L'11 settembre 2001 Barry Donadio era un ufficiale della Air Force Security Forces, un pompiere volontario e un soccorritore medico. Il suo background professionale gli ha dato una visione unica dei fatti mentre gli stessi si stavano svolgendo. Per parlare delle sue riflessioni di quel giorno, Donadio ha accettato la nostra proposta di un'intervista che offriamo oggi ai nostri lettori.
Ringraziamo Barry Donadio per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Cosa ricordi dell'11 settembre, in generale?
Barry Donadio: Fu una giornata inaspettatamente scioccante per tutti. Ero stato a New York il giorno prima, avevo un lavoro part-time come ufficiale giudiziario e consegnavo documenti giudiziari alle persone convocate in tribunale. Il mio lavoro principale era di agente della Air Force Secuirty [agenzia di sicurezza a terra dell’aviazione militare, N.d.T.] di New York, con sede a Westhampton Beach, Long Island. Ero anche a capo del team dei Servizi di Emergenza, che è la SWAT della polizia.
La mattina dell'11 settembre 2001 avevo in programma di tornare a Manhattan, che è a circa sessanta chilometri da dove abitavo, quando ricevetti la telefonata di un parente che mi diceva di accendere la TV e disse: "Non ci crederai”. Quando accesi la TV solo il primo aereo aveva colpito il Trade Center e mi dissi: "Non riesco a immaginare come possa trattarsi di un incidente". Essere nell'esercito e nelle forze dell'ordine ti fa pensare con sospetto a eventi di quel genere. Mantenevo la speranza che in qualche modo fosse stato un incidente, forse un errore del pilota, anche se era una giornata perfettamente limpida e non potevo concepire il fatto che fosse accidentale.
Iniziai a pensare che avrei dovuto andare verso New York perché ero anche un vigile del fuoco volontario esperto ed ero anche un soccorritore medico e da anni intervenivo con le ambulanze. Poco dopo che iniziai a raccogliere le mie cose per andare in città, il secondo aereo colpì l'altra torre. Questo successe in diretta TV. I presentatori del notiziario stavano parlando e non si accorsero dell’aereo che colpì l'edificio. Pensai: "Ho davvero visto ciò che credo di aver visto?" Speravo di no. Non ne parlavano e non ero sicuro di non essermelo immaginato. Dopo circa 30 secondi i conduttori se ne accorsero e annunciarono che un altro aereo aveva colpito la seconda torre. Tutto divenne frenetico a quel punto. Era un attacco terroristico o addirittura un attacco militare da parte di un altro stato. Da quel momento tutti rimasero incollati alla TV e cercarono aggiornamenti e altre informazioni. C'è stata un'enorme quantità di informazioni che venivano trasmesse dai media. Le persone non sapevano a cosa credere o cosa fare perché alcune informazioni erano sbagliate. Poi arrivarono altre notizie secondo cui che c'erano altri aerei in volo che potevano essere lanciati contro altri obiettivi.
Mentre mi preparavo e cercavo di capire cosa stesse succedendo, il terzo aereo colpì il Pentagono e le mie priorità cambiarono dall'andare in città ad aiutare come pompiere o come soccorritore a diventare un soldato. Quando il Pentagono fu colpito ipotizzai che fossimo in guerra e che gli attacchi a New York erano potenzialmente un semplice diversivo per il vero attacco che sarebbe venuto da altre nazioni che ci erano ostili come la Cina, la Russia o la Corea del Nord. Anche bin Laden mi venne in mente quel giorno, ma quando il Pentagono fu colpito immaginai che l'evento fosse uno schema molto più grande di quello che bin Laden poteva mettere in atto. Pensai che fosse come Pearl Harbor.
Mi misi l’uniforme militare e mi precipitai verso la base militare dove avevo prestato servizio. Mentre mi avvicinavo in macchina, mi aspettavo di incontrare posti di blocco durante il tragitto da parte di paracadutisti nemici o della fanteria navale nemica. Long Island è un punto di sbarco perfetto per un'invasione. Secondo la mia ipotesi, quella sarebbe la fase successiva dell'attacco dell'11 settembre. La mia seconda ipotesi su ciò che sarebbe avvenuto dopo che il Pentagono era stato colpito era che ci fossero missili nucleari in arrivo che sarebbero caduti sugli Stati Uniti e che l'attacco del Pentagono serviva a indebolire o ostacolare la nostra reazione. Francamente, pensai tra me e me "Tra due ore potrei essere morto". Non mi sarei mai aspettato di vivere oltre le prime due ore dopo che il Pentagono era stato colpito in base al mio presupposto che il vero attacco non fosse ancora avvenuto. Fu una giornata molto più complicata strategicamente e militarmente che le Torri e il Pentagono che venivano colpiti.
Rimasi scioccato quando arrivai alla base dell'aeronautica di Westhampton Beach a New York, senza incontrare forze nemiche. Quando arrivai, presi un fucile da cecchino e attesi un attacco alla base che non arrivò mai. Ora sappiamo che è stato un attacco terroristico, ma quel giorno tutto era possibile.
La base dell'aeronautica di Westhampton |
Undicisettembre: Cosa successe nei giorni seguenti?
Barry Donadio: Ci fu molta rabbia e incertezza nei primi giorni dopo l'attacco. Sapevo che avremmo risposto militarmente, ma non abbastanza in fretta da soddisfare la necessità della giustizia "occhio per occhio" che molti di noi volevano immediatamente. Ma era impossibile farlo immediatamente perché dapprima non avevamo idea di chi fosse stato; ci volle del tempo per capire chi ci aveva attaccato e come avremmo reagito.
Arrivarono resoconti della polizia di New York di ufficiali dispersi. Ne conoscevo due e avevo frequentato una scuola di addestramento tattico con loro solo sei mesi prima. Grandi uomini, eroi della squadra SWAT, erano dispersi e molto probabilmente morti.
La priorità della nazione erano i lavori di recupero a Manhattan, salvando coloro che erano ancora intrappolati e trovando i i cadaveri dei dispersi. Come nazione ne eravamo ossessionati.
Undicisettembre: Sei stato a Ground Zero nei giorni successivi all'11 settembre?
Barry Donadio: Ci andai quattro giorni dopo per portare altri documenti giudiziari a un’azienda a uno o due isolati di distanza dal World Trade Center. C’era una devastazione totale e che copriva isolati interi. Non solo dove si trovavano le torri, distrusse tutto. Era assolutamente orribile.
Undicisettembre: Cosa pensi della reazione dell'aeronautica agli attacchi mentre erano in corso?
Barry Donadio: Penso che abbiano fatto il miglior lavoro possibile. Penso che nessuno avesse previsto che degli aerei americani venissero dirottati e usati come missili. Ora siamo più pronti per questo scenario, ma al momento nessuna forza aerea lo sarebbe stata, in qualsiasi altro paese ci sarebbe stato lo stesso risultato. L’aviazione militare ha fatto il meglio che poteva in quelle condizioni.
Undicisettembre: Quale impatto a lungo termine ha avuto l'11 settembre sul tuo lavoro?
Barry Donadio: Le forze dell'ordine in America non avevano una conoscenza tattica del terrorismo e l'addestramento antiterrorismo quando avvennero gli attacchi. Alcuni l’avevano, quelli che avevano ruoli di intelligence e di indagine. Gli agenti che lavoravano nelle strade non avevano le conoscenze delle tattiche del terrorismo che hanno oggi. Non avevamo la sicurezza aeroportuale di cui disponiamo oggi, prima dell'11 settembre avevamo persino delle società di sicurezza private che facevano i controlli con i magnetometri prima degli imbarchi. Non avevamo il dipartimento di Homeland Security, che oggi ci rende una nazione più sicura.
Quindi direi che l'effetto a lungo termine è un forte aumento dell'addestramento e della consapevolezza delle tattiche terroristiche, dell’intelligence e di come contrastarli.
Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana anche oggi?
Barry Donadio: Come soldato professionista e agente delle forze dell'ordine, è importante per me ricordare e lavorare per fare in modo che non accada mai più. Per me la minaccia del terrorismo è sempre nel calcolo di come faccio il mio lavoro e di cosa cercare. Anche fermare chi non si ferma a uno stop può avere a che fare con il terrorismo se dai controlli sul guidatore emerge che è ricercato, alcuni dei dirottatori dell'11 settembre erano persino qui nel Maryland dove vivo adesso.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie della cospirazione secondo cui l'11 settembre è stato un inside job?
Barry Donadio: Tutto è possibile, anche se per quanto riguarda gli attacchi dell'11 settembre 2001, non vedo una cospirazione. Sono disposto a credere che potrebbero esserci cose che non sono state condivise pubblicamente, ma devo concludere che gli attacchi non sono stati una cospirazione.
Ci sono alcune persone là fuori che troverebbero una cospirazione nel sorgere del sole. Altri fanno molti soldi creando dubbi e creando misteri.
Undicisettembre: Come confronteresti la crisi che seguì l'11 settembre con la crisi del COVID-19 che la città sta vivendo ora?
Barry Donadio: Gli attacchi dell'11 settembre sono stati uno shock totale in un solo momento. Accendevi la TV e non ci potevi credere. È sembrato un colpo rapido alle nostre emozioni e alla nostra innocenza.
Anche la crisi del COVID-19 è scioccante, ma tutti noi abbiamo l’abbiamo vista arrivare e abbiamo avuto il tempo di prepararci. Non è stato uno shock immediato. È vero che nessuno di noi avrebbe mai immaginato che il mondo sarebbe stato in quarantena. La tecnologia che abbiamo con i computer e le videoconferenze ci ha resi più pronti ad affrontare la pandemia.
Come l'11 settembre 2001, anche la pandemia ha anche un effetto positivo. Secondo me gli attacchi alle torri allentarono le tensioni razziali e ci unirono come nazione. L’11/9 unì anche repubblicani e democratici.
La pandemia di oggi ha dimostrato che siamo un grande popolo. C'è tanta gentilezza reciproca e un'unità comunitaria qui negli Stati Uniti che non vedo da quando ero un ragazzo, il che è assolutamente meraviglioso.
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