2023/03/10

World Trade Center: intervista al sopravvissuto Ron DiFrancesco

di Leonardo Salvaggio. L'originale in inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale del sopravvissuto Ron DiFrancesco che lavorava nella Torre 2 è lasciò il suo officio pochi istanti prima che il secondo aereo si schiantasse contro la torre.

Ringraziamo Ron DiFrancesco per la sua cortesia e disponibilità.




Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di quello che hai visto e vissuto l'11 settembre?

Ron DiFrancesco:
All'epoca vivevo nel New Jersey ma lavoravo a New York al World Trade Center. Ero uscito di casa verso le 5:30 del mattino per prendere il treno delle 5:40, presi il treno per Hoboken, nel New Jersey, e poi presi il treno PATH per andare al World Trade Center. Lavoravo all'84° piano della Torre 2. Per arrivarci bisognava prendere più ascensori: presi l'express elevator che dal piano terra portava al 78° piano e poi mi spostai sugli ascensori più piccoli per arrivare all'84° piano. Arrivai in ufficio intorno alle 6:45.

La mia scrivania era in una sala per trader in cui c'erano trecentocinquanta persone che lavoravano, parlavano a voce alta e controllavano i mercati mondiali. Il motivo per cui ero lì così presto era che a quell'ora i mercati asiatici stavano chiudendo, i mercati europei erano a metà giornata e noi avremmo continuato da lì. Ero alla mia scrivania e stavo lavorando e parlando con i miei colleghi e con i miei clienti al telefono, raccontando loro cosa stava succedendo nei mercati. Stavamo lavorando a pieno ritmo quando alla nostra destra ci fu una forte esplosione; non sapevamo cosa fosse ma guardammo in quella direzione e vedemmo migliaia di pezzi di carta che fluttuavano nell'aria tutt'intorno. Corremmo alla finestra per vedere cosa stesse succedendo e vedemmo un enorme buco nel lato della Torre 1. A quel punto molte persone iniziarono a scappare dal nostro piano.

Non sapevo che fosse un attacco terroristico, penso che alcuni di quelli che se ne erano andati avessero capito che si trattava di un attacco terroristico perché avevano vissuto anche l'attentato del 93. Io sono canadese e vivevo in Canada al tempo del primo attacco, mi ero trasferito a New York nel 2000. I notiziari dicevano che un piccolo aereo era andato fuori rotta e si era schiantato contro il World Trade Center, non sapevo altro, capivo solo vedendo le persone nel buco nel edificio che era una cosa grave. Tutti nel mondo stavano guardando in televisione ciò che stava succedendo, ma noi eravamo lì nel mezzo e non sapevamo nulla mentre gli altoparlanti dicevano "L'edificio 2 è sicuro, per favore tornate ai vostri posti", quindi tornai alla mia scrivania e ricevetti molte telefonate da clienti in Canada che mi chiedevano cosa stesse succedendo, ma io non lo sapevo.

Ricevetti una telefonata da un amico dell'università che mi urlò di uscire dall'edificio, gli dissi che lo avrei fatto e chiamai mia moglie per dirle che stavo uscendo dal palazzo e che l'avrei chiamata una volta arrivato fuori. Presi per un braccio un collega e ci dirigemmo verso gli ascensori, mentre stavamo uscendo il secondo aereo colpì il nostro edificio: l'ala destra trapassò i piani dal 78° all'85° squarciando il nostro ufficio.


Fummo sbattuti e buttati a terra, tutti i pannelli del soffitto caddero dall'alto. Io e il mio collega ci pulimmo dai detriti, incontrammo altri colleghi e iniziammo a correre verso la tromba delle scale. Iniziammo a scendere e dopo due o tre piani incontrammo due uomini e una donna che salivano, i due uomini stavano aiutando la signora a salire, e ci dissero che scendere era impossibile perché c'era troppo fuoco. Sentimmo qualcuno gridare aiuto, quindi andammo ad assistere quest'uomo che si chiama Stanley. Venni sopraffatto dal fumo, quindi lasciai quell'uomo con uno dei miei colleghi e salii per le scale fino circa al 91° piano sperando di poter uscire dalle scale e accedere a un pianerottolo ma tutte le porte erano chiuse per motivi di sicurezza. Una volta resici conto che non potevamo uscire dalla tromba delle scale, le nostre uniche possibilità erano salire fino all'ultimo piano o scendere fino a terra. A quel punto scoppiò davvero il panico.

Volevo uscire dall'edificio, quindi iniziammo a scendere e quando eravamo al nostro piano o poco sotto il fumo ci investì. La gente iniziò a sdraiarsi per cercare di rimanere sotto al fumo caldo. Ero sdraiato anch'io quando sentii una voce che mi chiamava e diceva: "Alzati e vieni da questa parte"; così mi alzai e seguii la voce, ero immerso nel fumo ma spinsi una parete di cartongesso e trovai le scale sotto di me. Saltai giù e corsi giù per tre rampe di scale tra le fiamme. Dopo quelle tre rampe di scale tutto era umido e freddo, credo che fosse perché a quei piani funziona il sistema antincendio; iniziai a correre più veloce che potevo. Circa a metà discesa incontrai tre vigili del fuoco che salivano, dissi loro che avevo difficoltà a respirare, mi controllarono e mi dissero di scendere e uscire e avrei trovato soccorso fuori dalla torre.

Circa un'ora dopo lo schianto raggiunsi l'atrio del mio edificio che si affacciava sulla piazza tra le due torri, volevo solo uscire dall'edificio e scappare ma vedevo che fuori c'erano molti detriti e corpi ovunque. Volevo uscire ma non ci fu permesso perché era troppo pericoloso e ci fecero scendere nella stazione del PATH per uscire su Church Street, all'angolo più lontano dal World Trade Center. Così scesi un'altra rampa di scale, mi avviai verso l'uscita e mi imbattei in un mio collega, un anziano signore che nei suoi giorni migliori aveva difficoltà a camminare; mentre eravamo al piano sotterraneo sentimmo un rumore molto forte, guardai alla mia destra e vidi un'enorme palla di fuoco venire verso di noi. Urlai al mio collega "Corri!", corsi più veloce che potevo e mi svegliai tre giorni dopo in ospedale. Ricordo di essere stato colpito alla testa e dopo di questo non ricordo altro.


Undicisettembre: La tua famiglia cosa sapeva o pensava che ti fosse successo dopo gli attacchi, quando non ti sei più messo in contatto con loro?

Ron DiFrancesco: Fu più difficile per mia moglie che per me, perché non riusciva a mettersi in contatto con me; penso che qualcuno l'abbia chiamata alle 2 del pomeriggio e le abbia detto che ero in ospedale e poi lei ha riportato la notizia alla mia famiglia in Canada. Non sapevano quanto gravemente fossi ferito e io ovviamente non ero consapevole del panico che c'era tra le persone che stavano freneticamente cercando i loro familiari.


Undicisettembre: Cosa ti è successo dopo, nelle settimane e nei mesi successivi?

Ron DiFrancesco: Mentre la maggior parte delle persone era uscita fisicamente illesa o era morta, io ero piuttosto malconcio, avevo ustioni sul 60% del mio corpo, avevo un osso rotto nella schiena, le lenti a contatto mi si erano fuse negli occhi e stavo male in generale. Per giorni non ho saputo che il World Trade Center fosse crollato. Quando l'aereo colpì il nostro edificio avevo pensato che fosse un generatore di sotto che era esploso, non sapevo che fosse un secondo aereo. Lo seppi poi da mia moglie.


Undicisettembre: Quando tornasti a nella punta meridionale di Manhattan dopo l'11 settembre?

Ron DiFrancesco: Ci tornai nel novembre 2001 per il funerale di un collega, ci andai e poi reincontrai la mia famiglia nei quartieri più a nord.


Undicisettembre: Decidesti poi di lasciare New York a causa dell'11 settembre?

Ron DiFrancesco: Sì. Ci tornai a lavorare part time nel marzo 2002 e full time ad aprile. Quando tornai a tempo pieno arrivare in città era complicato: dovevi prendere il treno per Hoboken e poi il traghetto attraverso il fiume Hudson per raggiungere il nostro nuovo ufficio, che ovviamente era stato spostato lontano dal World Trade Center. Ogni sera i miei figli aspettavano alla finestra chiedendosi se sarei tornato a casa. Ci rendemmo conto dopo un po' che non potevamo rimanere, quindi tornammo in Canada.


Undicisettembre:: In che modo l'11 settembre influenza la tua vita quotidiana ancora oggi?

Ron DiFrancesco: Sono un privilegiato e sono fortunato a essere ancora qui, ho un immenso senso di gratitudine. Sono stato male per alcuni anni, mi chiedevo "Perché sono sopravvissuto, mentre tanti altri miei colleghi no?". Ma quella fase è passata e ora ho una missione diversa: aiutare le persone. Se pensi a cosa sta succedendo nel nostro mondo adesso, siamo stati tutti in difficoltà negli ultimi anni e la crisi della salute mentale è molto dura. Non tutti i giorni sono buoni per tutti, dopo l'11 settembre non sapevo se volevo vivere o morire, per un po' ho avuto difficoltà. Qualcuno poi mi disse: "Devi raccontare ciò che fai per sopravvivere perché potrebbe essere utile ad altri", quindi ho studiato psicologia positiva e ho cercato di fare del mio meglio giorno dopo giorno nella speranza di poter migliorare.

Ora sono grato anche per le cose più piccole, perché ogni giorno è un dono. Potrei chiederti quali sono i tuoi problemi e forse sono più grandi dei miei, ma entrambi abbiamo una casa e la salute e questo è un dono perché molte persone non le hanno.

Nessun commento: