Dobbyn: Ho lasciato il giornalismo nel 2019, sono dall'altra parte adesso ed è molto diverso. Ho una mia società di media marketing e in questo momento mi occupo di pubbliche relazioni e relazioni con i media per due cliniche di Houston che conducono gli studi sul vaccino per il COVID. Tengo rapporti con i media e lavoro con loro per raccontare i fatti, quindi è completamente diverso. Ti dirò che quando il COVID ha colpito la prima volta, è stata la prima grande crisi nella mia vita da adulta in cui non ero una giornalista. Mi sono sentita davvero impotente, perché il mio superpotere era sentirmi sempre come se potessi aiutare a comunicare e a informare le persone, essere là fuori ed essere gli occhi e le orecchie del popolo. Questa volta non fu così.
Quindi personalmente è stato difficile assistere a ciò che avveniva. Poi ho iniziato a lavorare con le sperimentazioni sui vaccini, il che mi dà uno scopo e la sensazione di aiutare in questo processo nell’andare avanti. Ma per me sono molto diverse. Penso che dopo l'11 settembre, con il dolore e la tristezza che il paese ha provato, ci siamo uniti tutti. In questo momento siamo divisi dal COVID e da altre crisi.
C'erano incertezza e paura, ma l'11 settembre era qualcosa di cui si poteva elaborare la sequenza temporale e capire cosa fosse successo. Era un po’ più limitato. La cosa più difficile con il COVID-19 è non sapere quando finirà.
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