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2017/02/21

I problemi legali di No Easy Day

di Hammer

Il volume No Easy Day pubblicato il 4 settembre del 2012 fu il primo racconto della missione di Abbottabad, che uccise Osama bin Laden, scritto da uno dei militari che presero parte all'operazione. L'autore del testo è l'ex Navy SEAL Matt Bissonnette, che si celò sotto lo pseudonimo di Mark Owen. Fin da prima di essere pubblicato il libro suscitò polemiche perché l'autore decise di darlo alle stampe senza prima sottoporlo alla revisione del Dipartimento della Difesa. E già nell'agosto del 2012 il Pentagono comunicò attraverso i propri portavoce che avrebbe avviato un'azione legale contro l'autore se il libro avesse rivelato dei segreti militari.

Per spingere Bissonnette a sottoporre il proprio testo alla revisione, il Dipartimento della Difesa inviò anche una lettera ufficiale all'autore, sottolineando come questi avesse firmato un accordo di non disclosure (cioè di non divulgazione). Tuttavia Robert Luskin, consulente legale dell'ex militare, rispose che l'accordo firmato non era vincolante.

Negli stessi giorni in cui usciva il libro di Bissonnette fu pubblicato anche l'ebook No Easy Op: The Unclassified Analysis of the Book Detailing the Killing of OBL, scritto da un gruppo di ex Navy SEALs autori anche di numerosi altri volumi su attività militari. Gli autori sostennero che la scelta di Bissonnette di non sottoporre il proprio testo alla revisione ufficiale fosse comprensibile per via dei tempi lunghi dei revisori e perché questi sono sempre più attenti a tagliare che a preservare l'integrità della storia. Secondo la rivista The Atlantic, Bissonnette aveva fretta di pubblicare il proprio testo affinché questo arrivasse nei negozi prima del libro The Finish: The Killing of Osama bin Laden di Marc Bowden sullo stesso argomento. Bowden sottolinea tra l'altro come lo pseudonimo scelto da Bissonnette sia molto simile al suo nome. La stessa posizione è espressa da Bowden nella postfazione alla seconda edizione di The Finish.


Nel 2014 Bissonnette fu effettivamente oggetto di un'indagine da parte del Dipartimento della Difesa, poi sfociata in un'investigazione criminale da parte del Dipartimento di Giustizia, per aver rivelato dettagli che non era autorizzato a rivelare. A seguito della querela, Bissonnette avviò a sua volta un'azione legale nei confronti del suo avvocato Kevin Podlaski, sostenendo che fosse quest'ultimo ad avergli suggerito che non fosse necessario sottoporre il testo a revisione.

L'ex militare apparve anche nella trasmissione televisiva 60 Minutes della CBS il 2 novembre 2014 e in tale occasione Robert Luskin spiegò di non poter rivelare i dettagli della denuncia ma aggiunse che uno degli oggetti della contesa era l'aver rivelato l'esistenza dei visori notturni. Tuttavia di questi aveva già scritto Nicholas Schmidle nel suo articolo Getting Bin Laden pubblicato dell'agosto del 2011, inoltre gli stessi visori si vedono chiaramente nel film Zero Dark Thirty (da cui è tratto il fotogramma sottostante) uscito all'inizio del 2013 e sono disponibili sul sito Internet del produttore e su quello di venditori terzi come questo.


Nel 2016 Bissonnette raggiunse l'accordo di pagare al Pentagono una cifra forfettaria di 6,8 milioni di dollari (pari alle royalty guadagnate dalla vendita del libro) e a seguito dell'accordo il Dipartimento di Giustizia decise di non proseguire nella propria azione legale ma di accettare il risarcimento pattuito. Per lo stesso motivo il Dipartimento abbandonò anche l'intenzione di una seconda azione legale nei confronti di Bissonnette.

Nel 2014 Bissonnette pubblicò un secondo volume intitolato No Hero che narra delle operazioni militari in Afghanistan e Iraq a cui ha preso parte. Questa volta l'autore decise di sottoporre il testo all'approvazione del Pentagono, così da evitare ulteriori problemi.

2016/10/03

Getting bin Laden, il primo racconto della missione che uccise Osama

di Hammer

Prima della pubblicazione del libro No Easy Day di Matt Bissonnette (con lo pseudonimo di Marc Owen) e prima che Rob O'Neill raccontasse la propria versione dei fatti a The Esquire (celandosi dietro al nome The Shooter), fu pubblicato un primo e meno noto racconto della missione che uccise Osama bin Laden. L'8 agosto del 2011, a soli tre mesi dal raid di Abbottabad, il giornalista Nicholas Schmidle pubblicò sul New Yorker un lungo articolo intitolato Getting bin Laden, in cui descrisse in modo molto dettagliato come la missione era stata compiuta. L’articolo fu pubblicato anche prima del contestato volume SEAL Target Geronimo di Chuck Pfarrer, le cui lacune ed evidenti imprecisioni sono state evidenziate sia dall'American Thinker sia dal giornalista della CNN Peter Bergen.

Schmidle inizia la propria ricostruzione dal 2009, anno dell’insediamento di Barack Obama, che volle spingere di nuovo sulla ricerca del terrorista saudita dopo che la pista si era raffreddata sotto la presidenza di George W. Bush. L'anno seguente la CIA individuò uno dei corrieri di Osama che si spostava frequentemente verso un compound di Abbottabad i cui abitanti bruciavano i rifiuti all'interno delle mura anziché depositarli per la raccolta; inoltre all'interno della struttura abitava un uomo che non usciva mai dal recinto esterno. Dopo essere giunti, con un'azione di intelligence, alla ragionevole certezza che l'uomo che non usciva era proprio Osama bin Laden, Obama chiese alla CIA di predisporre alcuni piani per un raid nel compound.

Una delle prime ipotesi considerate fu di scavare un tunnel ed entrare da sottoterra, ma fu scartata perché il compound sorgeva su un bacino di ritenzione. Gli scenari proposti a Obama prevedevano quindi un bombardamento aereo o un raid con elicotteri. Il Presidente scelse la seconda opzione e incaricò l'ammiraglio McRaven di definirne i dettagli.

Vennero scelti per l'operazione 23 uomini del Red Squadron del SEAL Team 6; il gruppo condusse una settimana di esercitazioni nel North Carolina dal 10 aprile e una seconda settimana in Nevada a partire dal 18 aprile. Il piano prevedeva di trasportare gli uomini con due elicotteri Black Hawk, il primo dei quali avrebbe fatto scendere i 12 SEAL che trasportava al suolo vicino al compound, mentre il secondo elicottero avrebbe fatto scendere quattro SEAL, insieme al traduttore (che l'autore cela sotto lo pseudonimo di Ahmed), all'angolo nord orientale del compound affinché controllassero il perimetro per poi portare i restanti sette militari sul tetto della struttura. Il team partì il 26 aprile dagli Stati Uniti per arrivare dopo alcuni scali a Jalalabad due giorni dopo.

La notte tra l'1 e il 2 maggio del 2011 la missione non iniziò come previsto e i primi problemi si verificarono appena giunti al compound. Il primo elicottero, infatti, perse il controllo e atterrò in una situazione di emergenza, riportando gravi danni. Il pilota fece schiantare intenzionalmente il velivolo di muso in un recinto per animali all'interno delle mura esterne del compound per evitare che l’elicottero si rovesciasse su un lato. Non sapendo cosa fosse successo al primo Black Hawk, anche il secondo cambiò i propri piani e abbandonò l'idea di far scendere alcuni uomini sul tetto, atterrando invece sul terreno all'esterno delle mura.

Nonostante l'avvio problematico, il gruppo decise di continuare la missione; Schmidle descrive dettagliatamente i movimenti di ciascun gruppo di SEAL all'interno del complesso e dell'edificio fino a quando tre dei militari salirono al piano superiore, dove colpirono a morte il fondatore di al-Qaeda. I SEAL annunciarono quindi via radio al Presidente di aver ucciso "Geronimo", come era chiamato in codice il terrorista saudita.

Prima di riportare il cadavere in Afghanistan, i militari dovettero distruggere i resti dell'elicottero danneggiato: dapprima con mani e martelli e poi con dell'esplosivo. Un Chinook arrivò a prelevare il corpo di bin Laden e venne usato anche per trasportare alcuni SEAL in sostituzione dell'elicottero andato distrutto. Dal cadavere vennero estratti campioni di midollo osseo che furono trasportati sul Black Hawk in modo che viaggiasse su un mezzo diverso rispetto al corpo. Il cadavere fu quindi portato a Jalalabad, dove per verificare che l'altezza corrispondesse a quella stimata fu fatto sdraiare un SEAL di un metro e ottanta accanto al corpo del terrorista morto in modo da valutarne la differenza.

Il corpo di Osama fu quindi lavato, avvolto in una veste bianca e deposto nell'Oceano Indiano. La morte di bin Laden fu un grande successo politico e militare per la Casa Bianca e pochi giorni dopo anche al-Qaeda confermò il decesso del proprio leader.

Nonostante sia molto ricco di dettagli che si sono nel tempo rivelati corretti, l'articolo di Schimdle fu criticato dal giornalista Craig Silverman e da Adam Clark Estes, che contestarono che Schimdle non ebbe accesso ai racconti diretti dei militari che compirono la missione per scrivere il proprio pezzo. Tuttavia sia Schindle sia l'editore David Remnick ribatterono che l'autore aveva consultato fonti vicine al commando che aveva condotto le operazioni e che le informazioni riportate erano state adeguatamente verificate, nonostante effettivamente l'autore non citi le proprie fonti. Del resto, il lungo articolo di Schindle è citato come fonte anche dai migliori libri sulla missione che uccise Osama bin Laden, quali Manhunt di Peter Bergen e The Finish di Marc Bowden, e tuttora costituisce una delle migliori e più ricche fonti di informazioni per conoscere quanto accaduto quella notte ad Abbottabad.

2015/11/09

Il misterioso incidente occorso al SEAL Team 6

di Hammer

Secondo molte fonti complottiste i membri del SEAL Team 6 che compirono la missione che uccise Osama bin Laden sarebbero morti in un misterioso incidente il 6 agosto del 2011, quando un Boeing CH-47 Chinook militare fu abbattuto nella provincia di Vardak da un gruppo di Talebani. Tra i 38 passeggeri vi erano infatti 15 membri del SEAL Team 6.

La prima cosa che va notata riguardo a questa teoria è che è autocontraddittoria: se i militari che uccisero bin Laden sono stati eliminati in quanto testimoni scomodi, allora la missione che uccise il terrorista saudita si è svolta veramente e quindi non capiamo cosa i complottisti vogliano dimostrare con questa teoria.

Se questa spiegazione dettata dal buon senso non dovesse essere sufficiente, basta analizzare qual è la struttura del SEAL Team 6 per capire che banalmente i morti nell'incidente del Chinook sono altre persone rispetto a quelle che uccisero bin Laden. Contrariamente a quanto i complottisti pensano, il SEAL Team 6 non è un gruppuscolo di poche decine di persone e ogni incidente che colpisce questa squadra non coinvolge necessariamente tutti i membri del gruppo stesso.

Come riportato da varie fonti (tra cui due articoli del New York Times, intitolati SEAL Team 6: A Secret History of Quiet Killings and Blurred Lines e Inside SEAL Team 6), il Team 6 è composto da quattro squadroni d'assalto (Red Squadron, Blue Squadron, Silver Squadron e Gold Squadron) a cui si aggiungono il Black Squadron, che ha compiti di intelligence, sorveglianza e spionaggio (da solo conta oltre cento elementi ed è l'unico ad ammettere la presenza di donne) e il Gray Squadron, che ha il compito di guidare i mezzi di trasporto modificati apposta per il Team 6. In ultimo completa la formazione il Green Team, che è quello in cui vengono fatte la selezione e l'addestramento degli uomini che poi finiranno in uno degli squadroni.

I libri No Easy Day, scritto dal Navy SEAL Matt Bissonnette con lo pseudonimo di Mark Owen, e SEAL TEAM 6 di M. Clement Hall e un articolo del Navy Times riportano che ognuno dei quattro squadroni è diviso in tre truppe, guidate da un comandante, che a loro volta sono divise in squadre di circa sei elementi coordinate da un tenente. In totale i quattro squadroni di assalto comprendono circa 300 uomini.


La testimonianza di Matt Bissonnette riporta che gli uomini impiegati nella missione che uccise bin Laden erano 24; Rob O'Neill (al tempo nascosto sotto lo pseudonimo The shooter) e il Navy Times completano l'informazione aggiungendo che lo squadrone a cui appartenevano i militari era il Red Squadron. Questo dettaglio è stato confermato da un altro membro del Team, intervistato da Peter Bergen.

Al contrario, secondo varie fonti giornalistiche come USA Today o il New York Times, i militari morti nell'incidente del Chinook appartenevano al Gold Squadron e lo stesso giorno dell'abbattimento alcune fonti del Pentagono smentirono che tra i SEAL morti ci fosse qualcuno di quelli che avevano partecipato alla missione di Abbottabad; la notizia fu riportata tra gli altri da CBC News e dal Los Angeles Times. Dell'abbattimento del Chinook parla anche il secondo libro di Bissonnette, intitolato No Hero, senza però aggiungere dettagli significativi.

Nonostante bastino una ricerca di dieci minuti e un po' di buon senso a smentire questa ennesima teoria complottista, chi vuole trovare dei misteri laddove non ci sono non impiega neanche pochi minuti per verificare se la propria ipotesi sia fondata o no. Purtroppo è il medesimo copione a cui i complottisti ci hanno abituato da oltre un decennio.

2014/11/22

The Man Who Killed Usama bin Laden: il racconto dell'uomo che ha sparato a Osama

di Hammer. L'articolo è stato corretto dopo la pubblicazione iniziale.

L'11 e il 12 novembre 2014 il canale televisivo Fox News ha trasmesso lo speciale The Man Who Killed Usama bin Laden che presenta una lunga intervista del giornalista Peter Doocy al Navy SEAL Robert O'Neill.

O'Neill fu il secondo dei tre uomini che salirono al terzo piano del compound di Abbottabad in cui si nascondeva Osama bin Laden e, secondo quanto dichiarato dallo stesso O'Neill, fu proprio lui a sparare il colpo mortale alla testa di Osama. O'Neill aveva rilasciato un'intervista a The Esquire nel 2013 nella quale si era celato sotto lo pseudonimo The Shooter.

L'intervista trasmessa da Fox News si apre con una lunga digressione sulla vita personale di Robert: dalla sua infanzia nella città di Butte, nel Montana, ai suoi primi lavori come facchino o come commesso di un McDonald's, fino alla decisione di entrare nei Marines e al duro addestramento fisico e attitudinale a cui ha dovuto sottoporsi.

L'11 settembre 2001 O'Neill si trovava in un ufficio in Germania quando sentì la notizia degli attentati e pensò immediatamente che la responsabilità fosse di Osama bin Laden. "We said the words Osama bin Laden within 30 seconds" dice testualmente. Come membro del SEAL Team 6 avrebbe dovuto partecipare alle prime fasi dell'invasione dell'Iraq, ma poco prima la sua squadra fu dirottata verso la Liberia, dove partecipò a una missione che doveva riportare in patria i militari americani e solo in seguito poté unirsi ai Navy SEALs inviati in Iraq e Afghanistan.

Nel 2009 prese anche parte all'operazione che portò alla liberazione del comandante Richard Phillips del mercantile Maersk Alabama dirottato da pirati somali. La vicenda è stata narrata nel 2013 dal film Captain Phillips - Attacco in mare aperto con Tom Hanks nel ruolo del comandante rapito.

Durante un periodo trascorso a Miami al termine dell'undicesima missione in cui fu coinvolto, la squadra di O'Neill fu richiamata proprio per la missione che avrebbe portato all'uccisione di Osama bin Laden.

Il documentario mostra quindi un intervento del giornalista americano Mark Bowden, autore del libro The Finish: the Killing of Osama bin Laden, che riassume brevemente come le forze americane furono in grado di individuare il luogo dove si nascondeva Osama e le diverse tipologie di missione che furono valutate: un attacco missilistico con aerei, una operazione congiunta con le forze pakistane o un raid dei Navy SEALs. Dopo opportune valutazioni fu scelta quest'ultima opzione.

Ai Navy SEALs chiamati per l'operazione fu inizialmente detto che avrebbero dovuto entrare in una casa a prendere qualcosa e portarla via, inducendo così i militari a pensare che la missione dovesse svolgersi in Libia e che l'obiettivo fosse il Colonnello Gheddafi. Fu quindi comunicato loro che invece l'obiettivo era bin Laden e dapprima il ruolo di O'Neill avrebbe dovuto essere di coordinatore all'esterno del compound. Durante le esercitazioni, svolte con un modello in scala 1:1 dell'edificio ricostruito negli Stati Uniti, O'Neill maturò la convinzione che quella sarebbe stata una missione dalla quale non sarebbe tornato vivo. Pensava infatti che i Navy SEALs sarebbero morti insieme a Osama, se questi si fosse fatto esplodere, oppure arrestati e catturati dalle milizie pakistane per poi trascorrere il resto delle loro vite da detenuti in Pakistan.

Prima di lasciare gli Stati Uniti per il viaggio da cui pensava di non tornare, O'Neill scrisse delle lettere per i suoi figli in cui dava loro delle raccomandazioni per il loro futuro e chiamò suo padre per salutarlo un'ultima volta. Anche il padre di Robert, visibilmente emozionato, ha preso parte al documentario di Fox News raccontando la toccante telefonata dal proprio punto di vista.

Durante il volo in elicottero che avrebbe portato i Navy SEALs dalla base in Afghanistan al compound di Abbottabad, O'Neill contava mentalmente da zero e mille e da mille a zero per tenere occupata la mente e per combattere il pensiero che avrebbero potuto essere abbattuti da un missile in ogni momento; altri militari per evitare di essere assaliti dagli stessi pensieri dormivano o ascoltavano musica.

Mark Bowden spiega quindi che la missione non andò come previsto in quanto il primo elicottero si schiantò al suolo, costringendo i Navy SEALs ad abbandonare l'ipotesi di entrare nel compound anche dall'alto. I SEALs entrarono quindi nel compound solo dal piano terra, venendo accolti da alcuni spari dalla finestra; uno dei SEALs rispose al fuoco ferendo una moglie di Osama che viveva nel compound. Tre dei Navy SEALs salirono quindi al terzo piano e Robert O'neill si trovò ad essere il secondo nella fila. Il primo dei tre Navy SEALs, noto come the point man, trovò davanti a sé una delle mogli e una delle figlie di Osama e si lanciò su di loro temendo che stessero per farsi esplodere. O'Neill proseguì fino alla camera da letto dove trovò Osama e un'altra delle mogli di fronte a sé; senza esitare sparò tre colpi al volto di Osama, che cadde a terra morto.

Uno dei SEALs che parlava arabo chiese a una delle figlie chi fosse l'uomo morto e la donna confermò che si trattava di Osama bin Laden. I SEALs quindi trasportarono il cadavere all'esterno e prima di infilarlo in un body bag e di caricarlo su un elicottero prelevarono dalla salma un campione di DNA con una siringa. La salma e la siringa viaggiarono poi su due elicotteri distinti in modo che in casi di abbattimento di uno dei due fosse ancora possibile provare che bin Laden era definitivamente morto.

I militari capirono di aver concluso con successo la missione una volta rientrati in Afghanistan dove poterono ascoltare l'annuncio del Presidente Obama in diretta televisiva.

Rientrati negli Stati Uniti il team dei Navy SEALs fu ricevuto privatamente dal Presidente, dal Vicepresidente e dal gabinetto di governo e quando fu chiesto loro chi avesse sparato il colpo mortale O'Neill e un altro soldato risposero che il successo doveva essere attribuito all'intera squadra.

Doocy chiede quindi a O'Neil come si spiega il fatto che il racconto di Matt Bissonnette (foto accanto), scritto con lo pseudonimo di Mark Owen, differisca dal suo.

Bissonnette, che è stato ospite della trasmissione televisiva 60 Minutes del canale CBS il 2 novembre e ha appena pubblicato un nuovo volume intitolato No Hero, infatti sostiene che il point man, appena arrivato al terzo piano, abbia sparato a bin Laden centrandolo e che quando i tre SEALs andarono insieme nella stanza da letto lo trovarono steso a terra. O'Neill risponde che probabilmente per via della velocità con cui si è svolta l'azione e del buio Bissonnette si sbaglia nel ricostruire la vicenda. Mark Bowden aggiunge che l'unica spiegazione possibile che faccia combaciare le due versioni è che il point man abbia sparato a bin Laden mancandolo, O'Neill gli si sia quindi avvicinato e lo abbia colpito a morte inducendo Bissonnette a credere che il primo colpo, e non il secondo, abbia centrato il terrorista. O'Neill aggiunge che prima di essersi trovato faccia a faccia con Osama ha sentito un colpo sparato da uno dei suoi colleghi, non sa dire dove questo colpo sia finito e quindi non può escludere che Osama fosse stato colpito da un proiettile sparato dal point man prima che lui se lo ritrovasse di fronte: l'unica cosa di cui è sicuro è che il terrorista fosse in piedi e non steso a terra.

Doocy chiede anche a O'Neill se siano state scattate foto di Osama morto e O'Neill risponde positivamente, aggiungendo però che il popolo americano non ha bisogno di vedere l'orrore di un cadavere sfigurato, ma è sufficiente che sappia che la giustizia è stata ristabilita.

O'Neill conclude l'intervista raccontando di aver donato al 9/11 Memorial Museum parte della divisa che indossava durante la missione e di essere andato al museo, dove ha tenuto una conferenza in cui ha raccontato come si è svolta la missione di Abbottabad e in tale occasione ha incontrato alcuni parenti delle vittime che lo hanno ringraziato per quanto fatto.

Il racconto di O'Neill è molto emozionante e coinvolgente e le sue vivide parole trasmettono la dedizione e il patriottismo che ha portato il Team 6 dei Navy SEALs a compiere questa singolare missione. Il racconto è impreziosito dai brevi ma precisi interventi di Bowden e dalle parole del padre di Robert, la cui emozione è più che evidente. Va comunque sottolineato che a parte le considerazioni personali dello stesso O'Neill, ad esempio quelle secondo cui pensava di intraprendere una missione da cui non sarebbe tornato vivo in patria, l'intervista non rivela particolari che non fossero già noti.

2013/04/04

Le versioni discordanti sull'uccisione di Osama bin Laden

di Hammer

Sono trascorsi due anni dall'uccisione di Osama bin Laden da parte del Team 6 dei Navy SEAL in un compound di Abbottabad, in Pakistan, e tuttora rimangono poco chiari alcuni aspetti di questo episodio storico. Ovviamente sono trapelate pochissime informazioni sull'operazione, ma di recente sono emerse le testimonianze dirette di due dei Navy SEAL che hanno partecipato alla missione: nel settembre del 2012 è stato pubblicato il volume intitolato No Easy Day di Matt Bissonnette, che si cela sotto lo pseudonimo di Mark Owen, e di recente la rivista Esquire ha pubblicato il racconto di un altro membro del Team 6 che viene indicato semplicemente come The shooter.

Sebbene i due racconti collimino su gran parte della storia, non combaciano su un dettaglio abbastanza significativo. Entrambi concordano sul fatto che tre Navy SEAL, tra cui Bissonnette e The shooter, raggiunsero per primi il terzo piano del compound dove si trovava la camera da letto di Osama, ma a questo punto i racconti divergono.

Secondo Bissonnette, Osama bin Laden non poté in alcun modo tentare di difendersi perché fu colpito, appena sporse la testa dalla camera da letto, da una prima pallottola sparata dall'uomo che si trovava alla testa del gruppo e che viene indicato come point man, quindi fu finito con altri colpi quando già era a terra.

Al contrario The shooter ha raccontato all'Esquire di essere entrato nella camera da letto mentre il point man si assicurava che le due donne presenti nell'anticamera non fossero armate e di essersi trovato faccia a faccia con Osama, che tentò disperatamente di raggiungere delle armi che aveva a disposizione ma non riuscì in tale intento in quanto fu freddato proprio da The shooter, che gli sparò tutti e tre i colpi mortali.

La versione di Bissonnette, sebbene meno eroica, sembra quella più plausibile in quanto coerente con una terza testimonianza di un membro del Team 6 raccolta dal giornalista Peter Bergen della CNN, che si è di recente occupato dell'argomento. Questo terzo Navy SEAL è rimasto del tutto anonimo e ha confermato la versione di Bissonnette, aggiungendo che Osama non avrebbe potuto tentare di raggiungere alcuna arma perché non ne aveva a disposizione nella propria camera da letto.

Le due immagini seguenti, tratte da ricostruzioni animate realizzate dalla CNN, esemplificano i diversi scenari descritti dai due militari.

Versione di Matt Bissonnette

Versione di The shooter

Difficilmente potremo mai chiarire definitivamente quanto avvenuto in quei pochi istanti, poiché i dettagli sono noti a poche persone. L'unica speranza di mettere definitivamente la parola “fine” su questo dettaglio è che anche il point man decida prima o poi di raccontare la propria versione dei fatti.

In questo caso il compito dei giornalisti investigativi è sicuramente più arduo che non per altri aspetti legati all'11/9, per i quali esistono riscontri molto più numerosi e oggettivi.

2012/09/29

"No Easy Day": il racconto della missione che ha ucciso Osama bin Laden

di Hammer

In occasione dell'undicesimo anniversario degli attacchi dell'11/9 è stato pubblicato il volume No Easy Day, scritto da uno dei Navy SEAL che hanno partecipato alla missione che uccise Osama bin Laden nel maggio del 2011. Nel libro l'autore si nasconde sotto lo pseudonimo di Mark Owen, ma già prima della pubblicazione era noto il suo vero nome: Matt Bissonnette. La notizia è stata riportata da diverse testate autorevoli come Fox News e Reuters; inoltre secondo il New York Times l'identità dell'uomo sarebbe stata confermata anche da ufficiali militari e dal Department of Defense.

Dopo la pubblicazione del libro, l'autore è anche apparso a volto scoperto nella trasmissione televisiva di CBS 60 Minutes (da cui è tratto il fotogramma sottostante).

Nella prima metà del libro, che ha come sottotitolo The Autobiography of a Navy SEAL, l'autore parla della propria carriera militare raccontando episodi di diverse missioni in Afghanistan e in Iraq.

La seconda metà del volume è invece interamente dedicata alla missione che ha portato all'uccisione di Osama bin Laden e su questa rivela particolari poco noti. Bissonnette racconta, ad esempio, che le prime esercitazioni sono state condotte nel North Carolina dove era stato ricostruito a grandezza naturale il compound in cui si nascondeva bin Laden. Oppure che la prima identificazione di Osama fu più difficile del previsto per via del buio della notte a cui si aggiungeva un momentaneo blackout (non infrequente nella zona, secondo l'autore) e in quanto Osama si era tinto la barba di nero per sembrare più giovane e ingannare chi gli dava la caccia; in seguito nel compound fu trovata anche una confezione del colorante per capelli Just for Men che era stata evidentemente usata allo scopo.

Il testo di Bissonette chiarisce anche il dettaglio dell'elicottero distrutto rinvenuto nelle vicinanze del compound. Il mezzo che trasportava il primo gruppo dei Navy SEAL si schiantò al suolo all'atterraggio, ma l'equipaggio riuscì comunque a uscirne indenne a condurre la missione come previsto. L'elicottero fu quindi intenzionalmente distrutto con una carica esplosiva al termine della missione.

Come riportato più volte dalla stampa, il libro è oggetto di animate polemiche. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha manifestato più volte il proprio dissenso con due articoli pubblicati sul sito ufficiale (primo, e secondo) in cui sostiene che il libro rivelerebbe informazioni riservate.

Inoltre l'Ammiraglio McRaven, organizzatore ed esecutore della missione, ha contestato il fatto che il volume conterrebbe una grave imprecisione. Bissonnette infatti racconta che bin Laden non avrebbe fatto il minimo tentativo di difendersi, mentre gli ufficiali del Pentagono hanno sempre sostenuto che Osama tentò disperatamente di raggiungere le armi che aveva in stanza. In realtà esiste una spiegazione semplice e plausibile: Bissonnette potrebbe non aver visto Osama compiere tale gesto in quanto lo vide solo da cadavere dopo che era stato ucciso da un altro Navy SEAL che lo precedeva.

Indipendentemente dalle polemiche suscitate, e in parte proprio per queste, il libro è molto interessante e, come è ovvio, riporta un'ulteriore voce che smentisce le assurde teorie del complotto secondo cui Osama bin Laden sarebbe morto anni prima in circostanze che nessun sostenitore di tali teorie ha mai saputo spiegare.