Tra le personalità legate ad al-Qaeda che hanno avuto contatti con i dirottatori nel periodo in cui questi vissero negli USA, ce n'è uno dal profilo particolare, in quanto non era cittadino di uno stato arabo, ma americano. L'imam Anwar al-Awlaki (il cui nome è scritto come Anwar Aulaqi nel 9/11 Commission Report) nacque infatti a Las Cruces, nel New Mexico, il 21 aprile del 1971, da una famiglia che aveva forti legami con il governo yemenita. Il padre Nasser al-Awlaki era stato Ministro dell'Agricoltura per due anni (come riportato dal giornale Santa Fe New Mexican) intorno al 1990 (secondo quanto scritto dal figlio sulla rivista online di al-Qaeda Inspire). Nasser al-Awlaki fu anche presidente dell'Università di Sana'a, di nuovo secondo il Santa Fe New Mexican, a partire dal 2001. Inoltre fu anche parente di Ali Mohammed Mujur, primo ministro dello Yemen dal 2007 al 2011, anche se non ci sono informazioni più precise sul grado di parentela: la CNN, così come le altre fonti che si trovano in rete, usa semplicemente la parola relative.
Anwar al-Awlaki si trasferì nello Yemen con la famiglia nel 1978 e vi rimase per undici anni, al suo ritorno si iscrisse alla Colorado State University dove prese una laurea triennale in ingegneria civile. Nell'estate del 1993, prima di finire gli studi in Colorado, trascorse alcuni mesi in Afghanistan dove si unì ai mujaheddin nel combattere l'invasione sovietica; nel periodo trascorso nel paese asiatico iniziò a maturare un profondo interesse verso la politica e la religione. Al suo ritorno negli USA, oltre alla laurea in ingegneria, conseguì una laurea magistrale in Education Leadership all'Università di San Diego.
Nel 1994 sposò una cugina yemenita e iniziò la sua attività di imam a Denver, dove rimase per altri due anni prima di spostarsi di nuovo a San Diego. Dal 1996 al 2000 fu imam della moschea al-Ribat dove due dei dirottatori del volo American Airlines 77, Khalid al-Mihdhar e Nawaf al-Hazmi, ascoltarono molti dei suoi sermoni. In questo periodo al-Awlaki finì nel radar dell'FBI per possibili contatti con Hamas, con il membro di al-Qaeda Ziyad Khaleel e con lo jihadista Omar Abdel-Rahman (altresì noto come The Blind Sheikh), tuttavia gli investigatori non riuscirono a raccogliere sufficienti prove per formulare un'accusa contro di lui.
Nel 2000 si spostò a Washington per prendere un dottorato in Sviluppo delle Risorse Umane alla George Washington University e nella capitale svolse il suo lavoro di imam alla moschea Dar Al-Hijrah, dove anche il dirottatore pilota del volo American Airlines 77 Hani Hanjour (insieme a Nawaf al-Hazmi) ascoltò i suoi sermoni. Al tempo veniva considerato un uomo pacifico e moderato, che non aveva connessioni con il terrorismo, la cui forza stava nella capacità di attrarre fedeli che non parlavano arabo, visto che ovviamente lui parlava inglese madrelingua. In quegli anni divenne anche il cappellano musulmano della George Washington University.
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| La moschea Dar Al-Hijrah |
Subito dopo l'11/9, al-Awlaki mantenne il suo ruolo pubblico di imam moderato e, in varie interviste tra cui quelle rilasciate al New York Times e al National Geographic, condannò gli attentati. Condusse anche una preghiera allo US Capitol per la Congressional Muslim Staffer Association (organizzazione bicamerale che riunisce i membri del Congresso musulmani). Al contempo, però, tenne un comportamento ambiguo, perché sei giorni dopo gli attentati scrisse un post sul sito IslamOnLine.net in cui sosteneva che gli autori degli attentati potessero essere i servizi segreti israeliani e che l'FBI si stesse focalizzando solo sui passeggeri con nomi arabi. L'uomo tornò nelle attenzioni dell'FBI quando gli investigatori scoprirono che tre dei dirottatori avevano frequentato le moschee dove predicava e che Ramzi bin al-Shibh (coordinatore della cellula di Amburgo) aveva il suo numero di telefono tra i contatti personali. L'FBI lo mise sotto sorveglianza e lo interrogò quattro volte negli otto giorni seguenti all'11/9, tuttavia non emersero abbastanza elementi che lo collegassero agli attentati.
A giugno del 2002 un giudice federale emise un mandato di arresto per Anwar al-Awlaki in quanto questi aveva dichiarato il falso nel fare la richiesta del passaporto, sostenendo di essere yemenita e non americano, al fine di poter prendere una borsa di studio che era destinata unicamente a cittadini stranieri. Tuttavia, pochi mesi dopo, i procuratori annullarono il mandato, sostenendo che non ci fossero sufficienti prove per giustificare un arresto; uno di loro aggiunse in una dichiarazione alla stampa che così facendo al-Awlaki avrebbe avuto meno possibilità di ottenere un numero di previdenza sociale, che non se si fosse dichiarato americano. Proprio lo stesso giorno in cui il mandato fu ritirato (o secondo altre ricostruzioni, il giorno seguente), al-Awlaki fu brevemente trattenuto all'aeroporto JFK di ritorno negli USA dall'Arabia Saudita, sia per via del mandato di arresto sia perché era sulla lista dei sospettati di terrorismo dell'FBI; tuttavia venne rilasciato dopo meno di un'ora e mezza perché il mandato era stato ritirato, l'uomo poté quindi proseguire il suo viaggio verso Washington.
Negli ultimi mesi del 2002, al-Awlaki lasciò gli USA per trasferirsi nel Regno Unito a causa del clima ostile che si era creato attorno a lui in seguito all'11/9. Rimase nel Regno Unito fino al 2004, anno in cui fu pubblicato il 9/11 Commission Report. Secondo quanto riportato nel rapporto della commissione, Anwar al-Awlaki ebbe un ruolo attivo nella realizzazione degli attentati dell'11/9, perché pur non essendo saudita collaborò con i sauditi che aiutarono i dirottatori. Il 9/11 Commission Report specifica infatti che l'uomo incaricò Eyad al-Rababah, membro di al-Qaeda originario della Giordania trasferitosi negli USA, di aiutare Hani Hanjour nel trovare una casa una volta stabilitosi in Virginia. Secondo quanto riportato dall'Agente Speciale dell'FBI Wade Ammerman, lo stesso al-Awlaki li ospitò per un certo periodo. Inoltre l'imam collaborò anche direttamente con Omar al-Bayoumi, con cui parlò al telefono quattro volte il 4 febbraio del 2000, il giorno in cui al-Bayoumi aiutò i due terroristi a trovare un appartamento, e incontrò per la prima volta i due dirottatori il giorno stesso in cui arrivarono a San Diego.
Tornò in Yemen proprio nel 2004 dove insegnò all'Università al-Iman, ateneo che promuoveva il radicalismo islamico fondato e al tempo diretto dall'associato di al-Qaeda Abdul Majeed al-Zindani. Nel 2006 fu arrestato per aver partecipato al rapimento di un giovane sciita al fine di chiedere il riscatto alla famiglia e per aver pianificato il rapimento di un collaboratore dei militari americani. Durante la prigionia fu interrogato dall'FBI sugli attentati dell'11/9. Fu rilasciato nel 2007 a seguito della pressione della sua tribù o, secondo un'altra versione, perché dimostrò di essersi pentito. Dopo essere stato rilasciato dal carcere, al-Awlaki si rifugiò nella zona delle montagne yemenite compresa tra i governatorati di Shabwa e Mareb.
L'FBI proseguì le indagini su di lui e giunse alla conclusione che collaborasse con al-Qaeda come reclutatore e guida spirituale e che avesse legami con vari terroristi, come Nidal Hasan (l'attentatore della base militare di Fort Hood del 2009), Umar Farouk Abdulmutallab (noto come Christmas Underwear Bomber, che tentò di farsi esplodere sul volo Northwest Airlines Flight 253 il giorno di Natale del 2009) e Faisal Shahzad (noto come Times Square Bomber, che pianificò un attentato con autobomba a Times Square nel 2010). I suoi messaggi e sermoni vennero trovati dagli inquirenti anche sui computer di molti sospettati di terrorismo negli USA e in Canada. Inoltre, lo stesso imam invitò alla jihad contro gli USA, sostenendo che questa dovesse unire i musulmani di tutto il mondo.
Per via dei suoi legami con al-Qaeda, il governo yemenita tentò dapprima di ucciderlo con un bombardamento aereo e in seguito di ottenere la sua consegna da parte dei leader tribali della zona, con la promessa di non consegnarlo agli USA, ma entrambi i tentativi fallirono.
Nel 2010 la Casa Bianca inserì al-Awlaki nella lista delle persone che la CIA era autorizzata a uccidere per via delle proprie attività terroristiche, la decisione fu comunque controversa perché per ordinare l'uccisione di un cittadino americano serve l'autorizzazione di un gruppo interno al Consiglio per la Sicurezza Nazionale, sulla cui attività c'è poca trasparenza. L'anno seguente, le forze USA tentarono due volte di ucciderlo con dei droni, la prima volta a maggio senza successo la seconda in cui lo uccisero il 30 settembre.
Il dibattito sulla liceità della missione di eliminazione mirata andò avanti per anni e nel 2014 la Corte d'Appello del Secondo Circuito stabilì che l'Amministrazione Obama dovesse rendere pubblici i documenti con cui aveva autorizzato l'operazione. Il Dipartimento di Giustizia pubblicò quindi un memorandum risalente al 2010, il documento venne aspramente criticato dal New York Times che riteneva che la minaccia posta da al-Awlaki fosse vaga e auspicava che altre evidenze sul processo decisionale venissero rilasciate.
Quello di al-Awlaki è, in sintesi un caso molto complesso che spiega quanto sia difficile districare la matassa degli eventi a contorno dell'11/9. Mostra, ad esempio, come la rete dei cittadini sauditi che aiutarono i dirottatori avesse importanti contatti anche tra i musulmani estremisti americani e, al contempo, quando sia difficile prendere decisioni su come combattere il terrorismo, tra i diritti dei cittadini e la sicurezza nazionale.



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