2018/10/04

World Trade Center: intervista all'ex sergente dell'NYPD Gerard Kane

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre continua il suo impegno affinché i tragici eventi dell'11 settembre 2001 non vengano dimenticati. Oggi offriamo ai nostri lettori il racconto dell'ex sergente della polizia di New York Gerard Kane, che arrivò sulla scena dopo il secondo schianto.

Ringraziamo Gerard Kane per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l’11/9?

Gerard Kane: Ero a casa quando il primo aereo colpì, venni immediatamente contattato da uno dei miei colleghi, accesi la televisione e vidi il grande buco nella Torre Nord del World Trade Center con un gran volume di fiamme che uscivano dal palazzo. Avevo ancora intenzione di iniziare il mio turno alle dieci del mattino, come se fosse una situazione normale, cercando di non avere reazioni sproporzionate; al tempo ero un poliziotto da circa quindici anni e non mi ero ancora fatto la barba o la doccia e non mi ero ancora messo gli abiti da lavoro, avevo ancora maglietta e calzoncini e stavo bevendo il caffè in cucina. Poi ricevetti una telefonata da una persona bene informata, un uomo di nome John Miller, che oggi è vice commissario dell’NYPD e al tempo era un giornalista e aveva fatto una famosa intervista a Osama bin Laden nel 1998. Mi chiese cosa stesse succedendo, rimasi un po' sorpreso dalla sua telefonata e ricordo di aver pensato “Se neanche John lo sa, forse dovrei saltare la doccia, buttarmi addosso dei vestiti e andare.”

Quindi mi misi addosso dei vestiti, sapevo che era un brutto incendio e che il mio capo, il commissario della polizia Bernie Kerik, avrebbe voluto che andassi nel palazzo, quindi mi misi un vestito che non mi piaceva, le scarpe che non mi piacevano e la camicia che non mi piaceva, pensando che se si fossero rovinati li avrei semplicemente buttati. Mia moglie mi passò una tazza di caffè, avevo un'auto civetta della polizia che potevo portare a casa nell'ambito dell'incarico che avevo e vivevo a soli dieci chilometri dal World Trade Center, quindi partii con le luci e le sirene accese.

Presi la Interstate 278, chiamata anche BQE, da cui si vedevano le Torri sulla sinistra; lanciai uno sguardo e vidi il fumo nero che usciva dalla Torre Nord e mi ricordò di quella foto iconica della nave Arizona a Pearl Harbor. con tutto il fumo nero che ne usciva. Ma in realtà non stavo guardando la torre, perché stavo guidando, facevo attenzione ai tre o sei metri proprio davanti alla mia macchina in modo da non schiantarmi contro qualcuno. Quando ero a metà strada, circa a cinque chilometri, sentii molte urla e agitazione sulla radio della polizia, nessuno capiva cosa stesse succedendo e poi un poliziotto disse via radio con molta calma: “Centrale, un secondo aereo ha colpito l'altra Torre.” Guardai in alto, ma non vidi la palla di fuoco; vidi invece una grossa nube di fumo che saliva verso il cielo e letteralmente migliaia di pezzi di carta che fluttiavano nell'aria e che quasi scintillavano perché era una giornata così bella e assolata.

In quel momento il capitano dell’NYPD, Joe Esposito, o Capitano Espo come lo chiamavamo, arrivò alla radio. L’NYPD ha un’unità di comando e controllo chiamata operations e il capitano della polizia arrivò alla radio e disse “Centrale, dite alle operations di informare il Pentagono, la città è sotto attacco.” Ero un poliziotto da quindici anni, avevo risposto a chiamate alla radio dove dei poliziotti urlavano di trovarsi in una sparatoria, inseguimenti a piedi, inseguimenti in macchina, ogni tipo di chiamate di emergenza arrivavano per radio; ma sentire il capitano dire alla radio della polizia che eravamo in guerra e che i primi a gestire la situazione eravamo noi, non l’esercito, non la marina, ma il dipartimento di polizia e il dipartimento dei pompieri, fu veramente incredibile. Iniziai a pensare: “Cosa ho con me? Ho una pistola, ho munizioni extra, ho il giubbotto antiproiettile, ho il giubbotto antiproiettile pesante, ho il casco.” Perché non avevo idea di ciò che stavamo affrontando.

Finii per attraversare in auto il Battery Tunnel, uscii dal lato di Manhattan del tunnel, parcheggiai la mia macchina a circa tre isolati di distanza dal sito, e camminai fino alla Torre Sud. Mentre ero lì all’improvviso arrivarono due F-15 della United States Air Force a massima velocità a seicento metri di altezza. Questo ci colpì molto, non mi è successo mai come poliziotto di avere la United States Air Force come rinforzo e la loro presenza mi fece piacere anche se quando arrivarono la prima volta mi spaventarono a morte; è un’entrata in scena molto teatrale quando arrivano in questo modo. Ma una volta che i due jet erano lì, sapevo che nessun altro aereo si sarebbe schiantato sulla città, quindi pensai “Bene, almeno questo è sotto controllo.”

Cercavo di capire cosa avrei dovuto fare. Stavo per entrare nel Marriott Hotel, che era in mezzo alle due torri. Il direttore della sicurezza era un ex sergente della polizia, io ero un sergente della polizia a quel tempo e volevo andare a vedere se stava bene e se aveva bisogno di qualcosa, ma fui distratto da qualcuno e non lo feci. Lui si trovava nell'hotel quando la Torre Sud crollò attorno e sopra di esso e ne sopravvisse a malapena: riuscì ad uscire dall'hotel appena prima che la Torre Sud crollasse. Se fossi entrato e avessi avuto una conversazione anche solo di venti secondi con lui avrei potuto cambiare la sua giornata abbastanza da non farlo sopravvivere e forse anche la mia giornata sarebbe stata cambiata per colpa di venti o trenta secondi. Ma lui sopravvisse, ce la fece per un pelo.

Ero lì che guardavo i palazzi e cercavo di capire cosa il commissario avesse bisogno che io facessi perché io ero nel suo staff, e ciò di cui la gente avesse bisogno: c'erano circa duemila soccorritori sulla scena, forse mille poliziotti tra la polizia della Port Authority e la polizia di New York, forse cinquecento o mille pompieri, cento o duecento paramedici e ambulanze che portavano lì persone. Sentivo questi “bum, bum, bum” e pensai “Forse ci sono dei tubi del gas che stanno esplodendo nelle torri, i pompieri avranno molto di cui preoccuparsi” e a quel punto vidi con la coda dell'occhio una persona che cadeva dalla sommità, e fu una cosa orribile da vedere; soffri per loro perché stanno viveno gli ultimi secondi della loro vita e tu ne sei testimone. Sono completamente vivi e sai che in cinque secondi saranno completamente morti.

Ma dovevo fare il mio lavoro, con i jet sopra le nostre teste ed entrambi i palazzi colpiti, la gente che si buttava giù [dalle torri]. Stavo cercando di concentrarmi su qualunque cosa su cui potessi mettere le mani: se una persona o una cosa era sufficientemente vicina perché io potessi toccarla ci pensavo, altrimenti cercavo di non dedicare energie mentali ad altro, perché iniziavo a capire che sarebbe stata una giornata estenuante. Cercai il commissario della polizia, lo trovai insieme al Sindaco Giuliani cinque o dieci minuti prima che la Torre Sud crollasse. Il commissario mi incaricò di andare a cercare il direttore dell’FBI di New York, l'ufficio più grande dell'FBI negli Stati Uniti, anche più grande di quello Washington, era l'ufficio di New York, c’erano circa duemila agenti assegnati a New York. Ovviamente il commissario di New York voleva che il governo federale gli dicesse cosa stava accadendo e siccome lui di norma non parla con ammiragli e generali voleva che io provassi a contattare il direttore dell'FBI affinché lo ragguagliasse.


Andai a cercare l’FBI. L’FBI aveva stabilito un quartier generale temporaneo in un palazzo a circa tre o quattro isolati a nord del World Trade Center, avevano requisito la lobby di un palazzo e l stavano usando come centro di comando e qualcuno lì mi disse che il capo dell'ufficio di New York, il cui nome era Barry Mawn, era nella Torre Sud. Oggi è ancora vivo, non morì quel giorno.

Scesi fino a Church Street, proprio accanto a Century 21, un famoso grande magazzino, pensando “La base delle torri è un quadrato, le macerie, il vetro e qualunque altra cosa cadono dai quattro lati, quindi se io corro verso lo spigolo della torre con un angolo di quarantacinque gradi e le cose stanno cadendo a novanta gradi dal lato non dovrei avere problemi.” Stavo per correre lì quando qualcuno mi disse “Sta venendo giù”. Pensai di avere un secondo, corsi per circa una cinquantina doi metri, che assolutamente non erano sufficienti, mi nascosi dietro a un veicolo dell’NYPD e mi ci accucciai dietro, sperai per il meglio e come puoi immaginare fu il rumore più forte che puoi sentire nella tua vita. Un ruggito tremendo, tremendo. Il modo migliore in cui lo posso descrivere è il rumore della ghiaia che viene scaricata da un camion. Poi non ci fu più luce, non vedevo nulla, e per qualche secondo non ci fu aria, solo polvere, e poi non c’erano suoni, nessuno. Fu il silenzio più silenzioso che io abbia sentito in vita mia. Se sei mai stato in una nevicata, era quel tipo di silenzio, ma dieci volte più silenzioso. Quindi passò dal rumore più forte che sentii nella mia vita al silenzio più silenzioso che abbia mai sentito nella mia vita. Non durò molto, però. Subito dopo si sentivano persone in stato di shock o che chiamavano i loro amici. Qualcuno diceva di aver bisogno d'aiuto.

Trattenni il fiato per qualche secondo e poi iniziai a respirare e presi un respiro profondo; la polvere mi entrò dritto in gola, di riflesso feci un secondo respiro e mi sentii spacciato. Rischiai di morire soffocato. Fui fortunato, perché ci furono persone che morirono asfissiate. Pensai davvero di stare per morire, urtavo persone ovunque, erano tutte nel panico. Poi mi calmai e quando mi calmai riuscii a pensare meglio, presi la giacca del mio abito e me la legai intorno alla testa per usarla come filtro. Sapevo che il furgone dietro a cui mi ero nascosto era rivolto a sud, sapevo che a nord c'era Harlem, il Bronx, il Canada. Sapevo che avevo bisogno di raccogliere le idee. Strisciai per circa un isolato, quindi camminai per due isolati e mezzo e trovai cinque persone nella chiesa cattolica di Saint Peter, che è all'incrocio tra Barclay Street e Church Street. C'erano quattro adulti e un teenager. La polvere iniziava a posarsi, ma non me ne rendevo conto perché avevo la giacca legata intorno alla testa. Dissero “Ehi, c'è qualcuno lì fuori.” Nessuno degli adulti si mosse, e così il ragazzo uscì e mi disse “Non puoi stare lì fuori.” Mi prese per il polso e mi portò su per gli scalini. Gli dissi “Dove stiamo andando?” mi disse “Stiamo entrando in una chiesa.” Dissi: “E’ una chiesa cattolica?” Non volevo essere schizzinoso, sono cattolico ma sarei andato in qualunque chiesa, però avevo molto bisogno di acqua. Appena arrivai alla porta sollevai la mano e non vedevo nulla, perché avevo la polvere sugli occhi. C'era l'acqua santa. Presi una manciata di acqua santa, me la misi in bocca, me la sciacquai, sputai l'acqua, lo feci di nuovo, poi presi una manciata d'acqua per un occhio e presi una manciata d'acqua per l'altro occhio e mi feci da solo una benedizione.

Attraversai questa esperienza di quasi morte, al tempo pensai che diecimila persone fossero morte. Mi guarda in giro e pensai “Questa è una stazione intermedia verso il paradiso?” quindi feci due calcoli e pensai “Ok, diecimila persone sono morte, solo sei stanno andando in paradiso e non c'è modo che io sia tra quei sei. Se ce ne fossero seimila forse potrei rientrare alla fine della fila, ma non tra sei persone.” Quindi capii che ero vivo. Mi ci volle circa un minuto per tornare a ciò che faccio di lavoro, sono un sergente della polizia: dico alla gente cosa deve fare, che gli piaccia o no, e mi assicuro che lo faccia.

Quindi iniziai a mandare le persone che stavano bene a non più di quindici metri dalla porta della chiesa e a portare all'interno le persone che facevano più fatica a camminare. Il numero di persone iniziò ad aumentare piuttosto rapidamente, fortunatamente ho la voce forte. Avevo un paramedico e un’infermiera, li misi a capo della gestione medica, ed erano autorizzati a prendere ogni decisione medica che volevano, perché io non ho nessun tipo di preparazione medica e loro avevano tutta la preparazione medica che serviva. Io e il ragazzo andammo in sacrestia, perché sapevo che le persone avevano bisogno di acqua, abbattemmo la porta e sapevo che ci sarebbero stati lavandini, vasi di fiori, calici e altre cose che avrei potuto usare per portare acqua alle persone. Aprimmo i rubinetti e riempimmo le cose di acqua. Facemmo bere le persone dai calici perché ne avevano bisogno.

Avevo con me un coltello; dissi al ragazzo di prendere la copertura dell'altare. “Tagliala in strisce, bagna le strisce nell'acqua e dalle alle persone per legarsele intorno alla faccia.” Mi disse: “Sei sicuro?” Dissi: “Sì, sono un ex chierichetto, lo puoi fare.” Lo tagliò, lo tagliò tutto e mi disse “L'ho finito, cosa taglio adesso?” gli dissi “Taglia la veste del prete.” Mi disse di nuovo “Sei sicuro?” A quel punto mi diedi una promozione e mi definii “chierichetto in pensione”. Decisi “Finché qualcuno non mi scavalca, sono la più alta autorità cattolica in questa chiesa”, stavo prendendo tutte le decisioni sui beni della chiesa e su come avrebbero dovuto essere usati. Pochi mesi dopo incontrai padre McManus, che era il parroco, e mi disse “Jerry, Dio ha messo quelle cose lì per essere usate. Hai fatto bene, non preoccuparti.”

Così eravamo lì e davamo un aiuto di base a molte persone, la maggior parte delle persone aveva solo bisogno di un posto sicuro dove stare perché tutti erano in stato di shock, avevano bisogno di acqua, l'aria dentro la chiesa era un po' più pulita rispetto a fuori perché tutte le finestre erano chiuse ed erano intatte. Anche se c'era un pezzo di motore dell'aereo sul tetto della chiesa, nessuna delle finestre si ruppe.

Eravamo lì da poco più di quarantacinque minuti quando la Torre Nord venne giù e non mi ricordo nulla di ciò. Uno psicologo mi parlò del cervello e di questa cosa dell’“attacca o scappa” e che smetti di pensare ai ricordi e ti preoccupi solo di sopravvivere. Potrei parlare del crollo della Torre Sud per cinque ore, ma non ricordo nulla del crollo della Torre Nord.

Arrivò il momento in cui me ne andai, perché c'erano molte persone, capi del dipartimento di polizia, capi dei pompieri. C’era un prete che era rimasto ucciso, il cappellano dei pompieri, padre Mychal Judge, lo portarono nella chiesa di Saint Peter, lo deposero sull'altare. Cominciò a diventare piuttosto congestionata e non avevano più bisogno che io dirigessi le attività. Decisi di rimettermi in contatto con il commissario della polizia, ma non lo trovai e non sapevo se fosse vivo o no. C'era una stazione della polizia in una stazione della metropolitana, per la polizia ferroviaria, a pochi isolati di distanza e andai lì a lavarmi sotto la doccia con indosso i miei abiti, perché avevo così tanta polvere addosso che mi cadeva di dosso costantemente. Volevo levarla, quindi con il mio abito camminai attraverso un getto della doccia per togliermi tutta quella polvere.

Poi tornai a Ground Zero, ero lì quando il World Trade Center 7 crollò, anche se ero a più di due isolati di distanza perché avevo imparato la lezione, che era “Non stare troppo vicino a quelle cose quando crollano”. Nel pomeriggio finii per tornare al mio ufficio al quartier generale della polizia per mettermi l'uniforme, passai gran parte del pomeriggio cercando un posto dove fare un grande obitorio temporaneo. Sulle prime volevamo requisire tutti le piste da hockey su ghiaccio della città, quello era il piano iniziale, ma poi il governo federale arrivò con questi grossi camion-condizionatori, che non sapevo nemmeno che avessimo; volevamo requisire un molo passeggeri sul lato ovest di Manhattan e condizionare l'intera area a una temperatura molto bassa e portare lì i corpi. Poi finii all'obitorio vero e proprio, che è sul lato est di Manhattan; il dottor Hirsch, il medico legale della città al tempo, sapeva che non ci sarebbero stati corpi perché la forza del crollo avrebbe reso quasi nullo il numero di corpi recuperabili; aveva ragione al 100%.

Rimasi all'obitorio dalle dieci di sera fino alle due o le tre del mattino. Poi andai a casa intorno alle tre e mezza o le quattro, mi feci una doccia e avevo intenzione di andare a riposare, perché ero esausto, ma finii per guardare la televisione e fu un terribile errore, perché anche se lo avevo vissuto, mi sentivo obbligato a guardarlo in televisione. Quindi guardai la TV per quarantacinque minuti e a quel punto era ora per me di tornare al lavoro e alle cinque e mezza del mattino ero con la brigata dei secchi sulla pila dei detriti. C'erano duecento persone sulla pila e quello fu l'inizio del lavoro di soccorso e di recupero.


Undicisettembre: Cosa hai fatto nei giorni seguenti?

Gerard Kane: Scavammo quasi fino alla fine del 12 settembre, poi decisero che gli scavi sarebbero stati fatti da personale preparato e stavamo ricevendo aiuto da tutta la nazione piuttosto in fretta, da gente che faceva professionalmente interventi in caso di crolli e che arrivava con l'aereo dove c'era un terremoto o qualcosa del genere, perché ha pratica costante di casi come questo. Quindi furono questi professionisti a strisciare sotto le macerie. Il resto di noi componeva la brigata dei secchi.

Non potevamo portare macchinari pesanti perché pensavamo che ci sarebbero state ancora persone da salvare, e quindi portavano via i pezzi letteralmente a mano. Li mettevano in un secchio da venti litri e passavano il secchio fino alla fine della fila, dove qualcuno lo avrebbe scaricato, poi tre o quattro persone avrebbero lanciato il secchio di nuovo alla sommità della pila, dove sarebbe stato riempito di macerie e sarebbe stato passato di nuovo giù. Io lo feci per un paio di giorni.


Undicisettembre: Quanto tempo ti ci è voluto per riportare la tua vita alla normalità?

Gerard Kane: È difficile dire che sia mai tornata la normalità. E’ stato un duro colpo. Certamente devi andare avanti, ci sono dei figli, c'è una moglie, c'è un lavoro. Non puoi semplicemente piangere tutto il giorno o bere tutto il giorno o fare entrambe le cose tutto il giorno, devi funzionare.


Undicisettembre: L’11/9 come condiziona la tua vita quotidiana?

Gerard Kane: Ci penso tutti i giorni, penso a quanto sono stato fortunato a essere sopravvissuto, sono grato di non essere morto. Sono grato di non avere lasciato mia moglie e i miei ragazzi. Penso a tutte le persone che sono andate al lavoro per fare il loro lavoro, non avevano sentimenti politici, e alcuni maniaci hanno fatto schiantare degli aerei nei loro palazzi uccidendoli a centinaia. E’ terribile.

I primi soccorritori, tra cui io, mentre andavamo sulla scena sapevamo che sarebbe stata una situazione di vita o di morte, ma abbiamo continuato ad andare. Io l’ho scelto, sono voluto diventare un poliziotto; i pompieri hanno deciso di diventare pompieri. Le povere persone che erano sedute alle loro scrivanie, cosa hanno fatto per meritare tutto questo? Le persone sugli aerei, cosa hanno fatto per meritare questo? E’ terribile per loro e per le loro famiglie.

Sono sicuro che molte persone siano ancora distrutte, voglio dire davvero distrutte. Tutti siamo un po' distrutti, ma credo che alcuni siano più distrutti di altri.


Undicisettembre: L’11/9 come ha condizionato la tua vita lavorativa dal 2001 fino al tuo ritiro dall’NYPD?

Gerard Kane: Beh, mi sono ritirato nel 2005. Avrei potuto continuare, ma l’11/9 era sicuramente nella mia testa quando mi sono ritirato. Ho pensato “Non voglio vivere un'altra di queste cose di nuovo.” Adesso lavoro per una società che sta rilasciando un progetto multimilionario per la sicurezza pubblica in tutto il paese e ho fatto un video per tutti gli impiegati della compagnia in modo che sappiano perché l’11/9 è stato così importante e perché la compagnia sta facendo ciò che sta facendo.

E’ stato 17 anni fa, ci sono persone che erano bambini piccoli quando è successo e che ora sono al college o si stanno diplomando. Conoscono queste cose dai libri di storia o per aver visto dei documentari in TV, ma vederle in diretta fu completamente diverso che vederlo a scuola anni dopo i fatti con i tuoi compagni.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l’11/9 sarebbe un autoattentato?

Gerard Kane: Anzitutto, è chiaro che questi complottisti dovrebbero condurre le proprie navi oltre il bordo della terra piatta.

Seriamente, penso che quando succede qualcosa come l’11/9 sia gigantesco, è assolutamente g-i-g-a-n-t-e-s-c-o. Pensaci, tu sei in italia, io sono a New York e ne stiamo parlando via Skype 17 anni dopo perché è stato un evento così gigantesco che sentiamo la necessità di parlarci. E’ così gigantesco che alcune persone non possono elaborarlo normalmente, quindi per proteggersi dicono “No, non può essere che un paio di uomini ha organizzato questa cosa, alcune persone sono andate a scuola di volo, hanno preso dei taglierini, hanno preso il controllo di alcune cabine di pilotaggio. Come può essere? Con un uomo in una caverna che sta organizzando tutto questo. E dai!” Quindi dicono: “Deve essere più grande di così, deve essere qualche tipo di grande cospirazione. Deve essere stata la CIA, il governo nel tentativo di impossessarsi di petrolio, nel tentativo di iniziare delle guerre, o gli Illuminati.” Non riescono a elaborare i fatti perché l'evento è stato troppo grande.

In realtà mi dispiace per loro, mi dispiace davvero. Alle volte mi arrabbio con loro, ma la mia vera emozione quando penso a queste persone è che mi dispiace per loro, che il loro intelletto e la loro personalità siano così deboli che si difendono così.

Ma ora sta scomparendo. Come per me dodici o tredici anni fa era difficile parlare dell’11/9 perché mi emozionavo, ma ora il tempo è passato e anche per loro il tempo passa e i loro cervelli iniziano a guarire e pensare normalmente.


Undicisettembre: Pensi che la nazione sia più sicura oggi che nel 2001?

Gerard Kane: Sì. Non c'è dubbio che la nazione sia più sicura. Cominciamo alle fonti; nei posti dove queste idee malvagie nascono ci sono forti sforzi costanti per bloccare, arrestare, uccidere le persone che emergono con queste idee.

Qui negli Stati Uniti la polizia locale e il governo federale stanno facendo un buon lavoro, tutto ciò che devono fare è andare su Facebook, andare in differenti aree di chat, trovare persone che parlano della jihad, andare a incontrarle sotto copertura e se la persona dice “Voglio fare la jihad” gli dicono “Bene, perché non vieni a rinfrescarti le idee per un paio d'anni in galera?” e le tolgono dalle strade. E ovviamente sugli aerei se un uomo si alza e pugnala la hostess, tutte le persone in salute che si trovano sull'aereo, incuranti dalla loro sicurezza personale, si getteranno su quell'uomo e lo aggrediranno e lo pesteranno fino a fargli perdere conoscenza o persino ucciderlo.

Loro lo sanno, quindi non prendono più il controllo di aerei come hanno potuto fare in passato. Ora c'è il terrorismo con i veicoli, dove si lanciano con autoveicoli sulle folle, ma le città iniziano a essere riprogettate tenendo conto di questo. Ho visto a New York che ci sono barriere ovunque. E quando le vedo penso “Oh, che bello! così non mi possono investire.”

Quindi il terrorismo si adatta, ma anche la polizia si adatta. Nessuno verrà colto di sorpresa.

2 commenti:

Giuliano47 ha detto...

Puo' non essere chiaro per chi non ricorda o non conosce:
"entrambi i palazzi colpiti, la gente che saltava."

La gente che " saltava giu'" perche' questo avvenne a palazzi colpiti, quindi incendiati. Il " giu' " magari e' ovvio per chi ha vissuto quegli avvenimenti.

Paolo Attivissimo ha detto...

Giuliano47,

Hai ragione. Ho chiarito riformulando. Grazie.