2021/01/31

United 93: intervista alla volontaria della Croce Rossa Victoria Connor

di Leonardo Salvaggio. L'originale inglese è disponibile qui.

Unidicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale della volontaria della Croce Rossa Victoria Connor che fu tra i primi soccorritori del volo United 93 dopo lo schianto in una zona rurale vicino a Shanksville, in Pennsylvania, dopo che una rivolta dei passeggeri e dell'equipaggio impedì ai terroristi di colpire il proprio obiettivo.

Ringraziamo Victoria Connor for la sua cortesia e disponibilità.





Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l'11 settembre?

Victoria Connor: L'11 settembre, intorno alle 9 del mattino, io e due miei colleghi stavamo visitando la zona fieristica della contea di York, una delle fiere più antiche del paese. Lavoravo per la Croce Rossa degli Stati Uniti e la sera prima, il 10 settembre, un ragazzino si fece male durante un giro su una giostra e fu portato alla nostra postazione di pronto soccorso. Volevamo parlare con gli operatori per capire cosa fosse successo. Tragicamente, morì la sera stessa in ospedale.

Proprio mentre stavamo entrando nel parcheggio del Luna Park, sentimmo alla radio la notizia del primo aereo che aveva colpito la torre. Inizialmente pensammo che fosse un incidente di un piccolo aereo. Era una bellissima giornata. Scendemmo dalla macchina e mentre camminavamo verso l’edificio dove si trovava il pronto soccorso, iniziammo a sentire il brusio della gente che ne parlava. La fiera non era aperta; c’erano solo gli operatori che stavano allestendo. Avevamo una terribile sensazione che ciò che stavano sentendo non fossero buone notizie.

Finimmo il colloquio con gli operatori, e appurammo che avevano agito correttamente. Ciò che rese l’episodio ancora più tragico era che il bambino era figlio di una mia amica, ma siccome mantenevamo i casi molto riservati non lo seppi fino a due settimane dopo quando ritornai. Essendo una famiglia nota nella zona, la storia finì sui giornali.

Risalimmo in macchina per tornare al Chapter, che è il modo in cui chiamiamo l'edificio dove lavoravamo, e a quel punto anche il secondo aereo si era schiantato. Il nostro responsabile dei servizi di emergenza aveva lavorato per il governo della contea in passato e capì subito che non era stato un incidente, se un aereo si schianta può essere un incidente, quando ce n’è più di uno è una cosa molto più grave e il suo primo pensiero fu che fosse un attacco terroristico.

Quando tornammo in ufficio, il nostro team, che era composto da circa diciassette persone, era radunato intorno a un piccolo televisore e cercavamo di dare un senso a ciò che stava succedendo e dalle notizie che sentivamo mi fu chiaro che non era un incidente. Il mio capo era stato una operatore della Croce Rossa professionista, era il direttore esecutivo di quella sede e lavorava per la Croce Rossa dal tempo della guerra del Vietnam, faceva anche parte dell’Aviation Incident Response, un gruppo di persone altamente qualificate che erano assegnate a dei compiti su base mensile. Se un incidente di grandi proporzioni ferroviario, marittimo o aereo fosse avvenuto durante quel mese sarebbero stati inviati a coordinare il lavoro della Croce Rossa. Fu immediatamente contattato e lo assegnarono a New York, perché eravamo vicini, ma quando l’aereo cadde in Pennsylvania, fu reindirizzato ad andare a coordinare i lavori della Croce Rossa a Somerset County.

Ero entrata nella Croce Rossa degli Stati Uniti solo otto mesi prima. Nella Croce Rossa il rapporto tra i volontari e il personale retribuito è di trentasei volontari per ogni professionista. È il lavoro dei volontari che guida l'organizzazione. Per diventare un soccorritore in caso di disastro, si devono superare vari livelli di formazione, oltre a imparare il massaggio cardiaco, si devono frequentare vari corsi e dare prova delle proprie capacità. Quando avvenne l’11 settembre stavo ancora facendo la formazione, ma avevo già una vasta gamma di competenze. Così, pochi giorni dopo che il mio capo era stato inviato a Somerset, mi chiamò e mi chiese se volessi andare a lavorare con la sua squadra. Senza esitazione risposi “Certo!” Mi accertai che mio marito, il quale pure lavorava a tempo pieno, riuscisse a prendersi cura dei nostri due bambini piccoli mentre ero via. Sistemai la situazione a casa e nel giro di 24 ore feci la valigia, presi la macchina e andai là.

Quando arrivi sul luogo di reazione a una catastrofe non sai quali risorse saranno disponibili, quindi di solito porti il “go- kit”, una borsa da viaggio con la tua divisa della Croce Rossa, i documenti, carta, penne, una cucitrice, e altre cose del genere, cose di cui hai bisogno per essere operativo e per iniziare a lavorare immediatamente. Quando arrivai al quartier generale dei soccorsi, che era in una chiesa, mi accreditai e andai da un tavolo un altro per informarmi su ciò che stavano facendo dai leader dei vari gruppi e per avere i nuovi documenti che mi servivano per spostarmi da un luogo ad un altro, perché era un luogo ad alta sicurezza.

Il ruolo della Croce Rossa in disastri come questo è stato quello di lavorare insieme all’NTSB, alla compagnia aerea, all’amministrazione locale e ai soccorritori e aiutarli a sostenere al meglio le famiglie, gli investigatori e il personale dei servizi di emergenza. I volontari aiutano in tutte queste funzioni, perché può essere estenuante emotivamente e fisicamente. C’è anche il supporto mentale e spirituale per le famiglie e per i lavoratori. La Croce Rossa collabora anche nell’organizzare i servizi commemorativi come successe in questo caso.

In seguito all’11 settembre il traffico aereo fu sospeso in tutto il paese e quindi dovemmo fare due commemorazioni a distanza di pochi giorni perché non tutte le famiglie poterono partecipare alla prima perché non si poteva viaggiare. Questo significò anche che dovemmo contattare due volte il personale della Casa Bianca per rappresentare il nostro paese. Dal punto di vista logistico fu un impegno enorme, e ciò nonostante alcune famiglie non riuscirono comunque a venire. Ci fu una famiglia che dovette collegarsi per telefono in modo che potessero ascoltare la cerimonia al telefono e vederla in televisione.

Le celebrazioni si svolsero su un campo da golf da cui, da lontano, si vedeva il luogo in cui l’aereo era precipitato, si chiama Indian Lake Lodge. La prima si tenne all'aperto, sotto una tenda, da cui si vedeva il lago e oltre il lago c'era il luogo dell'incidente. La seconda dovette essere fatta al chiuso perché il tempo cambiò, e fu un’esperienza completamente diversa. Entrambe furono eventi egualmente solenni e rasserenanti che organizzammo al meglio di quanto potemmo. Fu intenso e toccante. Le celebrazioni furono aconfessionali; tutte le religioni erano rappresentate. Donammo anche a tutti una piccola scatola bianca con un nastro e nella scatola c’era una fiala con un po’ di terra che era stata passata al setaccio dai volontari in ricordo dei loro cari, perché non c’era nulla che potessero portare via.

Le famiglie erano ospitate al Seven Springs Mountain Resort dove erano più o meno sequestrati. Erano stati realizzati anche degli album con i tributi che arrivavano da persone di tutto il mondo, come cartoline e molte altre cose diverse.

Era difficile per chiunque avvicinarsi alla scena dell'incidente, perché era una scena del crimine; ma la gente lasciava bandiere e fiori lungo la recinzione, proprio come a New York. Per me è stato un onore anche solo essere lì per fare sentire alle famiglie il nostro sostegno e perché sapessero che i loro familiari furono davvero eroi per quello che fecero, perché era chiaro a quel punto che cercarono di riprendersi l’aereo e di combattere.

14 settembre 2001 - Cerimonia di commemorazione a Shanksville, Pennsylvania. 
Photo credit: Jason Plotkin, York Dispatch/York Sunday News.

Undicisettembre: Come descriveresti il luogo dell'incidente? C’è stato qualcosa in particolare che ti ha colpito?

Victoria Connor: Ho avuto l'opportunità di andarci con un cappellano dell'FBI, tenemmo una piccola celebrazione privata in un luogo che si affaccia sul luogo dell'incidente. Era incredibile perché era come se l'aereo stesso si fosse accartocciato nel terreno, si fosse compattato. Non c'era niente da vedere, solo un cratere nella terra. C'erano paletti con bandiere gialle in vari punti dove venivano raccolti i detriti dall'FBI.

Quando ho lasciato la Croce Rossa, sono diventata l'amministratrice delegata dell'organizzazione per cui lavoro ora, la York County Bar Association and Foundation. Lavoro con gli avvocati e i giudici che operano nella mia comunità. Capitò che l'allora Presidente dell’associazione delle famiglie del volo United 93, Patrick White, era un avvocato della Florida che era il cugino di uno dei passeggeri morti sul volo. Fu lui che negoziò l'accordo per il terreno in modo che potessero costruirci il memoriale. Ci sono tornata per il quinto, decimo e quindicesimo anniversario; ci sono delle commemorazioni speciali ogni anno, ma io sono andata solo per quelle principali.


Undicisettembre: In cosa questo caso è stato unico rispetto agli altri in cui sei stata coinvolta?

Victoria Connor: È stato decisamente unico, perché non era mai accaduto niente del genere da Pearl Harbor, e penso che nessuno nella nostra nazione pensasse che quella sarebbe stata la realtà che avremmo dovuto affrontare.


Undicisettembre: Mentre eravate sul luogo dell'incidente, qualcuno aveva dei dubbi sul fatto che che un aereo si fosse schiantato lì?

Victoria Connor: No, no. Non c'erano dubbi. C'erano testimoni oculari e le registrazioni telefoniche. A Somerset è stato realizzato un bellissimo memoriale e un museo dove si possono ascoltare le telefonate e i messaggi lasciati sulle segreterie telefoniche dai passeggeri e dall’equipaggio. Ci sono dei telefoni, che hanno la forma degli airfone, da cui si possono ascoltare le loro ultime parole con cui hanno lasciato messaggi ai loro cari. È molto toccante ed è così che abbiamo saputo che sono stati degli eroi, perché ci hanno lasciato racconti diretti di ciò che stava succedendo.

La location in sé è splendidamente serena, il luogo dello schianto è contrassegnato da un masso, ci si può accedere solo attraverso un cancello e solo i membri delle famiglie possono entrare nel terreno sacro dove i passeggeri riposano eternamente. È bella da vedere e più recentemente sono state installate delle campane a vento, che sono delle torri di voce che rappresentano le voci dei passeggeri.

11 settembre 2011 - Il Presidente Barack Obama e la First Lady Michelle Obama
depositano una corona di fiori durante la cerimonia commemorativa
per il memoriale del volo 93 nel decimo anniversario degli attentato dell'11/9.
Photo credit: Victoria Connor

Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana?

Victoria Connor: Ha acuito molto il mio senso di patriottismo, di cosa significa essere americana, il mio impegno a donare sangue, al volontariato, a sostenere organizzazioni come la Croce Rossa e altre agenzie di soccorso che portano speranza e aiuto alle persone che intervengono in disastri come questo.

A maggio del 2020, una mia amica di Boston è morta di COVID e ho intenzione di fare una raccolta di sangue in suo onore. Era la direttrice della partnership nazionali per i servizi del sangue della Croce Rossa e non riesco a immaginare nulla di più adatto di questo. Non c’è nulla che possa sostituire l’aiuto reciproco tra le persone. Ciò che è accaduto l'11 settembre sul volo United 93, al Pentagono e all'interno delle torri con i vigili del fuoco e altre agenzie che si aiutavano a vicenda è una lezione che risuona nel tempo.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo le quali l'11 settembre è stato un inside job e nessun areo si è schiantato in Pennsylvania?

Victoria Connor: È falso, è disinformazione.


Undicisettembre: Come paragoneresti la crisi dopo l'11 settembre alla crisi che il paese sta vivendo ora per il COVID-19?

Victoria Connor: È uno scenario completamente diverso, il COVID è un nemico che non si vede e per cui non esiste un antidoto al momento. Non è possibile fare un paragone, se non per il fatto che i donatori di sangue o di plasma sono incredibilmente necessari, dobbiamo sostenere i nostri assistenti sanitari e chi è impegnato in prima linea. È un’emergenza completamente diversa, ma la necessità per le persone di aiutarsi a vicenda e di lavorare insieme è la stessa, anzi forse è maggiore.

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