2018/10/13

The Cell di John Miller, Michael Stone e Chris Mitchell

di Hammer

Nel 2002 il giornalista della ABC (e oggi vice commissario per l'intelligence e l'antiterrorismo dell'NYPD) John Miller pubblicò il libro intitolato The Cell: Inside the 9/11 Plot, and Why the FBI and CIA Failed to Stop It, scritto in collaborazione con Michael Stone e Chris Mitchell. Come dice il titolo stesso, il libro spiega quali errori e omissioni furono compiuti dalle agenzie che indagano sulle attività terroristiche, lasciando spazio alla pianificazione e realizzazione degli attentati dell'11/9.

La prima metà del volume è dedicata alla storia del terrorismo islamico contro obiettivi americani, a partire dall'omicidio del rabbino Meir Kahane ad opera di El Sayyid Nosair, che venne condannato solo per possesso di arma illegale e non per l'omicidio grazie all'alacre lavoro della difesa, che fu finanziata in parte da Osama bin Laden.

Gli autori passano quindi all'attentato del 1993 alle Torri Gemelle, che il JTTF (Joint Terrorism Task Force, unità creata da agenti di diverse agenzie e preposta a indagare sull'attività terroristica) non riuscì a fermare nonostante la collaborazione di un infiltrato di nome Emad Salem, che aveva segnalato che la cellula jihadista di Brooklyn nella quale era inserito stava preparando degli esplosivi. Tuttavia Salem rifiutò di indossare un microfono e gli inquirenti potevano quindi solo fidarsi della sua parola, ma le indicazioni date da Salem su dove l'attentato si sarebbe svolto erano molto vaghe, poiché l'uomo si limitava a dire che i jihadisti avrebbero colpito obiettivi ebraici. Gli inquirenti riuscirono comunque a sventare un altro attacco che la medesima cellula stava preparando e che prevedeva di far esplodere delle cariche esplosive in quattro luoghi pubblici di New York non meglio identificati; in questo caso il JTTF bloccò i terroristi durante le fasi di preparazione seguendo le indicazioni di Salem.

Gli autori trattano quindi gli attacchi contro le ambasciate di Nairobi e Dar es Salaam nel 1998 e l'attentato contro la USS Cole nel 2000, aggiungendo dettagli che mancano in molte altre ricostruzioni giornalistiche. Il libro menziona ad esempio il fatto che l'esplosione del volo TWA 800, avvenuto nel luglio del 1996, distolse per un anno e mezzo l'attenzione degli inquirenti, perché fino alla conclusione dell'indagine una delle ipotesi che fu valutata fu che l'aereo fosse stato abbattuto da terroristi; questo comportò che le agenzie investigative ignorarono per lungo tempo le attività di al-Qaeda e altri gruppi jihadisti.

Miller dedica anche molto spazio alla propria intervista ad Osama bin Laden, al viaggio lungo e difficile che dovette compiere per raggiungere il terrorista e all'atmosfera inquietante che avvolgeva il posto dove questi lo ricevette. Bin Laden, nell'intervista, promise di portare morte e distruzione in America, ma rispose alle domande in arabo e non concesse a Miller che il suo traduttore traducesse le risposte al momento. Miller apprese i contenuti di ciò che gli aveva detto bin Laden solo dopo essere rientrato negli USA.

Gli autori dedicano quindi la seconda metà del volume alla progettazione e alla realizzazione degli attentati dell'11/9. Il racconto inizia con una dettagliata sintesi della vita di Mohamed Atta e della sua partecipazione alla cosiddetta "Cellula di Amburgo". Questa parte, come spiegato dagli autori, è basata in gran parte sulla biografia di Mohamed Atta scritta da Terry McDermott (autore anche dei preziosi volumi Perfect Soldiers e The Hunt for KSM) per il Los Angeles Times.

Nel raccontare come al-Qaeda è arrivata dalla progettazione alla realizzazione dell'11/9, l'autore aggiunge aspetti significativi, come il fatto che nel 2000 Atta tentò di acquistare un piccolo aereo da sei posti allo scopo di togliere alcuni dei sedili e trasformarlo in un aereo agricolo. Ad oggi non è noto se gli servisse per fare pratica alla guida, o se intendesse trasformarlo in una bomba riempiendo di materiale esplosivo i serbatoi per la semina. Atta non riuscì nel suo intento perché non ottenne il prestito bancario necessario e gli autori commentano che al momento del tentato acquisto forse i terroristi non avevano ancora deciso quale piano mettere in atto.

Nella seconda metà dello stesso anno John Miller incontrò a Kuala Lumpur un informatore interno ad al-Qaeda che si celava sotto il nome di Max. Questi disse che al-Qaeda stava progettando un dirottamento di un aereo che trasportasse un senatore o ambasciatore americano e intendeva sfruttarlo per chiedere la liberazione di Omar Abdel-Rahman (meglio noto con il soprannome di Blind Sheikh), al tempo detenuto negli USA e oggi deceduto.

Gli autori spiegano in dettaglio quali informazioni aveva la CIA prima degli attentati, come il fatto che si fosse svolto un summit del terrore in Malesia e la presenza del saudita Omar al-Bayoumi a San Diego, che stava offrendo aiuto logistico ai dirottatori Khalid al-Mihdhar e Nawaf al-Hazmi. Evidentemente l'agenzia sottovalutò la pericolosità dei terroristi e non li fermò in tempo.

Miller elenca anche alcune ipotesi sul perché la maggior parte dei dirottatori fosse saudita: una spiegazione può risiedere nel tentativo di al-Qaeda di minare i rapporti tra USA e Arabia Saudita, oppure il motivo può essere stato che i sauditi sono più capaci di integrarsi in una cultura diversa come quella americana rispetto ai cittadini di altri paesi del mondo arabo.

L'autore chiude il volume con l'amara considerazione che sebbene gli inquirenti non potessero prevedere l'esatto scenario che si concretizzò l'11 settembre, l'uso di aerei in attentati terroristici non arrivò senza preavviso. Prima di essere arrestato nel 1995, Ramzi Yousef stava pianificando un attentato che aveva come scopo far schiantare un piccolo aereo contro la sede della CIA a Langley; inoltre nel 1994 un gruppo legato ad al-Qaeda minacciò di far schiantare un volo di linea contro la Torre Eiffel. Inoltre l'intelligence USA aveva segnalato l'intenzione di al-Qaeda di colpire con un aereo dirottato il G8 di Genova, allo scopo di uccidere il presidente americano George Bush.

È quindi evidente dall'analisi di Miller come le agenzie investigative avevano un buon numero di indicazioni per prevenire quello che si concretizzò come l'attentato terroristico più sanguinoso della storia. Tuttavia gli indizi furono evidentemente ignorati o forse gli inquirenti pensavano che l'attacco di al-Qaeda sul suolo americano non sarebbe avvenuto così in fretta.

2018/10/04

World Trade Center: an interview with former NYPD sergeant Gerard Kane

by Hammer. An Italian translation is available here.

Undicisettembre continues its effort to preserve the memories of the tragic events of 9/11. Today we offer our readers the account of former NYPD sergeant Gerard Kane who arrived on the scene after the second crash.

We would like to thank Gerard Kane for his kindness and willingness to help.


Undicisettembre: Can you give us a general account of what you saw and experienced on that day?

Gerard Kane: I was home when the first plane struck, I was immediately contacted by one of my colleagues, I put on the TV and saw the big hole in the North Tower of the World Trade Center with a large volume of fire from inside the building. I was still going to go in at my 10:00AM shift, as normal, trying not to overreact to things, I had been around for fifteen years or so at the time as a police officer and I hadn’t yet shaved or showered or gone into my business attire, I was still in t-shirt and shorts drinking coffee in my kitchen. Then I got a call from a pretty well informed person, a gentleman by the name of John Miller, who is currently the NYPD deputy commissioner for intel and back then he was a news reporter and he had famously interviewed Osama bin Laden back in 1998. He asked me what was going on, I was a little surprised by his call and I remember thinking to myself “If John doesn’t know maybe I should just skip the shower, throw some clothes on and get in.”

So I threw some clothes on, I knew it was a bad fire and that my boss, Police Commissioner Bernie Kerik, wanted me to be in the building so I put on my suit I didn’t like, the shoes I didn’t like, the shirt I didn’t like figuring if they get ruined I’d just throw them out. My wife handed me a cup of coffee, I had an unmarked police car that I was able to take home in the assignment that I had at the time and I live only six miles away from the World Trade Center so I started heading in lights and sirens.

I took the Interstate 278, sometimes called BQE, from where you could see the Towers on the left, I glanced over and saw all the black smoke coming from the North Tower and it did remind me of that iconic photo of Pearl Harbor of the Arizona with the black smoke pouring out of it. But I really wasn’t looking at the tower because I was driving, I was really paying attention to the ten or twenty feet right in front of my car so I wouldn’t crash into anybody. About halfway there, three miles to go, there was a lot of screaming and commotion on the radio, nobody was making any sense and then a cop got on very calmly telling “Central, a second plane just hit the other Tower”. I looked up but I missed the ball of flame but what I saw was a big ball of smoke roiling upwards towards the sky and literally thousands of pieces of papers floating in the sky and actually almost twinkling in the sky because it was such a sunny and beautiful day.

In that moment the chief of NYPD, Joe Esposito, or Chief Espo as we used to call him, got on the radio. The NYPD has a command and control unit called operations and the chief got on the radio and says “Central, have operations notify the Pentagon, the city is under attack.” I had been around for fifteen years, I had gone to radio calls where cops are screaming they are in a shootout, foot chases, car chases, all kinds or emergency calls come over the radio, but to hear the chief on our police radio saying that we were at war and we are the first people handling that, not the army, not the navy, but the police department and fire department really was amazing. I started running through my head “What do I have with me? I have a gun, I have extra ammunition, I have my bulletproof vest, I have my heavy bulletproof vest, my helmet.” Because I had no idea what we were facing.

I ended up driving through the Battery Tunnel, I came out on the Manhattan side of the tunnel, I parked my car maybe three blocks south from the site, I walked up to right opposite the South Tower, while I was standing there out of nowhere two United States Air Force F-15 came screaming in with full afterburners at about two thousand feet. That certainly got our attention, never ever as a cop I’ve had United States Air Force back me up and I did feel good with their presence even if they did scare the crap out of me when they first came overhead, it’s a pretty dramatic entrance when they come in like that but once the two jets were there I knew no more planes where going to crash into the city, so it was kind of like “All right, at least that’s under control.”

I was trying to figure out what to do next. I was about to go into the Marriott Hotel, which was in between the two Towers. The security director there was a retired police sergeant, I was a police sergeant at the time and I was going to see if he was okay and if he needed anything but I got distracted by somebody and I didn’t do it. It turned out he was in his hotel when the South Tower collapsed around it and onto it and he barely survived it, he just got out of the hotel before the South Tower collapsed. If I had gone inside it and had even a twenty second conversation with him I might have changed his day significantly enough that he might not have lived and also my day would have been changed by twenty or thirty seconds. But he did live, he barely made it out by the skin of his teeth.

So I was there looking at the buildings and trying to figure out what the commissioner needed from me, because I was on his staff, and what people need: there were like two thousands rescuers on the scene, probably one thousands cops between Port Authority Police and New York City police, probably five hundred to a thousand firefighters, a hundred or two hundred paramedics and ambulances that brought people there. I was hearing these “boom, boom, boom” and I thought “Man, there must be gas lines going off in the towers, the firemen must have much to worry about” and then I saw with the corner of my eye a person going down from the top to the bottom, and it was the most horrible thing to watch in your life, you really really feel for them because they are in the last seconds of their life and you are a witness to it. They are fully alive and you know that in five seconds they are going to be completely dead.

But I had to do my job, with the jets overhead and both buildings impacted, people jumping. I was trying to concentrate to whatever I could put my hands on: if a person or a thing was close enough for me to touch it, I would think about it, other than that I was trying not to commit any brain power to things that were going on beyond that because I was starting to recognize it was going to be an overwhelming day. I was looking for the police commissioner, and I found him and Mayor Giuliani maybe five or ten minutes before the South Tower collapsed. The commissioner gave me a mission to go find the New York director of the FBI, the FBI’s biggest office in the USA, even bigger than the one in Washington DC, was the New York office, they had probably two thousands agents assigned to New York City. Obviously the New York City commissioner wanted to know from the Federal Government what was going on and since he doesn’t normally deal with admirals and generals he wanted me to try to get the FBI director to come in and brief him.


I went to find the FBI. The FBI had established a temporary headquarter in a building about three or four blocks north of the World Trade Center, they just took over the lobby of a building and were using it as a command post and someone there told me the head of the New York office, who’s name was Berry Mawn, was in the South Tower. He’s alive today, he did not get killed.

I went down to Church Street, right by Century 21, a very famous discount department store, an I was thinking to myself “The footprint of the Tower is a square, the debris, the glass and everything are coming from the four sides, so if I run towards the corner of the building at a 45 degree angle and things are falling at a 90 degree angle from the side I should be okay.” I was about to run there, and someone said “It’s coming down” I thought I had one second, I ran about a hundred and fifty feet which was definitely not enough and I got behind an NYPD vehicle and I tucked myself behind it, I hoped for the best and it was as you can imagine the loudest sound you could hear in your life. A tremendous roar, tremendous. The best way I can describe is gravel being dumped out of a truck, then it was lights out, couldn’t see anything, and for a few seconds there was no air, only dust. And then there was no sound, none. It was the quietest quiet I’ve ever experienced in my life. If you have ever been in a snowfall, it was like that, but ten times quieter. So it went from the loudest noise I’ve ever heard in my life, to the quietest quiet I’ve ever heard in my life. It didn’t last too long, though. You would start to hear people in shock or calling out to their friends, some people saying they needed help.

I held my breath for a few seconds and then I started breathing and took a hard breath, the dust went right down my throat, as I reflex I did a second breath and I was kind of screwed and I was almost asphyxiated to death. I was lucky because there were people who were asphyxiated to death. I really thought I was going to die, I was banging into people right and left of me, they were all panicky. Then I got calm and when I got calm I thought better, I got my suit jacket and wrapped it around my head and I used it as a filter. I knew the truck I was behind was pointing to south, I knew north was Harlem, the Bronx, Canada. I knew I needed to collect my thoughts. I crawled about a block, then I walked about two and a half blocks and found five people in Saint Peter’s catholic church which is on Barclay and Church Streets. There were four adults and a teenager. The dust was starting to settle, but I didn’t realize that because I had the jacket wrapped around my head. They said “Hey, there’s someone out there.” None of the adults made a move, so the kid came out and said “Man, you can’t be out here.” He took me by the wrist and took me up the steps. I said “Where are we going?” he said “We are going to a church.” I said “Is it a Catholic church?” I wasn’t being picky, I am a Catholic but I would have gone anywhere but I needed water badly. As soon as we got at the door I put my hand up and I couldn’t see anything I had dust all over my eyes. And there was holy water. I got a big handful of holy water, put it in my mouth, gargled, spit, did it again, then took a handful for one eye and took a handful for the other eye and I blessed myself.

I had been through this near death experience, at the time I thought ten thousand people had died, I looked around and thought “Is this the way-station to heaven?” then I did the math and said “Ok, ten thousand people died, only six people are going to heaven and there’s no way I’m one of the six. If there were six thousands maybe I could get in at the back of the line, but not out of six.” So I knew I was alive. Took me about a minute to get back to what I do for a living, I’m a police sergeant, I tell people what to do, whether they like it or not, and I make sure they do it.

So I started directing people, able-bodied men, not further than fifty feet from the door of the church and bring people in who were less ambulatory. The population started to increase at a pretty rapid pace, luckily I have a big loud voice. I had a paramedic and I had a nurse, I put them in charge of medical care, they were free to make any medical decision that they wanted, because I have no medical training, they had all the medical training. Me and the kid went to the sacristy because I knew people needed water, we kicked in the door and I knew there would be sinks, flower vases, chalices and other things to provide people with water. We got the sinks running, filling things up with water. We had people drinking water out of chalices because they needed it.

I had a knife on me, I told the kid to take the covering of the altar “Cut it into strips, soak the strips into water and let people tie them around their face.” He said “Are you sure?” I said “Yes, I’m a former altar boy, you can do it.” He cut it up, he went through it and said “I’m out of that, what should I cut next?” I said “Cut the priest’s vestments.” He said again “Are you sure?” I gave myself a promotion and called myself “a retired altar boy”. I decided “Until anyone supersedes me I was going to be the ranking Catholic authority in this church”, I was making all decisions about the church property and how it was going to be used. A few months later I met father McManus, who was the pastor of the parish, and he said “Gerry, God put that stuff there to be used. It was totally okay, no worries.”

So, we were there, we were giving basic first aid to a lot of people, most people just needed a safe place to be because everybody was in shock, people needed water, air inside the church was a little cleaner than outside because all the windows were closed and they weren’t broken. Even though there was a piece of jet engine on the roof of the church, none of the windows broke.

We were there maybe 45 minutes to an hour when the North Tower came down and I have no memory of that whatsoever. A psychologist told me about the brain and this whole “fight-or-flight” thing and that you stop thinking of memories and you start only worrying about survival. I could talk about the South Tower for five hours, but I can’t remember anything about the North Tower.

There came a point in time when I left there, because there was a lot of personnel, bosses from the police department, bosses from the fire department. There was a priest who was killed, the fire department chaplain, Father Mychal Judge, they brought him into Saint Peter, laid him on the altar. It was starting to get pretty congested and they didn’t need me running things anymore. I decided I was to try to reconnect to the police commissioner, but couldn’t find him and I didn’t know if he was alive or not. There was a police station in a subway station, for the transit police, a few blocks away and I went there to take a shower with my clothes on, because I had so much dust on me it was bouncing off me all the time. I wanted to suppress the dust, so in my suit I walked through a shower stall to hose myself down.

I then went back to Ground Zero, I was there when 7 World Trade Center fell although I was two good blocks away from it because I started to learn my lesson, which was “Don’t stay too close to these things when they fall”. I ended up in the afternoon going back to my office at the Police Headquarters to change into a uniform, I spent large time of the afternoon trying to find a place to do a large temporary morgue. At first we were going to take over every ice hockey rink in the city, that was the first plan, then the Federal Government showed up with these big air conditioning trucks, which I didn’t know we had, we were going to take over a passenger ship pier on the west side of Manhattan and air condition the whole thing to a very very cold temperature and bring the bodies there. Then I ended up at the actual morgue which is on the East Side of Manhattan; doctor Hirsch, the medical examiner for the city at the time, knew there would be no bodies because the force of the collapse made the number of recoverable bodies minimal and he was 100% right.

I was at the morgue from ten at night till two or three in the morning. Then I went home at about 3:30 or 4 o’clock, took a shower and I was going to take a nap because I was exhausted and I ended up watching TV, which was a big mistake because even though I lived it, it was compelling television to watch. So I watched TV for forty-five minutes and then it was time for me to go back to work and at 5:30 in the morning I was back on the pile in the bucket brigade. We had 200 people on the pile and that was the start of the rescue and recovery effort.


Undicisettembre: What did you do in the following days?

Gerard Kane: Digging almost through September twelfth, then they decided the digging would be done by trained people and we were getting help from all over the country pretty quickly from people who have buildings collapse as a living and they fly over when there’s an earthquake or something like that, because they practice this stuff all the time. So actual crawling around underneath the rubble was done by the professionals. The rest of us was the bucket brigade.

We couldn’t bring heavy equipment because we thought there would be still people to save so they were literally taking pieces out by hand, they would put it in a little five gallon bucket and pass the bucket down to the bottom of the line where someone would dump it out, then three or four guys would throw the bucket back up to the top of the pile where someone would fill it with debris and pass it back down again. I did that for a couple of days.


Undicisettembre: How long did it take you to get your life back to normalcy?

Gerard Kane: It’s hard to say it’s back to normal. It was a big hit. Certainly you got to move on, you got kids, you got a wife, you got a job. You can’t just cry all day or drink all day or do both all day, you’ve got to function.


Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life?

Gerard Kane: I think about it everyday, of how lucky I am that I made through it, I’m glad I didn’t die. I’m glad I didn’t leave my wife and my boys. I think about all the people who went to work to do their jobs, didn’t have political feelings, and some maniacs flew jet planes into their buildings killing them by the hundreds. It’s terrible.

First responders, including me, while driving there knew this was going to be a life or death situation but we kept going. I signed up for that though, I became a cop; firemen, they became firemen. The poor people sitting at their desks, what did they do to deserve this? People on airplanes, what did they do to deserve this? It’s terrible for them and for their families.

I’m sure a lot of people are still broken, and I mean really broken. Everyone is broken a little bit, but some people are more broken than others.


Undicisettembre: How did 9/11 effect your professional life from 2001 till the day you retired from NYPD?

Gerard Kane: Well, I retired in 2005. I could have stayed on, but 9/11 was definitely on my mind when I retired, I thought “I don’t want to go through another one of those things again.” I work for a company now who is rolling out a huge, multimillion dollars, initiative for public safety across the United States and I did a taping for all the employees of the company so they could have a sense of why 9/11 was important and why the company is doing what they are doing.

It was seventeen years ago, there are people who were little kids when it happened and they are now in college or graduating from college. They know it from history books or from watching documentaries on TV, but if you watched it live it was completely different than if you watched it in class years after it happened with your classmates.


Undicisettembre: What do you thing of conspiracy theories that claim that 9/11 was an inside job?

Gerard Kane: First of all, obviously these conspiracy theorists need to sail their boats off the edge of the flat Earth.

To be serious, I think when something like 9/11 happens it’s gigantic, it’s absolutely g-i-g-a-n-t-i-c. Look at this, you are in Italy, I’m in New York City, we are talking over Skype seventeen years after it happened because it’s such a gigantic event that we are compelled to speak to each other. It’s so gigantic that some people can’t process it normally, so to protect themselves they say “No, it can’t be that a couple of guys organized this, some guys went to flight school, they got some box cutters, took over the cockpits. How could that be? With a guy in a cave organizing all this. Come on!” So they say “It’s got to be bigger than that, it has to be some kind of grand conspiracy. It has to be CIA, the government trying to grab oil, trying to start wars, or the Illuminati.” They just can’t process the facts because the event was so big.

I feel sorry for them actually, I really do. I get mad at them sometimes, but my real emotion when I think about those people is that I feel sorry for them, that their intellect and personality is so weak that this is how they defend themselves.

But it’s dying now. As for me till twelve or thirteen years ago it was hard to talk about 9/11 because I would start to get emotional, but now time has passed and for them time passes also and their brains start to heal and to think normally.


Undicisettembre: In your opinion, is the country safer now than in 2001?

Gerard Kane: Yes. There’s no question the country is safer. Let’s start in the source, in the places where these evil ideas are germinated there are aggressive efforts being made all the time to interdict, arrest, kill people who come up with these ideas.

Here in the United States local police and the federal government are doing a very good job, all they got to do is go on Facebook, go to different chatrooms, find people who are talking about jihad, go meet them in an undercover capacity and if the person says “I want to do jihad” they tell them “Great, why don’t you cool your heels in jail for a couple of years?” and they eliminate them from the streets, and of course on airplanes if a guy stands up and stabs the stewardess every able-bodied person on the plane regardless of their personal safety will rush that guy and beat the living daylight out of him and drive him unconscious or even dead.

They know this, so there is no taking over airplanes anymore as they used to be able to. Now there’s vehicle terrorism, where they drive though a crowd, but cities are starting to be redesigned with that in mind. I’ve seen it in New York, there are barriers everywhere. And when I see them I say “Oh, that’s great! Now they can’t run me over.”

So the terrorists adapt, but the police adapt. No one is going to be caught napping.

World Trade Center: intervista all'ex sergente dell'NYPD Gerard Kane

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre continua il suo impegno affinché i tragici eventi dell'11 settembre 2001 non vengano dimenticati. Oggi offriamo ai nostri lettori il racconto dell'ex sergente della polizia di New York Gerard Kane, che arrivò sulla scena dopo il secondo schianto.

Ringraziamo Gerard Kane per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l’11/9?

Gerard Kane: Ero a casa quando il primo aereo colpì, venni immediatamente contattato da uno dei miei colleghi, accesi la televisione e vidi il grande buco nella Torre Nord del World Trade Center con un gran volume di fiamme che uscivano dal palazzo. Avevo ancora intenzione di iniziare il mio turno alle dieci del mattino, come se fosse una situazione normale, cercando di non avere reazioni sproporzionate; al tempo ero un poliziotto da circa quindici anni e non mi ero ancora fatto la barba o la doccia e non mi ero ancora messo gli abiti da lavoro, avevo ancora maglietta e calzoncini e stavo bevendo il caffè in cucina. Poi ricevetti una telefonata da una persona bene informata, un uomo di nome John Miller, che oggi è vice commissario dell’NYPD e al tempo era un giornalista e aveva fatto una famosa intervista a Osama bin Laden nel 1998. Mi chiese cosa stesse succedendo, rimasi un po' sorpreso dalla sua telefonata e ricordo di aver pensato “Se neanche John lo sa, forse dovrei saltare la doccia, buttarmi addosso dei vestiti e andare.”

Quindi mi misi addosso dei vestiti, sapevo che era un brutto incendio e che il mio capo, il commissario della polizia Bernie Kerik, avrebbe voluto che andassi nel palazzo, quindi mi misi un vestito che non mi piaceva, le scarpe che non mi piacevano e la camicia che non mi piaceva, pensando che se si fossero rovinati li avrei semplicemente buttati. Mia moglie mi passò una tazza di caffè, avevo un'auto civetta della polizia che potevo portare a casa nell'ambito dell'incarico che avevo e vivevo a soli dieci chilometri dal World Trade Center, quindi partii con le luci e le sirene accese.

Presi la Interstate 278, chiamata anche BQE, da cui si vedevano le Torri sulla sinistra; lanciai uno sguardo e vidi il fumo nero che usciva dalla Torre Nord e mi ricordò di quella foto iconica della nave Arizona a Pearl Harbor. con tutto il fumo nero che ne usciva. Ma in realtà non stavo guardando la torre, perché stavo guidando, facevo attenzione ai tre o sei metri proprio davanti alla mia macchina in modo da non schiantarmi contro qualcuno. Quando ero a metà strada, circa a cinque chilometri, sentii molte urla e agitazione sulla radio della polizia, nessuno capiva cosa stesse succedendo e poi un poliziotto disse via radio con molta calma: “Centrale, un secondo aereo ha colpito l'altra Torre.” Guardai in alto, ma non vidi la palla di fuoco; vidi invece una grossa nube di fumo che saliva verso il cielo e letteralmente migliaia di pezzi di carta che fluttiavano nell'aria e che quasi scintillavano perché era una giornata così bella e assolata.

In quel momento il capitano dell’NYPD, Joe Esposito, o Capitano Espo come lo chiamavamo, arrivò alla radio. L’NYPD ha un’unità di comando e controllo chiamata operations e il capitano della polizia arrivò alla radio e disse “Centrale, dite alle operations di informare il Pentagono, la città è sotto attacco.” Ero un poliziotto da quindici anni, avevo risposto a chiamate alla radio dove dei poliziotti urlavano di trovarsi in una sparatoria, inseguimenti a piedi, inseguimenti in macchina, ogni tipo di chiamate di emergenza arrivavano per radio; ma sentire il capitano dire alla radio della polizia che eravamo in guerra e che i primi a gestire la situazione eravamo noi, non l’esercito, non la marina, ma il dipartimento di polizia e il dipartimento dei pompieri, fu veramente incredibile. Iniziai a pensare: “Cosa ho con me? Ho una pistola, ho munizioni extra, ho il giubbotto antiproiettile, ho il giubbotto antiproiettile pesante, ho il casco.” Perché non avevo idea di ciò che stavamo affrontando.

Finii per attraversare in auto il Battery Tunnel, uscii dal lato di Manhattan del tunnel, parcheggiai la mia macchina a circa tre isolati di distanza dal sito, e camminai fino alla Torre Sud. Mentre ero lì all’improvviso arrivarono due F-15 della United States Air Force a massima velocità a seicento metri di altezza. Questo ci colpì molto, non mi è successo mai come poliziotto di avere la United States Air Force come rinforzo e la loro presenza mi fece piacere anche se quando arrivarono la prima volta mi spaventarono a morte; è un’entrata in scena molto teatrale quando arrivano in questo modo. Ma una volta che i due jet erano lì, sapevo che nessun altro aereo si sarebbe schiantato sulla città, quindi pensai “Bene, almeno questo è sotto controllo.”

Cercavo di capire cosa avrei dovuto fare. Stavo per entrare nel Marriott Hotel, che era in mezzo alle due torri. Il direttore della sicurezza era un ex sergente della polizia, io ero un sergente della polizia a quel tempo e volevo andare a vedere se stava bene e se aveva bisogno di qualcosa, ma fui distratto da qualcuno e non lo feci. Lui si trovava nell'hotel quando la Torre Sud crollò attorno e sopra di esso e ne sopravvisse a malapena: riuscì ad uscire dall'hotel appena prima che la Torre Sud crollasse. Se fossi entrato e avessi avuto una conversazione anche solo di venti secondi con lui avrei potuto cambiare la sua giornata abbastanza da non farlo sopravvivere e forse anche la mia giornata sarebbe stata cambiata per colpa di venti o trenta secondi. Ma lui sopravvisse, ce la fece per un pelo.

Ero lì che guardavo i palazzi e cercavo di capire cosa il commissario avesse bisogno che io facessi perché io ero nel suo staff, e ciò di cui la gente avesse bisogno: c'erano circa duemila soccorritori sulla scena, forse mille poliziotti tra la polizia della Port Authority e la polizia di New York, forse cinquecento o mille pompieri, cento o duecento paramedici e ambulanze che portavano lì persone. Sentivo questi “bum, bum, bum” e pensai “Forse ci sono dei tubi del gas che stanno esplodendo nelle torri, i pompieri avranno molto di cui preoccuparsi” e a quel punto vidi con la coda dell'occhio una persona che cadeva dalla sommità, e fu una cosa orribile da vedere; soffri per loro perché stanno viveno gli ultimi secondi della loro vita e tu ne sei testimone. Sono completamente vivi e sai che in cinque secondi saranno completamente morti.

Ma dovevo fare il mio lavoro, con i jet sopra le nostre teste ed entrambi i palazzi colpiti, la gente che si buttava giù [dalle torri]. Stavo cercando di concentrarmi su qualunque cosa su cui potessi mettere le mani: se una persona o una cosa era sufficientemente vicina perché io potessi toccarla ci pensavo, altrimenti cercavo di non dedicare energie mentali ad altro, perché iniziavo a capire che sarebbe stata una giornata estenuante. Cercai il commissario della polizia, lo trovai insieme al Sindaco Giuliani cinque o dieci minuti prima che la Torre Sud crollasse. Il commissario mi incaricò di andare a cercare il direttore dell’FBI di New York, l'ufficio più grande dell'FBI negli Stati Uniti, anche più grande di quello Washington, era l'ufficio di New York, c’erano circa duemila agenti assegnati a New York. Ovviamente il commissario di New York voleva che il governo federale gli dicesse cosa stava accadendo e siccome lui di norma non parla con ammiragli e generali voleva che io provassi a contattare il direttore dell'FBI affinché lo ragguagliasse.


Andai a cercare l’FBI. L’FBI aveva stabilito un quartier generale temporaneo in un palazzo a circa tre o quattro isolati a nord del World Trade Center, avevano requisito la lobby di un palazzo e l stavano usando come centro di comando e qualcuno lì mi disse che il capo dell'ufficio di New York, il cui nome era Barry Mawn, era nella Torre Sud. Oggi è ancora vivo, non morì quel giorno.

Scesi fino a Church Street, proprio accanto a Century 21, un famoso grande magazzino, pensando “La base delle torri è un quadrato, le macerie, il vetro e qualunque altra cosa cadono dai quattro lati, quindi se io corro verso lo spigolo della torre con un angolo di quarantacinque gradi e le cose stanno cadendo a novanta gradi dal lato non dovrei avere problemi.” Stavo per correre lì quando qualcuno mi disse “Sta venendo giù”. Pensai di avere un secondo, corsi per circa una cinquantina doi metri, che assolutamente non erano sufficienti, mi nascosi dietro a un veicolo dell’NYPD e mi ci accucciai dietro, sperai per il meglio e come puoi immaginare fu il rumore più forte che puoi sentire nella tua vita. Un ruggito tremendo, tremendo. Il modo migliore in cui lo posso descrivere è il rumore della ghiaia che viene scaricata da un camion. Poi non ci fu più luce, non vedevo nulla, e per qualche secondo non ci fu aria, solo polvere, e poi non c’erano suoni, nessuno. Fu il silenzio più silenzioso che io abbia sentito in vita mia. Se sei mai stato in una nevicata, era quel tipo di silenzio, ma dieci volte più silenzioso. Quindi passò dal rumore più forte che sentii nella mia vita al silenzio più silenzioso che abbia mai sentito nella mia vita. Non durò molto, però. Subito dopo si sentivano persone in stato di shock o che chiamavano i loro amici. Qualcuno diceva di aver bisogno d'aiuto.

Trattenni il fiato per qualche secondo e poi iniziai a respirare e presi un respiro profondo; la polvere mi entrò dritto in gola, di riflesso feci un secondo respiro e mi sentii spacciato. Rischiai di morire soffocato. Fui fortunato, perché ci furono persone che morirono asfissiate. Pensai davvero di stare per morire, urtavo persone ovunque, erano tutte nel panico. Poi mi calmai e quando mi calmai riuscii a pensare meglio, presi la giacca del mio abito e me la legai intorno alla testa per usarla come filtro. Sapevo che il furgone dietro a cui mi ero nascosto era rivolto a sud, sapevo che a nord c'era Harlem, il Bronx, il Canada. Sapevo che avevo bisogno di raccogliere le idee. Strisciai per circa un isolato, quindi camminai per due isolati e mezzo e trovai cinque persone nella chiesa cattolica di Saint Peter, che è all'incrocio tra Barclay Street e Church Street. C'erano quattro adulti e un teenager. La polvere iniziava a posarsi, ma non me ne rendevo conto perché avevo la giacca legata intorno alla testa. Dissero “Ehi, c'è qualcuno lì fuori.” Nessuno degli adulti si mosse, e così il ragazzo uscì e mi disse “Non puoi stare lì fuori.” Mi prese per il polso e mi portò su per gli scalini. Gli dissi “Dove stiamo andando?” mi disse “Stiamo entrando in una chiesa.” Dissi: “E’ una chiesa cattolica?” Non volevo essere schizzinoso, sono cattolico ma sarei andato in qualunque chiesa, però avevo molto bisogno di acqua. Appena arrivai alla porta sollevai la mano e non vedevo nulla, perché avevo la polvere sugli occhi. C'era l'acqua santa. Presi una manciata di acqua santa, me la misi in bocca, me la sciacquai, sputai l'acqua, lo feci di nuovo, poi presi una manciata d'acqua per un occhio e presi una manciata d'acqua per l'altro occhio e mi feci da solo una benedizione.

Attraversai questa esperienza di quasi morte, al tempo pensai che diecimila persone fossero morte. Mi guarda in giro e pensai “Questa è una stazione intermedia verso il paradiso?” quindi feci due calcoli e pensai “Ok, diecimila persone sono morte, solo sei stanno andando in paradiso e non c'è modo che io sia tra quei sei. Se ce ne fossero seimila forse potrei rientrare alla fine della fila, ma non tra sei persone.” Quindi capii che ero vivo. Mi ci volle circa un minuto per tornare a ciò che faccio di lavoro, sono un sergente della polizia: dico alla gente cosa deve fare, che gli piaccia o no, e mi assicuro che lo faccia.

Quindi iniziai a mandare le persone che stavano bene a non più di quindici metri dalla porta della chiesa e a portare all'interno le persone che facevano più fatica a camminare. Il numero di persone iniziò ad aumentare piuttosto rapidamente, fortunatamente ho la voce forte. Avevo un paramedico e un’infermiera, li misi a capo della gestione medica, ed erano autorizzati a prendere ogni decisione medica che volevano, perché io non ho nessun tipo di preparazione medica e loro avevano tutta la preparazione medica che serviva. Io e il ragazzo andammo in sacrestia, perché sapevo che le persone avevano bisogno di acqua, abbattemmo la porta e sapevo che ci sarebbero stati lavandini, vasi di fiori, calici e altre cose che avrei potuto usare per portare acqua alle persone. Aprimmo i rubinetti e riempimmo le cose di acqua. Facemmo bere le persone dai calici perché ne avevano bisogno.

Avevo con me un coltello; dissi al ragazzo di prendere la copertura dell'altare. “Tagliala in strisce, bagna le strisce nell'acqua e dalle alle persone per legarsele intorno alla faccia.” Mi disse: “Sei sicuro?” Dissi: “Sì, sono un ex chierichetto, lo puoi fare.” Lo tagliò, lo tagliò tutto e mi disse “L'ho finito, cosa taglio adesso?” gli dissi “Taglia la veste del prete.” Mi disse di nuovo “Sei sicuro?” A quel punto mi diedi una promozione e mi definii “chierichetto in pensione”. Decisi “Finché qualcuno non mi scavalca, sono la più alta autorità cattolica in questa chiesa”, stavo prendendo tutte le decisioni sui beni della chiesa e su come avrebbero dovuto essere usati. Pochi mesi dopo incontrai padre McManus, che era il parroco, e mi disse “Jerry, Dio ha messo quelle cose lì per essere usate. Hai fatto bene, non preoccuparti.”

Così eravamo lì e davamo un aiuto di base a molte persone, la maggior parte delle persone aveva solo bisogno di un posto sicuro dove stare perché tutti erano in stato di shock, avevano bisogno di acqua, l'aria dentro la chiesa era un po' più pulita rispetto a fuori perché tutte le finestre erano chiuse ed erano intatte. Anche se c'era un pezzo di motore dell'aereo sul tetto della chiesa, nessuna delle finestre si ruppe.

Eravamo lì da poco più di quarantacinque minuti quando la Torre Nord venne giù e non mi ricordo nulla di ciò. Uno psicologo mi parlò del cervello e di questa cosa dell’“attacca o scappa” e che smetti di pensare ai ricordi e ti preoccupi solo di sopravvivere. Potrei parlare del crollo della Torre Sud per cinque ore, ma non ricordo nulla del crollo della Torre Nord.

Arrivò il momento in cui me ne andai, perché c'erano molte persone, capi del dipartimento di polizia, capi dei pompieri. C’era un prete che era rimasto ucciso, il cappellano dei pompieri, padre Mychal Judge, lo portarono nella chiesa di Saint Peter, lo deposero sull'altare. Cominciò a diventare piuttosto congestionata e non avevano più bisogno che io dirigessi le attività. Decisi di rimettermi in contatto con il commissario della polizia, ma non lo trovai e non sapevo se fosse vivo o no. C'era una stazione della polizia in una stazione della metropolitana, per la polizia ferroviaria, a pochi isolati di distanza e andai lì a lavarmi sotto la doccia con indosso i miei abiti, perché avevo così tanta polvere addosso che mi cadeva di dosso costantemente. Volevo levarla, quindi con il mio abito camminai attraverso un getto della doccia per togliermi tutta quella polvere.

Poi tornai a Ground Zero, ero lì quando il World Trade Center 7 crollò, anche se ero a più di due isolati di distanza perché avevo imparato la lezione, che era “Non stare troppo vicino a quelle cose quando crollano”. Nel pomeriggio finii per tornare al mio ufficio al quartier generale della polizia per mettermi l'uniforme, passai gran parte del pomeriggio cercando un posto dove fare un grande obitorio temporaneo. Sulle prime volevamo requisire tutti le piste da hockey su ghiaccio della città, quello era il piano iniziale, ma poi il governo federale arrivò con questi grossi camion-condizionatori, che non sapevo nemmeno che avessimo; volevamo requisire un molo passeggeri sul lato ovest di Manhattan e condizionare l'intera area a una temperatura molto bassa e portare lì i corpi. Poi finii all'obitorio vero e proprio, che è sul lato est di Manhattan; il dottor Hirsch, il medico legale della città al tempo, sapeva che non ci sarebbero stati corpi perché la forza del crollo avrebbe reso quasi nullo il numero di corpi recuperabili; aveva ragione al 100%.

Rimasi all'obitorio dalle dieci di sera fino alle due o le tre del mattino. Poi andai a casa intorno alle tre e mezza o le quattro, mi feci una doccia e avevo intenzione di andare a riposare, perché ero esausto, ma finii per guardare la televisione e fu un terribile errore, perché anche se lo avevo vissuto, mi sentivo obbligato a guardarlo in televisione. Quindi guardai la TV per quarantacinque minuti e a quel punto era ora per me di tornare al lavoro e alle cinque e mezza del mattino ero con la brigata dei secchi sulla pila dei detriti. C'erano duecento persone sulla pila e quello fu l'inizio del lavoro di soccorso e di recupero.


Undicisettembre: Cosa hai fatto nei giorni seguenti?

Gerard Kane: Scavammo quasi fino alla fine del 12 settembre, poi decisero che gli scavi sarebbero stati fatti da personale preparato e stavamo ricevendo aiuto da tutta la nazione piuttosto in fretta, da gente che faceva professionalmente interventi in caso di crolli e che arrivava con l'aereo dove c'era un terremoto o qualcosa del genere, perché ha pratica costante di casi come questo. Quindi furono questi professionisti a strisciare sotto le macerie. Il resto di noi componeva la brigata dei secchi.

Non potevamo portare macchinari pesanti perché pensavamo che ci sarebbero state ancora persone da salvare, e quindi portavano via i pezzi letteralmente a mano. Li mettevano in un secchio da venti litri e passavano il secchio fino alla fine della fila, dove qualcuno lo avrebbe scaricato, poi tre o quattro persone avrebbero lanciato il secchio di nuovo alla sommità della pila, dove sarebbe stato riempito di macerie e sarebbe stato passato di nuovo giù. Io lo feci per un paio di giorni.


Undicisettembre: Quanto tempo ti ci è voluto per riportare la tua vita alla normalità?

Gerard Kane: È difficile dire che sia mai tornata la normalità. E’ stato un duro colpo. Certamente devi andare avanti, ci sono dei figli, c'è una moglie, c'è un lavoro. Non puoi semplicemente piangere tutto il giorno o bere tutto il giorno o fare entrambe le cose tutto il giorno, devi funzionare.


Undicisettembre: L’11/9 come condiziona la tua vita quotidiana?

Gerard Kane: Ci penso tutti i giorni, penso a quanto sono stato fortunato a essere sopravvissuto, sono grato di non essere morto. Sono grato di non avere lasciato mia moglie e i miei ragazzi. Penso a tutte le persone che sono andate al lavoro per fare il loro lavoro, non avevano sentimenti politici, e alcuni maniaci hanno fatto schiantare degli aerei nei loro palazzi uccidendoli a centinaia. E’ terribile.

I primi soccorritori, tra cui io, mentre andavamo sulla scena sapevamo che sarebbe stata una situazione di vita o di morte, ma abbiamo continuato ad andare. Io l’ho scelto, sono voluto diventare un poliziotto; i pompieri hanno deciso di diventare pompieri. Le povere persone che erano sedute alle loro scrivanie, cosa hanno fatto per meritare tutto questo? Le persone sugli aerei, cosa hanno fatto per meritare questo? E’ terribile per loro e per le loro famiglie.

Sono sicuro che molte persone siano ancora distrutte, voglio dire davvero distrutte. Tutti siamo un po' distrutti, ma credo che alcuni siano più distrutti di altri.


Undicisettembre: L’11/9 come ha condizionato la tua vita lavorativa dal 2001 fino al tuo ritiro dall’NYPD?

Gerard Kane: Beh, mi sono ritirato nel 2005. Avrei potuto continuare, ma l’11/9 era sicuramente nella mia testa quando mi sono ritirato. Ho pensato “Non voglio vivere un'altra di queste cose di nuovo.” Adesso lavoro per una società che sta rilasciando un progetto multimilionario per la sicurezza pubblica in tutto il paese e ho fatto un video per tutti gli impiegati della compagnia in modo che sappiano perché l’11/9 è stato così importante e perché la compagnia sta facendo ciò che sta facendo.

E’ stato 17 anni fa, ci sono persone che erano bambini piccoli quando è successo e che ora sono al college o si stanno diplomando. Conoscono queste cose dai libri di storia o per aver visto dei documentari in TV, ma vederle in diretta fu completamente diverso che vederlo a scuola anni dopo i fatti con i tuoi compagni.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l’11/9 sarebbe un autoattentato?

Gerard Kane: Anzitutto, è chiaro che questi complottisti dovrebbero condurre le proprie navi oltre il bordo della terra piatta.

Seriamente, penso che quando succede qualcosa come l’11/9 sia gigantesco, è assolutamente g-i-g-a-n-t-e-s-c-o. Pensaci, tu sei in italia, io sono a New York e ne stiamo parlando via Skype 17 anni dopo perché è stato un evento così gigantesco che sentiamo la necessità di parlarci. E’ così gigantesco che alcune persone non possono elaborarlo normalmente, quindi per proteggersi dicono “No, non può essere che un paio di uomini ha organizzato questa cosa, alcune persone sono andate a scuola di volo, hanno preso dei taglierini, hanno preso il controllo di alcune cabine di pilotaggio. Come può essere? Con un uomo in una caverna che sta organizzando tutto questo. E dai!” Quindi dicono: “Deve essere più grande di così, deve essere qualche tipo di grande cospirazione. Deve essere stata la CIA, il governo nel tentativo di impossessarsi di petrolio, nel tentativo di iniziare delle guerre, o gli Illuminati.” Non riescono a elaborare i fatti perché l'evento è stato troppo grande.

In realtà mi dispiace per loro, mi dispiace davvero. Alle volte mi arrabbio con loro, ma la mia vera emozione quando penso a queste persone è che mi dispiace per loro, che il loro intelletto e la loro personalità siano così deboli che si difendono così.

Ma ora sta scomparendo. Come per me dodici o tredici anni fa era difficile parlare dell’11/9 perché mi emozionavo, ma ora il tempo è passato e anche per loro il tempo passa e i loro cervelli iniziano a guarire e pensare normalmente.


Undicisettembre: Pensi che la nazione sia più sicura oggi che nel 2001?

Gerard Kane: Sì. Non c'è dubbio che la nazione sia più sicura. Cominciamo alle fonti; nei posti dove queste idee malvagie nascono ci sono forti sforzi costanti per bloccare, arrestare, uccidere le persone che emergono con queste idee.

Qui negli Stati Uniti la polizia locale e il governo federale stanno facendo un buon lavoro, tutto ciò che devono fare è andare su Facebook, andare in differenti aree di chat, trovare persone che parlano della jihad, andare a incontrarle sotto copertura e se la persona dice “Voglio fare la jihad” gli dicono “Bene, perché non vieni a rinfrescarti le idee per un paio d'anni in galera?” e le tolgono dalle strade. E ovviamente sugli aerei se un uomo si alza e pugnala la hostess, tutte le persone in salute che si trovano sull'aereo, incuranti dalla loro sicurezza personale, si getteranno su quell'uomo e lo aggrediranno e lo pesteranno fino a fargli perdere conoscenza o persino ucciderlo.

Loro lo sanno, quindi non prendono più il controllo di aerei come hanno potuto fare in passato. Ora c'è il terrorismo con i veicoli, dove si lanciano con autoveicoli sulle folle, ma le città iniziano a essere riprogettate tenendo conto di questo. Ho visto a New York che ci sono barriere ovunque. E quando le vedo penso “Oh, che bello! così non mi possono investire.”

Quindi il terrorismo si adatta, ma anche la polizia si adatta. Nessuno verrà colto di sorpresa.