2007/11/28

Modellazione del Pentagono 1

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Inizia oggi la pubblicazione di una serie di articoli di base mirati a raccogliere ordinatamente dati, fonti, testimonianze e immagini dell'evento al Pentagono per consentire a chiunque di effettuare le proprie osservazioni e trarre le proprie conclusioni sulla base di tutti gli elementi pubblicamente disponibili. Uno degli scopi di questi articoli è la ricostruzione della scena dell'attentato, anche sotto forma di modello digitale.

Fonti


I dati utilizzati per questa ricostruzione provengono da Greatbuildings.com, pentagon.afis.osd.mil, Allexperts.com, Renovation.pentagon.mil e dai libri Pentagon Building Performance Report e Pentagon 9/11.

Struttura e dimensioni dell'edificio


Paradossalmente, il Pentagono è un edificio talmente famoso e iconico che tutti ritengono di conoscerne bene la forma, ma una verifica dettagliata rivela che la percezione comune della sua struttura è molto spesso errata. Uno degli scopi di questi articoli è proprio sfatare questi luoghi comuni.

Per esempio, la pianta del Pentagono è divisa solo apparentemente in cinque anelli, identificati formalmente con le lettere A-E dall'interno verso l'esterno, e ciascuno di questi anelli è alto cinque piani, non quattro come può sembrare a prima vista.

Questi anelli apparenti sono collegati da dieci bracci, due per lato, disposti perpendicolarmente alle facciate (Figura 1.1). I bracci raccordano le facciate ai vertici dell'anello più interno (anello A). Lungo la mezzeria di ogni facciata vi è inoltre un camminamento sopraelevato che raccorda gli anelli. Al centro, la struttura accoglie un parco di forma pentagonale.

Figura 1.1. Un'immagine del Pentagono scattata il 7 settembre 2001 da Spaceimaging.com. La facciata colpita è quella in alto a destra, di fronte all'eliporto contrassegnato dalla H. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

I cinque anelli sono apparenti perché in realtà, al piano terra e al primo piano, il Pentagono è formato da due soli grandi corpi anulari, che lungo quattro lati sono separati da una strada carrabile a cielo aperto (chiamata A-E drive); lungo un quinto lato formano un corpo unico (Figura 1.2).

Il primo corpo anulare include i tre anelli esterni (E-D-C); il secondo raggruppa i due anelli interni (B-A). Questa situazione è mostrata dalle figure pubblicate nel Pentagon Building Performance Report e riportate qui sotto.

Figura 1.2. La pianta del Pentagono al piano terra e al primo piano. La lettera H indica l'eliporto. Il cuneo più chiaro sul corpo anulare esterno indica l'area interessata dall'impatto. I tratti neri indicano la posizione dei giunti di dilatazione. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Figura 1.3. La pianta del Pentagono ai piani dal secondo in su. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Per i primi due piani, insomma, i tre anelli esterni del Pentagono formano un volume unico e ininterrotto, che si suddivide in anelli soltanto ai piani superiori. Questo è un fatto poco noto, che trae in inganno molti aspiranti analisti dell'evento al Pentagono ed è molto importante nella comprensione della sua dinamica. La forma reale della struttura del Pentagono è documentata da foto come queste e dalla sezione mostrata in Figura 1.8.

Figura 1.4. La parte colpita del Pentagono dopo lo sgombero delle macerie. Si notano la continuità dei volumi al piano terra e al primo piano e il piano, cieco verso l'esterno, situato sopra l'ultimo ordine di finestre. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Figura 1.5. Una vista aerea della zona danneggiata permette di notare che al piano terra e al primo piano i tre anelli esterni formano un volume unico. Il corridoio a sinistra è la strada carrabile (A-E Drive) e ha quattro ordini di finestre più un piano terra senza finestre; il "corridoio" al centro e quello a destra hanno invece tre ordini di finestre, e quello che sembra essere il livello del suolo, fra un corridoio e l'altro, è in realtà il tetto del volume continuo che raccorda gli anelli E-D-C. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

La pianta del piano terra mostrata qui sotto (Figura 1.6), tratta dal libro Pentagon 9/11, traccia più dettagliatamente i corridoi interni a questi volumi e mostra (in arancione) gli accessi alla strada carrabile interna.

Figura 1.6. Una pianta del piano terra del Pentagono. L'immagine è ruotata rispetto alle precedenti ed è cliccabile per ingrandirla.

Questa pianta pemette inoltre di notare che il Pentagono è suddiviso amministrativamente in cinque settori, o wedge, che si estendono dalla mezzeria di un lato alla mezzeria del successivo.

Un altro fatto poco noto è, come accennato, che il Pentagono ha cinque piani fuori terra, non quattro come può sembrare dalle fotografie dell'esterno.

Figura 1.7. La facciata colpita, dopo i lavori di ricostruzione, ad agosto 2003. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Le facciate presentano infatti quattro ordini di finestre, al di sopra del quale c'è un ulteriore piano, che non ha finestre verso la facciata. Le Figure 1.4 e 1.5 e la sezione mostrata qui sotto (Figura 1.8), tratta sempre dal Pentagon Building Performance Report, chiariscono la situazione.

Figura 1.8. Sezione del Pentagono. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Da questa sezione e dalle immagini precedenti possiamo trarre le dimensioni in elevazione del Pentagono e le dimensioni in pianta degli anelli e della strada carrabile (A-E Drive). La sezione è riferita alla parte centrale di un lato, che sporge rispetto al resto.
  • Lunghezza di ciascun lato: 281 metri (922 piedi)
  • Profondità di ciascun lato: 113,4 metri (372 piedi)
  • Altezza piano terra: 4,29 m (14,1 piedi).
  • Altezza primo piano: 3,68 m (12,1 piedi).
  • Altezza secondo piano: 3,47 m (11,4 piedi).
  • Altezza terzo piano: 3,47 m (11,4 piedi).
  • Altezza quarto piano: 4,69 m (15,4 piedi).
  • Altezza complessiva della facciata: 19,6 m.
  • Altezza dell'anello E, al colmo: 21,12 m.
  • Larghezza del corpo anulare esterno (anelli E-D-C), nella zona di massima sporgenza: 67,05 m (220 piedi).
  • Larghezza della strada carrabile interna (A-E Drive): 12,2 m (40 piedi).
  • Larghezza del corpo anulare interno (anelli B-A): 40,3 m (134 piedi).
  • Distanza fra anelli E e D, D e C, B ed A (ai piani superiori): 9,1 m (30 piedi).

Dettagli della facciata colpita


La facciata colpita ha, sulla base dei dati di Google Earth (Figura 1.9), le seguenti dimensioni in pianta:
  • Larghezza della porzione centrale: 140,4 m.
  • Larghezza delle porzioni laterali: 72,4 m.
  • Sporgenza della porzione centrale: 2,2 m.

Figura 1.9. La facciata colpita del Pentagono, dopo la ricostruzione, in Google Earth. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

La facciata interessata dall'impatto ha la seguente disposizione di finestre e colonne:
  • Porzione di destra: 4 ordini di 23 finestre
  • Porzione centrale: 4 ordini composti da 3 finestre incassate, 9 finestre a filo facciata, 15 finestre incassate, 9 finestre a filo facciata e 3 finestre incassate
  • Porzione di sinistra: 4 ordini di 23 finestre
La struttura della facciata colpita è chiaramente visibile in quest'immagine della ricostruzione (Figura 1.10):

Figura 1.10. La facciata colpita del Pentagono, durante la ricostruzione. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Le altre facciate sono simili ma non identiche: la forma e le dimensioni della parte centrale sporgente variano, ma l'impostazione generale di quattro ordini di finestre equidistanti e cinque piani viene mantenuta.

Dimensioni delle finestre


Le esatte dimensioni delle finestre sono importanti perché consentono di avere una misura di riferimento dalla quale estrapolare le dimensioni degli altri componenti della struttura.

Il Pentagon Building Performance Report indica le dimensioni delle finestre a pagina 6: "the concrete walls have 5 by 7 ft openings for windows". Le finestre sono quindi larghe 1,52 m e alte 2,13 m (Figura 1.11).

Per estrapolazione fotografica possiamo quindi determinare anche la distanza orizzontale tra le finestre, che risulta pari a circa 1,5 m.

Figura 1.11. Le finestre del Pentagono. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.

Nel prossimo articolo di questa serie verranno esaminate le caratteristiche strutturali interne del Pentagono, anch'esse fondamentali per comprendere il comportamento dell'edificio l'11 settembre 2001.

2007/11/27

Mazzucco intervista Osama Bin Laden

di John - http://www.crono911.org/

Massimo Mazzucco, autore del video complottista "Inganno Globale" e responsabile del sito "Luogocomune", in questo suo articolo, pubblicato sul suo sito il 22 novembre 2007 alle 08:30, favoleggia di una sua intervista esclusiva a Osama Bin Laden, nel corso della quale quest'ultimo gli avrebbe rivelato che l'Osama Bin Laden che tutti conosciamo dalle foto e dai video è in realtà suo cugino Khamir.

Mazzucco: - No, no, infatti... Ma perchè, lei non riceve mai richieste di interviste? Da parte di altri, intendo dire?

Osama: - No, mai. E ora che mi ha raccontato quello che mi ha raccontato, ne capisco anche il motivo. Ci sono altri che parlano per mio conto, evidentemente, e pare che lo facciano molto bene.

Mazzucco: - Ma se lei, che ne so, un domani convocasse una conferenza stampa....

Osama: - A che scopo, scusi?

Mazzucco: - Beh, per far sapere al mondo che lei, cioè che lei non è lei, intanto, e poi che non ha mai fatto quello che dicono che ha fatto, ad esempio.

Osama: - Questo dovrebbe casomai farlo mio cugino, nel caso sia ancora vivo. Ormai è lui, ufficalmente, “Osama bin Laden”, ed è lui, a quanto pare, che si è fatto infinocchiare con quel nome addosso. Ma probabilmente non crederebbero nemmeno a lui, figuriamoci quindi se crederebbero a me, che “non ho nemmeno la faccia di bin Laden”.
Mi guardi bene, la prego: sono forse io Osama bin Laden? Mi dica, potrei mai essere Osama bin Laden?

Mazzucco: Mi resi perfettamente conto di quello che voleva dire.

Mazzucco: - Ora che ci penso - dissi - suo cugino ci ha pure provato, a far sapere al mondo che non era stato lui a buttare giù le Torri. Ma nessuno gli ha dato retta. Ricordo che qualche giorno dopo gli attentati si fece intervistare da un giornale pakistano, e disse qualcosa come “la mia religione mi impedisce di uccidere donne e bambini innocenti, e inoltre da qui io non sarei mai in grado di organizzare una cosa del genere. Guardate piuttosto ai vari servizi segreti nel mondo”. Ma la cosa passò del tutto inosservata.

Osama - Certo che passò inosservata. Ormai “era stato lui”, per quel che riguardava il mondo, e non c’era più nulla da fare. Lo aveva deciso chi gli ha teso la trappola molto tempo prima, e poi evidentemente se lo è lavorato con tutta calma. Agitarsi a quel punto diventa persino doloroso.

Ad alimentare il sospetto che Mazzucco abbia voluto far passare per vera l'intervista contribuisce anche il modo in cui si chiude l'articolo (il grassetto è nostro):

Osama: - ... E allora, sia più ottimista, su! Cominci ad esempio a pubblicare da qualche parte questa mia intervista. Magari non succederà nulla, ma lei il suo dovere lo avrà fatto fino in fondo, e a quel punto starà agli altri decidere se prenderla o meno in considerazione.

Devo confessare che quella sera, dopo aver ricomposto in qualche modo i miei pensieri, e dopo aver cacciato a fatica un montante senso di nausea, provai una strana sensazione di serenità. Durò solo un attimo, ma fu sufficiente a ridarmi la voglia di vivere e di sorridere ad ogni nuovo giorno che nasce sulla Terra.

Massimo Mazzucco

Per oltre 24 ore dopo l'uscita dell'intervista, né Mazzucco né alcuno dei suoi collaboratori hanno ritenuto di smentirla, nonostante numerosi commenti che applaudivano allo "scoop":

- Bigdaddy: Che colpaccio Massimo...ma chi è stato il tuo contatto?

- Leonardo: Scusate se faccio una domanda ingenua: è vera 'sta cosa oppure è solo un bel racconto?

- Jeronimo: ECCEZIONALE SCOOP

- Cavaliere: Immagino già la faccia di Bin Laden (purtroppo immagino ancora quella del cugino) mentre dice questa frase... e mi scompiscio troppo!

- Desbouvet: "Oh, sono molto contento. Ha proprio ragione, Ushama. Non importa "come" sono avvenuti i fatti, ma "cosa" essi sono. Io è da tempo che non mi schiodo di lì".

- Blade1960: "CIUMBIAAAAAA !!!! Che bel pezzo di giornalismo vero, mamma mia Massimo che bomba!! Complimenti !!!! Adesso voglio proprio vedere i vari debunker che cosa saranno capaci di inventarsi per cercare di smontare anche questa."

- Paxtibi: "Le fonti Mazzucco, le fonti!"

Altri utenti del sito avevano espresso perplessità sull'intervista o non vi avevano creduto, ritenendola un semplice racconto di fantasia, ma il silenzio di Mazzucco e dei suoi collaboratori continuava ad alimentare il dubbio (difatti l'intervista veniva già riportata nel Web senza precisazioni di sorta).

Qualche precisazione per scrupolo


Il dubbio, raccogliendo l'invito di Blade1960, si sarebbe potuto dipanare subito, anche per evitare che questa bufala si trasformi nell'ennesima leggenda metropolitana: Osama Bin Laden, il terrorista Osama Bin Laden, è già stato intervistato in più di un'occasione, e non ha mai smentito la propria identità né ha mai detto di essere questo fantomatico "cugino Khamir".

Questa intervista di PBS Frontline, ad esempio, risale al maggio del 1998, ben prima degli attentati dell'11 settembre 2001, perfino prima degli attentati alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania. Oltre alla trascrizione, comprende anche audio e video del colloquio.

La famiglia di Osama Bin Laden è estremamente ampia (la religione islamica consente a un uomo di avere molte mogli) e comprende oltre cinquanta fratelli.

La sua biografia non è un mistero, e ad essa hanno contribuito amici e parenti che lo hanno conosciuto direttamente.

Nessuno tra le centinaia di parenti stretti e meno stretti di Osama Bin Laden ha mai messo in dubbio la sua identità e le relative immagini. Nessuno ha mai parlato di un "cugino Khamir".

Anzi, molti di loro sono stati intervistati, come la cognata Carmen Bin Laden, e la famiglia lo ha ripudiato, come spiega suo zio, sin dagli anni '90 (Associated Press su USA Today).

Non si capisce poi la ragione per cui la CIA – o chi per essa – dovendo accusare un tale Khamir di essere il più pericoloso terrorista del mondo, debba complicarsi la vita chiamandolo con il nome di un cugino e rischiare così di essere smentita o sbugiardata da qualsiasi familiare.

Non c'è logica nell'articolo di Mazzucco, che appare l'ennesima bufala destinata a intorbidire ancor più le acque in cui si muovono leggende metropolitane, miti e teorie alternative il cui unico comune denominatore è la totale inconsistenza.

"Siamo messi molto male"


Ciò nonostante, come abbiamo visto, molti utenti di Luogocomune hanno abboccato senza incertezze a questa fandonia, fidandosi ciecamente di Mazzucco, così come hanno fatto con le altre sue "produzioni" video-letterarie.

Il primo sbufalamento del nuovo capolavoro di Mazzucco è stato pubblicato sul sito Perle Complottiste poche ore dopo la pubblicazione dell'intervista, e soltanto nella mattinata del 23/11, alle 10:30, il suo autore ha dovuto smentire di aver mai intervistato Osama Bin Laden (il grassetto è nostro):

Mazzucco: Riguardo all’articolo, aggiungo solo una cosa: se fra noi c’è qualcuno che può credere che io davvero abbia incontrato bin Laden, vuole dire che siamo messi molto male. Lo dico senza la minima offesa per coloro che se lo sono domandato, sia chiaro, ma il fatto che siano arrivati a pensarlo vuole dire che certi parametri di percezione sono completamente sballati. E non saprei nemmeno da che parte iniziare per individuarli, ad essere sincero.

In effetti concordiamo su un punto: sono messi molto male, ma è troppo comodo dare la colpa ai "parametri di percezione sballati", perché sono proprio quelli i parametri che Mazzucco sfrutta per proporre le sue teorie, e che coltiva con assiduità nel suo sito.

Lo ha dimostrato ancora una volta, evitando di inserire nel suo articolo una semplice precisazione che avrebbe impedito di scambiarlo per vero.

Troppo facile scaricare le proprie colpe sull'intelligenza degli utenti del sito. E a questo punto c'è persino motivo di dubitare che – se non fosse stato prontamente sbufalato – Mazzucco avrebbe mai smentito l'autenticità di quell'intervista.

2007/11/26

Mohammed Atta è ancora vivo. Anche Hani Hanjour, e Ziad Jarrah stanno bene, grazie

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Uno degli inciampi più frequenti di molte teorie cospirazioniste è l'incapacità di considerare la possibilità delle omonimie nell'identificazione dei dirottatori.

Per esempio, alcuni complottisti hanno sostenuto che i dirottatori sono in realtà ancora vivi perché alcune notizie di agenzia hanno trovato, dopo gli attentati, persone viventi i cui nomi corrispondono a quelli dei dirottatori dell'11 settembre. Ai dirottatori vengono inoltre attribuiti comportamenti inusuali oppure la simultanea presenza in più luoghi.

Il confronto fra le fotografie dei dirottatori (tratte dai loro documenti d'immigrazione) e quelle delle persone in questione dissipa però ogni dubbio: si tratta semplicemente di omonimi o quasi omonimi, resi possibili anche dal fatto che la trascrizione in alfabeto occidentale dei nomi arabi ammette numerose varianti.

Forse perché i nomi in questione sono arabi e quindi poco familiari, a molti sembra però difficile concepire che in tutto il mondo ci possa essere più di un Waleed al-Shehri, o Abdulaziz al-Omari, o Mohammed Atta. Se i nomi fossero per esempio Giuseppe Russo o Antonio Esposito, che per ragioni culturali sappiamo essere molto diffusi, la possibilità che esistano degli omonimi apparirebbe invece molto più plausibile: ma nel caso dei nomi arabi non abbiamo termini di paragone.

Occorre insomma ricordare che quando sentiamo dire che un certo "Mohammed Atta" ha fatto qualcosa di complottisticamente sospetto, in mancanza di fotografie o elementi identificativi di altro tipo può trattarsi facilmente di un omonimo e che questo banalissimo fatto può spiegare l'apparente mistero.

Ma quanto facilmente? Ecco un piccolo esempio. Una semplice ricerca nelle guide telefoniche di alcuni paesi europei e degli Stati Uniti rivela che di Mohammed Atta ancora vivi e vegeti ce ne sono parecchi davvero, specialmente se si considera che dopo l'11 settembre, un nome del genere dev'essere difficile da portare.

Per esempio, ci sono tre Mohammed Atta in Norvegia: uno a Gjettum, uno a Stavanger e uno a Oslo (quello a Stavanger scrive il proprio nome con una M sola).




C'è un Mohammed Atta anche in Svezia:



Se si accettano altre grafie, in Svezia ci sono anche un Mohammed Ata e due Muhammed Ata.

Ci sono almeno due Mohamed Atta anche in Italia, uno a Roma e uno a Milano, secondo le Pagine Bianche.

Negli Stati Uniti ci sono tre Mohammad Atta nell'elenco telefonico di Numberway, ma Intelius trova 17 Mohammed Atta, 73 Mohammad Atta, 5 Mohamad Atta e ben 42 Mohamed Atta.





Analogo discorso si può fare per esempio per Hani Hanjour, pilota dirottatore del Volo 77, o per Ziad Jarrah, dirottatore pilota del Volo 93, come mostrato qui sotto. Per Hanjour è stata usata la grafia Hanjoor, quella riportata sul suo certificato di addestramento sul simulatore del Boeing 737, pubblicato nel processo Moussaoui.





La possibilità che alcuni episodi riguardanti per esempio persone di nome Mohammed Atta siano riferiti non al dirottatore ma a uno dei suoi oltre 140 omonimi non sembra insomma trascurabile. Stranamente, tuttavia, i sostenitori delle teorie alternative non si pongono il dubbio. Se qualcuno dice che un certo Mohammed Atta ha parlato con loro, per loro non può che essere quel Mohammed Atta, il dirottatore.

Non risulta che i sostenitori delle teorie cospirazioniste abbiano contattato questi omonimi per chiedere loro se sono per caso loro i veri protagonisti degli avvenimenti misteriosi attribuiti ai dirottatori.

2007/11/25

Tutto qui Zero? Non ci possiamo credere

di Undicisettembre. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Il video Zero di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi contiene talmente tante affermazioni errate o false (molte delle quali ripudiate persino dai complottisti), e talmente tante stupidaggini e lacune (nessun riferimento al Volo 93, il WTC7 citato solo di striscio), che riteniamo improbabile che la versione presentata alla Festa del Cinema di Roma sia quella definitiva.

Fino a questo punto, Zero è stato visto da pochissime persone. L'annunciata distribuzione del DVD di Zero ai giornalisti latita da settimane, per non parlare dell'ipotetica uscita nelle sale. Né vi sono state le annunciate proiezioni a tappeto "nei circoli culturali, nella case del popolo, nelle scuole, nei circuiti Arci" promesse da Chiesa (La Stampa, 25/10/2007, pagina 48).

Pertanto crediamo sia opportuno pubblicare gratuitamente Zerobubbole: l'analisi critica, la traduzione e la descrizione completa di Zero, affinché ognuno, complottista, debunker o semplice curioso, possa conoscerne e valutarne le affermazioni e i contenuti.

Questa pubblicazione consentirà inoltre a chiunque di confrontare la versione presentata alla Festa del Cinema con quella che verrà diffusa in seguito e rilevare eventuali differenze.

Zerobubbole è un documento PDF liberamente scaricabile e duplicabile, distribuito sotto licenza Creative Commons.

Una prima stesura era intitolata Zeuro, ma il titolo è stato modificato per evitare confusione con siti e marchi registrati come questo, questo o questo. Avevamo scelto questo titolo provocatorio perché riteniamo scandaloso che un video che, secondo le dichiarazioni dei suoi autori, ha un valore di ben 500.000 euro contenga oltre 60 errori fondamentali, molti dei quali sono incredibilmente dilettanteschi e scardinano completamente la credibilità delle affermazioni di Chiesa e Fracassi sull'11/9. Lo riteniamo scandaloso non solo nell'ottica dello sbufalamento delle teorie complottiste, ma anche dal punto di vista degli investitori di Zero che confidavano in un lavoro qualitativamente ineccepibile, vista la spesa e la professionalità dei suoi garanti e autori.

Si tratta infatti di errori basilari che non solo rendono nulle le possibilità di ritorno economico per l'azionariato popolare che ha finanziato Zero, ma tradiscono per omissione l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica per riaprire le indagini sull'11/9. Zero è talmente debole, annacquato, indeciso e contraddittorio nelle sue affermazioni che scontenterà anche i complottisti, una volta che ne avranno scoperto i contenuti.

Ecco alcuni di questi errori:
  • il foro nella facciata del Pentagono non è largo "cinque metri" come dice Zero, ma ben 35, come documentano le foto, e quindi un Boeing 757 (largo 38 metri) ci sta.
  • Le difese antiaeree al Pentagono non esistono (basta guardare le foto aeree) e sono inventate di sana pianta, tanto che Zero deve ricorrere a un cartone animato per mostrarle.
  • Zero dichiara che i dirottatori sono ancora vivi, ma non mostra le loro foto, che chiarirebbero che le persone ancora in vita sono semplicemente degli omonimi dalle fattezze ben diverse da quelle dei dirottatori.
  • Zero afferma che un video delle telecamere aeroportuali è stato mostrato come prova che i terroristi si imbarcano a Boston sugli aerei da dirottare, ma che questa prova è falsa, perché il video riguarda invece un altro imbarco, a Portland: invece è falsa l'accusa di Zero, pronunciata da Moni Ovadia, perché il video è indicato negli atti ufficiali (processo Moussaoui) proprio come una ripresa dell'imbarco a Portland.
  • Marina Montesano dice che due dei piloti dirottatori furono definiti "scemo e più scemo" dal loro istruttore Rick Garza: è falso, perché Garza usò quella definizione per due dirottatori che non pilotarono gli aerei.
  • William Rodriguez afferma che il Rapporto della Commissione 11/9 non cita la sua testimonianza di esplosioni. Ma non dice che la sua testimonianza è invece riportata fedelmente nel rapporto del NIST.
  • David Shayler afferma che i nomi dei dirottatori non sono presenti nelle liste dei passeggeri. Falso: sono assenti dalla lista delle vittime, ma sono in quella separata dei dirottatori. E i loro nomi compaiono eccome sulle liste d'imbarco.
  • Sempre Shayler dice che non c'è "DNA arabo" nei rapporti di medicina legale sui cadaveri del Pentagono. Falso: gli esami hanno rilevato cinque DNA non compatibili con quelli degli altri passeggeri.
  • Marina Montesano racconta l'aneddoto del dirottatore contadino: Mohammed Atta avrebbe visitato il dipartimento dell'agricoltura USA, chiedendo un prestito per comperare un aereo in cui mettere un "grosso serbatoio chimico" e minacciando di tagliare la gola alla funzionaria che glielo negava. Poi, come se nulla fosse, nello stesso ufficio, Atta avrebbe chiesto informazioni sul sistema di sicurezza delle Torri Gemelle. Le ha chieste al dipartimento dell'agricoltura? Dopo aver minacciato di tagliare la gola a un'impiegata? Non solo: poi avrebbe cercato di "acquistare un poster del Pentagono che si trova sui muri dell'ufficio". E da quando il dipartimento dell'agricoltura ha poster del Pentagono sui muri? A nessuno degli autori di Zero questa storiella è sembrata almeno un tantinello ridicola e implausibile?
L'analisi di Zero verrà arricchita nelle successive edizioni di Zerobubbole quando sarà disponibile la versione definitiva del video.

2007/11/16

Pentagon 9/11: il libro storico del Dipartimento della Difesa

di John - http://www.crono911.org/. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Ci è appena giunta la prima copia del corposo volume "Pentagon 9/11", pubblicato nel secondo semestre del 2007 dall'Ufficio Storico del Dipartimento della Difesa Americano e dedicato all'attacco contro il Pentagono dell'11 settembre 2001.

Le 280 pagine del volume, riccamente illustrato, costituiscono una fonte storica e informativa di grande pregio e di indiscutibile valore.

Il libro traccia la storia di quella tragica mattina così come ricostruita sulla base delle testimonianze raccolte (oltre 900) e di svariati documenti tecnici.

Il testo principale è suddiviso in 8 capitoli, che tracciano storia e costruzione del Pentagono; l'attacco ed i suoi effetti, piano per piano; l'opera dei soccorritori e dei vigili del fuoco; le cure ai feriti; la ricerca dei resti umani; le prime operazioni per il ripristino dell'operatività della struttura; le operazioni di sicurezza di tutti i corpi di polizia intervenuti; le operazioni per l'identificazione delle vittime e quelle di rimozione delle macerie.

Le appendici e gli inserti comprendono fotografie inedite, grafici, tabelle e disegni, gli elenchi dei testimoni e quelli delle vittime, una dettagliata bibliografia, alcuni rapporti tecnici dell'NTSB.

Il tutto è completato da un utile indice analitico.

Tutte le foto sono state accreditate dall'Ufficio Storico del DOD e comprendono varie immagini dei rottami del Volo 77, uno dei quali mostra i numeri di identificazione dell'American Airlines, nonché una fotografia inedita della breccia sulla facciata, scattata in buone condizioni di luminosità.



Nell'immagine qui sopra (cliccabile per ingrandirla), la breccia centrale e il suo sviluppo laterale a destra non sono nascosti né dai getti degli idranti dei vigili del fuoco né dal fumo. Questa fotografia sembra incompatibile con le dichiarazioni di coloro che affermano che il foro d'impatto al Pentagono era largo "cinque metri, ripeto, cinque metri di diametro" (Dario Fo nel video Zero di Giulietto Chiesa).

Il libro è scaricabile in versione PDF, come descritto in fondo a questo articolo, oppure può essere ordinato in forma cartacea direttamente dalla libreria del Governo americano oppure da Amazon; costa una trentina di dollari, ma sono soldi ben spesi in rapporto al suo valore storico e informativo. Il volume è stato acquisito e catalogato anche nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Torneremo a occuparci dei suoi contenuti non appena lo avremo analizzato più a fondo.

È appena il caso di notare che mentre il mondo del complottismo continua da anni a riciclare vecchi miti e favolette ormai stantie, tutto il nuovo materiale documentale che si rende disponibile non fa che confermare e accreditare quella verità che essi tentano di negare.

Qui sotto riportiamo alcune altre immagini tratte dal libro. Tutte sono cliccabili per ingrandirle.


Una delle "scatole nere" recuperate al Pentagono, "vicino al foro nell'anello C interno" secondo la didascalia.



Una rara immagine del cantiere di ristrutturazione del Pentagono risalente a prima degli attacchi. Si notano il generatore mobile che verrà spostato dall'impatto, la posizione originale delle bobine di cavo e la presenza di una recinzione che verrà divelta dall'impatto.



Un rottame con la tipica colorazione della livrea American Airlines. Sullo sfondo, altri rottami.



Le condizioni del prato e dell'eliporto del Pentagono dopo l'impatto sembrano smentire coloro che sostengono che il prato era intonso. Sullo sfondo si nota il generatore colpito e tranciato.



Un rottame del Volo 77 mostra un numero di serie su una targhetta con il marchio American Airlines.


Aggiornamento: disponibile la versione scaricabile


Ringraziamo un lettore, Marco, per la segnalazione di come accedere alla versione scaricabile del libro Pentagon 9/11: è possibile scaricare il PDF (circa 44 MB) a questo link. In caso di difficoltà con il link diretto si può procedere come segue:
  1. Andare a http://stinet.dtic.mil/.
  2. Digitare, nella casella di ricerca, "Pentagon 9/11" (senza virgolette).
  3. Cliccare sul link alla versione in formato PDF (View Full-Text pdf - 44 MB).
  4. Si riceve un file di 44 MB di nome GetTRDoc, che va rinominato opportunamente.

2007/11/15

Zerobubbole 11: Il fumo nero è prova di incendio a corto di ossigeno, quindi debole

di Undicisettembre. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale del 12/11/2007. L'articolo si riferisce al contenuto della versione di Zero presentata a ottobre 2007 alla Festa del Cinema di Roma.

Vengono mostrate immagini di un incendio di un grattacielo a Madrid.

0:11:00 DARIO FO: Una cosa che dovete notare è il colore delle fiamme: tende al bianco. Significa che c'è molto ossigeno che brucia.

Per quanto riguarda invece le fiamme delle due torri di New York ci accorgiamo subito che le fiamme sono di rosso scuro e il fumo è nero.

Altre immagini dell'incendio.


0:11:26. STEVEN JONES: The fires that were burning in these towers was [sic] a dark, gray, heavy, almost black, gray smoke coming off. This implies an oxygen-starved fire.

TRADUZIONE:

Gli incendi che stavano bruciando in queste torri [si riferisce alle Torri Gemelle] era [sic] un fumo denso, grigio, pesante, grigio [sic], quasi nero, che usciva. Questo significa che l'incendio era in carenza di ossigeno.


0:11:37. DARIO FO: Ebbene, ciò nonostante dopo 55 minuti tutta la torre crolla.

Immagini del crollo.


Nelle loro teorie alternative sul crollo delle Torri Gemelle, i complottisti affermano spesso che il fumo nero degli incendi al World Trade Center è sintomo di carenza d'ossigeno e quindi, a loro parere, di incendi in via di spegnimento o comunque deboli. Incendi che pertanto non possono aver causato l'indebolimento della struttura. Il concetto sottinteso è che l'indebolimento dev'essere stato provocato da qualcos'altro di misterioso.

I fatti dimostrano che è semplicemente ridicolo sostenere che il colore del fumo dipenda dall'intensità dell'incendio. Il colore del fumo dipende principalmente dalla natura dei materiali che bruciano.

Lo indicano chiaramente i Vigili del Fuoco italiani, dai quali prendiamo in prestito la tabella dei colori del fumo in base al materiale che brucia:

Bianco: Paglia, Fosforo
Giallo/marrone: Nitrocellulosa, Zolfo, Acido nitrico - solforico - cloridrico, Polvere da sparo
Grigio/marrone: Legno, Carta, Stoffa
Viola: Iodio
Marrone: Olio da cucina
Marrone/nero: Nafta, Diluente per vernici
Nero: Acetone, Cherosene, Benzina, Olio lubrificante, Gomma, Catrame, Carbone, Plastica


Come si può notare, il nero è associato al kerosene (di cui gli aerei trasportavano decine di migliaia di litri) e alle plastiche (che sono estremamente diffuse negli allestimenti degli uffici).

Ancora una volta, chiediamo ai complottisti e agli autori di Zero: come è possibile incappare in errori madornali come questi? Perché non sono stati interpellati gli esperti?

Nulla da dire sul Dario Fo artista, ma presentarlo come esperto d'incendi è una scelta davvero inverosimile.

Chiediamo in particolare a Dario Fo se si sente ancora di ripetere e difendere i concetti letteralmente fumosi che ha espresso, riteniamo in qualità di attore e non di relatore, in Zero dopo aver letto questi dati e visto le immagini che seguono.

Ecco l'incendio scoppiato a Londra pochi giorni fa presso uno dei cantieri per le Olimpiadi del 2012. La foto è tratta da The Register e mostra l'incendio nel pieno della sua attività. Considerato che si tratta di un incendio all'aperto, è abbastanza difficile asserire che è affetto da carenza d'ossigeno. Di che colore è il fumo?


Qualora dovesse servire qualche ulteriore conferma che il fumo nero non è per nulla sinonimo di incendio a corto d'ossigeno, o men che meno di incendio in via di spegnimento, ecco un dettaglio di un'immagine scattata da Gustavo Bertran a giugno del 2006 all'aeroporto di Los Angeles e tratta da Airliners.net: un velivolo nel quale un motore ha preso fuoco e sta bruciando il carburante contenuto nei serbatoi. Vi sembra un incendio a corto di ossigeno o che ha l'aria di volersi spegnere?



E guardando immagini come questa, si può davvero asserire che gli incendi al World Trade Center erano modesti?


Occorre inoltre sottolineare un'altra manipolazione di Zero: le immagini scelte per mostrare l'incendio di Madrid sono notturne (come quella mostrata qui sotto).

Di conseguenza, il fumo riflette il colore e il bagliore delle fiamme e risulta di colore chiaro e particolarmente luminoso perché tutt'intorno è buio, mentre le fiamme stesse sono sovraesposte e pertanto appaiono bianche. Le immagini del World Trade Center sono invece diurne, e il loro fumo e le fiamme si stagliano contro l'intensa luminosità del cielo azzurro.

Non è indispensabile un esperto per capire che paragonare i colori reali o apparenti del fumo e delle fiamme in condizioni così differenti come il giorno e la notte è del tutto privo di senso e soprattutto è altamente ingannevole.

Zerobubbole 10: La torre spagnola che "rimase in piedi"

di Undicisettembre. L'articolo è stato aggiornato e suddiviso dopo la pubblicazione iniziale. L'articolo si riferisce al contenuto della versione di Zero presentata a ottobre 2007 alla Festa del Cinema di Roma.

Riprendiamo le parole di Dario Fo:

0:10:13. DARIO FO: Nel 2005, a... Madrid, c'è stato un incendio, spaventoso: un grattacielo è andato in fiamme. Era una torcia che bruciava.. eh... per la bellezza di venti ore. Venti ore consecutive, ma alla fine rimaneva intatta la struttura portante: il grattacielo non è caduto.

Immagini di un grattacielo in fiamme.

Come ben potete vedere, tutto il palazzo è avvolto dalle fiamme; questo grattacielo non è ancora terminato, è in costruzione, ciò nonostante rimane in piedi.


L'esempio presentato da Zero è la Windsor Tower di Madrid: un edificio alto 106 metri, quindi un quarto delle Torri Gemelle e di conseguenza molto meno esasperato come carichi strutturali. Ma questo Zero non lo dice. Anzi, non dice neppure come si chiama l'edificio.

Un'altra cosa che Zero non dice è che la parte in acciaio della struttura della Windsor Tower è crollata eccome. E' rimasta in piedi la parte centrale in cemento armato, e il crollo si è interrotto soltanto quando ha raggiunto il solaio dei vani tecnici, anch'esso in cemento armato. Il WTC non aveva elementi strutturali in cemento armato. Una differenza tutt'altro che trascurabile, come ben sa qualunque ingegnere strutturista, ma che Zero ritiene opportuno trascurare.

Zero si dilunga in immagini spettacolari dell'incendio, ma non fa un confronto fra la Torre Windsor prima e dopo gli incendi che mostri la vera entità dei danni. Facciamolo noi.




Va ricordato che i danni che si vedono in queste immagini sono causati soltanto da un incendio, senza alcun impatto. E per di più, come nota anche Zero, questi sono gli effetti di un incendio in un edificio ancora vuoto, quindi privo di tutti gli arredi combustibili che caratterizzano un edificio in uso.

Non solo: nella Windsor Tower non sono state riversate di colpo decine di migliaia di litri di carburante.

Un'altra cosa che Zero non dice è che i danni subiti dalla Windsor Tower furono talmente devastanti da imporne la demolizione, terminata ad agosto del 2005.

Ora che conosciamo i fatti sui quali Zero ha disinvoltamente glissato, possiamo quindi dire, come scrive lucidamente Henry62 in questo articolo, che in realtà la Torre Windsor è proprio un esempio di ciò che i complottisti vorrebbero negare: un collasso di strutture portanti in acciaio indotto solamente da un incendio.

Anzi, possiamo anche aggiungere una domanda: chi sostiene che nelle Torri Gemelle non era possibile che si sviluppassero incendi violenti alimentati soltanto (si fa per dire) da decine di migliaia di litri di kerosene e dagli arredi, come spiega che persino un grattacielo vuoto, senza kerosene aggiunto, arde in questo modo?

Zero giunge dunque al paradosso di dimostrare l'esatto contrario di quello che asserisce. Il fatto che nessuno dei suoi autori si sia reso conto di questo paradosso dimostra la loro impreparazione tecnica.

Un'impreparazione che avrebbero potuto colmare semplicemente consultando qualunque ingegnere strutturista. E quindi domandiamo: se Zero è una ricerca della verità sull'11 settembre, come mai i suoi autori non hanno interpellato gli esperti di settore?

Zerobubbole 9: Nessun grattacielo in acciaio è mai crollato per un incendio

di Undicisettembre. L'articolo è stato aggiornato e suddiviso dopo la pubblicazione iniziale. L'articolo si riferisce al contenuto della versione di Zero presentata a ottobre 2007 alla Festa del Cinema di Roma.

0:10:03. X: Never before or after 9/11 have steel-framed towers collapsed due to fire.

TRADUZIONE:

X:
Nessuna torre con struttura in acciaio è mai crollata a causa di un incendio, né prima né dopo l'11 settembre.


0:10:13. DARIO FO: Nel 2005, a... Madrid, c'è stato un incendio, spaventoso: un grattacielo è andato in fiamme. Era una torcia che bruciava.. eh... per la bellezza di venti ore. Venti ore consecutive, ma alla fine rimaneva intatta la struttura portante: il grattacielo non è caduto.

Immagini di un grattacielo in fiamme.

Come ben potete vedere, tutto il palazzo è avvolto dalle fiamme; questo grattacielo non è ancora terminato, è in costruzione, ciò nonostante rimane in piedi.

La storia che nessun altro grattacielo in acciaio è crollato per incendi e il confronto con la Windsor Tower di Madrid (che non è identificata nel video, ma è ben nota a chi segue la materia) vengono riproposti per l'ennesima volta nel circuito delle teorie cospirazioniste.

Anche in questo caso Zero non fa altro che riciclare argomentazioni trite e ritrite. Innanzitutto è completamente fuorviante affermare che i grattacieli del World Trade Center siano venuti giù soltanto a causa degli incendi: come mai Zero dimentica di sottolineare che le Twin Towers sono state colpite da due aerei di linea, ciascuno pesante oltre 100 tonnellate, scagliati ad altissima velocità?

Lo spettatore e il lettore non si lascino ingannare dalla percezione di leggerezza che deriva dal fatto che gli aerei si librano nell'aria. Cento tonnellate sono cento tonnellate. La violenza enorme degli impatti è più comprensibile se si immagina di scagliare un locomotore come un proiettile, a oltre 700 km/h, contro le Twin Towers. Un locomotore come quello mostrato qui sotto, che pesa appunto circa 110 tonnellate.

Un locomotore E.646 del peso di 110 tonnellate, pari a quello di ciascun Boeing 767 che colpì le Torri Gemelle. Dettaglio di una fotografia di Stefano Paolini da Wikipedia.

Quest'omissione da parte di Zero ha l'effetto di distrarre lo spettatore dal fatto che nessun altro edificio è mai stato colpito da un aereo di linea moderno. Anche nel caso dell'Edificio 7 (WTC7), è scorretto parlare di incendi puri, perché il World Trade Center 7 è stato gravemente lesionato dalle macerie delle Twin Towers, prima di arrendersi agli incendi.

Qualunque confronto con altri eventi è quindi falso in partenza, perché confronta l'incendio di strutture già indebolite da questi impatti violentissimi con l'incendio di strutture assolutamente integre. Nessun edificio è mai crollato in simili condizioni, perché simili condizioni non si sono mai verificate prima di allora.

La vulnerabilità delle strutture in acciaio


Quello che pochi sanno, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, è che le strutture realizzate esclusivamente in acciaio sono molto vulnerabili in caso d'incendio. Per questo di norma gli edifici vengono realizzati combinando cemento armato e acciaio. Non fu così nelle Torri Gemelle, la cui ardita struttura fu possibile proprio perché si scelse di non utilizzare cemento armato.

La vulnerabilità delle strutture in acciaio è ben documentata, per esempio, da documenti dei Vigili del Fuoco come questo:

Struttura in acciaio

L`acciaio è un buon conduttore di calore e con il riscaldamento subisce dilatazioni e deformazioni, che oltre 300 - 350 °C riducono gradualmente la resistenza alla rottura, per temperature oltre i 500 - 550 °C la resistenza della struttura si riduce ad un valore inferiore a quello ammissibile, con conseguente crollo della struttura in acciaio.

Il crollo può avvenire anche quando la struttura in acciaio viene attaccata dal fuoco non completamente, ma solo in una limitata zona quale una trave o un pilastro; è necessario anche valutare, ai fini della stabilità dell'edificio, i fenomeni di allungamento della struttura legati alle temperature.

Non per nulla le norme di sicurezza impongono l'uso di rivestimenti ignifughi su tutti gli elementi strutturali in acciaio.

Una ricerca nella storia degli incendi, inoltre, conferma tragicamente questa vulnerabilità delle strutture in acciaio. Anche edifici in acciaio meno ambiziosi delle Torri Gemelle sono infatti crollati per puro incendio, senza danni da impatto.

Nel 1967, il McCormick Center di Chicago, il più grande centro espositivo al mondo dell'epoca, crollò per incendio in soli trenta minuti. La sua struttura, interamente in acciaio, utilizzava grandi travature per creare ampi volumi ininterrotti, proprio come il WTC (dove gli impatti degli aerei crearono inoltre vaste cavità aggiuntive, oltretutto non previste dal progetto e quindi destabilizzanti). Le travature d'acciaio del tetto collassarono per il calore, come si vede qui sotto.


Nel 1993, una fabbrica di giocattoli della Kader Industrial in Tailandia, un edificio di quattro piani con struttura interamente in acciaio, prese fuoco e crollò in venti minuti, causando 188 morti e 469 feriti.

Nel 1997, nella cittadina di Strasburg, in Pennsylvania, prese fuoco il Sight and Sound Theater, inaugurato sette anni prima. Il suo telaio d'acciaio, che racchiudeva l'ampio spazio dell'auditorium, crollò per il fuoco, distruggendo completamente l'edificio e causando danni strutturali anche a quelli adiacenti.

Nel 2005, la piattaforma petrolifera Mumbai High North, una struttura alta sette piani, interamente in acciaio, situata al largo delle coste indiane, prese fuoco dopo una collisione con una nave. Fu completamente distrutta in meno di due ore, causando la morte di dieci persone.


Nel 2006, una cartiera presso Malvern, Worcestershire, nel Regno Unito, subì un incendio che la fece crollare completamente. I pompieri riferirono che il calore intenso aveva causato il cedimento delle travi d'acciaio del tetto.

Si potrebbe obiettare che nessuno di questi collassi da incendio riguarda grattacieli. Ma è proprio questo il punto: un grattacielo è assai più sollecitato, sia dai carichi verticali sia dalla spinta orizzontale del vento, di quanto lo sia una struttura più bassa. Se un incendio è in grado di far collassare una struttura in acciaio di pochi piani, a maggior ragione è in grado di farlo in una struttura maggiormente esasperata come quella di un grattacielo.

Inoltre, se ci si domanda come mai non ci sono casi precedenti di grattacieli interamente in acciaio crollati per incendio, la risposta è molto semplice: esistono pochissimi grattacieli di questo tipo proprio in considerazione del rischio strutturale in caso d'incendio. Uno di questi grattacieli è la Sears Tower di Chicago.

All'affermazione "nessuna torre con struttura in acciaio è mai crollata a causa di un incendio, né prima né dopo l'11 settembre" si risponde quindi con i fatti:

Tutte le strutture moderne realizzate esclusivamente in acciaio, che hanno subito gravi danni strutturali combinati con enormi incendi incontrollati su più piani, sono crollate.

Grattacieli incendiati che non crollano


Spesso i sostenitori delle teorie alternative citano altri casi di grattacieli funestati da incendi che però non hanno portato al loro crollo.

Ma ci sono due differenze importanti: non solo, come già detto, nessuno dei grattacieli citati era stato indebolito dall'impatto di oltre 100 tonnellate scagliate a oltre 700 km/h, ma nessuno degli esempi citati riguarda una struttura interamente in acciaio come quella del WTC. Gli altri grattacieli nei quali si sono verificati incendi (soltanto incendi, senza impatti) hanno infatti una struttura portante che include elementi in cemento armato, assai più resistente al fuoco che l'acciaio.

Inoltre, al WTC non fu possibile alcun intervento antincendio, mentre gli altri grattacieli furono oggetto di azioni massicce di spegnimento.

Il confronto con altri incendi è quindi tre volte scorretto e ingannevole: niente impatti, niente cemento armato, nessun intervento.

Ecco alcuni esempi citati spesso dai complottisti:

  • Nel 2004, uno degli edifici più alti del Venezuela (56 piani, 220 metri, situato nel complesso Parque Central di Caracas), prese fuoco, ma non crollò. Il capo dei pompieri di Caracas, Rodolfo Briceno, coordinò l'intervento massiccio di elicotteri militari per versare acqua sul rogo e dichiarò, d'accordo con i progettisti dell'edificio, che non vi era pericolo di crollo, perché il grattacielo "è completamente differente [dalle Torri Gemelle] e la sua struttura in cemento armato è esterna, cosa che riduce il surriscaldamento".
  • Nel 1999, il One Meridian Plaza di Philadelphia, alto 150 metri, bruciò per più di 19 ore senza crollare. Ma non aveva subito alcun impatto che ne danneggiasse la struttura e rimuovesse le protezioni antincendio (come avvenuto invece al WTC), e il suo sistema di estintori a pioggia continuò a funzionare (a differenza di quello delle Torri Gemelle, tranciato dagli impatti degli aerei, e di quello del WTC7, le cui condotte primarie furono tranciate dal crollo delle torri stesse). Nonostante tutto questo, riportò danni così gravi da imporne lo smantellamento.


Come mai gli autori di Zero non parlano di questi casi?

2007/11/12

Operazione Bojinka e 11 settembre: verità e misteri

di John - http://www.crono911.org/

Operazione Bojinka è il nome con il quale è conosciuto un progetto, messo a punto tra il 1994 e i primi del 1995 da alcuni terroristi legati ad Al-Qaeda ed operanti nelle Filippine, che prevedeva un piano principale (la distruzione in volo di un certo numero di aerei di linea carichi di passeggeri) e una serie di piani alternativi o ulteriori, compreso quello di dirottare alcuni aerei da far schiantare contro obiettivi situati negli Stati Uniti.

Varie fonti riportano che i dettagli di questi ulteriori piani relativi al dirottamento di aerei di linea per missioni suicide erano noti ai servizi di antiterrorismo americani già dal 1995, al punto che il rischio era stato segnalato ai più alti vertici politici e di governo, che non solo preferirono ignorarli ma nascosero ogni prova di esserne venuti a conoscenza.

In questo caso ci troviamo di fronte a una circostanza che – ufficialmente smentita dal governo americano – si fonda su una serie di elementi e di fonti che meritano di essere attentamente valutati.

D'altro canto, le fonti che sostengono il contrario (ossia che quelle informazioni non sono mai esistite o non furono mai acquisite da chi avrebbe dovuto o potuto utilizzarle per prevenire gli attacchi dell'11 settembre) sono qualificate e attendibili.

In questo articolo ricostruiamo la vicenda, presentiamo le fonti, cerchiamo di risalire all'origine delle notizie che riportano e verifichiamo se è possibile tracciare delle ragionevoli conclusioni.

Al di là di esse, questo spunto è occasione per approfondire la conoscenza di un progetto terroristico che rappresenta una tappa fondamentale del percorso che ha portato dall'attentato al World Trade Center del 1993 agli attacchi dell'11 settembre 2001.


Il fatto storico


Nel 1993, un gruppo di terroristi islamici si rese responsabile di un attentato esplosivo al World Trade Center. Uno dei cervelli dell'operazione era il terrorista Ramzi Yousef, nipote di Khalid Sheikh Mohammed (alias KSM, ideatore degli attacchi dell'11 settembre). L'intento di Yousef era provocare il crollo delle Twin Towers (per saperne di più si può consultare la sezione dedicata su Crono911).

L'FBI arrestò quasi tutti gli organizzatori ed esecutori dell'attentato, ma Yousef riuscì a sfuggire alla cattura e raggiunse KSM nelle Filippine, dove operava una cellula di Al-Qaeda molto ben ramificata.

Nelle Filippine i due iniziarono a progettare un piano terroristico estremamente ambizioso, che battezzarono "Bojinka". Il piano prevedeva di far esplodere in volo almeno undici aerei di linea, quasi tutti diretti negli USA e carichi di passeggeri.

A questo scopo sarebbero stati utilizzati ordigni realizzati con una soluzione esplosiva nella classe della nitroglicerina, che i terroristi avrebbero portato a bordo in contenitori apparentemente innocui, come le bottiglie contenenti soluzione per lenti a contatto.

Gli attentatori non erano suicidi: avrebbero nascosto la bomba sull'aereo, dopo averla collegata ad un timer, e sarebbero sbarcati lungo la rotta durante una tappa intermedia. Quest'ultimo accorgimento avrebbe evitato la necessità di richiedere visti di ingresso per gli USA.

I terroristi studiarono anche altre idee alternative (nel caso in cui il piano principale si fosse rivelato irrealizzabile) o da attuarsi successivamente in quella che fu chiamata la Fase Due dell'operazione.

Tra queste idee, vi erano quella di utilizzare piccoli aerei carichi di esplosivo e farli schiantare contro obiettivi sul suolo americano, nonché quella di uccidere il Papa in occasione della sua visita alle Filippine nel 1995.

Per questi scopi, almeno un pilota era già disponibile: si trattava di Abdul Hakim Murad, che faceva parte del gruppetto di terroristi e aveva frequentato varie scuole di volo anche in USA.

Il piano principale procedette secondo le previsioni. La miscela esplosiva fu testata e risultò efficace, e Yousef decise di fare una prova generale prima dell'operazione vera e propria: l'11 dicembre del 1994, salito a bordo di un Boeing 747 della Philippine Airlines diretto a Tokyo, piazzò la sua bomba sotto un sedile e poi scese a uno scalo intermedio. La bomba esplose in volo uccidendo un passeggero, ma l'aereo riuscì ad atterrare in emergenza ad Okinawa.

L'operazione definitiva, però, non vide mai la luce: nei primi di gennaio del 1995, un incendio nell'appartamento in cui Yousef e Murad stavano preparando le loro miscele esplosive portò la polizia filippina a scoprire i piani dei terroristi. Murad fu arrestato subito, Yousef fu catturato in Pakistan dalle forze di sicurezza locali, ma KSM riuscì a far perdere le proprie tracce.

Sia Murad che Yousef furono estradati in USA, dove furono processati e condannati nel 1996 (Yousef anche in relazione all'attentato del 1993). Il processo di appello si chiuse nell'aprile del 2003 e confermò le sentenze di primo grado. Assieme a Murad e a Yousef fu condannato anche un terzo complice, Wali Shah.

Le notizie sul piano di dirottare aerei di linea per missioni suicide


Come abbiamo detto, il processo di primo grado si chiuse nel 1996 e quello d'appello nel 2003.

Né i media né gli atti processuali parlarono dell'eventualità che l'Operazione Bojinka prevedesse anche – sia pure come piano alternativo o successivo – l'utilizzo di aerei dirottati in missioni suicide contro il territorio americano. Possiamo confrontare quello che hanno riportato la CNN e il New York Times al momento della condanna nel 1996: non c'è alcun riferimento a progetti di dirottamenti suicidi.

Gli atti processuali si possono consultare qui (primo grado) e qui (appello). Proprio dalla sentenza di appello apprendiamo alcuni particolari interessanti, alla luce di ciò che esamineremo più avanti. A pagina 88 infatti leggiamo:

Shah’s attorney acknowledged the Government’s efforts: “the government has clearly indicated on the record that they’ve made efforts to gather all the reports created. The Philippine government has not turned those reports over.”
...
60. The Government explained at trial that Philippine officials told them that certain reports were “classified.” The Government understood this to mean that they were “for the eyes of the President of the Philippines only” and that the Philippine government would not turn them over.

Traduzione

La difesa di Shah ha riconosciuto gli sforzi del Governo: "il governo ha chiaramente attestato che si sono adoperati per acquisire tutti i rapporti. Il governo filippino non ha consegnato questi rapporti.
...
Nota 60. Il Governo ha spiegato al processo che gli ufficiali filippini hanno detto che certi rapporti erano "classificati". [Riservati, Segreti]. Il Governo ha compreso che ciò significa che essi erano riservati al solo Presidente delle Filippine e che il governo filippino non li avrebbe consegnati.

Abbiamo quindi una chiara indicazione del fatto che il governo filippino non consegnò al governo americano rapporti "classificati" che possedeva in ordine ai terroristi processati.

Sempre nella stessa sentenza, a pag. 41, leggiamo che la Corte – allo scopo di legittimare la giurisdizione americana sugli imputati – considerò che il sabotaggio di aerei in volo fosse equivalente al dirottamento. In altre parole, applicò le norme sui dirottamenti per analogia: uno stratagemma giuridico che sarebbe stato del tutto superfluo se ci fosse stata consapevolezza che l'Operazione Bojinka prevedeva anche dirottamenti suicidi.

Nemmeno nei provvedimenti presi per migliorare la sicurezza delle linee aeree c'è traccia della consapevolezza che Bojinka prevedeva anche il dirottamento suicida di aerei di linea.

Il Rapporto Finale contenente raccomandazioni sulla sicurezza dell'aviazione civile, presentato il 12 febbraio 1997 dalla White House Commissione a Bill Clinton, all'epoca presidente degli USA, non fa alcun riferimento a questo tipo di rischio.

Il rapporto, nonostante in premessa dicesse:

During the past six months, we have conducted an intensive inquiry into civil aviation safety, security and air traffic control modernization. Commission and staff have gathered information from a broad range of aviation specialists, Federal Agencies, consumer groups, and industry leaders.

Traduzione

Negli ultimi sei mesi abbiamo condotto un'approfondita indagine sulla sicurezza dell'aviazione civile e sulla modernizzazione del sistema di controllo del traffico aereo. La Commissione e lo Staff hanno acquisito informazioni da un'ampia platea di specialisti di aviazione, Agenzie Federali, gruppi di consumatori e capitani d'industria.


non faceva cenno al rischio di dirottamenti suicidi, ma anzi sottolineava che il fattore di rischio si era spostato dai dirottamenti agli atti di sabotaggio e raccomandava un potenziamento dei sistemi di rilevazione degli esplosivi. Il riferimento all'operazione Bojinka nella sua formulazione principale è evidente, ma è altrettanto evidente che l'ipotesi di dirottamenti suicidi è del tutto assente.

Anche il rapporto "The Psychology and Sociology of Terrorism" del 1999, redatto dalla Divisione Ricerche della Libreria del Congresso USA, alle pagine 81 e 82 traccia il profilo di Yousef e la storia dell'Operazione Bojinka, menzionando il progetto di far schiantare un piccolo aereo imbottito di esplosivo contro la sede della CIA, ma non parla di alcun progetto per dirottare aerei di linea e usarli in missioni kamikaze.

Questi dati ci consentono di ipotizzare che le autorità americane, sia al momento in cui Yousef e Murad furono processati e condannati (1996) che negli anni seguenti, non erano a conoscenza del fatto che l'Operazione Bojinka prevedesse anche dirottamenti suicidi di aerei di linea da far schiantare sul suolo americano, nonostante due degli imputati, Murad e Shah, avessero adottato una posizione collaborativa con gli inquirenti.

Anche da parte dei media, come abbiamo visto, non c'è alcun riferimento alla circostanza.

Quand'è, allora, che viene fuori l'informazione che Bojinka prevedeva anche dirottamenti suicidi?

Nelle nostre ricerche non abbiamo trovato nulla fino a dopo gli attentati dell'11 settembre del 2001.

In particolare, da questo articolo del Taipei Times, un giornale asiatico, apprendiamo che il 13 settembre del 2001 Associated Press e Reuters riportarono le dichiarazioni rese da un ufficiale della polizia filippina, il sovrintendente capo Avelino Razon, responsabile della sicurezza presidenziale e di quella del Papa al momento della sua visita nelle Filippine, avvenuta pochi giorni dopo l'arresto di Murad.

Esaminiamo alcuni stralci di questo articolo, significativamente titolato: "Suicide-pilot plan unconvered six years ago in Philippines" (Un progetto di usare piloti suicidi fu scoperto sei anni fa nelle Filippine).

A plan to use suicide pilots against US targets was uncovered as early as six years ago during the investigation that led to the arrest of the alleged mastermind of the 1993 World Trade Center bombing, a Philippine police official said yesterday...

"When we interrogated Murad, he mentioned that he was a skilled pilot, trained in the US, in Afghanistan and also here in the Philippines, who was recruited to undertake a suicide mission," Razon said.

"He was committed to ... fly a plane and ram it into some targets," Razon said, adding that information from a laptop computer seized from Murad indicated one target was CIA headquarters. "There was mention of about a dozen" trained pilots to be recruited for such attacks.

"I didn't imagine that they would ram a 757 aircraft into the World Trade Center. I thought the suicide mission [would involve] a Cessna light aircraft loaded with several kilos of explosives, like a Japanese Kamikaze World War II pilot diving into a target," he said.

He said the investigation started with reports on threats to the Pope that led to Murad and the discovery of an international terrorist cell in the Philippines that also "had plans to bomb US aircraft and the US CIA headquarters in Langley, Virginia.''

Traduzione

Un piano per l'utilizzo di piloti suicidi contro obiettivi in USA fu scoperto sei anni or sono durante le indagini che portarono all'arresto di quello che è ritenuto l'organizzatore dell'attacco al World Trade Center nel 1993, ha dichiarato ieri un ufficiale della polizia filippina.

"Quando abbiamo interrogato Murad, rivelò che era un abile pilota, addestratosi negli Stati Uniti, in Afghanistan e anche qui nelle Filippine, che era stato reclutato per intraprendere una missione suicida" ha detto Razon.

"Era previsto che pilotasse un aereo e lo schiantasse su qualche bersaglio" ha detto Razon, aggiungendo che le informazioni ottenute da un computer sequestrato a Murad indicavano uno dei bersagli nel quartier generale della CIA. "Si faceva riferimento a circa una dozzina di piloti addestrati che dovevano essere reclutati per questi attacchi".

"Non immaginavo che essi avrebbero pilotato un Boeing 757 contro il World Trade Center. Pensavo che la missione suicida [comportasse l'utilizzo di] un piccolo aereo tipo Cessna caricato con molti chilogrammi di esplosivo, come un pilota kamikaze giapponese della Seconda Guerra Mondiale che picchia su un bersaglio" ha detto.

[Razon] ha detto che l'indagini iniziò con alcuni rapporti su pericoli per il Papa che condussero a Murad e alla scoperta di una cella terroristica internazionale nelle Filippine che aveva anche "piani per fare attentati esplosivi contro aerei USA ed il quartier generale della CIA a Langley in Virginia."

E' interessante notare come anche Razon non faccia alcun riferimento a dirottamenti suicidi di aerei di linea. Anzi, si meraviglia che l'11 settembre sia successo ciò, in quanto si aspettava – piuttosto – l'utilizzo di un piccolo aereo riempito di esplosivo. Non un aereo dirottato, quindi, ma un aereo appositamente predisposto per una missione kamikaze.

E' di questo che sta parlando, è questa la sua "rivelazione": piccoli aerei tipo Cessna riempiti di esplosivo e scagliati contro bersagli in USA.

Quest'informazione, però, non era una novità. Diversi documenti pubblici già la citavano da tempo e lo Staff Statement n. 9 (che è parte dei documenti prodotti nell'ambito dei lavori della Commissione Indipendente sui fatti dell'11 settembre) spiega che essa era conosciuta dall'FBI sin dal 1995. Il dato è ribadito nello stesso Rapporto finale della Commissione (Capitolo 11), che spiega che se ne tenne conto persino nel sistema di sicurezza predisposto per le Olimpiadi di Atlanta nel 1996. I due documenti possono essere visionati sul relativo sito.

Semmai, erano stati i media, sino a quel momento, a non prestare attenzione a questo dettaglio, che pure conoscevano.

Prima dello "scoop" di AP/Reuters, infatti, il 12 settembre 2001, vari giornali, come il Guardian, senza alcuna necessità di ricorrere a fonti filippine, avevano ricordato l'operazione Bojinka come "an audacious plan to simultaneously destroy 12 airliners over the Pacific ocean and fly a suicide bomber in a plane into the side of the CIA headquarters in Langley, Virginia".

Nessun vero mistero, quindi, sul fatto che i pianificatori di Bojinka pensassero alla possibilità di schiantare un aereo riempito di esplosivo contro la sede CIA di Langley, né sul fatto che questa informazione fosse stata acquisita dalle autorità americane.

Il mistero nasce nel momento in cui vari media e giornalisti, fiondatisi sulla notizia, iniziano a raccogliere informazioni da fonti della polizia filippina che parlano di quel piano aggiuntivo all'operazione Bojinka che prevedeva attacchi suicidi sul suolo americano utilizzando aerei di linea dirottati.

Inizialmente deve trattarsi di informazioni frammentarie e imprecise.

Questo articolo del 27 settembre 2001, pubblicato su Accuracy in Media, riferisce che Osama Bin Laden pianificava nel 1995 di usare aerei civili dirottati per missioni kamikaze, dà per scontato che FBI e CIA ne fossero al corrente, parla solo della sede della CIA come possibile obiettivo e non fornisce alcuna fonte di provenienza delle notizie.

Il Washington Post, in questo articolo del 30 dicembre del 2001 a firma di Matthew Brzezinski, basandosi su una precisata fonte filippina (ispettore superiore Aida Fariscal) spiega:

But, Philippine and U.S intelligence officials said, the Bojinka operation called for a second, perhaps even more ambitious phase, as interrogators discovered when they pressed Murad about his pilot's license. All those years in flight school, he confessed, had been in preparation for a suicide mission. He was to buy, rent, or steal – that part of the plan had not yet been worked out – a small plane, preferably a Cessna, fill it with explosives and crash it into CIA headquarters.

There were secondary targets the terrorist cell wanted hit: Congress, the White House, the Pentagon and possibly some skyscrapers. The only problem, Murad complained, was that they needed more trained pilots to carry out the plot.
...
"The FBI knew all about Yousef's plans," she says. "They'd seen the files, been inside 603. The CIA had access to everything, too. Look," she adds, fishing in a plastic shopping bag for one of her most prized possessions, a laminated certificate of merit bearing the seal of the Central Intelligence Agency. "Awarded to Senior Inspector Aida D. Fariscal," it reads. "In recognition of your personal outstanding efforts and cooperation."

Traduzione

Ma fonti dell'intelligence filippina e americana riferiscono che l'operazione Bojinka prevedeva una seconda fase, forse perfino più ambiziosa, come hanno scoperto gli inquirenti che pressavano Murad per sapere della sua licenza di pilota. Tutti quegli anni nelle scuole di volo, ha ammesso, erano in previsione di una missione suicida. Avrebbe dovuto comprare, affittare o rubare – questa parte del piano non era stata ancora sviluppata – un piccolo aereo, preferibilmente un Cessna, riempirlo di esplosivo e schiantarlo contro i quartieri generali della CIA.

Vi erano bersagli secondari che i terroristi volevano colpire: il Congresso, la Casa Bianca e forse alcuni grattacieli. L'unico problema – aveva ammesso Murad – era che avevano bisogno di più piloti addestrati per portare avanti il piano.

"L'FBI sapeva tutto dei piani di Yousef" ha detto. "Loro hanno visto i files, dentro l'appartamento 603. Anche la CIA aveva accesso a ogni cosa. Guardi" aggiunge lei, pescando da una borsa della spesa uno dei suoi oggetti più preziosi, un attestato di riconoscimento in metallo con il simbolo della CIA. "Concesso all'Ispettore Superiore Aida D. Fariscal" si legge. "In riconoscimento del suo impegno e della sua cooperazione non comuni".

Fin qui però, niente di nuovo. Stiamo ancora parlando di Cessna riempiti di esplosivo.

Ma l'articolo poi più sotto aggiunge:

FBI spokesman John E. Collingwood denies that the bureau had advance knowledge of a plot to turn airliners into flying bombs.

Traduzione

Il portavoce dell'FBI John E. Collingwood smentisce che l'ufficio avesse una preventiva conoscenza di un piano per trasformare aerei di linea in bombe volanti.

Badate bene: la fonte parla di piccoli aerei carichi di esplosivo, informazione già nota. Collingwood smentisce tutt'altro: aerei di linea trasformati in bombe volanti.

E' chiaro che Collingwood sta rispondendo a una domanda diversa, che riguarda aerei di linea (e quindi dirottamenti come quelli dell'11 settembre) e non semplici aerei da turismo riempiti di esplosivo.

Questa confusione tra "piccolo aereo carico di esplosivo" e "dirottamento di aerei di linea da usare come bombe" sembra essersi fatta strada su molti articoli scritti in quei mesi.

Ad aumentare la confusione, anche la scarsa chiarezza di alcuni passaggi dell'Intelligence Joint Inquiry into the Terrorist Attacks of 9/11, il corposo rapporto della Commissione di Inchiesta sull'operato dei servizi di Intelligence con riferimento ai fatti dell'11 settembre.

Nel rapporto, a pag. 9, si legge infatti:

From at least 1994, and continuing into the summer of 2001, the Intelligence Community received information indicating that terrorists were contemplating, among other means of attack, the use of aircraft as weapons. This information did not stimulate any specific Intelligence Community assessment of, or collective U.S. Government reaction to, this form of threat.

While the credibility of the sources was sometimes questionable and the information often sketchy, the Inquiry confirmed that the Intelligence Community did receive intelligence reporting concerning the potential use of aircraft as weapons. For example, the Community received information in 1998 about a Bin Ladin operation that would involve flying an explosive-laden aircraft into a U.S. airport and, in summer 2001, about a plot to bomb a U.S. embassy from an airplane or crash an airplane into it. The FBI and CIA were also aware that convicted terrorist Abdul Hakim Murad and several others had discussed the possibility of crashing an airplane into CIA Headquarters as part of “the Bojinka Plot” in the Philippines, discussed later in this report.

Traduzione:

Almeno dal 1994 e fino all'estate del 2001, la comunità di Intelligence ha ricevuto informazioni che indicavano che i terroristi stavano meditando, insieme ad altri tipi di attacco, l'uso di aerei come armi. Queste informazioni non hanno provocato alcuna specifica risposta da parte della comunità di Intelligence o alcuna reazione da parte del Governo nei confronti di questo tipo di minaccia.

Mentre la credibilità delle fonti è stata in qualche caso opinabile e le informazioni spesso generiche, l'Inchiesta ha confermato che la comunità di Intelligence ha ricevuto informazioni riservate che riguardavano l'uso di aerei come armi. Per esempio, la comunità ha ricevuto informazioni nel 1998 in ordine a un'operazione di bin Laden che implicava schiantare un aereo carico di esplosivo contro aeroporti americani e, nell'estate del 2001, in ordine a un piano di bombardare un'ambasciata americana da un aereo o di schiantare un aereo contro di essa. L'FBI e la CIA erano inoltre a conoscenza che il terrorista arrestato Abdul Hakim Murad e diversi altri avevano discusso della possibilità di schiantare un aereo contro il quartier generale della CIA come parte del Piano Bojinka nelle Filippine, di cui si parla più avanti in questo rapporto.

Questo passaggio, che parla genericamente dell'utilizzo di "aerei come armi" è stato più volte citato a conferma del fatto che l'Intelligence americana fosse già a conoscenza dei piani di far schiantare aerei dirottati.

In realtà il rapporto non fa che continuare a riferirsi al progetto di usare piccoli aerei carichi di esplosivo (ed in particolare contro la sede della CIA).

La conferma ce la fornisce lo stesso rapporto, a pag. 192:

Captured material and interrogations of Murad revealed Yousef’s plot to kill the Pope, bomb the U.S. and Israeli embassies in Manila, blow up twelve U.S. airliners over the Pacific Ocean, and crash a plane into CIA Headquarters. These plans were known collectively as the “Bojinka Plot.”

Traduzione

I materiali sequestrati e gli interrogatori di Murad hanno rivelato che Yousef pianificava di uccidere il Papa e fare attentati esplosivi contro le ambasciate di USA e Israele a Manila, far saltare in aria dodici aerei di linea americani sull'Oceano Pacifico e schiantare un aereo contro il quartier generale della CIA. Questi piani sono conosciuti nel loro insieme come "operazione Bojinka".

e a pag. 213:

A 1995 NIE mentioned the plot to blow up twelve U.S. airliners and cited the consideration the Bojinka conspirators gave to attacking CIA Headquarters with an aircraft laden with explosives.

Traduzione

Una valutazione dell'intelligence nazionale ha citato il piano di distruggere dodici aerei di linea e ha parlato della considerazione che i cospiratori del piano Bojinka diedero all'idea di attaccare il quartier generale della CIA con un aereo carico di esplosivi.

Sta chiaramente parlando del progetto di attaccare la sede della CIA con un singolo aereo carico di esplosivo, non di utilizzare aerei di linea.

Nel 2002 il giornalista arabo Yousri Fouda ottiene un'intervista esclusiva con KSM, che si nasconde in Pakistan. L'intervista sarà poi inserita nel libro Masterminds of Terror, pubblicato da Fouda l'anno successivo. L'edizione italiana si intitola "Le menti criminali del terrorismo" (ISBN 88-8289-998-5) e da essa riportiamo le citazioni che seguono.

Fouda scrive di aver intervistato l'analista filippino che esaminò il computer portatile trovato nell'appartamento in cui Yousef e Murad stavano confezionando le loro miscele esplosive.

pag. 120: "E' stato trovato un rapporto che presentava un piano alternativo all'attentato contro gli undici aerei in volo sul Pacifico e che parlava di aerei lanciati e fatti esplodere contro il World Trade Center di New York, la Casa Bianca e il palazzo del Pentagono a Washington D.C., la Torre John Hancock a Boston, la Sears Tower di Chicago e la Transamerica Tower di San Francisco. Va sottolineato che il piano in origine prevedeva di far esplodere undici aerei mentre gli attentati alle torri e contro gli altri edifici sarebbero serviti da piano di emergenza".
L'analista aveva messo le mani proprio sui piani degli attentati all'America del settembre 2001. La scoperta fu confermata in seguito da Murad stesso, il quale confessò agli inquirenti di aver personalmente parlato a Khalid [KSM] della possibilità di dirottare un aereo e lanciarlo contro la sede della CIA a Langley.

pag. 121: "Era una rete di cospiratori molto solida. Dopo ben sette anni sono stati in grado di portare a termine ciò che avevano lasciato in sospeso, ecco come stanno le cose" ha dichiarato il colonnello Rodolfo Mendoza, responsabile delle inchieste sul caso a Manila. [Fouda spiega di citare un articolo del Los Angeles Times del 25 giugno 2002] I dischetti ritrovati furono messi a disposizione delle autorità statunitensi... risulta molto difficile per i servizi di intelligence statunitensi affermare di non aver mai ricevuto alcun tipo di segnale di allarme in merito agli attentati.

L'articolo sul Los Angeles Times introduce la fonte filippina rappresentata dal colonnello Mendoza, che avrà – come vedremo tra poco – un ruolo fondamentale in questa rivelazione.

La lettura dell'articolo è interessante perché riporta la dichiarazione di Mendoza ma non dice nulla né di dirottamenti di aerei di linea né di dischetti passati alle autorità americane.

Proprio il colonnello Mendoza (nella foto) si sarebbe rivelato la fonte principale del giornalista investigativo Peter Lance, che nel 2003 pubblicava il libro "1000 Years for Revenge: International Terrorism and the FBI – the Untold Story".

Nel libro Lance riporta dichiarazioni di Mendoza secondo le quali Murad parlò espressamente alla polizia filippina del progetto di dirottare aerei di linea da utilizzare in missioni suicide contro una serie di obiettivi americani. Secondo Mendoza queste informazioni furono tempestivamente passate alla CIA.

Le dichiarazioni di Mendoza sarebbero state raccolte da Lance nel marzo del 2002.

A conferma della sua storia, un po' di tempo dopo, Mendoza consegnò a Lance un "memo" riservato, una specie di rapporto della polizia filippina, datato 20 gennaio 1995 e intitolato "After Debriefing Report".

Il memo si compone di 5 fogli dattiloscritti, nell'ultimo dei quali leggiamo:

With regards to their plan to dive-crash a commercial aircraft at the CIA headquarters in Virginia, subject alleged that the idea of doing same came out during his casual conversation with Abdul Basit and there is no specific plan yet for its execution. What the subject have in his mind is that he will board any american commercial aircraft pretending to be an ordinary passenger. Then he will hijack said aircraft, control its cockpit and dive it at the CIA Headquarters. There will be no bomb or any explosive that he will use in its execution. It is simply a suicidal mission that he is very much willing to execute. That all he need is to be able to board the aircraft with a pistol so that he could execute the hijacking.

Traduzione

Con riferimento al loro piano di schiantare un aereo commerciale contro il quartier generale della CIA in Virginia, il soggetto ha riferito che l'idea venne fuori durante la sua conversazione casuale con Abdul Basit e non c'è ancora alcun piano specifico per la sua attuazione. Ciò che il soggetto aveva in mente era di salire a bordo di un qualsiasi aereo commerciale americano come un normale passeggero. Avrebbe dirottato l'aereo, preso il controllo della cabina di pilotaggio e lo avrebbe scagliato in picchiata contro il quartier generale della CIA. Non ci sarebbe stato bisogno di bombe o esplosivi per eseguire questo piano. Era semplicemente una missione suicida che lui desiderava tanto attuare. Tutto ciò di cui aveva bisogno era la possibilità di salire a bordo dell'aereo con una pistola in modo da poterlo dirottare.

Sulla falsariga di Lance hanno scritto anche altri autori e giornalisti e sono spuntate fuori altre fonti, sia filippine che americane, che riferiscono più o meno la stessa cosa: ossia che la polizia filippine raccolse queste informazioni che parlavano di dirottamenti suicidi di aerei di linea e le trasmise alle autorità americane. Si confronti ad esempio questo servizio di Fox News che ripete le stesse identiche frasi.

E' importante però sottolineare che a tutt'oggi l'unica traccia scritta di queste informazioni sta in queste poche righe scritte nel memo riservato datato 20 gennaio 1995, che farebbe parte di un gruppo di 17 memo analoghi redatti per riassumere il contenuto delle dichiarazioni fatte da Murad nel corso degli interrogatori che seguirono la sua cattura.

Non esistono – per quanto è dato sapere – documenti che attestino l'autenticità o il contenuto di questo memo, né esistono documenti di alcun genere che provino che esso sia mai stato trasmesso alle autorità americane.

Tutto ruota attorno alle dichiarazioni di alcuni ufficiali della polizia filippina, primo fra tutti Mendoza, e su dichiarazioni di fonte statunitense che hanno successivamente affermato che quei memo furono acquisiti dall'intelligence americana.

Si impongono però alcune considerazioni.

La prima è che quelle poche righe dicono davvero ben poco. Si parla, in pratica, di un desiderio di Murad, una sua idea comunicata a Yousef (alias Basit) durante un incontro occasionale. Murad parla comunque di schianto contro la sede della CIA, operazione per la quale, invece, era previsto l'utilizzo di un piccolo aereo carico di esplosivo.

Infine, Murad legava la possibilità di attuare il piano a una condizione irrealizzabile: quella di poter salire a bordo dell'aereo con una pistola.

Siamo in presenza di un "sogno", più che di un piano. Le modalità operative con cui i terroristi hanno preso il controllo degli aerei usati negli attentati dell'11 settembre sono state diverse.

Queste dichiarazioni hanno tuttavia sollevato un vero polverone, giacché – se autentiche – avrebbero costituito un grave atto di accusa contro la comunità di intelligence americana, per averle ignorate se non addirittura nascoste.

Non deve stupire, poi, che alcune fonti americane abbiano colto la palla al balzo per rincarare la dose: il libro di Lance è uscito nel 2003 ed è stato seguito, circa un anno dopo, da un altro libro di tenore analogo: "Triple Cross".

Nel 2004 si giocavano le elezioni presidenziali americane, e c'era chi aveva tutto l'interesse di dire che l'amministrazione repubblicana di Bush aveva nascosto quelle informazioni, così come chi aveva tutto l'interesse di dire che quelle informazioni erano state nascoste dall'amministrazione democratica di Clinton.

Ne è un esempio il tenente colonnello Robert Patterson, che nel suo libro Reckless Disregard sostiene che quelle informazioni furono trasmesse dalla polizia filippina e acquisite dall'amministrazione Clinton che decise di ignorarle e nasconderle. Patterson afferma di aver visto personalmente quei rapporti. Lo stesso Patterson, però, nel libro raccomanda per queste ragioni di non votare il democratico Kerry ma di confermare Bush nelle elezioni del 2004.

Difficile stabilire quanto queste fonti possano essere ritenute attendibili e imparziali, per cui la prudenza consiglia di attenersi ai dati di fatto.

Dati di fatto che, come abbiamo visto, sono davvero pochi.

Lo stesso Lance, infatti, in una intervista del 15 marzo 2004, affermava:

In the 6,000 page transcript for the Bojinka trial in 1996... [Yousef] referenced the fact that his partner, a fellow Baluchistani named Abdul Hakim Murad had been to four U.S. flight schools... the plot did NOT involve suicide bombers and there was no reason for Murad to have attended U.S. flight schools in order to participate in such a plot... This led me to the Philippines where I did the most extensive interview to that date with Col. Rodolfo B. Mendoza, chief interrogator of Murad... He told me and provided heretofore classified documents to support the fact that Yousef and Murad had set what became the 9/11 plot into motion as early as 1994...

Traduzione

Nelle 6000 pagine di trascrizione del processo Bojinka nel 1996... [Yousef] aveva dichiarato che il suo complice, un soggetto del Belukistan di nome Abdul Hakim Murad, era stato in quattro scuole di volo americane... il piano non prevedeva attentati esplosivi suicidi e non c'era ragione per cui Murad frequentasse scuole di volo americane per partecipare a un simile piano... Questo mi condusse alle Filippine dove effettuai la più ampia intervista dell'epoca con il colonello Rodolfo B. Mendoza, capo interrogatore di Murad... Lui mi disse e mi consegnò documenti classificati per supportarlo, che Yousef e Murad avevano pianificato quello che sarebbe diventato il piano per l'11 settembre sin dal 1994...

Si noti quindi che Lance ammette che in 6000 pagine di trascrizioni non c'è traccia di questi dirottamenti suicidi. E' poi interessante notare il madornale errore di Lance, quando dice che non c'era ragione che Murad avesse imparato a volare per un piano che non prevedeva attentati suicidi: in realtà abbiamo visto che l'operazione Bojinka prevedeva di schiantare un piccolo aereo carico di esplosivo contro la sede della CIA, ed è evidente che ciò richiedeva un pilota.

Lance si è quindi precipitato nelle Filippine sulla base di una premessa totalmente errata e fallace... stranamente lì però ha trovato Mendoza che l'ha trasformata in una notizia reale. Pura fortuna?

Sta di fatto che, come vedremo più avanti, i documenti classificati che secondo Lance confermerebbero le dichiarazioni di Mendoza si riducono a quelle poche righe su quel memo che abbiamo visto in precedenza.

Non sono mancate forti critiche a Lance e alle dichiarazioni di Mendoza.

Larry Johnson, uno dei massimi esperti del contro-terrorismo americano (biografia) in questo suo articolo fa notare che il colonnello Mendoza non è menzionato tra gli ufficiali che interrogarono Murad; che nei documenti della polizia filippina non c'è nulla che confermi il racconto di Mendoza; che Lance ha preso varie cantonate.

Persino Matthew Brzezinski, giornalista del Washington Post che, come abbiamo visto più sopra, indagò proprio sull'operazione Bojinka e sulle fonti informative filippine, in questa intervista del 2 gennaio 2002, che si apre con la premessa:

"We told the Americans about the plans to turn planes into flying bombs as far back as 1995," a Philippine inspector says. "Why didn't they pay attention?"

Traduzione

"Riferimmo agli americani dei piani di trasformare aerei in bombe volanti già nel 1995" afferma un ispettore della polizia filippina. "Perchè non sono stati attenti?"

affermava:

No one imagined something like this possible, and there was no US precedent to justify heightened security. Bojinka was about blowing planes up not hijacking them.

Traduzione

Nessuno immaginava che fosse possibile una cosa del genere, e non c'era alcun precedente in USA per giustificare misure di sicurezza più stringenti. Bojinka parlava di far saltare in aria degli aerei, non di dirottarli.

Nonostante, come abbiamo visto, non ci fosse alcun riscontro reale alle affermazioni che volevano il governo americano informato di questi presunti piani di dirottamenti suicidi, la Commissione Indipendente sui fatti dell'11 settembre ha investigato questa circostanza.

A pagina 491 del Rapporto, leggiamo:

After 9/11, some Philippine government officials claimed that while in Philippine custody in February 1995, KSM’s Manila air plot co-conspirator Abdul Hakim Murad had confessed having discussed withYousef the idea of attacking targets, including the World Trade Center,with hijacked commercial airliners flown by U.S.-trained Middle Eastern pilots. See Peter Lance, 1000 Years for Revenge: International Terrorism and the FBI — the Untold Story (HarperCollins, 2003), pp. 278–280. In Murad’s initial taped confession, he referred to an idea of crashing a plane into CIA headquarters. Lance gave us his copy of an apparent 1995 Philippine National Police document on an interrogation of Murad. That document reports Murad describing his idea of crashing a plane into CIA headquarters, but in this report Murad claims he was thinking of hijacking a commercial aircraft to do it, saying the idea had come up in a casual conversation with Yousef with no specific plan for its execution. We have seen no pre-9/11 evidence that Murad referred in interrogations to the training of other pilots, or referred in this casual conversation to targets other than the CIA. According to Lance, the Philippine police officer, who after 9/11 offered the much more elaborate account of Murad’s statements reported in Lance’s book, claims to have passed this added information to U.S. officials. But Lance states the Philippine officer declined to identify these officials. Peter Lance interview (Mar. 15, 2004). If such information was provided to a U.S. official, we have seen no indication that it was written down or disseminated within the U.S. government. Incidentally, KSM says he never discussed his idea for the planes operation with Murad, a person KSM regarded as a minor figure.

Traduzione

Dopo l'11 settembre, alcuni ufficiali governativi filippini hanno affermato che durante la sua detenzione nelle Filippine nel febbraio 1995, Abdul Hakim Murad, complice di KSM a Manila nel progetto di attentati aerei, ha confessato di aver parlato con Yousef dell'idea di attaccare alcuni bersagli, compreso il World Trade Center, utilizzando aerei di linea civili pilotati da medio-orientali addestrati in USA. Si veda Peter Lance, 1000 Years for Revenge: International Terrorism and the FBI — the Untold Story (HarperCollins, 2003) pagine 278-280. Nella prima confessione registrata di Murad, egli ha fatto riferimento all'idea di schiantare un aereo contro il quartier generale della CIA. Lance ci ha dato la sua copia di quello che sembra essere un documento del 1995 della Polizia Nazionale Filippina relativo a un interrogatorio di Murad. Quel documento riporta che Murad descrive la sua idea di schiantare un aereo contro il quartier generale della CIA, ma in questo rapporto Murad afferma che stava pensando di dirottare un aereo di linea per farlo, e dice che l'idea era saltata fuori durante una conversazione occasionale con Yousef, senza che ci fosse un preciso piano per eseguirla. Non abbiamo trovato alcuna prova precedente l'11 settembre 2001, che Murad, nel corso degli interrogatori, abbia fatto riferimento all'addestramento di altri piloti o abbia parlato in questa conversazione occasionale di bersagli diversi dalla CIA. Secondo Lance, l'ufficiale della polizia filippina che dopo l'11 settembre ha offerto la ricostruzione più accurata delle affermazioni riportate nel libro di Lance, afferma di aver passato queste informazioni aggiuntive a ufficiali americani. Ma Lance afferma che l'ufficiale filippino si è rifiutato di identificare questi ufficiali. Vedi interrogatorio di Peter Lance del 15 marzo 2004. Se queste informazioni furono passate a un ufficiale americano, non abbiamo trovato alcuna indicazione che siano state trascritte o diffuse tra gli enti governativi statunitensi. Incidentalmente, KSM afferma di non aver mai parlato della sua idea di azioni con aerei con Murad, una persona che KSM considerava di scarsa rilevanza.

Si noti quindi che Peter Lance è stato addirittura interrogato dalla Commissione.

Si noti pure che sembra che Mendoza non abbia detto di aver passato i "memo" a ufficiali americani, ma di aver passato le informazioni verbalmente, al punto che la Commissione fa notare che non c'è traccia di una loro trascrizione.

Va poi sottolineata l'importanza delle dichiarazioni di KSM.

L'ideatore degli attacchi dell'11 settembre, come abbiamo già detto, fu intervistato nel 2002 da Fouda e le sue dichiarazioni raccolte in un libro nel 2003.

Quello stesso anno KSM fu arrestato in Pakistan e consegnato agli americani.
Le sue prime dichiarazioni, risalenti alla primavera del 2003, sono state raccolte in una relazione che è stata acquisita come prova nel processo Moussaoui.

In esse leggiamo che

[KSM] traveled to Afghanistan in 1996 to convince Bin Laden to give him money and operatives so that he could hijack 10 planes in the U.S. to fly them into targets, with five targets on each coast of the United States.

Traduzione

[KSM] si recò in Afghanistan nel 1996 per convincere Bin Laden a dargli denaro e uomini affinchè potesse dirottare 10 aerei in USA e portarli a schiantarsi contro alcuni bersagli, cinque per ciascuna costa degli Stati Uniti.


Dunque è solo nel 2003, con le dichiarazioni di KSM, che si apprendono i progetti di Al-Qaeda sul dirottamento suicida di aerei di linea e gli stessi possono essere collocati temporalmente. Si tratta di progetti che KSM propose nel 1996 e che probabilmente nascono dalle ceneri dell'operazione Bojinka, più che costituirne un'appendice.

Conclusioni


Alla luce di quanto raccolto ed esaminato in questo studio, si possono trarre alcune conclusioni, serenamente rivedibili ove dovessero emergere dati fattuali differenti.
  • L'Operazione Bojinka del 1995 era incentrata sull'esplosione in volo di una dozzina di aerei di linea sul Pacifico;
  • L'Operazione Bojinka prevedeva piani alternativi come l'uccisione del Papa e l'utilizzo di aerei leggeri tipo Cessna caricati di esplosivo da far schiantare contro la sede della CIA a Langley;
  • L'Operazione Bojinka non prevedeva il dirottamento di aerei di linea americani da pilotare contro bersagli sul suolo americano: è possibile però che questa idea sia stata oggetto di discussione;
  • L'autenticità dei "memo" (Debriefing Report) della polizia filippina sugli interrogatori di Murad non è riscontrata, ma è verosimile. L'unico accenno al dirottamento suicida di aerei di linea, però, sta in poche righe contenute in uno di essi e riguardano più un desiderio di Murad che un piano;
  • L'idea di Murad presupponeva di poter salire a bordo dell'aereo con una pistola, ed era pressoché impossibile da realizzare;
  • Non esiste alcuna prova che questi Debriefing Report, di natura classificata, siano mai stati consegnati alle autorità americane, mentre esiste prova che il governo filippino non intese consegnare rapporti classificati al governo americano, nemmeno in occasione del processo a Yousef e a Murad, nel 1996;
  • Le testimonianze di fonte filippina e di fonte americana che affermano la presenza, nell'operazione Bojinka, di un piano per dirottare aerei di linea e scagliarli contro obiettivi sul suolo americano, e di una conoscenza di questo piano da parte delle autorità americane, non trovano alcun riscontro documentale e sono smentite da altre fonti sia filippine che americane, nonché dalle dichiarazioni di KSM;
  • Né l'inchiesta sull'Intelligence del 2002, né l'inchiesta sui fatti dell'11 settembre del 2004, né il processo contro Yousef e Murad, né il processo Moussaoui hanno fornito un singolo elemento di riscontro a tali affermazioni;
  • Appare evidente la frequente confusione, da parte dei media, del piano di schiantare un aereo leggero carico di esplosivo contro la sede della CIA a Langley, con un piano per dirottare aerei di linea in missioni suicide.

L'Operazione Bojinka resta un tassello fondamentale del percorso che ha portato KSM a ideare gli attacchi dell'11 settembre del 2001.

Fino a quel momento, i progetti criminosi di KSM avevano riposto fiducia nell'utilizzo di esplosivi, grazie alla competenza di Yousef. L'attentato del 1993 al World Trade Center era stato un discreto successo, le prove generali dell'operazione Bojinka avevano avuto buon esito. La disponibilità di un pilota, Murad, consentiva di pensare ad un attentato utilizzando un piccolo aereo carico di esplosivo.

L'arresto di Yousef, con tutta probabilità, privò KSM della possibilità di disporre di esplosivi in grado di superare i controlli aeroportuali e la scoperta del piano Bojinka indusse aeroporti e compagnie aeree a introdurre nuove tecnologie per rilevare sostanze esplosive e relativi detonatori.

KSM, con tutta evidenza, maturò allora il proposito di utilizzare una strategia del tutto diversa. L'utilizzo di piloti addestrati in USA e di dirottatori imbarcatisi come normali passeggeri, destinati a prendere il controllo di normali aerei di linea utilizzando semplicemente la forza fisica e gli strumenti che era possibile portare a bordo, consentiva di superare tutti i problemi legati all'uso di esplosivi o alla necessità di portare con sé vere e proprie armi.

L'11 settembre non è stato l'attuazione di un piano già contemplato dall'Operazione Bojinka ma ne ha rappresentato una diabolica evoluzione.