2023/04/13

Intervista al membro della 9/11 Commission Miles Kara

di Leonardo Salvaggio

È disponibile sul mio canale YouTube un'intervista al membro della 9/11 Commission Miles Kara. Nel video parliamo della reazione dell'FAA e del NORAD e di aspetti poco noti degli attentati, ad esempio del perché Mohamed Atta e Abdulaziz al-Omari siano andati da Boston a Portland per prendere un aereo che li riportasse a Boston, da cui si sono imbarcati sul volo American Airlines 11.

L'intervista è disponibile solo in inglese.

2023/04/09

Il documentario di TMZ sulla teoria del quinto aereo

di Leonardo Salvaggio

Lo scorso 20 marzo il network televisivo FOX ha trasmesso un documentario realizzato in collaborazione con TMZ intitolato TMZ Investigates - 9/11 - The Fifth Plane secondo cui la mattina dell'11 settembre 2001 i terroristi di al-Qaeda cercarono di dirottare un quinto aereo, in partenza dall'aeroporto JFK di New York e diretto a Los Angeles, ma non riuscirono nel loro intento perché lo spazio aereo venne chiuso prima che l'aereo potesse decollare. Il volo in questione era il numero 23 della United Airlines e si trattava di un Boeing 767, come i due voli che si schiantarono contro le Torri Gemelle.


Il documentario propone le testimonianze di quattro persone dell'equipaggio: il capitano Tom Manello, le assistenti di volo Barbara Brockie Smaldino, che seguiva la classe economica, e Sandy Thorngren, che seguiva la classe business, e la responsabile degli assistenti di volo Deborah che non si mostra in viso e che non rivela il proprio cognome. I quattro membri dell'equipaggio ricordano di aver visto sull'aereo quattro persone dall'aspetto mediorientale che ebbero comportamenti sospetti: un uomo che viaggiava con un bambino di circa otto anni e che chiese di poter mostrare al figlio la cabina di pilotaggio, una persona che indossava un burqa e che secondo il personale di volo era un uomo travestito da donna, un uomo che viaggiava accanto alla persona con il burqa e che aveva l'aspetto di un bodyguard e un uomo che indossava una t-shirt e che sudava copiosamente nonostante la temperatura fresca. L'uomo con il bambino ebbe una discussione con gli assistenti di volo per via di un possibile ritardo alla partenza dovuto alla difficoltà nel reperire frutta da dar loro durante il volo in sostituzione del pasto che prevedeva carne di maiale.

In realtà già arrivati a questo punto emerge come la teoria del quinto aereo sia debole, perché non corrisponde affatto con quanto compiuto dalle altre quattro squadre che hanno dirottato i voli con cui sono stati condotti gli attentati. Nessun terrorista si è imbarcato sull'aereo con un bambino e nessuno avrebbe fatto un gesto folle tipo mascherarsi da donna. È sicuramente vero che indossare un burqa per compiere un attentato è una pratica usata dai terroristi, ma in tutt'altro contesto, ad esempio per farsi esplodere in un mercato, non certo su un aereo dove si deve essere identificati e dove si rischia solo di attirare l'attenzione su di sé qualora si destassero sospetti. Riguardo all'uomo con la t-shirt, non si capisce come il fatto di sudare abbondantemente possa essere considerato un indizio che indichi che si trattasse di un terrorista; magari aveva corso trasportando bagagli pesanti, in ogni caso era pur sempre una mattina di fine estate, per quanto fresca, e non c'è nulla di strano nel sudare. All'uomo con il bambino non fu permesso di vedere la cabina di pilotaggio perché nel 2001 non era più consentito, i due si avvicinarono quindi alla porta per guardare dentro: di nuovo non si spiega perché un terrorista dirottatore dovrebbe fare una cosa del genere prima del decollo, in modo da attirare sospetti e attenzione su di sé.

In ogni caso il volo fu bloccato prima che potesse partire e il personale di volo segnala altre stranezze successive. Dopo che tutti gli aerei vennero evacuati, venne trovata aperta una botola sul pavimento che consentiva di accedere all'aereo passando da un locale tecnico e alcune persone furono viste bordo di United 23. Questi dettagli sono in ogni caso aneddotici, nessuno dei membri del personale ha visto niente di ciò con i proprio occhi, ma lo ha sentito raccontare. I membri dell'equipaggio ipotizzano che la botola sia stata aperta da qualcuno dopo l'evacuazione per salire sul velivolo e far sparire eventuali prove dell'intenzione di compiere un dirottamento, ad esempio i tagliacarte che i terroristi avrebbero potuto avere con sé. L'ipotesi prevede che ci sia stata complicità da parte del personale aeroportuale. Anche in questo caso le indicazioni in favore della teoria del quinto aereo sono debolissime. Anzitutto non si capisce perché una botola aperta debba essere indice di un tentativo di dirottamento: può essere stato un guasto alla chiusura, può essere stata aperta per ispezionare il vano tecnico sottostante o per qualunque altro motivo. Il capitano riporta inoltre che dopo l'ispezione dei velivoli due tagliacarte furono trovati su un aereo il cui numero identificativo (tail number) differisce di una sola cifra da quello di United 23, secondo il capitano questo potrebbe significare che del personale di terra complice dei terroristi potrebbe aver piazzato i tagliacarte sull'aereo sbagliato, intendendo invece metterli sul suo aereo. La teoria del capitano è molto forzata, prevede comunque un errore grossolano da parte dei terroristi e anche uno scenario del tutto diverso da quello degli altri voli, per i quali i dirottamenti non hanno previsto il coinvolgimento di personale aeroportuale alleato dei terroristi.

Il documentario suggerisce che il caso non sia stato valutato opportunamente dagli inquirenti. In realtà la 9/11 Commission ha indagato altri possibili tentativi di dirottamento, il più noto dei quali è il volo Delta Air Lines 1989, e negli anni sono emersi altri casi simili, come il volo Korean Air 85, e quindi se ci fosse stato un tentativo concreto di dirottamento sarebbe stato individuato. Inoltre la Commissione ha identificato vari membri di al-Qaeda che furono considerati per la squadra finale che compì gli attentati ma che per diversi motivi non ne fece parte: ad esempio i ben noti Zacarias Moussaoui, il possibile sostituto di Ziad Jarrah, e Mohammed al-Qahtani, il ventesimo dirottatore che avrebbe dovuto prendere parte al dirottamento di United 93, oltre ad altri dodici. Anche l'indagine PENTTBOM dell'FBI ha identificato altri tre terroristi di al-Qaeda che avevano frequentato lezioni di volo (Faisal Mana al-Salmi, Bandar al-Hazmi e Rayad Abdullah), se ce ne fosse stato un altro che prese un volo quella mattina sarebbe stato sicuramente individuato. In ogni caso, il buon senso suggerisce che se al-Qaeda avesse avuto altri muscle hijackers a disposizione quella mattina, ne avrebbe posto uno a completare la squadra di Ziad Jarrah in sostituzione di al-Qahtani: non è infatti un caso che l'unico volo che non ha raggiunto il proprio obiettivo sia stato quello in cui i terroristi erano quattro e non cinque.

La United Airlines non ha mai in questi ventidue anni asserito di aver subito un altro tentativo di dirottamento rispetto a quelli schiantatisi a Shanksville e contro il Pentagono, e anche questo contribuisce a chiudere la discussione. Le prove in favore della teoria del quinto aereo sono deboli e vaghe e in assenza di indicazioni più solide è molto improbabile che United 23 fosse davvero the fifth plane.

2023/03/10

World Trade Center: an interview with survivor Ron DiFrancesco

by Leonardo Salvaggio. An Italian translation is available here.

Undicisettembre is offering today its readers the personal account of survivor Ron DiFrancesco who was working in Tower 2 and left his office moments before the second plane crashed into the tower.

We would like to thank Ron DiFrancesco for his kindness and his help.




Undicisettembre: Can you give us a general account of what you saw and experienced on 9/11?

Ron DiFrancesco:
I was living in New Jersey at that time but I worked in New York at the World Trade Center. I had left my house at about 5:30 in the morning to catch the 5:40 train, I took the train into Hoboken, New Jersey, and then I took the PATH train to go to the World Trade Center. I worked at the 84th floor of Tower 2. There were different elevators that you had to take to get there: I took the express elevator from ground floor to the 78th and then I transferred over to the smaller elevators to take me to the 84th floor. I arrived probably around 6:45.

My desk was in a trading room with three hundred and fifty people sitting there working, yelling, screaming and watching the world markets. The reason why I was there so early is that the Asian markets were closing at that hour, the Europeans markets were halfway through the day and we would continue from there. I sat at my desk and I was working and talking to my colleagues and to my clients on the phone, telling them what was going on in the markets. We were settled into the day when back to the right there was a loud explosion; we didn't know what it was but we looked to the right and we saw thousands of pieces of paper streaming in the air all around. We ran to the window to see what was going on and we saw a big gaping hole in the side of Tower 1. At that point a lot of people started to leave our floor.

I didn't know it was a terrorist attack, I think some of those who left understood it was a terrorist attack because they were there in 93. I am Canadian and was living in Canada at the time of the first attack, I had moved to New York in 2000. When we had started hearing the news they told us that a light aircraft had gone off course and crashed into the World Trade Center, I didn't know any different, I just knew from seeing people in the hole in the side of the building that it was pretty severe. Everybody in the world was watching on the news what was going on, but we were in the middle of it and still we had no clue and they kept telling us "Building 2 is secure, please go back to your desk", so I went back to my desk and I got a lot of phone calls from clients in Canada who were asking me what was going on but I really didn't know.

I got a call from a university friend who started yelling at me to get out of the building, I said I would go so I called my wife to tell her I was leaving and I would call her when I got downstairs. I grabbed a colleague of mine and him and I made our way towards the elevator banks and as we were leaving the second plane hit our building: the right wing went from the 78th to the 85th floor and sliced through our trading room.


We got knocked down and battered, all the ceiling tiles came down from above. My colleague and I wiped the debris from ourselves, we met with our colleagues and we started running towards the stairwell. We started going down and after two or three floors we met two gentlemen and a lady coming up, the two men were helping the lady up, and they said we couldn't go down because there was too much fire. We heard someone crying for help so we went to assist this man whose name is Stanley. I was overcome with smoke, so I left this man with one of my colleagues and I went up the stairwell and reached maybe the 91st floor hoping to get to one of the floors but all the doors were locked for security reasons. Once we realized we couldn't get out of the stairwell our only choices were all the way up or all the way down. At that point panic really set in.

I wanted to get out the building, so we started going down and we got close to our floor or even a bit below and smoke overtook us. People started to lie down to try to get beneath the hot smoke,. I was lying down too when I heard a voice calling me saying "Get up and come this way"; so I got up and followed the voice, into the heaviest smoke area and pushed against a piece of drywall and it revealed the staircase down below. I slid down and ran down three flights of stairs that were on fire. After those three flights of stairs it was wet and cool, I think just because the sprinklers were working at those floors; so I started to run down as fast as I could. About halfway down I run into three firefighters coming up, I told them I was having trouble breathing, they checked me out and told me to get down below and I'll get help there.

About an hour after the crash I reached the lobby of my building which was facing the courtyard between the two towers, I just wanted to get out of the building and run but outside I could see lots of debris and bodies everywhere. I wanted to go out but they wouldn't let us because it was too dangerous and they made us go to the PATH train station to go out to Church Street on the farthest corner away from the World Trade Center. So I went down another flight of stairs, I started walking towards the exit and I run into a colleague of mine, an older gentleman who in his best days had troubles walking; as we were down there we heard this very loud, loud noise, I looked to my right and I saw this huge fireball coming at us. I yelled at my colleague "Run!", I ran as fast as I could and I woke up three days later in a hospital. I remember getting hit on the head and that's all I remember.


Undicisettembre: What did your family know or think happened to you after the attacks, when you could not get in touch with them?

Ron DiFrancesco: It was actually harder on my wife than it was on me, she could not get hold on me; I think they called her at 2 o'clock in the afternoon and told her that I was in the hospital and she then related the message to my family in Canada. They didn't know how badly I was injured and I of course wasn't aware of the panic that was going on with people frantically looking for people.


Undicisettembre: What happened next to you, in the following weeks and months?

Ron DiFrancesco: While most of the people either got out physically unscaved or they died, I was banged up quite badly, I had burns on 60% of my body, I had a broken bone in my back, my contact lenses were melted to my eyes and I was in rough shape. For days I hadn't known the World Trade Center had come down. When the plane hit our building I thought it was a generator down below blowing up, I didn't know it was a second plane. I found that out from my wife.


Undicisettembre: When was the first time you went back to downtown Manhattan after 9/11?

Ron DiFrancesco: I went back in November 2001 for a colleague's funeral, I went there and then I met my family uptown.


Undicisettembre: Did you decide to leave New York because of 9/11?

Ron DiFrancesco: Yes. I went back to work part time in March 2002 and full time in April. When I went back full time getting into the city was tough: you had to take the train to Hoboken and then the ferry across the Hudson river to get to our new office, which was moved away from the World Trade Center of course. Every night my kids would be sitting by the window wondering if I was coming home. We realized after a while there was no way for us to live there, so we moved back to Canada.


Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life even today?

Ron DiFrancesco: I am blessed, I'm fortunate and I'm lucky that I'm still here, I have an immense sense of gratitude. I was in a dark spot for a few years, like "Why did I survive while so many of my colleagues did not?". But I'm now on a different place, a different mission too: to help people. If you think about what's happening in our world now, everybody has been struggling for the last few years and the mental health crisis is very tough. Everyday is not great for everyone, after 9/11 I didn't know if I wanted to live or die, I struggled for a while. Someone told me: "You need to tell your story about what you do to survive because it may help some people", so I studied positive psychology and tried to do the best I can day in day out in the hope of something better.

Now I have gratitude for smaller things and small things in life, because every day is a bonus for us. I could ask you what your problems are and maybe they are bigger than mine, but we both have a house and health and that's a bonus because many people don't have them.

World Trade Center: intervista al sopravvissuto Ron DiFrancesco

di Leonardo Salvaggio. L'originale in inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale del sopravvissuto Ron DiFrancesco che lavorava nella Torre 2 è lasciò il suo officio pochi istanti prima che il secondo aereo si schiantasse contro la torre.

Ringraziamo Ron DiFrancesco per la sua cortesia e disponibilità.




Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di quello che hai visto e vissuto l'11 settembre?

Ron DiFrancesco:
All'epoca vivevo nel New Jersey ma lavoravo a New York al World Trade Center. Ero uscito di casa verso le 5:30 del mattino per prendere il treno delle 5:40, presi il treno per Hoboken, nel New Jersey, e poi presi il treno PATH per andare al World Trade Center. Lavoravo all'84° piano della Torre 2. Per arrivarci bisognava prendere più ascensori: presi l'express elevator che dal piano terra portava al 78° piano e poi mi spostai sugli ascensori più piccoli per arrivare all'84° piano. Arrivai in ufficio intorno alle 6:45.

La mia scrivania era in una sala per trader in cui c'erano trecentocinquanta persone che lavoravano, parlavano a voce alta e controllavano i mercati mondiali. Il motivo per cui ero lì così presto era che a quell'ora i mercati asiatici stavano chiudendo, i mercati europei erano a metà giornata e noi avremmo continuato da lì. Ero alla mia scrivania e stavo lavorando e parlando con i miei colleghi e con i miei clienti al telefono, raccontando loro cosa stava succedendo nei mercati. Stavamo lavorando a pieno ritmo quando alla nostra destra ci fu una forte esplosione; non sapevamo cosa fosse ma guardammo in quella direzione e vedemmo migliaia di pezzi di carta che fluttuavano nell'aria tutt'intorno. Corremmo alla finestra per vedere cosa stesse succedendo e vedemmo un enorme buco nel lato della Torre 1. A quel punto molte persone iniziarono a scappare dal nostro piano.

Non sapevo che fosse un attacco terroristico, penso che alcuni di quelli che se ne erano andati avessero capito che si trattava di un attacco terroristico perché avevano vissuto anche l'attentato del 93. Io sono canadese e vivevo in Canada al tempo del primo attacco, mi ero trasferito a New York nel 2000. I notiziari dicevano che un piccolo aereo era andato fuori rotta e si era schiantato contro il World Trade Center, non sapevo altro, capivo solo vedendo le persone nel buco nel edificio che era una cosa grave. Tutti nel mondo stavano guardando in televisione ciò che stava succedendo, ma noi eravamo lì nel mezzo e non sapevamo nulla mentre gli altoparlanti dicevano "L'edificio 2 è sicuro, per favore tornate ai vostri posti", quindi tornai alla mia scrivania e ricevetti molte telefonate da clienti in Canada che mi chiedevano cosa stesse succedendo, ma io non lo sapevo.

Ricevetti una telefonata da un amico dell'università che mi urlò di uscire dall'edificio, gli dissi che lo avrei fatto e chiamai mia moglie per dirle che stavo uscendo dal palazzo e che l'avrei chiamata una volta arrivato fuori. Presi per un braccio un collega e ci dirigemmo verso gli ascensori, mentre stavamo uscendo il secondo aereo colpì il nostro edificio: l'ala destra trapassò i piani dal 78° all'85° squarciando il nostro ufficio.


Fummo sbattuti e buttati a terra, tutti i pannelli del soffitto caddero dall'alto. Io e il mio collega ci pulimmo dai detriti, incontrammo altri colleghi e iniziammo a correre verso la tromba delle scale. Iniziammo a scendere e dopo due o tre piani incontrammo due uomini e una donna che salivano, i due uomini stavano aiutando la signora a salire, e ci dissero che scendere era impossibile perché c'era troppo fuoco. Sentimmo qualcuno gridare aiuto, quindi andammo ad assistere quest'uomo che si chiama Stanley. Venni sopraffatto dal fumo, quindi lasciai quell'uomo con uno dei miei colleghi e salii per le scale fino circa al 91° piano sperando di poter uscire dalle scale e accedere a un pianerottolo ma tutte le porte erano chiuse per motivi di sicurezza. Una volta resici conto che non potevamo uscire dalla tromba delle scale, le nostre uniche possibilità erano salire fino all'ultimo piano o scendere fino a terra. A quel punto scoppiò davvero il panico.

Volevo uscire dall'edificio, quindi iniziammo a scendere e quando eravamo al nostro piano o poco sotto il fumo ci investì. La gente iniziò a sdraiarsi per cercare di rimanere sotto al fumo caldo. Ero sdraiato anch'io quando sentii una voce che mi chiamava e diceva: "Alzati e vieni da questa parte"; così mi alzai e seguii la voce, ero immerso nel fumo ma spinsi una parete di cartongesso e trovai le scale sotto di me. Saltai giù e corsi giù per tre rampe di scale tra le fiamme. Dopo quelle tre rampe di scale tutto era umido e freddo, credo che fosse perché a quei piani funziona il sistema antincendio; iniziai a correre più veloce che potevo. Circa a metà discesa incontrai tre vigili del fuoco che salivano, dissi loro che avevo difficoltà a respirare, mi controllarono e mi dissero di scendere e uscire e avrei trovato soccorso fuori dalla torre.

Circa un'ora dopo lo schianto raggiunsi l'atrio del mio edificio che si affacciava sulla piazza tra le due torri, volevo solo uscire dall'edificio e scappare ma vedevo che fuori c'erano molti detriti e corpi ovunque. Volevo uscire ma non ci fu permesso perché era troppo pericoloso e ci fecero scendere nella stazione del PATH per uscire su Church Street, all'angolo più lontano dal World Trade Center. Così scesi un'altra rampa di scale, mi avviai verso l'uscita e mi imbattei in un mio collega, un anziano signore che nei suoi giorni migliori aveva difficoltà a camminare; mentre eravamo al piano sotterraneo sentimmo un rumore molto forte, guardai alla mia destra e vidi un'enorme palla di fuoco venire verso di noi. Urlai al mio collega "Corri!", corsi più veloce che potevo e mi svegliai tre giorni dopo in ospedale. Ricordo di essere stato colpito alla testa e dopo di questo non ricordo altro.


Undicisettembre: La tua famiglia cosa sapeva o pensava che ti fosse successo dopo gli attacchi, quando non ti sei più messo in contatto con loro?

Ron DiFrancesco: Fu più difficile per mia moglie che per me, perché non riusciva a mettersi in contatto con me; penso che qualcuno l'abbia chiamata alle 2 del pomeriggio e le abbia detto che ero in ospedale e poi lei ha riportato la notizia alla mia famiglia in Canada. Non sapevano quanto gravemente fossi ferito e io ovviamente non ero consapevole del panico che c'era tra le persone che stavano freneticamente cercando i loro familiari.


Undicisettembre: Cosa ti è successo dopo, nelle settimane e nei mesi successivi?

Ron DiFrancesco: Mentre la maggior parte delle persone era uscita fisicamente illesa o era morta, io ero piuttosto malconcio, avevo ustioni sul 60% del mio corpo, avevo un osso rotto nella schiena, le lenti a contatto mi si erano fuse negli occhi e stavo male in generale. Per giorni non ho saputo che il World Trade Center fosse crollato. Quando l'aereo colpì il nostro edificio avevo pensato che fosse un generatore di sotto che era esploso, non sapevo che fosse un secondo aereo. Lo seppi poi da mia moglie.


Undicisettembre: Quando tornasti a nella punta meridionale di Manhattan dopo l'11 settembre?

Ron DiFrancesco: Ci tornai nel novembre 2001 per il funerale di un collega, ci andai e poi reincontrai la mia famiglia nei quartieri più a nord.


Undicisettembre: Decidesti poi di lasciare New York a causa dell'11 settembre?

Ron DiFrancesco: Sì. Ci tornai a lavorare part time nel marzo 2002 e full time ad aprile. Quando tornai a tempo pieno arrivare in città era complicato: dovevi prendere il treno per Hoboken e poi il traghetto attraverso il fiume Hudson per raggiungere il nostro nuovo ufficio, che ovviamente era stato spostato lontano dal World Trade Center. Ogni sera i miei figli aspettavano alla finestra chiedendosi se sarei tornato a casa. Ci rendemmo conto dopo un po' che non potevamo rimanere, quindi tornammo in Canada.


Undicisettembre:: In che modo l'11 settembre influenza la tua vita quotidiana ancora oggi?

Ron DiFrancesco: Sono un privilegiato e sono fortunato a essere ancora qui, ho un immenso senso di gratitudine. Sono stato male per alcuni anni, mi chiedevo "Perché sono sopravvissuto, mentre tanti altri miei colleghi no?". Ma quella fase è passata e ora ho una missione diversa: aiutare le persone. Se pensi a cosa sta succedendo nel nostro mondo adesso, siamo stati tutti in difficoltà negli ultimi anni e la crisi della salute mentale è molto dura. Non tutti i giorni sono buoni per tutti, dopo l'11 settembre non sapevo se volevo vivere o morire, per un po' ho avuto difficoltà. Qualcuno poi mi disse: "Devi raccontare ciò che fai per sopravvivere perché potrebbe essere utile ad altri", quindi ho studiato psicologia positiva e ho cercato di fare del mio meglio giorno dopo giorno nella speranza di poter migliorare.

Ora sono grato anche per le cose più piccole, perché ogni giorno è un dono. Potrei chiederti quali sono i tuoi problemi e forse sono più grandi dei miei, ma entrambi abbiamo una casa e la salute e questo è un dono perché molte persone non le hanno.

2023/02/26

Chi è Saif al-Adel, il nuovo leader di al-Qaeda

di Leonardo Salvaggio

Dopo l'uccisione di Ayman al-Zawahiri avvenuta lo scorso mese di luglio a Kabul, al-Qaeda ha identificato l'egiziano Saif al-Adel come proprio nuovo leader, come risulta da un documento delle Nazioni Unite del febbraio di quest'anno.

Al-Adel è nato in Egitto, in una città chiamata Shibin al-Kawm a nord del Cairo, nei primi anni 60, l'anno esatto non è noto, con il nome di Mohammed Salahuddin Zeidan. Al-Adel rimase nel paese africano fino al conseguimento della laurea in economia. Nel 1987 si trasferì in Arabia Saudita dove rimase un solo anno e dove finse la propria morte. Al-Adel fece comunicare alla sua famiglia in Egitto la notizia del proprio decesso in un incidente d'auto da uno sconosciuto che riportò loro anche un giubbotto appartenente allo stesso al-Adel per provare la veridicità di quanto stava dicendo. La famiglia chiese alle autorità saudite di avere delle evidenze sulla morte del loro congiunto, ma senza successo; in assenza di prove certe sulla sorte dell'uomo il tribunale egiziano lo dichiarò legalmente morto. È probabile che a questo punto Al-Adel abbia rubato l'identità di un'altra persona e adottato il nome di battaglia con cui oggi è noto che significa spada della giustizia, per poi spostarsi in Afghanistan dove si unì ai gruppi jihdaisti che combattevano contro l'invasione sovietica. Al-Adel entrò a far parte di al-Qaeda già dalla fondazione e acquisì importanza all'interno della gerarchia dell'organizzazione diventando subito uno dei supervisori dei campi di addestramento. Tra i primi miliziani formati da Al-Adel si trova, ad esempio, Ramzi Yousef, responsabile del primo attentato contro il World Trade Center.

Tra il 1991 e il 1992 Saif al-Adel ebbe un ruolo rilevante nell'aiutare bin Laden a spostare al-Qaeda in Sudan e a espanderne l'influenza in Somalia e altri stari del corno d'Africa. Prima del ritorno di al-Qaeda in Afghanistan nel 1996, al-Adel viaggiò anche in Yemen per creare un ramo di al-Qaeda anche nella penisola araba. Negli anni seguenti fu tra gli organizzatori degli attentati contro le ambasciate americane in Africa del 1998, a seguito dei quali divenne uno dei ricercati most wanted dell'FBI, e dell'attacco contro la USS Cole del 2000. Durante la pianificazione degli attentati dell'11 settembre, al-Said fu tra quelli che si dissociarono delle intenzioni di Osama bin Laden e di Khalid Sheikh Mohammed, perché temeva che la reazione militare americana avrebbe distrutto al-Qaeda. Alcuni media riportano che al-Adel addestrò in Afghanistan alcuni dei dirottatori, tuttavia nessuno specifica quali dei diciannove sarebbero stati formati dall'egiziano.

In seguito agli attentati dell'11 settembre rimase in Afghanistan e insieme ad altri leader di al-Qaeda cercò un luogo dove potesse nascondersi; non trovandolo fuggì in Pakistan nel dicembre del 2001. Il Pakistan non si rivelò un posto sicuro dove dei leader di al-Qaeda potessero nascondersi, in quanto il presidente Pervez Musharraf si schierò a fianco degli Stati Uniti, e al-Adel vi rimase solo pochi mesi prima di trasferirsi con altri miliziani qaedisti in Iran. Sulle prime riuscirono a rimanervi senza troppe pressioni da parte delle autorita di Tehran, ma questa situazione durò poco e nel 2003 al-Adel venne arrestato insieme ad altri due terroristi e rimase in carcere fino al 2010 quando fu liberato in uno scambio di prigionieri tra l'Iran e la Rete Haqqani. Da allora le notizie sulla vita di al-Adel sono più vaghe. Tra il 2011 e il 2012 venne arrestato di nuovo durante un viaggio dal Pakistan all'Egitto e finì di nuovo detenuto in Iran. Al-Adel rimase in cella fino al 2015, quando venne liberato in un nuovo scambio di prigionieri, questa volta con il ramo di al-Qaeda attivo nella penisola araba.

Attualmente si ritiene che Saif al-Adel si nasconda ancora in Iran in una sorta di regime di arresti domiciliari autoinflitti, visto che l'Iran e al-Qaeda non sono alleati, e che diriga al-Qaeda da lì. In ogni caso al-Qaeda potrebbe presto trovarsi ad affrontare un serio problema di leadership. Se il fatto di essere in Iran dovesse ostacolare l'attività di al-Adel o se questi dovesse rivelarsi troppo vecchio per attirare nuovi adepti, al-Qaeda avrebbe avrebbe poche alternative. Le opzioni sarebbero di affidare la guida del gruppo a quelli che un rapporto dell'ONU del 2022 identifica come i successivi nella linea gerarchica, quali il marocchino Abdal Rahman al-Maghrebi, genero di al-Zawahiri, l'agerino Yazid Mebrak, leader del ramo magrebino di al-Qaeda, o il somalo Ahmed Diriye, capo di al-Shabbab. Se non si concretizzasse nessuna di queste ipotesi, una quarta ipotesi potrebbe essere il siriano Abu Abd al-Karim al-Masri che ha guadagnato notevole rilevanza da quando la Siria è afflitta dalla guerra civile e questa scelta potrebbe portare a una scissione, se lo spostamento del centro di gravità e dalla tradizione qaedista fosse troppo drastico.

Saif al-Adel è anche stato oggetto di uno scambio di identità da parte degli inquirenti americani. Per un periodo l'FBI ritenne infatti che Saif al-Adel non fosse Mohammed Salahuddin Zeidan, ma Mohammed Ibrahim Makkawi, un ex colonnello delle forze speciali egiziane che, come Zeiden, si unì ad al-Qaeda in Afghanistan. Makkawi venne arrestato nel 2012 al Cairo e alcuni media diedero erroneamente la notizia dell'arresto di al-Adel. Ad oggi, comunque, l'FBI elenca tuttora il nome di Mohammed Ibrahim Makkawi tra gli alias di al-Adel, nonostante l'equivoco sia stato chiarito.


Fonti:

2023/01/27

Intervista all'ex agente speciale del Diplomatic Security Service Scott Stewart sull'attentato al World Trade Center del 1993

di Leonardo Salvaggio

È disponibile sul mio canale YouTube un'intervista all'ex agente speciale del Diplomatic Security Service Scott Stewart sul primo attentato alle Torri Gemelle, quando nel 1993 un gruppo di terroristi parcheggiò un camion bomba nei parcheggi sotterranei con l'intenzione di far crollare il complesso.

L'intervista è disponibile solo in inglese.


2023/01/16

11 gennaio 2023: l'FAA ordina il primo stop dei voli negli USA dopo l'11 settembre

di Leonardo Salvaggio

Lo scorso 11 gennaio l'FAA (l'ente americano che gestisce il trasporto aereo) ha disposto lo stop di tutti i voli in partenza dagli aeroporti degli Stati Uniti a causa di un problema di un software di gestione delle comunicazioni verso i piloti. Si è trattato del primo arresto totale dei voli dall'11 settembre 2001.

Il software interessato dal disservizio è noto come NOTAM (Notice to Air Missions) ed è utilizzato da varie agenzie governative per inviare ai piloti informazioni di sicurezza relative alla rotta che il velivolo deve percorrere o alla località di destinazione, ad esempio nell'elenco delle notifiche si trovano numerose segnalazioni di vulcani attivi da evitare. L'FAA ha annunciato la prima volta che il sistema era indisponibile alle 19:47 (ora della costa orientale) del 10 gennaio, quando il sistema aveva smesso di inviare aggiornamenti già da quattro ore. Un'ora dopo ha annunciato che i tecnici stavano lavorando alla risoluzione del problema, ma per tutta la notte il disservizio non è rientrato. La mattina dell'11 gennaio l'agenzia ha ordinato alle 7:30 lo stop di tutti i voli in partenza. Intorno alle 9 il divieto di decollo è stato revocato; in quel momento erano stati posticipati circa 8.500 voli e 1.200 erano stati cancellati. Ovviamente ci sono volute ore prima che i ritardi venissero smaltiti.

Tuttora le cause dell'incidente non sono chiare. L'FAA ha dichiarato che non si è trattato di un attacco informatico, ma di un errore umano di un ingegnere che durante una finestra di manutenzione ha sostituito uno dei file del database con una copia corrotta dello stesso in quanto non ha seguito correttamente la procedura. La spiegazione è di suo ragionevole, ma non spiega per quale motivo il Canada, che utilizza un software diverso anch'esso chiamato NOTAM, abbia avuto problemi simili nelle stesse ore; in ogni caso il disservizio in Canada e durato solo tre ore e non ha causato ritardi perché il sistema di backup ha sostituito il primario che era indisponibile. In ogni caso né l'FAA né l'omologo canadese Nav Canada hanno spiegato se i due eventi siano legati. Una seconda notevole stranezza è che soli dieci giorni prima, l'1 gennaio, nelle Filippine si è verificato un problema simile che ha causato il blocco totale dello spazio aereo.

Rispetto al blocco dei voli dell'11 settembre, questo caso recente presente comunque una notevole differenza: in questa occasione i velivoli già in volo hanno potuto completare il loro viaggio verso le loro destinazioni, mentre l'11 settembre 2001 tutti i voli dovettero atterrare nel più breve tempo possibile. Quello dell'11 settembre non fu comunque la prima chiusura dello spazio aereo, il quanto nel primi anni 60 i voli degli Stati Uniti furono bloccati tre volte nell'ambito di altrettante esercitazioni militari note come Sky Shield.

Il Segretario dei Trasporti Pete Buttigieg ha dichiarato alla CNN che le indagini dovranno proseguire per capire da dove è arrivato il file corrotto e perché la ridondanza dei sistemi non ha garantito il funzionamento. Fino a quando questi aspetti non verranno chiariti, quanto accaduto l'11 gennaio scorso resterà poco chiaro.