2020/10/05

World Trade Center: intervista a Paul Seldes, membro delle squadre di primo intervento

di Leonardo Salvaggio. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale del membro delle squadre di primo intervento Paul Seldes, che lavorò a Ground Zero per nove mesi dopo gli attacchi.

Ringraziamo Paul Seldes per la sua cortesia e disponibilità.





Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l'11 settembre?

Paul Seldes: All'epoca lavoravo per una società di consulenza, lavoravamo a contratto per la formazione del personale militare e delle forze dell'ordine. Io e il mio team stavamo andando al One Police Plaza, dove si trova la sede dell’NYPD, per avviare un programma di formazione antiterrorismo per l’NYPD. Prima di andare lì dovevamo passare dal World Trade Center per andare a prendere uno dei membri del mio team. Eravamo di fronte al World Trade Center e vedemmo letteralmente il primo aereo virare e colpire. Stavo guidando e il collega seduto sul sedile posteriore disse ”Che cazzo è?", guardammo in alto e vedemmo l'aereo mettersi in piano e schiantarsi contro l'edificio. Immediatamente ci furono detriti che cadevano.

Tutti noi avevamo esperienza militare o della comunità di intelligence e capimmo subito che stava succedendo qualcosa di terribile; il collega seduto accanto a me era un veterano militare decorato dell'esercito americano e disse subito "Siamo in guerra". Cercavo di continuare a guidare tra i detriti in fiamme che cadevano intorno a noi. Mentre guidavo passando anche sui marciapiedi, vedemmo una donna che era stata colpita da qualcosa, sanguinava copiosamente e uno dei miei colleghi la caricò in macchina. Passammo attorno alla punta meridionale di Manhattan e la passammo a un’ambulanza che si trovava lì.

Mentre tutto questo accadeva, mia moglie era a casa nel nostro appartamento di Manhattan e mi chiamò al cellulare e mi disse "Ho appena sentito al telegiornale che un piccolo aereo ha colpito il World Trade Center". Le risposi con calma “Sì, lo so. Sono un po’ occupato adesso. Ti richiamo più tardi" e riattaccai. La sua prima reazione fu "Quell’idiota di mio marito è proprio lì nel mezzo!” Non ebbe mie notizie per le successive dodici ore e nel frattempo tutta la mia famiglia la chiamava chiedendole come stavo e dove fossi e lei mentì dicendo "È al sicuro".

Il mio primo obiettivo era portare me e la mia squadra in salvo, quindi andammo da Manhattan verso Brooklyn e lì vedemmo il secondo aereo colpire la seconda torre. Nessuno dei due membri della mia squadra era di New York; all'epoca io vivevo a New York ma loro no: uno era del New Jersey e l'altro della Virginia ed era venuto per l’incontro che avevamo. Quindi volevo che questi ragazzi tornassero a casa perché sapevamo che ciò che stava succedendo era terribile. Arrivammo a un autonoleggio e nel primo pomeriggio partirono per la Virginia e il New Jersey; io tornai a Manhattan.

Sentimmo alla radio che le torri erano crollate mentre eravamo a Brooklyn e vedemmo la nuvola di polvere alzarsi.

Alla fine arrivai a casa dodici ore più tardi, presi la mia attrezzatura e tornai a Ground Zero, quindi alle prime ore del 12 settembre ero già a downtown Manhattan con la mia attrezzatura pronta, rimboccandomi le maniche e dando assistenza in molti modi. Lavorai lì per nove mesi.


Undicisettembre: Cosa hai fatto in quei nove mesi?

Paul Seldes: Ebbi ruoli diversi. L'azienda per cui lavoravo aveva vari contratti con il governo. Durante le prime settimane aiutavo solo a coordinare le operazioni di ricerca e soccorso. Dopo i primi due mesi passai a un ruolo di coordinamento logistico: coordinavo le diverse agenzie che erano lì a lavorare, coordinavo il flusso del materiale verso i lavoratori a Ground Zero e gestivo questioni logistiche del genere.


Undicisettembre: Quanto tempo ti ci è voluto per riportare la tua vita alla normalità?

Paul Seldes: Per certi versi non è mai successo. Nel novembre 2001 la società per cui lavoravo chiuse i nostri uffici di New York e New Jersey e licenziò tutto il personale, me compreso. Iniziai a lavorare sotto contratto per il governo degli Stati Uniti in modo da continuare il mio lavoro a Ground Zero e rimasi fino a giugno 2002.

I miei genitori vivevano in Florida da anni e una volta, mentre stavamo per concludere i lavori nel 2002, mia moglie mi disse "Andiamo via da New York e andiamo in Florida" e ci trasferimmo a Vero Beach, in Florida, che è davvero in mezzo al nulla, non c'è niente qui, ma c’erano i miei genitori e siamo finiti qui. Il mio intento era quello di allontanarmi dal mondo della sicurezza pubblica e di questi eventi tragici, ma ci sono stato risucchiato dentro di nuovo. Nell'autunno del 2002 iniziai ad avere problemi respiratori e polmonari importanti e dovetti fare molte cure, prendere steroidi e fare esercizio. Fortunatamente mi sembra di aver risolto questi problemi e di essermeli lasciati alle spalle. Sto bene e spero di continuare così.

Soffro ancora di disturbo da stress post-traumatico, ho problemi a prendere sonno che non sono scomparsi, prendo farmaci per dormire. Quindi ho ancora problemi di lungo termine, ma per il resto sono tornato alla normalità.


Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana anche oggi?

Paul Seldes: Beh, ho avuto il disturbo da stress post-traumatico e non riuscivo a dormire più di due ore, per poi rimanere completamente sveglio, per alcuni anni dopo l'11 settembre. Ci è voluto un po' di tempo e vari medici differenti prima di trovare un rimedio che funzionasse. C'è un medicinale su prescrizione che aiuta a dormire, si chiama Ambien, che è ottimo se preso una volta ogni tanto ma terribile per l'uso a lungo termine, quindi come opzione non è durato molto tempo. Ci è voluto del tempo per trovare una pillola anti-depressione a basso dosaggio che funzionasse bene per me. È una cosa con cui dovrò convivere a lungo.

Lo pneumologo da cui sono in cura per i problemi respiratori mi ha fatto assumere dosi costanti a lungo termine di farmaci respiratori per essere sicuro che tutto rimanga come dovrebbe essere, anche se non c'è segno di nulla di anomalo al momento. Quindi questi sono i problemi a lungo termine e gli adeguamenti alla vita che ho dovuto attuare.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l'11 settembre sarebbe stato un inside job?

Paul Seldes: Questa è una delle cose più folli che sento. Cosa e come è successo è chiaro a chiunque era presente e a chiunque sia stato coinvolto nelle operazioni di recupero. Non ci sono assolutamente dubbi.

Chi diffonde queste teorie del complotto sta facendo un disservizio e sta denigrando la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita quel giorno.


Undicisettembre: Qual è il tuo ruolo ora nella crisi da COVID-19?

Paul Seldes: Sono un responsabile delle emergenze qui in Florida, lavoro per una delle contee più grandi e do supporto anche alle operazioni in tutto lo stato. Sono un pianificatore, sono colui che mette insieme le pianificazioni, dati e analisi per aiutare a realizzare ciò che stiamo facendo.


Undicisettembre: Come paragoneresti la crisi dopo l'11 settembre alla crisi da COVID-19?

Paul Seldes: È molto diverso, il COVID è una cosa naturale mentre l'11 settembre è stato il male allo stato puro. Quindi c'è differenza in questo senso. E c'è una differenza culturale qui negli Stati Uniti: dopo l'11 settembre tutti erano uniti, la gente sosteneva i soccorritori e li onorava in tutto il paese; ora con il COVID sembra che ci siano molte discussioni su ciò che dicono le nostre agenzie governative impiegate nella reazione, le persone negano anche che esista, negano che le mascherine funzionino, negano che tutto ciò che sappiamo sia scientificamente e clinicamente accurato. Ci sono più teorie del complotto adesso che dopo l'11 settembre.

2 commenti:

marcorighi1979@gmail.com ha detto...

Adoro come si esprimono gli americani. Il loro essere diretti e senza giri di parole. Quel "che cazzo è ?" mi ricorda un qualche film di Quentin Tarantino. È vero, l'America non è un paese per sfigati. Il problema con le teorie del complotto è che minano la fiducia dei cittadini verso le istruzioni. E questo è un male considerato che la nostra società è basata sulla fiducia reciproca. Credo sia utile avere diversi punti di vista sull'argomento, che sia il covid o l'11 settembre. Interessante quindi la tua intervista e soprattutto credibile dato che, come dicevo, la maggior parte degli americani parla schiettamente. Ti saluto.

Leonardo Salvaggio ha detto...

Soprattutto nel ricordare un evento cosi shockante come l'11 settembre, spesso i testimoni ricorrono a espressioni spontanee come quella che hai citato.

Sulle teorie del complotto, sono ovviamente d'accordo. A presto.