2023/01/03

World Trade Center: intervista all'ex detective dell'NYPD Vic Ferrari

di Leonardo Salvaggio. L'originale in inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale dell'ex detective dell'NYPD Vic Ferrari che l'11/9 era in servizio e arrivò sulla scena dopo il crollo di entrambe le torri.

Ringraziamo Vic Ferrari per la sua cortesia e disponibilità.




Undicisettembre: Cosa ricordi dell'11 settembre? Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto quel giorno?

Vic Ferrari:
Ho lavorato per la polizia di New York per vent'anni, quando avvenne l'11 settembre erano quattordici anni che ci lavoravo. Quel giorno era martedì e c'erano le elezioni, il mio ufficio era nel Bronx da cui si raggiungevano le Torri Gemelle in tre quarti d'ora o un'ora di macchina. Nei giorni prima avevo arrestato un uomo che vendeva veicoli rubati, era in prigione a Manhattan, e quel giorno dovevo andare in tribunale a Manhattan con il mio sergente e avremmo incontrato il suo avvocato difensore. Lo volevamo portare fuori di prigione perché sarebbe diventato un informatore, ci avrebbe portato a persone che vendevano auto rubate e conosceva un uomo che lavorava nel Dipartimento dei Veicoli a Motore che vendeva patenti false.

Ci saremmo incontrati alle nove a Manhattan. Così arrivai nel Bronx alle sette. Alle otto il mio sergente, che doveva venire con me, non era ancora arrivato. Arrivò pochi minuti dopo e io guardando l'orologio gli dissi "Dai, dobbiamo andare! Ci vorrà un'ora per andare a Manhattan e trovare parcheggio". Lui continuava a fare le cose con calma, senza fretta. Il nostro ufficio era al secondo piano della stazione di polizia, uno dei poliziotti corse di sopra, entrò nell'ufficio della squadra investigativa e disse "Accendete la TV, un aereo ha appena colpito il World Trade Center". Accendemmo la TV e iniziammo a guardare come chiunque altro stava facendo. La città di New York ha tre aeroporti principali entro un raggio di settanta chilometri l'uno dall'altro, quindi abbiamo pensato che un pilota avesse avuto un infarto o che un piccolo aereo avesse colpito l'edificio; nessuno sapeva niente. Mentre stavamo guardando, il secondo aereo arrivò e colpì la seconda torre, quindi capimmo che si trattava di terrorismo.

Ci venne detto di indossare le nostre uniformi e restare in attesa. Verso mezzogiorno ricevemmo l'ordine di partire, quindi salimmo sulle nostre auto della polizia senza loghi, attraversammo l'autostrada sul lato ovest di Manhattan, parcheggiammo le nostre auto e alle 13 o 13:15 ero là. C'era il caos, eravamo in divisa ma non sapevano proprio che incarico darci; il mio luogotenente si fece avanti e disse "Prendo la mia squadra e andiamo sulla scena", e così facemmo. Ci diedero delle maschere con cui ci coprimmo la bocca, ma erano semplici maschere di carta, non servivano a molto. Arrivammo ed era tutto folle, c'erano degli edifici in fiamme, uno dei quali era il World Trade Center 7. Eravamo a un paio di isolati di distanza eppure sentivamo il calore e vedevamo le fiamme uscire dalle finestre di questi edifici.

Più ci avvicinavamo al World Trade Center più diventava buio, perché quando gli edifici sono crollati hanno sollevato ceneri e polvere come in un'eruzione vulcanica che venivano lanciate in aria: cemento, amianto, qualsiasi altra cosa che era stata polverizzata volava nell'area. Quindi più ci avvicinavamo, più difficile era per la luce del sole passare attraverso il particolato, era come un crepuscolo in pieno giorno. Tutto era ricoperto da questa cenere. E una cosa che non dimenticherò mai è che c'erano migliaia e migliaia di paia di scarpe da donna con tacco alto, perché molte donne che lavoravano nel distretto finanziario le avevano indossate ma dovendo scappare e non potendo correre con i tacchi alti se le erano tolte, le avevano gettate in strada ed erano scappate. Sembrava un film: c'erano furgoni che vendano hot dog abbandonati, tutto ciò a cui si possa pensare era abbandonato e ricoperto da quella cenere. Faceva molto caldo e avevamo prurito in quelle uniformi di poliestere a causa della polvere tossica che volava tutto intorno a noi. Era una città fantasma. Per un po' mi sembrò che io e i miei colleghi fossimo le uniche persone della zona.

Quando arrivammo al World Trade Center vedemmo un pezzo della facciata che era caduto da centinaia di metri di piedi e si era incastrato al suolo di fronte al terribile cumulo di macerie. Sembrava la scena finale de "Il pianeta delle scimmie" quando Charlton Heston vede la testa della Statua della Libertà sulla spiaggia. Avevo già affrontato molte scene terribili: incidenti automobilistici, persone accoltellate o colpite da colpi di arma da fuoco, ma non riuscivo a a dare un senso a ciò che stavo guardando.


Non c'era nulla di aperto, quindi non potevamo prendere acqua da bere o usare un bagno. Così iniziammo a cercare un posto dove fermarci per una pausa, e trovammo un palazzo di uffici a Broadway in cui alcuni addetti alla manutenzione non erano usciti. Ci fecero entrare per fare una pausa, toglierci le mascherine e bere un po' d'acqua. Uno dei manutentori veniva dall'Afghanistan ma lavorava negli Stati Uniti da più di vent'anni e ci spiegò in dettaglio cosa stava succedendo, ci spiegò dei Talebani e di Osama bin Laden. Sapevo chi erano i talebani e sapevo di Osama bin Laden, che c'era lui dietro i due attentati alle ambasciate in Africa e che era nella lista dei terroristi più ricercati dell'FBI, sapevo che incitava i terroristi a colpire gli Stati Uniti, ma quest'uomo ci spiegò i dettagli su come i Talebani avevano preso il controllo del suo paese e avevano dato un rifugio a tutti questi jihadisti. Tutto iniziò ad avere un senso, per quanto potesse averne.

Era il caos totale. Ricordo che quando ci siamo avvicinammo alla pila il primo giorno, un uomo che indossava qualcosa che sembrava una tuta spaziale ci passò accanto, aveva con sé un dispositivo che sembrava un contatore Geiger. Lo guardammo e ci dicemmo "Quest'uomo lavora per il governo o è solo un matto a caso che ha un contatore Geiger e che ha pensato 'Oggi è il giorno in cui userò il mio contatore Geiger'?"

Il primo giorno l'area non era delimitata come lo sarebbe stato nei giorni successivi quando non si poteva entrare sulla scena senza un tesserino di identificazione e spiegando qual era il proprio ruolo.

Rimasi lì fino alle 5 o le 6 del mattino dopo, quindi ci dissero di andare a casa, di lavare i vestiti in lavatrice perché la polvere era tossica e di presentarci nel Bronx alle 17:30. Alle 19:30 ero di nuovo a Ground Zero e ci sono rimasto fino alle 6 del mattino, lo feci per i primi due giorni. Non prendemmo parte al soccorso e recupero perché non c'era una vera organizzazione, era ancora il caos. Il secondo giorno c'erano molte diverse agenzie di polizia di altri stati e alcune squadre con cani da cadavere. Un giorno o due dopo c'era un camper Winnebago con un gruppo di poliziotti di Chicago, ricordo di aver pensato "Wow! Quanto guidano veloce questi ragazzi per essere qui in un giorno e mezzo?"

Tutte le auto della zona che non erano rimaste schiacciate erano ricoperte di cenere. I poliziotti hanno un umorismo nero e ricordo di essere passato davanti a un'auto su cui qualcuno aveva scritto nella cenere "Fottiti bin Laden. Veniamo a prenderti".

I giorni dopo l'area era stata delimitata in modo che nessuno potesse entrare a rubare cose, ma è successo lo stesso e la polizia catturò impostori che fingevano di essere agenti di polizia fuori servizio, persone che si presentavano con costumi da pompiere, enti di beneficenza fasulli che non esistevano e che cercavano di raccogliere fondi. La gente andava nella zona anche per cercare di rubare monopattini elettrici o generatori di corrente e veniva scoperta.

Non c'era nessuno vivo tra le macerie, lo capimmo dopo pochi giorni ma non potevamo dirlo perché c'erano migliaia di persone che speravano che i loro cari potessero in qualche modo uscirne. Ma noi che eravamo lì sapevamo che nessuno ne sarebbe uscito. Era come la polverizzazione dell'umanità.

Io e la mia squadra andavamo da un edificio all'altro nelle vicinanze di Ground Zero per andare sui tetti a cercare resti degli aerei. Salimmo sul tetto di un edificio a Murray Street e trovammo un pezzo di carrello di atterraggio che era finito a vari isolati dalle Torri.

Dopo una settimana ci tolsero da quell'incarico, prima della fine della seconda settimana ci mandarono alla brigata del secchio. Eravamo come formiche su un mucchio di zucchero, eravamo un'unica fila di un centinaio di poliziotti e vigili del fuoco, riempivamo di detriti dei secchi da venti litri e li facevamo passare lungo la fila. A un certo punto dissero "Dobbiamo fare più in fretta" e portarono attrezzature pesanti con cui hanno estratto pezzi più grossi. Dopodiché a Staten Island, in una discarica abbandonata che era stata chiusa decenni prima, furono portati grandi pezzi di detriti dal World Trade Center in modo che potessimo setacciarli per cercare prove o resti. Venni mandato lì e, poiché la mia squadra lavorava nel crimine legato alle automobili, ci diedero strumenti speciali come gli utensili idraulici per il soccorso per tagliare e aprire auto, furgoni e camion dei pompieri che erano stati estratti per assicurarci che nessuno fosse morto all'interno.

La polizia di New York ci trattò bene durante quel periodo. C'era una chiesa a un paio di isolati da Ground Zero dove potevamo andare a fare una pausa; c'era una donna che suonava il pianoforte e c'erano massaggiatrici professioniste che facevano massaggi. Non eravamo abituati a quel trattamento alla polizia di New York. Anche personaggi famosi sono spontaneamente venuti a trovarci. Ho visto Robert De Niro che è venuto mentre facevamo una pausa e ha stretto la mano a tutti.


Undicisettembre: Hai visto crollare il World Trade Center 7?

Vic Ferrari: No, ma l'abbiamo sentito. Ci siamo passati accanto mentre ci dirigevamo verso un autobus a un isolato o due di distanza, l'abbiamo sentito crollare e siamo saltati giù dall'autobus, anche dai finestrini, per scappare e salvarci la vita perché non sapevamo se sarebbe crollato verso di noi. È stato un rumore tremendo.


Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana, se lo fa?

Vic Ferrari: Oggi no. È stata una cosa terribile e orribile, ma non ho incubi. È stata una delle cose peggiori che abbia mai visto, ma per avere successo nella linea di lavoro in cui mi trovavo devi essere in grado di tenere divise le cose. Soprattutto quando affronti qualcosa del genere devi dire a te stesso "È vero, è brutto ma non posso andare in pezzi; devo lottare, le cose andranno meglio, devo farcela".

Ci sono persone che hanno avuto problemi a causa di quanto accaduto e posso ritenermi molto fortunato. Probabilmente è il mio tipo di personalità. È stato uno dei giorni peggiori della storia americana e della mia vita, ma l'ho superato.


Undicisettembre: Ora vivi lontano da New York quindi capisco che non puoi partecipare facilmente a celebrazioni come per gli anniversari, cosa ne pensi in ogni caso?

Vic Ferrari: È una buona cosa commemorare, così che la gente non lo dimentichi perché negli Stati Uniti tendiamo a dimenticarci delle cose e quel giorno non deve essere dimenticato. Ci sono molte persone che hanno perso la vita a causa di ciò che è successo, conoscevo persone che sono morte il giorno stesso e conosco molti poliziotti e vigili del fuoco che sono morti di cancro negli anni successivi per il fatto di essere stati lì. Ci hanno detto nei primi due giorni che l'aria era sicura, ma non lo era. Devo fare ogni anno lo screening del cancro, quindi rimane sempre nel retro della mia mente.


Undicisettembre: Qual è la tua opinione personale su quanto accaduto in Afghanistan? Andarsene in quel modo era l'unica cosa possibile o c'era un'altra possibilità?

Vic Ferrari: C'è sempre un'altra possibilità, non impariamo mai dai nostri errori. Abbiamo cacciato i sovietici e fornito agli afghani missili stinger che sono finiti nelle mani dei Talebani e degli altri jihadisti. Tendiamo ad abbandonare certe situazioni e a creare il vuoto, poi subentra qualche bastardo ed è quello che è successo anche questa volta.

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