2011/01/03

World Trade Center, intervista a un sopravvissuto dell'hotel Marriott (WTC 3)

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Ogni testimonianza dei sopravvissuti dell'11 settembre ha qualche particolare che la rende unica e meritevole di essere raccontata, e sentire le dirette parole di chi ha vissuto un evento epocale è sempre il modo migliore per tramandarne la memoria. A tal fine il gruppo Undicisettembre pubblica in questa occasione l'intervista che ci ha concesso uno dei sopravvissuti, che ha da raccontare una storia davvero toccante.

Hans Kunnen, questo è il nome del testimone, citato con il suo permesso, è un cittadino australiano che l'11 settembre era in viaggio di lavoro negli USA e si è ritrovato da solo in un paese straniero con pochissimi effetti personali e impossibilitato a fare ritorno a casa per diversi giorni.

Anche la sua storia serve a smentire, se ancora ce ne fosse bisogno, le deliranti teorie del complotto riguardo l'11 settembre; in particolare, essendo stato testimone oculare dello schianto del volo United Airlines 175 contro la Torre Sud del World Trade Center, la sua testimonianza sgombera definitivamente il campo dalle tesi "no plane".

Ringraziamo Hans Kunnen per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Cosa ricordi, in generale, di quel giorno? Ci puoi fare un breve racconto della tua esperienza?

Hans Kunnen: Era una normale giornata di New York, con bel tempo e cielo azzurro. Era l'ultima giornata di una conferenza del NABE [National Association for Business Economics, Nabe.com] che stavo seguendo. Ero nell'hotel Marriott del WTC, a una colazione di lavoro e stavamo ascoltando un relatore della Morgan Stanley. Quando il primo aereo colpì, sentimmo un rumore sordo e distante, come un'esplosione. Le luci, i lampadari e i tavoli tremarono. La gente iniziò a gridare, abbandonò i propri effetti personali e scappò verso l'uscita. Io rimasi seduto, perché non sembrava esserci pericolo imminente. Non pensai a un attacco terroristico perché mi ero dimenticato dell'attacco al World Trade Center avvenuto negli anni Novanta.

Nel giro di un paio di minuti, rimasero solo tre di noi nella stanza. Uscimmo a vedere cosa fosse successo. La gente entrava dalla Plaza per sfuggire alle macerie che cadevano e – così sembrava – al carburante d'aereo che bruciava. Tentai di salire nella mia stanza per prendere le mie valigie, così che sarei stato nella condizione di riprendere l'aereo nel pomeriggio. Non mi fu permesso di risalire. Ci fu detto di uscire dall'hotel dal lato più lontano, attraverso il Tall Ship Bar and Grill, in modo da evitare le macerie.

Stando all'ingresso vidi in strada automobili in fiamme e macerie. L'aria era piena di carta che bruciava. Uscii dall'hotel, attraversai Liberty Street e la percorsi verso l'attuale Pumphouse Park in Liberty Street. C'era un ponte pedonale coperto tra i due palazzi e fu lì che per la prima volta mi voltai a guardare indietro. Alzando lo sguardo vidi il fumo che usciva dalla Torre 1.

Mentre ero fermo a chiedermi cosa fosse successo, vidi un aereo che volava basso sopra la zona del porto di New York. Accelerò e si inclinò lateralmente prima di schiantarsi contro la Torre Sud. Il rumore fu fortissimo, il suono di un aereo che accelera. Fiammata arancione, fumo nero, cielo azzurro, urla di terrore, lacrime, confusione.

In quel momento mi fu chiaro che non si trattava di un incidente e che era il momento di allontanarsi in caso ce ne fossero altri in arrivo.

Decisi di dirigermi verso il traghetto per Staten Island. La mia idea era di andare a Staten Island, bussare alla porta di una chiesa e chiedere aiuto e alloggio. Quindi mi feci strada con una sensazione di determinazione, paura e ansia per circa un chilometro fino al terminal d'imbarco dei traghetti. Mentre aspettavo dentro l'edificio del terminal ci fu un rumore molto forte. L'edificio tremò, la gente urlò, ci fu il rumore di esplosioni che si susseguivano, come il boato di una bordata di una corazzata della Seconda Guerra Mondiale. Era il rumore dei piani della Torre Sud che crollavano uno sull'altro. Ci furono urla e paura tra la folla di diverse migliaia di persone che si trovavano sul terminal e attorno ad esso. Pensai che sarei morto.

Circa nello stesso momento si aprirono i cancelli d'accesso al traghetto e la gente salì a bordo. Non ci fu panico, ma la gente salì a passo spedito. Mentre salivamo sul battello, le volute di una nuvola di polvere grigio-giallognola arrivò sopra di noi. Fummo costretti a respirare attraverso fazzoletti e lembi delle camicie. Mentre ci sedevamo o prendevamo posto in piedi, la nuvola di polvere della Torre 2 ci avvolse. Questo creò un po' di paura e apprensione tra le persone intorno a noi e anch'io mi portai il lembo della camicia sulla bocca. La gente indossava i giubbotti di salvataggio mentre il battello era ancora fermo sul pontile.

Offrii il mio posto a sedere a una signora, ma lei declinò. La stessa donna tentò poi di infilarsi un giubbotto di salvataggio e fece cadere uno dei suoi orecchini. Glielo raccolsi e glielo restituii. Iniziammo a parlare. Aveva notato il mio nome sul cartellino della conferenza – Hans Kunnen, Sydney, Australia – e mi chiese dove stessi andando. Le dissi della mia idea di cercare rifugio in una chiesa e lei si offrì di ospitarmi presso la sua famiglia. La signora era Leslie Castelucci DeFreitas. Leslie era con un collega di lavoro e offrì aiuto anche all'uomo che era seduto di fianco a me.

Dopo circa 20 minuti il battello partì e dopo qualche centinaio di metri uscì dalla nuvola di polvere che aveva avvolto il terminal e gran parte del porto. Giunti a destinazione, scendemmo e prendemmo il treno verso Dogan Hills; poi proseguimmo a piedi fino a casa di Leslie in Cromwell Street. Lì tentammo di contattare mia moglie a Sydney, ma le linee non funzionavano. Dopo circa quattro ore la raggiungemmo, con gran sollievo di Suzanne: aveva visto in televisione il secondo aereo colpire le torri e sapeva che io ero proprio lì sotto. Fu un momento molto duro per lei. Alcuni amici erano andati a trovarla per starle vicino e pregare con lei.


Undicisettembre: Dopo l'11 settembre fosti costretto a restare a New York una settimana prima di poter tornare in Australia. Cosa ti accadde in quei giorni e com'erano la città e i suoi abitanti dopo la tragedia?

Hans Kunnen: Bella domanda! Rimasi a Staten Island per i primi tre giorni e in un hotel a mid-town [il quartiere centrale di Manhattan] per gli ultimi quattro (l'Hilton Hotel).

Leslie e Rod mi ospitarono presso di loro. Mi diedero da mangiare e da vestire e cercarono di mantenere più “normali” possibile le attività giornaliere. Visitammo alcuni parchi con il loro giovane figlio John, cenammo fuori a un diner – molto americano! – il King's Arms, in un parco a Staten Island. Andai a trovare Rod al lavoro – è un idraulico.

Il tempo era bello e ci sedevamo in giro a parlare delle nostre famiglie, delle nostre speranze e dei nostri sogni. Notai un risveglio del nazionalismo americano. Alcuni dei giovani per strada parlavano di arruolarsi nelle forze armate. Altri semplicemente speravano di andare al college e di trovare lavoro in futuro. Quando arrivai la prima volta a Cromwell Street, dove abitavano Leslie e Rod, c'erano forse cinque bandiere degli Stati Uniti ogni dieci case. Quando me ne andai ce n'erano da quindici a venti ogni dieci case. Venivano innalzate bandiere dappertutto. In ogni cantiere, a Manhattan, a Times Square – ovunque.

La polizia era molto nervosa. Mentro ero su un autobus per New York City da Staten Island finimmo in un ingorgo. L'autista ci disse di scendere dall'autobus perché c'era un problema. A quanto pareva, un terrorista aveva appena superato un posto di blocco e si stava dirigendo a Staten Island. Pertanto tutti i ponti da e per Staten Island erano chiusi fino a nuovo ordine. Era questo il motivo dell'ingorgo. Ero con un'amica di Leslie e ci incamminammo alla ricerca di un telefono per trovare il modo di tornare a casa. Mentre camminavamo un'automobile accelerò verso di noi seguita da un'auto e da un elicottero, entrambi della polizia. Si fermarono a 30 metri da noi. I poliziotti tirarono l'autista fuori dall'auto, estrassero le pistole, lo bloccarono contro il cofano della sua macchina e lo perquisirono. Sembrava una scena presa di peso da un poliziesco in TV. L'elicottero fece un gran baccano volando proprio sopra di noi e sollevando la polvere. Temetti che potessimo essere colpiti da una raffica di proiettili e quindi ci accucciammo dietro a una grossa Chevy. Si trattò di un innocente malinteso. L'uomo non si era accorto del posto di blocco e lo lasciarono andare. A occhio era un operaio di cantiere in pausa pranzo!

Più tardi lo stesso giorno andai alla stazione Grand Central prendendo l'autobus e il treno. Non appena si aprirono le porte del treno, un poliziotto con un megafono mi disse che c'era un allarme bomba e che io e molte altre migliaia di persone dovevamo salire le scale e uscire. Non c'era nessuna bomba, ma era meglio essere prudenti che pentiti. Un'ora dopo, lo stesso allarme bomba raggiunse l'edificio della Australian High Commission e gli allarmi si misero a suonare di nuovo – proprio mentre ero seduto appena sotto di esso a compilare un modulo.

Fummo d'accordo che sarebbe stato saggio spostarmi più vicino alla Australian High Commission [immagine qui accanto, N.d.R.], che era a mid-town, così che potessi ottenere un nuovo passaporto, procurarmi dei biglietti aerei, comprarmi vestiti e così via. Leslie fu straordinaria nel reperirmi una stanza all'Hilton Hotel e nel trovare i vari numeri di contatto. Mi trasferii all'Hilton giovedì.

Prima della conferenza economica del NABE che stavo seguendo avevo comprato molte cravatte al Metropolitan Museum of Art. Tutte erano decorate con motivi dell'artigianato americano. Mi piacevano. Le avevo riposte nella mia valigia, pronte per la fase successiva del mio viaggio. Quando crollò la Torre Sud, il mio hotel ne fu schiacciato insieme ai miei effetti personali. Ero deciso a rimpiazzare ciò che era andato perduto, e con il permesso del mio capo andai a comprare un paio di cose, tra cui delle camice di JoS A Bank! Ricomprai le cravatte del ”Met” – ora in versione 2 – e le indosso tuttora con orgoglio, anche se risentono un po' dell'usura.

Ho l'abitudine di comprare tazze da caffè nei posti che visito (questo fa impazzire mia moglie – abbiamo troppe tazze in cucina!). Ne avevo comprata una dopo essere andato in cima all'Empire State Building il primo sabato che ho trascorso a New York. Dopo essere stato al Met a comprare le cravatte andai all'Empire State Building. A quel punto la sicurezza per entrare nell'edificio era esasperata. Posi sul nastro trasportatore il mio sacchetto con gli acquisti ed entrai nel negozio, dimenticandomi completamente del sacchetto. Quando mi accorsi che non l'avevo più, crollai. Mi sedetti per terra nel negozio dell'Empire State Building e cominciai a piangere! Finalmente mi ricomoposi dopo che alcune persone mi avevano chiesto se stavo bene. Alla fine mi resi conto di cosa avevo fatto e con un certo imbarazzo ritrovai la mia borsa al controllo di sicurezza all'ingresso. Ero teso e molto fragile. Non dormivo bene e mi mancavano il conforto e la conversazione di Leslie, Rod, la loro famiglia e i loro amici. Per certi versi era stato un errore trasferirsi lontano da loro e in un hotel, ma al momento mi era sembrata una buona idea.

Mi comprai dei vestiti nuovi in negozi che sembravano quasi deserti. Sembrava che ci fossero poche persone nella zona di midtown.

Una cosa bella mi capitò. Dopo essermi rifiutato di pagare 200 dollari per una cintura di pelle, mi allontanai di alcuni isolati dalla Quinta Avenue e m'imbattei in un negozio della catena JoS A. Banks di abbigliamento maschile. Fanno le camicie bianche da ufficio più belle e più facili da stirare del mondo. In seguito ne comprai altre online dall'Australia!

Essendomi trasferito all'Hilton Hotel nella midtown, avevo molto tempo a disposizione. A quel punto non c'erano voli in uscita dagli Stati Uniti. In TV c'erano stati appelli per le donazioni del sangue, e così venerdì, dopo aver ritirato il mio nuovo passaporto, mi diressi al centro di raccolta di sangue più vicino, che scoprii essere l'aula magna della scuola superiore Martin Luther King Jr nell'Upper West Side di Manhattan. La raccolta e il colloquio medico avvennero sul palco, usando quello che sembrava essere equipaggiamento d'emergenza che era stato portato sul posto. Non era un normale centro per la donazione del sangue. Ciò che mi colpì di più fu la silenziosa determinazione delle persone che si presentavano a donare sangue. Erano soprattutto donne tra i 30 e i 40 anni che sembravano semplicemente desiderare di rendersi utili. Donne che facevano jogging, madri metropolitane, ragazze da palestra. Tutte volevano fare la propria parte – e la facevano. Ne fui impressionato.

Il procedimento era simile a una donazione del sangue in Australia. Aspetti il tuo turno, compili dei moduli, rispondi alle domande, ti verificano la pressione sanguigna e alcune altre cose e poi doni varie centinaia di millilitri di sangue. Dopo ti riposi mentre mangi una barretta di muesli che ti viene offerta e bevi succo d'arancia o di frutti di bosco.

Durante la procedura per la donazione del sangue ci fu detto che i donatori avrebbero avuto diritto a un accesso gratuito alla famosa e favolosa Frick Collection di opere d'arte sulla East 70th Street. All'epoca non avevo idea di cosa contenesse, ma pensai che meritava un'occhiata. Era davvero bella! C'erano opere di Constable, Gainsborough, Holbein, Rembrandt e molti altri. Fu una festa per gli occhi in un ambiente tranquillo. Gli orrori dei giorni precedenti si persero in un mare di colore e cultura. L'atmosfera alla mostra era pacata e riflessiva. Pochi parlavano. Guardavamo e meditavamo. Comprai delle cartoline come ricordo e me ne andai portando in me un ricordo di cui fare tesoro.

Vicino all'hotel c'era un negozio che attirò la mia attenzione mentre vagavo per le strade. Si chiamava American Craftsman. Scusatemi se sembro esagerato nelle mie lodi, ma i loro lavori erano davvero eccezionali. C'erano quadri, incisioni, sculture, mobili e lavori in vetro. Cercavo qualcosa da portare a casa per i miei figli e alcune “scatole” di fattura pregiata catturarono la mia attenzione. Sui coperchi erano incise della parole. Ne comprai tre. Su una era scritto “Gentilezza”, su un'altra “Coraggio” e sulla terza “Speranza”. In un certo senso riflettevano un messaggio che volevo che i miei figli recepissero dopo lo sconvolgimento dell'11 settembre. Nulla di costoso, nulla di appariscente, solo una scatola con una parola sul coperchio! Le hanno ancora sulle loro scrivanie o accanto al letto.

Passeggiai per Central Park. Sembrava che ridere fosse un delitto. La gente giocava con i bambini, ma era tutto molto malinconico. Era un posto triste in cui trovarsi. Volevamo essere normali ma eravamo tutti ancora in stato di shock e in lutto.

Avendo comprato una macchina fotografica usa-e-getta vagai per le strade. Ogni tanto passavo davanti alle stazioni dei pompieri. Era da lì che gli uomini erano corsi dentro le torri per spegnere gli incendi e salvare chi era rimasto intrappolato. Molte stazioni avevano perso degli uomini. C'erano omaggi floreali sui marciapiedi antistanti. C'erano anche foto di persone disperse, con numeri di telefono scritti sotto, così che chi li avvistava potesse telefonare a qualcuno.

Vorrei essere sincero: l'Hilton è un bellissimo albergo. Le camere sono di altissimo livello, il servizio era eccellente e la TV aveva 43 canali. Il problema ero io. Riflettendoci, ero ancora in parte sotto stress per ciò che era appena successo. Parte di me voleva parlare e interagire, ma un'altra parte di me voleva che stessi seduto da solo nella mia camera. La TV era carica di dolore. Le trasmissioni televisive mandavano in sovrimpressione messaggi di ricerca delle persone scomparse che attraversavano lo schermo nella parte più bassa. Non ricordo assolutamente che ci fossero spettacoli di intrattenimento. Avrei voluto ridere, ma non credo che ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto farmi ridere in quei giorni.

Nella camera c'era una Bibbia dei Gedeoni [nota associazione evangelica che distribuisce gratuitamente Bibbie negli alberghi, N.d.R.] che fu di grande conforto. Ricordo di aver meditato sul Salmo 25, dopo aver sentito George Bush citare il Salmo 23 nel suo discorso alla nazione. Ho voluto leggere ciò che c'era dopo il Salmo 23 – dopo il passaggio per la valle dell'ombra della morte [trad. Nuova Riveduta], cosa c'era? Il Salmo 25 mi diede la risposta. I versi 15- 17 dicono “Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede. Volgiti a me e abbi misericordia, perché sono solo ed infelice. Allevia le angosce del mio cuore, liberami dagli affanni.” Parole come laccio, solo, infelice, angosce, affanni erano parte della mia vita, e della vita di New York, in quel momento.

Prenotai un minibus dall'albergo per andare in aeroporto. Ospitava circa otto persone e i loro bagagli. Avevo visto Leslie e Rod il giorno prima per salutarli. Avevo una sacca con pochi vestiti: poche cose da far ispezionare all'aeroporto. Posso garantire che fu il viaggio più sicuro nella storia del mondo. C'erano circa 10 soldati che ci controllarono non appena salimmo a bordo dell'aereo. Tutti avevano pistole – presumibilmente cariche. Fu un bellissimo volo verso casa.

Com'era la gente di New York? Gentile, generosa, triste, determinata, ferita, confusa, arrabbiata, pragmatica. Si rimboccò le maniche quando fu attaccata e quando ne vide il bisogno. Io fui il fortunato destinatario della loro gentilezza e generosità, per le quali sarò sempre grato.


Undicisettembre: Torniamo all'11 settembre. Dopo lo schianto del primo aereo contro la Torre 1, pensasti che si trattasse di un terribile incidente o capisti subito che doveva trattarsi di un attentato terroristico? E cosa ne pensava la gente per strada?

Hans Kunnen: Sentii pronunciare la parola “aereo” mentre ero per strada e pensai “Cessna”: non mi passò neanche per la testa che potesse trattarsi di un aereo di grandi dimensioni, nonostante la grandezza dello squarcio nell'edificio e la quantità di danni. Era un pensiero irrazionale. Nei minuti successivi all'evacuazione, mentre ero circondato dalle persone che erano uscite dall'hotel, nessuno sembrava sapere nulla. Dove mi trovavo io, la sensazione era “ci penseranno i pompieri e la polizia”. C'erano molte sirene che suonavano. L'idea di un attacco terroristico semplicemente non mi passò per la testa.


Undicisettembre: So che questa è una domanda abbastanza bizzarra, ma c'è gente matta sulla Rete che sostiene che gli aerei che colpirono il Trade Center fossero finti. Sostengono che le Torri furono colpite da missili o che delle bombe esplosero all'interno e che gli aerei mostrati dalla televisioni furono soltanto ologrammi. Dato che hai visto con i tuoi occhi il secondo aereo che colpiva la Torre Sud, credo che tu possa smentire definitivamente questa follia, giusto?

Hans Kunnen: Ho visto il secondo aereo avvicinarsi da sopra il fiume. Pensai che fosse un posto strano per volare, che forse era uno scherzo di un'università o una ripresa televisiva per la pubblicità di una compagnia aerea. Non ho mai pensato che l'aereo fosse finto. Ho viaggiato molto e ho a che fare con gli aerei da anni. Era decisamente un aereo vero. Faceva il rumore di un aereo vero. Il suono di un aereo che accelera è molto forte. Uno dei miei ricordi più persistenti è il rumore appena prima dell'esplosione. Era un aereo reale; potevo quasi scorgere le persone dietro ai finestrini. Poi si compenetrò con l'edificio e creò una palla di fuoco. Asserire che non fu un vero aereo è assurdo. Io lo vidi, lo udii e sentii le conseguenze del suo impatto.


Undicisettembre: Puoi descrivere cosa vedesti e sentisti di questo secondo impatto? Per esempio, riuscisti a vedere i loghi della United Airlines dell'aereo? Notasti qualche dettaglio della sua traiettoria? Ci sono altri aspetti che ti colpirono?

Hans Kunnen: Ero a circa 150-200 metri dalla Torre Sud, in Liberty Street. Sentii e vidi un aereo che volava basso sopra il porto. Accelerò e s'inclinò verso la Torre Sud. Il rumore era molto forte mentre accelerava. Non ne ricordo i marchi ma non ne dimenticherò mai la palla di fuoco, il rumore e il fumo nel momento in cui si fuse nella Torre Sud.


Undicisettembre: Come reagì la gente dopo il crollo della Torre Sud?

Hans Kunnen: A quel punto mi trovavo già sul terminal dei battelli per Staten Island. Ci furono urla quando l'intero terminal tremò. Pensai che si trattasse di mortai o granate o  missili Cruise che esplodevano nelle vicinanze. Quasi contemporaneamente si aprirono i cancelli del battello e potemmo salire. Il movimento fu composto ma c'era tensione. Ricordo di aver visto molte scarpe da donna abbandonate per poter camminare più velocemente. La gente urlava “Mantenete la calma, non vogliamo che si crei una calca”.


Undicisettembre: Come descriveresti la zona downtown di New York dopo il primo crollo? Dalle immagini televisive sembrava che fosse avvolta in una nube di polvere e fumo, ma credo che non fosse nulla al confronto di ciò che i testimoni videro con i loro occhi. Come ricordi la città dopo il primo crollo?

Hans Kunnen: Ero sul battello per Staten Island. Non vidi il crollo; lo udii, ma per un certo lasso di tempo non sapevo di cosa si trattasse. Sul battello la gente stava indossando i giubbotti di salvataggio quando la nuvola di polvere si rovesciò su di noi.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto che sostengono che l'11/9 fu un “inside job”? La maggior parte dei sostenitori di queste teorie asserisce che le Torri furono demolite intenzionalmente con esplosivi; alcuni sostengono addirittura, come menzionato in precedenza, che nessun aereo si sia mai schiantato contro le Torri e che tutti i video che lo dimostrano siano fasulli. Qual è la tua opinione?

Hans Kunnen: Nessuna delle teorie del complotto è plausibile. Quando due aerei carichi di carburante colpirono le torri, era inevitabile che l'impatto fosse catastrofico – e lo fu.


Undicisettembre: Per quanto ne sai, queste teorie del complotto sono diffuse in Australia?

Hans Kunnen: Le teorie del complotto sono note in Australia ma di solito vengono ignorate. La maggioranza delle gente accetta il fatto che degli aerei si schiantarono contro le torri e che il carico di carburante avio creò temperature tali da indebolire la struttura e portare al crollo. Quando parlo della mia esperienza, ogni tanto qualcuno solleva la questione delle toerie del complotto, ma sono solo una piccola minoranza.


Undicisettembre: Hai mai incontrato qualche sostentitore delle teorie di complotto e provato a discuterci?

Hans Kunnen: No. Solitamente mi hanno chiesto se ci credo e ho risposto “No”. Mi fermo a ciò di cui ho esperienza diretta. Le riprese televisive del primo aereo che ho visto indicano che era sufficientemente reale da far tremare l'edificio, come ha fatto. La vista e il suono del secondo aereo erano reali tanto quanto qualunque altro aereo che io abbia mai visto o udito.


Undicisettembre: Come ha reagito l'Australia, come nazione e come popolo, all'11 settembre? Voglio dire, essendo l'Australia uno dei più fedeli alleati degli USA, vi siete sentiti direttamente colpiti?

Hans Kunnen: Quando tornai al lavoro nella città di Sydney rimasi sbalordito ed emotivamente toccato dai tributi floreali davanti al consolato degli Stati Uniti [immagine qui accanto, N.d.R.], che era vicino a dove lavoravo. Martin Place era ricoperto di fiori. Mi fece piangere! Avevo visto tributi floreali simili fuori dalle stazioni dei pompieri di New York. Colpiti, scioccati, offesi, addolorati sono le parole che meglio descrivono i sentimenti. C'era grande solidarietà nei confronti di New York e dei suoi abitanti.


Undicisettembre: Abbiamo sentito altri sopravvissuti dire che condividere la propria storia con altri sopravvissuti li ha molto aiutati a recuperare. Vivendo tu così lontano dagli USA, immagino che tu non abbia avuto occasioni di partecipare a incontri con altri sopravvissuti dell'11/9. Come hai fatto quindi a riprenderti da un tale shock e da una tale tragedia?

Hans Kunnen: Raccontando la mia storia ad altri ho potuto condividerne il fardello. Ho tenuto incontri sulla mia esperienza – ricordando alla gente la propria mortalità e la necessità di essere pronti alla morte – soprattutto in senso spirituale. Nei mesi successivi all'11/9 mi fu chiesto continuamente di raccontare la mia storia e sono stato felice di raccontarla a chiunque avesse molto tempo a disposizione.

Ancor oggi, raccontare alcune parti della mia storia mi fa piangere. La visione di una donna che viene scagliata fuori dalla Torre Sud dall'esplosione e che attraversa la mia visuale in giravolte scomposte. L'estrema gentilezza di Leslie DeFreitas Castellucci e della sua famiglia. I vestiti che diedero a me, uno sconosciuto. La tristezza di Central Park. L'assenza di risate in televisione. I messaggi pieni di dolore che scorrevano in televisione da parte di chi cercava di contattare i propri cari. Poi i tanti funerali, ogni settimana, ai quali la gente andava. C'era stata una perdita di vite umane così grande – vite di persone che stavano semplicemente facendo le loro tranquille attività quotidiane.


Undicisettembre: L'11 settembre come ha cambiato la tua vita? Sei riuscito a tornare alla normalità?

Hans Kunnen: Sono sopravvissuto. Avevo un lavoro da fare, dei figli da crescere, uno stipendio da guadagnare, dei clienti da assistere, una chiesa di cui essere parte. Non mi trovai confrontato quotidianamente con il lutto persistente che si viveva a New York. Avevo scadenze e responsabilità da onorare e queste focalizzarono e diedero una direzione alla mia via quotidiana. Mi offrirono una distrazione positiva dai pensieri oscuri che altrimenti avrebbero potuto sopraffarmi.

Per un po' di tempo i rumori forti mi hanno innervosito. Ero un po' sulle spine. Ora prendo le esercitazioni antincendio molto seriamente. Sono molto pensieroso nelle giornate di cielo terso, quando sono attorniato da torri di uffici e un aereo mi sorvola ad alta quota. Ogni volta rivedo tutto.