Sei mesi prima dell'11 settembre l'Afghanistan dei Talebani divenne noto per un altro atto increscioso di cui il regime di Kabul si rese protagonista: due gigantesche statue del Buddha risalenti al sesto e al settimo secolo furono distrutte con esplosivi e razzi antiaerei.
Le due statue furono costruite intorno all'anno 600 d.C. nella valle di Bayman, provincia afghana che ha per capoluogo l'omonima città, lungo la Via della Seta, crocevia di culture che favorì l'insediamento di una comunità buddhista. Il luogo dove sorgevano i due colossi, alti cinquantatré e trentotto metri e distanti circa ottocento metri l'uno dell'altro, è a poco meno di duecento chilometri da Kabul. Il corpo principale delle due state era stato scavato direttamente dentro la montagna, mente i dettagli erano stati realizzati con fango, paglia e stucco; infatti gran parte della copertura è andata perduta già da secoli per via degli agenti atmosferici. Fin dall'invasione di Gengis Khan nel tredicesimo secolo le statue resistettero a numerosi tentativi di distruzione da parte dei sovrani che si succedettero; tuttavia la struttura generale delle due statue resistette fino all'ascesa al potere dei Talebani.
Nel 1999 il Mullah Omar annunciò che le due statue del Buddha sarebbero state risparmiate, perché in Afghanistan non vi era popolazione buddhista, pertanto non avrebbero potuto essere utilizzate come oggetti di culto, ma al contrario avrebbero potuto portare benefici economici all'Afghanistan come luogo di interesse culturale e turistico. Tuttavia a febbraio del 2001 lo stesso regime annunciò che avrebbe in breve tempo distrutto le statue. La dichiarazione suscitò lo sdegno di tutta la comunità internazionale, compresi molti paesi musulmani come l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e il Pakistan; il museo Metropolitan di New York si offrì anche, attraverso l'allora segretario dell'ONU Kofi Annan, di salvare le statue e trasportarle negli Stati Uniti.
Le proteste internazionali furono vane e il 2 marzo del 2001 i talebani iniziarono la distruzione dei due Buddha giganti, operazione che richiese settimane di bombardamenti e di cui non si conoscono le date e le fasi precise. Il 19 marzo il diplomatico Sayed Rahmatullah Hashemi disse al New York Times che la decisione del regime fu presa come ritorsione dopo che una delegazione estera aveva offerto fondi all'Afghanistan per salvare le statue, mentre non riceveva mai offerte di sovvenzioni per la popolazione afflitta dalla povertà; Hashemi al tempo era inviato dei Talebani negli USA per migliorare le relazioni tra i due paesi, esacerbate dall'ospitalità che il regime di Kabul offriva a Osama bin Laden e ad al-Qaeda.
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Tuttavia esiste una spiegazione diversa sul perché il i Talebani abbiano compiuto un simile abominio. Alcuni testate, come il giornale pakistano Dawn e quello nepalese The Himalayan Times, riportarono che dopo la caduta dei talebani vennero trovati dei documenti a Kabul che dimostrerebbero che i due Buddha furono distrutti a causa delle pressioni di Osama bin Laden verso il Mullah Omar affinché le abbattesse. Per i Talebani le statue avrebbero potuto rimanere in piedi, ma il leader di al-Qaeda chiese e ottenne dal regime che venissero distrutte in quanto incompatibili con l'Islam radicale salafita da loro praticato. L'ex calciatore e miliziano di al-Qaeda tunisino Nizar Trabelsi disse agli investigatori dopo il suo arresto in Belgio che al-Qaeda usava le statue del Buddha come obiettivo per esercitarsi con le armi da fuoco già da tempo.
La distruzione delle statue millenarie di Bamiyan compromise definitivamente i rapporti tra i Talebani e la comunità internazionale; rapporti che solo sei mesi dopo precipitarono in una guerra che non si è ancora conclusa dopo due decenni.