I am for the first time in San Diego, in Southern California, the city where Khalid al-Midhar and Nawaf al-Hazmi spent a lot of time, thanks also to the support of Saudi intelligence agent Omar al-Bayoumi, before becoming two of the hijackers of American Airlines Flight 77 that crashed into the Pentagon. After seeing the places where the two terrorists met al-Bayoumi in Los Angeles last year, I decide to dedicate half a day of this trip to see where al-Midhar and al-Hazmi lived and worked here in San Diego.
The first stop of today’s tour is the Parkwood Apartments on Mount Ada Avenue, now known as Blossom Walk Condominiums, where the two initially lived in al-Bayoumi’s apartment and then moved to another unit in the same complex, also found with his help. I am interested in finding two apartments: 152, where al-Bayoumi lived, and 150, where the two terrorists later moved.
“Strange destination” comments the Uber driver taking me there, but I have an answer ready: “I’m going to visit some friends who live there.” I get out between the two complexes, numbers 6333 and 6401. It is a residential area with only a liquor store and two churches; otherwise, all I see are houses. I start with the first of the two blocks and walk around trying to find apartment 152. During the walk I see only two people either coming home or taking out the trash; nobody else passes by. Unfortunately, the apartment numbers are only visible from the internal access driveway, so I can only deduce that 152, being the first, is the first on the left on the lower floor. I photograph it from beyond the railing and cannot do anything else.
I then go in search of 150, but here identifying the correct apartment from the outside is practically impossible because in the second block the ground floor numbers range from 129 to 151 and you cannot see deep enough inside. I have to settle for a generic photo from outside, but only after waiting for two residents who were talking to each other in the entrance driveway to leave.
I then head towards the Islamic Center, which they chose precisely because it is a short distance from the Parkwood Apartments. It takes me about ten minutes to walk under the California sun to get there. I enter and find a sign saying visitors must first speak with the administration office. I follow the arrow and find an armed guard in a bulletproof vest talking to a woman of about seventy in Islamic dress. I ask the woman if I can see the prayer hall, and she tells me she will accompany me. I can take photos, she says, as long as there are no people. She leads me to the anteroom where I must remove my shoes and, while speaking very kindly, asks me what I know about Islam. I know enough to have a conversation with her. She tells me the history of the center, founded in 1985, shows me the carpet on which the faithful kneel, the pulpit from which the Imam preaches, and points out the shelves around the room where many copies of the Quran translated into various languages are available for reading and prayer.
I chat a bit longer with the administration lady and have her tell me a few more Islamic customs, while I wonder if she knows that two of the 9/11 hijackers used to attend this center. Given her age, it is likely she even knew them, but I keep the doubt to myself to avoid any adverse reactions, considering how kind she has been.
I call a second Uber to take me to the al-Ribat mosque, putting as an intermediate stop the Chevron gas station where both terrorists worked, when it was a Texaco station, on University Avenue. I explain to the driver that when we arrive at the first destination he will have to wait a moment while I take a couple of photos.
When I get back in the car, the driver asks why I stopped to photograph a gas station. "Do you plan to buy this station?" he asks jokingly. I answer that I work in the energy sector and like to compare photos of gas stations with historical images on Google Maps. He asks no further questions, but he is probably wondering why this unusual Italian customer photographing Chevron stations is being taken from an Islamic Center to a mosque.
I arrive at the mosque, which from the outside is much smaller and more insignificant than I expected, nothing like the Islamic Center or the King Fahad mosque in Los Angeles. It even takes me a few minutes to realize I am in the right place. In this location, the two hijackers met al-Qaeda senior leader Anwar al-Awlaki, who preached at this mosque. This would be the most important stop of the tour, but it is closed and there is no sign of anyone around. I try to open the doors both from the parking lot and the main entrance, but they are locked. I knock, but no one answers. I have to settle for a few photos from outside, also because the sun is beating down and there is very little shade. I must give up.
I return toward downtown, also because it is already lunchtime, having added another piece to my visits to the locations of the worst and most destructive terrorist attack in history. And after having seen places where the supreme evil of Islamic extremism mixes with the mysteries of intelligence, wondering why al-Bayoumi helped two terrorists, and why the three were not stopped before two of them went on to kill nearly three thousand people.
2025/08/22
Sui luoghi dove vissero i dirottatori a San Diego
Mi trovo per la prima volta a San Diego, città del sud della California dove trascorsero molto tempo Khalid al-Midhar e Nawaf al-Hazmi, grazie anche al supporto dell'agente dei servizi sauditi Omar al-Bayoumi, prima di diventare due dei dirottatori del volo American Airlines 77 che si schiantò contro il Pentagono. Dopo aver visto i luoghi degli incontri tra i due terroristi e al-Bayoumi a Los Angeles lo scorso anno, decido di dedicare mezza giornata di questo viaggio a vedere dove al-Midhar e al-Hazmi vissero e lavorarono qui a San Diego.
La prima tappa del giro di oggi sono i Parkwood Apartments in Mount Ada Avenue, oggi noti come Blossom Walk Condominiums, dove i due vissero dapprima nell'appartamento dello stesso al-Bayoumi e poi in un altro alloggio del medesimo complesso trovato sempre grazie all'aiuto di quest'ultimo. Mi interessa trovare due appartamenti: il 152, dove viveva al-Bayoumi, e il 150, dove dopo si spostarono i due terroristi.
"Strana destinazione" commenta l'autista di Uber che mi sta portando lì, ma ho la risposta pronta: "Vado a trovare degli amici che ci abitano." Scendo in mezzo ai due complessi, quello al numero 6333 e quello al 6401. Si tratta di una zona residenziale in cui ci sono solo un negozio di liquori e due chiese, per il resto attorno a me vedo solo case. Inizio dal primo dei due blocchi e faccio un giro tutt'attorno cercando l'appartamento 152, durante il giro vedo solo due persone che tornano a casa o che escono a buttare la pattumiera, per il resto non passa nessuno. Purtroppo i numeri degli appartamenti sono visibili solo dal vialetto di accesso interno e quindi posso solo desumere che il 152, essendo il primo, sia il primo a sinistra del piano inferiore. Lo fotografo da oltre la ringhiera e non posso fare null'altro.
Vado quindi alla ricerca del 150, ma qui individuare l'appartamento giusto da fuori è praticamente impossibile perché nel secondo blocco i numeri al piano terreno vanno da 129 a 151 e all'interno non si vede abbastanza in profondità. Devo accontentarmi di una foto generica da fuori, ma solo dopo aver atteso che due delle persone che abitano lì e che parlano tra loro nel vialetto di ingresso se ne vadano.
Vado quindi verso il Centro Islamico, che i due scelsero proprio perché si trova a breve distanza dai Parkwood Apartments. Mi ci vogliono circa dieci minuti di cammino sotto il sole della California per arrivare, entro e trovo un cartello che dice che i visitatori devono come prima cosa parlare con l'ufficio dell'amministrazione. Seguo la freccia e trovo una guardia armata con giubbotto antiproiettile che parla con una signora di circa settant'anni in abito islamico. Chiedo alla signora se posso vedere la sala della preghiera e mi risponde che mi avrebbe accompagnato. Posso fare foto, mi dice, purché non ci siano persone. Mi conduce verso la stanza antistante dove devo togliermi le scarpe e intanto, parlandomi molto gentilmente, mi chiede cosa io sappia dell'Islam, ne so abbastanza da poter conversare con lei. Mi racconta la storia del centro, fondato nel 1985, mi mostra il tappeto su cui i fedeli si inginocchiano, il pulpito da cui predica l'Imam e mi indica le mensole tutto intorno alla sala su cui ci sono molte copie del Corano tradotto in varie lingue che i fedeli possono prendere per leggere e pregare.
Converso ancora qualche minuto con la signora dell'amministrazione e mi faccio raccontare qualche altra usanza islamica, mentre parla mi chiedo se sappia che due dei dirottori dell'11/9 frequentavano questo centro. Vista l'età della signora è probabile che li abbia anche conosciuti, ma mi tengo il dubbio non volendo rischiare reazioni avverse, visto che è stata così gentile.
Chiamo un secondo Uber perché mi porti alla moschea al-Ribat e metto come tappa intermedia la stazione di servizio della Chevron dove entrambi i terroristi hanno lavorato, quando era una stazione della Texaco, su University Avenue. Spiego all'autista che quando arriviamo alla prima destinazione dovrà aspettarmi un attimo mentre faccio un paio di foto.
Quando risalgo in macchina l'autista mi chiede perché mi sia fermato a fotografare una stazione di servizio. "Hai intenzione di comprare questa stazione?" mi chiede ridendo, rispondo che lavoro nel settore energetico e mi piace confrontare le foto delle stazioni di servizio con le immagini storiche su Google Maps. Non fa altre domande, ma probabilmente si sta chiedendo perché questo atipico cliente italiano che fotografa stazioni della Chevron si stia facendo portare da un Centro Islamico a una moschea.
Arrivo alla moschea che da fuori è molto più piccola e insignificante di quanto mi aspettassi, nulla a che vedere con il Centro Islamico o con la moschea King Fahad di Los Angeles. Ci metto anche qualche minuto a capire di essere nel posto giusto. In questo luogo i due dirottatori incontrarono l'alto leader di al-Qaeda Anwar al-Awlaki che predicava in questa moschea. Sarebbe la tappa più importante del giro, ma è chiusa e non c'è segno che ci sia in giro nessuno. Provo ad aprire le porte sia dal parcheggio che dall'ingresso principale, ma sono chiuse. Busso, ma non c'è nessuno. Mi devo accontentare di qualche foto da fuori, anche perché il sole picchia e di ombra ce n'è pochissima. Devo desistere.
Torno verso downtown, anche perché ormai è ora di pranzo, dopo aver aggiunto un altro tassello alle mie visite sui luoghi del peggiore e più distruttivo attentato terroristico della storia. E dopo aver visto dei luoghi dove il male supremo dell'estremismo islamico si mischia ai misteri dell'intelligence, del perché al-Bayoumi abbia aiutato due terroristi e del perché i tre non siano stati bloccati prima che due di loro partecipassero ad uccidere quasi tremila persone.
La prima tappa del giro di oggi sono i Parkwood Apartments in Mount Ada Avenue, oggi noti come Blossom Walk Condominiums, dove i due vissero dapprima nell'appartamento dello stesso al-Bayoumi e poi in un altro alloggio del medesimo complesso trovato sempre grazie all'aiuto di quest'ultimo. Mi interessa trovare due appartamenti: il 152, dove viveva al-Bayoumi, e il 150, dove dopo si spostarono i due terroristi.
"Strana destinazione" commenta l'autista di Uber che mi sta portando lì, ma ho la risposta pronta: "Vado a trovare degli amici che ci abitano." Scendo in mezzo ai due complessi, quello al numero 6333 e quello al 6401. Si tratta di una zona residenziale in cui ci sono solo un negozio di liquori e due chiese, per il resto attorno a me vedo solo case. Inizio dal primo dei due blocchi e faccio un giro tutt'attorno cercando l'appartamento 152, durante il giro vedo solo due persone che tornano a casa o che escono a buttare la pattumiera, per il resto non passa nessuno. Purtroppo i numeri degli appartamenti sono visibili solo dal vialetto di accesso interno e quindi posso solo desumere che il 152, essendo il primo, sia il primo a sinistra del piano inferiore. Lo fotografo da oltre la ringhiera e non posso fare null'altro.
Vado quindi alla ricerca del 150, ma qui individuare l'appartamento giusto da fuori è praticamente impossibile perché nel secondo blocco i numeri al piano terreno vanno da 129 a 151 e all'interno non si vede abbastanza in profondità. Devo accontentarmi di una foto generica da fuori, ma solo dopo aver atteso che due delle persone che abitano lì e che parlano tra loro nel vialetto di ingresso se ne vadano.
Vado quindi verso il Centro Islamico, che i due scelsero proprio perché si trova a breve distanza dai Parkwood Apartments. Mi ci vogliono circa dieci minuti di cammino sotto il sole della California per arrivare, entro e trovo un cartello che dice che i visitatori devono come prima cosa parlare con l'ufficio dell'amministrazione. Seguo la freccia e trovo una guardia armata con giubbotto antiproiettile che parla con una signora di circa settant'anni in abito islamico. Chiedo alla signora se posso vedere la sala della preghiera e mi risponde che mi avrebbe accompagnato. Posso fare foto, mi dice, purché non ci siano persone. Mi conduce verso la stanza antistante dove devo togliermi le scarpe e intanto, parlandomi molto gentilmente, mi chiede cosa io sappia dell'Islam, ne so abbastanza da poter conversare con lei. Mi racconta la storia del centro, fondato nel 1985, mi mostra il tappeto su cui i fedeli si inginocchiano, il pulpito da cui predica l'Imam e mi indica le mensole tutto intorno alla sala su cui ci sono molte copie del Corano tradotto in varie lingue che i fedeli possono prendere per leggere e pregare.
Converso ancora qualche minuto con la signora dell'amministrazione e mi faccio raccontare qualche altra usanza islamica, mentre parla mi chiedo se sappia che due dei dirottori dell'11/9 frequentavano questo centro. Vista l'età della signora è probabile che li abbia anche conosciuti, ma mi tengo il dubbio non volendo rischiare reazioni avverse, visto che è stata così gentile.
Chiamo un secondo Uber perché mi porti alla moschea al-Ribat e metto come tappa intermedia la stazione di servizio della Chevron dove entrambi i terroristi hanno lavorato, quando era una stazione della Texaco, su University Avenue. Spiego all'autista che quando arriviamo alla prima destinazione dovrà aspettarmi un attimo mentre faccio un paio di foto.
Quando risalgo in macchina l'autista mi chiede perché mi sia fermato a fotografare una stazione di servizio. "Hai intenzione di comprare questa stazione?" mi chiede ridendo, rispondo che lavoro nel settore energetico e mi piace confrontare le foto delle stazioni di servizio con le immagini storiche su Google Maps. Non fa altre domande, ma probabilmente si sta chiedendo perché questo atipico cliente italiano che fotografa stazioni della Chevron si stia facendo portare da un Centro Islamico a una moschea.
Arrivo alla moschea che da fuori è molto più piccola e insignificante di quanto mi aspettassi, nulla a che vedere con il Centro Islamico o con la moschea King Fahad di Los Angeles. Ci metto anche qualche minuto a capire di essere nel posto giusto. In questo luogo i due dirottatori incontrarono l'alto leader di al-Qaeda Anwar al-Awlaki che predicava in questa moschea. Sarebbe la tappa più importante del giro, ma è chiusa e non c'è segno che ci sia in giro nessuno. Provo ad aprire le porte sia dal parcheggio che dall'ingresso principale, ma sono chiuse. Busso, ma non c'è nessuno. Mi devo accontentare di qualche foto da fuori, anche perché il sole picchia e di ombra ce n'è pochissima. Devo desistere.
Torno verso downtown, anche perché ormai è ora di pranzo, dopo aver aggiunto un altro tassello alle mie visite sui luoghi del peggiore e più distruttivo attentato terroristico della storia. E dopo aver visto dei luoghi dove il male supremo dell'estremismo islamico si mischia ai misteri dell'intelligence, del perché al-Bayoumi abbia aiutato due terroristi e del perché i tre non siano stati bloccati prima che due di loro partecipassero ad uccidere quasi tremila persone.
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