La versione originale in inglese è disponibile qui.
In occasione di questo anniversario, offriamo ai nostri lettori il racconto personale della sopravvissuta Mikaila Cruz, che è fuggita dalla Torre Due dopo l'impatto del primo aereo. La toccante testimonianza di Mikaila trasmette perfettamente il senso di caos e disperazione vissuto da chi ha assistito o è sopravvissuto a quella tragedia.
Ringraziamo Mikaila per la sua gentilezza e disponibilità.
Undicisettembre: Cosa ti è successo l’11 settembre? Puoi farci un resoconto generale di ciò che hai visto e vissuto quel giorno?
Mikaila Cruz: All’epoca lavoravo nella Torre Due e non avrei dovuto arrivare in ufficio prima delle 9:15, ma mi era stato chiesto di occuparmi di una presentazione che dovevano tenere i manager responsabili delle azioni e delle obbligazioni della società per cui lavoravo, che era una società fiduciaria, una banca istituzionale. Arrivai alle 8:30 e c'erano poche persone in ufficio, nell’ascensore c’erano sei o sette persone del settore IT dirette al 98° piano. Il mio ufficio era al 95°, quando uscii dall’ascensore e arrivai alla scrivania il mio ex ragazzo mi chiamò al telefono. Erano circa le 8:40, mi chiese come stesse andando la giornata e io risposi “Non voglio parlare” perché lo avevo lasciato.
Riattaccai e poi sentii il rombo di un motore d’aereo. Quando l’aereo si schiantò non sapevo cosa fosse, pensavo fosse un’esplosione. Qualcuno dall’altro lato del piano disse “Dobbiamo uscire da qui, credo che un aereo abbia colpito la Torre Uno”. Le finestre, che erano alte dal pavimento al soffitto, andarono in frantumi e sentii subito il vento entrare, presi la borsa del PC e la borsetta e corsi verso le scale. La mia collega Lori mi afferrò e mi trascinò nell’ascensore, le dissi “Durante le emergenze non si deve prendere l’ascensore.” e lei rispose “No, dobbiamo prenderlo.” Entrammo in ascensore con un altro collega, Andrew, e scendemmo al 90° piano, dove c'erano l'ufficio legale e le risorse umane. Un’altra persona che conoscevamo, Dave, corse dentro, guardai nel corridoio e vidi persone che correvano o urlavano al telefono; nessuno salì sull’ascensore, erano in preda al panico. Le porte si richiusero e proseguimmo fino al 78° piano, che era uno dei piani di interscambio per prendere altri ascensori.
Quando uscimmo, Andrew e Dave presero altri ascensori mentre Lori e io ne prendemmo uno proprio di fronte a noi, talmente pieno che la gente spintonava per entrare finché qualcuno disse “Basta, basta, non ci stiamo più”. Scendemmo nella hall e Lori corse verso Liberty Street, fuori c’era carta in fiamme ovunque e una trave d’acciaio a terra. C’erano pompieri e molti poliziotti che cercavano di allontanare le persone dall’edificio. Guardai a destra e vidi il mio ex manager Chris, quello che mi aveva chiesto di arrivare in anticipo quel giorno, che quindi era già arrivato. Mi disse “Grazie a Dio, stai bene”. Chiamai la mia manager Joanie, che lavorava da casa, e mi disse “Oh mio Dio, si è schiantato un aereo. Esci dall’edificio.” Vidi la mia collega Roxanne entrare in ascensore e la tirai fuori, mi disse “La Port Authority ha detto che la Torre 2 è al sicuro e possiamo tornare a lavorare”, le risposi “No, vai a casa. Vai a casa”.
Non appena uscii il mio amico Pete, che si trovava a Chicago, mi chiamò e mi chiese “Stai bene? Cos’è successo?”. Risposi “Non lo so. Penso che si sia schiantato un aereo”. Il telefono perse la connessione e sentii un altro rombo, quando il secondo aereo si schiantò fu il caos totale. La gente correva per mettersi in salvo e io venni spinta a terra contro una barriera d’acciaio. Andrew mi vide e mi tirò su. Guardai in alto e vidi persone gettarsi dalla Torre 1. Rimasi in silenzio, scioccata. Andrew mi prese per un braccio e mi disse “Andiamo verso il South Street Seaport.” Arrivammo lì e c'erano già molte persone. La gente era in coda a un telefono pubblico, perché i cellulari non funzionavano. Io avevo un PalmPilot e scrissi un'email al mio ex ragazzo per dirgli “Sto bene, per favore avvisa mia madre e mio fratello.” Anche Andrew cercava di contattare la sua famiglia. Dopo che ebbe parlato con sua sorella e con un'altra persona lo chiamai e proprio in quel momento la seconda torre iniziò a crollare. Sulle prime sembrava che crollasse su sé stessa, poi i detriti iniziarono a invadere le strade e fummo travolti da una nube di polvere. Fummo scaraventati a terra coperti da detriti, fumo e rottami. Ci rialzammo e iniziammo a camminare. Quando arrivammo alla ventesima strada trovammo persone che lasciavano bicchieri d’acqua su un tavolo per chi come noi stava cercando di tornare a casa. Io e Andrew ci sedemmo, mi chiese “Hai dei soldi? Devo prendere il traghetto per il New Jersey”. Avevo solo due dollari nel portafoglio e glieli diedi. Arrivammo all'incrocio tra la terza avenue e la trentacinquesima strada, lui proseguì verso il traghetto e io presi un taxi per tornare a casa.
Dissi al tassista “Sono senza soldi. Vado a un ATM.” e lui rispose “Non importa, non preoccuparti”. Incredibilmente, il taxi era nuovo. Ovunque attorno a noi la gente saliva sopra le auto pur di poterle prendere, ma nessuno aveva notato quel taxi che era lì da solo. Attraversammo il ponte e mi disse “Questa è la mia prima corsa di oggi”. Ero arrabbiata, non riuscivo a contattare la mia famiglia e dissi “Non mi interessa se sono la prima, non ho soldi, mi dispiace.” Mi rispose “Non preoccuparti, prenditi cura di te stessa.” Guardai la data sulla sua licenza: c’era scritto 11 settembre 2001, quindi era la sua prima corsa in assoluto.
Arrivai a casa di mia madre ad Astoria, nel Queens, verso le tre del pomeriggio. Mio fratello aprì la porta e non riusciva a crederci, credeva di sognare e mi abbracciò. Mia madre, che lavorava poco distante da lì, pensava fossi morta nel crollo della seconda torre. Tornò a casa dopo un quarto d'ora e mi abbracciò.
Undicisettembre: Cosa hai fatto nei giorni successivi? Ovviamente non hai potuto tornare al lavoro in ufficio.
Mikaila Cruz: Il giorno dopo rimasi a letto fino alle 11:30 circa, mio fratello mi svegliò e mi diede un pezzo di carta con un numero di telefono, era il numero della Port Authority perché volevano che li chiamassi per comunicare che ero viva. Era richiesto a tutti quelli che lavoravano nei due edifici. Quindi chiamai appena sveglia.
Poi mi feci una doccia e avevo le vesciche ai piedi, ero un disastro. Quando uscii dalla doccia iniziai a tossire sangue, sentivo come se avessi qualcosa in gola e nei polmoni.
Undicisettembre: Quando e come la tua vita è tornata alla normalità o a una nuova normalità? Cosa ti è successo dopo l’11 settembre?
Mikaila Cruz: Nei mesi precedenti l’11 settembre, la mia azienda era stata acquistata da una società di fondi comuni in Florida. Dopo l’11 settembre, la maggior parte delle persone è stata trasferita a Short Hills, New Jersey, perché lì si trovavano i server, ma nessuno mi chiamò, nessuno mi chiese se avessi bisogno di lavorare. Ero semplicemente in un limbo. Poi due settimane dopo, il CFO mi chiamò e mi disse “Vuoi venire qui in Florida per gestire la ricostruzione? Non c’è nessun altro che possa farlo, solo tu e un altro ragazzo, Matthew.” Andammo entrambi in Florida il 6 ottobre e decisi di rimanere lì. Dopo un anno che ero in Florida lasciai l’azienda e avviai una società di mutui con il mio ex marito. Rimasi lì per 12 anni prima di tornare a New York.
Undicisettembre: Hai ancora problemi di salute dovuti all’11 settembre?
Mikaila Cruz: Sì, da allora ho una bronchite cronica. Quando ho avuto il COVID e sono finita in terapia intensiva, la capacità polmonare mi è scesa al 30%, perché avevo già problemi ai polmoni dovuti all’11 settembre e il COVID ha peggiorato la situazione. Quindi, sì: ho avuto e ho ancora problemi ai polmoni.
Undicisettembre: Quando sei tornata a Ground Zero per la prima volta dopo l’11 settembre?
Mikaila Cruz: L’11 ottobre. Stavano ancora ripulendo l'area. Ci andai con la mia amica Rose, che lavorava con me, che mi chiese “Sei sicura di volerci andare?” Risposi “Sì, devo.” Ci avvicinammo in un angolo dove nessuno dei soccorritori poteva vederci, ci infilammo oltre la recinzione per vedere, ma un pompiere arrivò e disse “Non potete stare qui, dovete andarvene, c’è polvere ovunque” e andammo via. Ma ci sono andata poco dopo l’attentato.
Undicisettembre: Sei stata al 9/11 Memorial & Museum?
Mikaila Cruz: Sì, sono amica della curatrice. Quando hanno deciso di creare il museo, abbiamo fatto consulenza per loro e mi è sembrata un’idea fantastica. Ci sono andata con la mia migliore amica Jen, anche lei sopravvissuta. Tutto era bellissimo, tranne il fatto che entrando si sentono le voci delle persone che erano negli aerei e negli edifici; penso che quelle voci dovrebbero essere ascoltate in cuffia o sul cellulare, non mentre si cammina nel museo, specialmente per chi è stato coinvolto direttamente dalla tragedia.
Undicisettembre: Cosa pensi della Plaza con le due fontane e l’Oculus e del resto che hanno costruito?
Mikaila Cruz: Non potevano fare di meglio. È evidente. Molte persone come i miei familiari, che vengono qui dalle Filippine o da altri stati, dicono che sentono qualcosa di speciale in quell'area e io sono totalmente d’accordo. Ci sono dei ricordi. Ci sono ricordi forti legati alle persone che erano lì e il modo in cui sono morti è stato così tragico che puoi solo chiederti cosa pensassero o sentissero. L’acqua rappresenta la purezza. Mi piace molto.
Undicisettembre: A parte i problemi di salute, l’11 settembre influenza ancora la tua vita quotidiana?
Mikaila Cruz: No, l’11 settembre non influenza la mia vita quotidiana. Ne risento solo durante gli anniversari. In quell’occasione per onorare i miei amici spengo il telefono, non uso il computer, non contatto nessuno fino alle 3 del pomeriggio, che è l'ora a cui arrivai a casa di mia madre e rividi la mia famiglia.
Undicisettembre: Pensi che la città stia ancora facendo i conti con questa ferita o che l'abbia superata?
Mikaila Cruz: No, non penso ci sia una ferita aperta. Io non la vedo. Solo negli anniversari, camminando per Manhattan, vedo qualcuno con la foto di una persona cara con scritto “Never forget”. Partecipo quasi ogni anno alla 9/11 Memorial Run. L'anno scorso non l’ho fatta, ma cerco di farla ogni anno. Quando vai al memoriale ti emozioni molto, ma a parte questo non penso che i newyorkesi, quelli che sono nati e cresciuti qui, si sentano ancora feriti. C'è sempre qualcosa, ma non lo mostrano.
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