2018/12/17

World Trade Center: intervista con l'ex agente della DEA Jeffrey Higgins

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto dell'ex agente della DEA Jeffrey Higgins che l'11/9 arrivò sulla scena dopo il crollo della seconda torre e che in seguito fu inviato all'ufficio della DEA a Kabul.

Ringraziamo Jeffrey Higgins per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto di ciò che hai visto e vissuto l’11/9?

Jeffrey Higgins: Ero un agente della DEA, facevo indagini a livello nazionale su cose come il crimine organizzato o i gruppi criminali colombiani transnazionali. Ero in palestra quella mattina prima di andare al lavoro e ricordo di aver sentito che un aereo aveva colpito il World Trade Center. Quindi mentre ero in palestra guardai l’attacco in televisione. Vidi il secondo aereo colpire e a quel punto capii che era un atto di terrorismo. Mi vestii, saltai in macchina e andai fino al World Trade Center. Non dimenticherò mai che mentre attraversavo la West Side Highway c'erano letteralmente migliaia di persone che correvano per i marciapiedi lungo le rive del fiume, come in un film dell'orrore, cercando di allontanarsi da downtown Manhattan.

Mentre scendevo lungo West Side Highway sentii una chiamata alla radio e qualcuno disse “La torre non c'è più”. L'operatore disse “Puoi ripetere?” e lui disse “Il World Trade Center 2 non c'è più”. Non lo dimenticherò mai, quando arrivai alla punta meridionale di Manhattan c'era solo una torre che restava in piedi mentre il fumo oscurava il resto della città. Guidai fino al nostro ufficio sulla 17esima strada, proprio accanto al Chelsea Pier [uno dei moli sulla costa occidentale di Manhattan NdT], circa a un miglio dal World Trade Center. Andai in ufficio e c'era scompiglio ovunque. Le persone correvano in giro senza sapere cosa fare. Mi unii ad alcuni altri agenti, eravamo dodici, e decidemmo che saremmo andati là a vedere come potevamo aiutare. Lasciammo i nostri nomi all'operatore della sede, in modo che se qualcuno ci avesse cercato lui avrebbe saputo dove eravamo. Appena ci allontanammo dall'ufficio, la seconda torre venne giù.

Guidammo verso sud fino alla scena del disastro e sembrava una zona di guerra, tantissimo fumo e macerie nell'aria. Gruppi di ufficiali di polizia erano lì attorno alle macchine parcheggiate e non potevano credere a ciò che era successo. Noi dodici trovammo un ufficiale in comando della polizia di New York e gli chiedemmo cosa dovevamo fare, ma nessuno lo sapeva. Le persone erano in stato di shock e gran parte del personale per le emergenze che era entrato nei palazzi era morto. Non vedevamo nulla, tutto era oscurato da questo fumo che aveva il sapore di metallo pesante e che copriva l'intera a punta meridionale di Manhattan.

Mi separai dal mio gruppo e andai al sito e finii per scontrarmi con un agente dell'FBI che era lì a fare la stessa cosa che stavo facendo io, cercare di capire come essere d'aiuto. Camminai da solo verso la scena appena dopo il secondo crollo, non c'era nessuno in giro e un uomo camminò fuori dal fumo verso di me. Era Don Riley, un detective della contea di Suffolk con cui avevo lavorato su un caso di omicidio un paio di anni prima. Sì unì a noi un ufficiale donna della polizia di New York e noi tre fummo le prime persone ad arrivare alla Torre Nord subito dopo il crollo.

Sotto il livello della strada c'erano dei garage e l'impianto fognario, per molti piani sotto, e c'erano fiamme che uscivano dalle crepe. Ricordo di aver camminato accanto a un parcheggio a circa un isolato di distanza, le fiamme uscivano dal suolo, e un’auto esplose. Camminammo fino al Verizon Building all'angolo nord-occidentale del World Trade Center e trovammo un uomo steso nelle macerie. Chiamammo i paramedici, perché l'uomo era ancora vivo, ma aveva perso un braccio ed era ustionato e ovviamente era vivo a malapena. Gli demmo un primo soccorso e lo portammo fuori da lì.

Quindi, Don, l'ufficiale dell'NYPD e io decidemmo che avremmo cercato nelle macerie. Irrompemmo in un'ambulanza e prendemmo maschere e torce elettriche. Ci attrezzammo nel modo migliore possibile. Io presi un casco da pompiere. Controllammo veicolo per veicolo. I mezzi dei pompieri erano coperti di macerie e c'erano fiamme che uscivano dal suolo. Salii su un grosso camion dei pompieri le cui gomme stavano bruciando, mi ci arrampicai sopra e aprii la cabina e non c'era dentro nessuno. Saltai giù e dopo che mi allontanai di un paio di metri il motore venne consumato dal fuoco.

Lentamente, più personale di emergenza arrivava. Le forze dell'ordine correvano verso il pericolo, mentre chiunque altro correva via. Avevamo un gruppo di persone miste: pompieri, personale medico, personale del primo soccorso. Chiunque fosse nella zona convergeva lì. Passammo dall'essere tre persone a dozzine. Tornammo al Verizon Building e ispezionammo alcuni piani perché c'erano delle macerie che dalle torri si erano schiantate contro l'edificio e avevano creato dei buchi nel fianco di esso. Quindi prendemmo degli estintori e tornammo sulla scena. Piccoli incendi continuavano a emergere perché il suolo era cosparso di carta che proveniva dagli uffici. C’era carta per decine di centimetri, Quindi ogni volta che delle fiamme uscivano da sotto qualcosa prendeva fuoco e noi dovevamo spegnerlo.

Continuammo a cercare dei sopravvissuti ma non ne trovammo. Passai lì alcune ore e a un certo punto aiutai dei pompieri a tirar fuori un pompiere ferito e a portarlo in barella su un'ambulanza. Mentre facevo questo ricevetti una chiamata dalla base che mi chiedeva dove fossi. Dissi che ero sulla scena e mi dissero che tutti gli agenti dovevano tornare in ufficio. Non avevo intenzione di farlo, quindi rifiutai e l'operatore mi disse “Ok, resta lì, sappiamo dove sei.”

Rimasi lì per cinque ore cercando di aiutare, portando gli idranti sul sito, scavando tra le macerie. Non trovai nessuno vivo. Quindi tornai al mio ufficio sulla 17esima strada nel pomeriggio. Raccolsero tutti gli agenti insieme e la decisione della DEA fu di mandare tutti a casa. Suggerii che ci tenessero lì come forza di riserva o semplicemente che ci mandassero giù a cercare di aiutare in ogni modo possibile, ma ci dissero che non era la nostra missione. C'erano più di cento agenti lì e ci mandarono a casa. Questa cosa mi infastidì per molto tempo.

Tornammo a casa e ogni giorno chiedevamo “Come possiamo aiutare? Cosa possiamo fare?” Dopo due o tre giorni ci dissero che potevamo andare sulla scena e aiutare nei soccorsi, ma dovevamo farlo fuori dall'orario di lavoro. Non potevamo identificarci come agenti, quindi andai là e ci passai un paio di giorni scavando sulla scena. Fu orribile e fu un momento cruciale allo stesso tempo.


Undicisettembre: Dopo l’11/9 hai lavorato nella JTTF. Cosa hai fatto in quel periodo?

Jeffrey Higgins: Sì, la JTTF è una task force federale diretta dall’FBI che include altre agenzie. Tre settimane dopo gli attacchi, il mio ufficio mandò circa venticinque agenti della DEA alla task force per vedere come potevamo aiutare. Fummo assegnati all'operazione PENTBOMB [nome dato dagli investigatori all'indagine sull’11/9 NdT] e gli agenti della DEA furono mandati nei magazzini della zona per cercare se c’erano segni che qualche dirottatore avesse usato uno di quei depositi. Passai settimane frugando quelle strutture. La DEA è un agenzia delle forze dell'ordine piuttosto aggressiva. Io e un altro agente andammo in un magazzino per controllare la loro lista dei clienti e confrontarla con una lista di sospetti che avevamo. Chiedevamo anche “Chi altro è stato qua? Hai visto qualcosa di sospetto? Ci sono altre possibili connessioni con il terrorismo?” Quindi intervistavamo le persone e cominciammo a scoprire altri reati come organizzazioni legate alla droga che usavano quei magazzini.

Eravamo in una di queste unità nel Queens e intervistammo il direttore che mi disse che effettivamente c'era un uomo mediorientale che aveva affittato un posto e scappò pochi giorni dopo l’11/9 senza pagare quanto dovuto. Andai al magazzino e lo frugai e trovai materiale chimico e borse. Sembrava che il magazzino fosse stato usato per tagliare la droga o forse aveva solo depositato lì la roba mentre faceva i suoi affari da un'altra parte. Rintracciai l'uomo fino a un indirizzo nel Queens, parlai con il suo capo e mi disse che l'uomo se n'era andato in piena notte pochi giorni dopo l’11/9 ed era scappato a Beirut. Seguii alcune piste e trovai qualcuno che lo conosceva e riuscì a contattarlo a Beirut. Chiamai il sospettato là, gli parlai un po' e ottenni qualche informazione. Gli dissi che ero più concentrato sul terrorismo che sul traffico della droga e gli chiesi di aiutarci a trovare delle informazioni.

Trovai un'altra fonte mentre stavo indagando su quest'uomo di Beirut. Appresi da questa fonte che un altro sospettato aveva dichiarato di avere vissuto con uno dei dirottatori dell’11/9 e di averlo aiutato.

Io e il mio partner seguimmo questa pista e trovammo un uomo, che viveva nel New Jersey, proprio oltre il fiume rispetto a Manhattan. Andammo nel New Jersey e intervistammo persone che conoscevano il sospettato, incluso un uomo che aveva lavorato con lui. Sulle prime negò di conoscere quest'uomo legato ai dirottatori e disse di non conoscere nessuno dal Medio Oriente. Lo prendemmo da parte per intervistarlo e alla fine ammise di conoscere il sospettato. Quindi identificammo il sospettato che si presumeva essere un collaboratore dei dirottatori e trovammo un'auto che aveva usato, e che può avere usato per portare in giro i dirottatori quando sono arrivati negli Stati Uniti. Scoprimmo che il sospettato era stato arrestato per violazione dell'immigrazione una settimana prima nel New Jersey. Era stato arrestato per immigrazione illegale negli Stati Uniti. Quando lo intervistammo fu un paio di mesi dopo l’11/9 e la DEA ci rimosse dall'indagine e l’FBI ne prese il controllo.


Undicisettembre: Quindi questo secondo uomo secondo te è un membro di al-Qaeda?

Jeffrey Higgins: Beh, quest'uomo disse a delle persone di aver vissuto con i dirottatori in precedenza e di averli aiutati quando sono arrivati negli Stati Uniti. Non ho mai potuto provarlo e alla fine la FBI preso il controllo dell'indagine. Credo che alla fine finì solo per essere deportato perché oltre alle sue affermazioni non c'era modo di provare il suo legame con i dirottatori. Vale la pena di sottolineare che l'approccio che abbiamo usato nell'antiterrorismo è molto simile all'approccio che abbiamo usato in altri crimini come le indagini sulla droga, molto proattivo è molto basato sull'intelligence umana. La DEA prova a scoprire i crimini proattivamente e la stessa tattica funziona molto bene con l’antiterrorismo. Le cellule terroristiche e sono simili alle piccole cellule della droga. Sono entrambe organizzazioni amorfe e decentralizzate. Approcciarle usando l'intelligence umana e un insieme di altre cose è un approccio molto buono.


Undicisettembre: Cosa pensi del presunto supporto saudita che i dirottatori hanno ricevuto?

Jeffrey Higgins: Le uniche che informazioni che ho sul supporto dell'Arabia Saudita provengono dal rapporto del congresso. Sembra molto evidente che c'erano persone nel regime saudita che li stavano supportando.

L'Islam Sunnita fondamentalista è antitetico alla civiltà occidentale. Ci sono altri gruppi dell'Islam che hanno imparato ad essere più tolleranti verso le altre religioni, ma l'Islam Sunnita no. L'Islam sunnita fondamentalista è dove trovi i gruppi come al-Qaeda, l'ISIS o i Talebani. Questi regimi del Medio Oriente sono teocrazie e tutti si trovano ad avere grandi numeri di persone fondamentaliste nella loro società. Anche il regime saudita ha persone che sono più fondamentaliste o più estremiste di altre, quindi chiaramente ci sono persone nella famiglia reale che stavano supportando i dirottatori. Chiaramente ci sono persone in Arabia Saudita che supportano una versione fondamentalista dell'Islam.

Negli ultimi anni c'è stato un cambiamento in Arabia Saudita. Non sappiamo quale sia la motivazione. Forse volevano una riforma dall'interno, ma i principali finanziatori, che supportavano l'Islam fondamentalista, sono stati incarcerati in Arabia Saudita. Quindi c'è un po' di cambiamento. Non so cosa l’abbia causato.

Anche il Qatar, nonostante abbia le basi americane, è il principale finanziatore del terrorismo islamico sunnita nel mondo. Ci sono nazioni in tutto il Medio Oriente che sostengono il terrorismo sia che lo riconoscano pubblicamente sia che non lo facciano.


Undicisettembre: Sei anche stato in Afghanistan durante la guerra e mi hai anticipato di aver dovuto lottare contro un attentatore suicida. Ci puoi raccontare qualcosa su questo fatto?

Jeffrey Higgins: All'inizio del 2004 la DEA ha aperto un ufficio a Kabul perché il 90% dell'eroina mondiale viene dall'Afghanistan. La DEA ha uffici in 93 stati in tutto il mondo e la maggior parte degli uffici sono impegnati nel formare le forze dell'ordine su come raccogliere intelligence. La forza della DEA è nello sviluppare intelligence umana. Se lasci un agente della DEA sulla faccia della Luna probabilmente troverà un informatore nei primi due giorni. Quindi noi facciamo intelligence dei segnali e intercettazioni telefoniche, ma uno dei modi principali è sviluppare fonti umane all'interno delle organizzazioni criminali.

Il mio partner di allora, Tim Sellers, trovò una fonte in una cellula terroristica che operava a Kabul e che aveva dichiarato la propria responsabilità nell'avere ucciso una dozzina di tedeschi all'aeroporto nel dicembre del 2003. Arrivai lì mentre Tim lavorava su questo caso e durante il mio terzo giorno volevo uscire e incontrare la sua fonte che avrebbe incontrato uno dei fornitori di bombe della cellula. Il responsabile della DEA in Afghanistan al tempo, John O'Rourke, mi disse che dovevamo incontrare lo zar antidroga americano per cena e per un briefing informale per spiegargli cosa la nostra agenzia stava facendo lì.

Quindi mentre io ero a questo incontro e stavo mangiando gamberetti, il mio partner era fuori in macchina con la sua fonte e stava sorvegliando un fornitore di bombe che stava cercando di consegnare una bomba a un attentatore suicida per un altro attacco a Kabul. Il mio partner chiamò l’International Security Assistant Forces, l’ISAF, e non poté ottenere una squadra di intervento rapido che reagisse in tempo e finì per perdere il fornitore della bomba. Fortunatamente lo scambio non fu effettuato, quindi il giorno seguente la nostra fonte ci disse che il produttore della bomba della cellula terroristica avrebbe cercato di consegnare l’ordigno esplosivo a un altro attentatore suicida per l’attacco a Kabul.

Chiamammo l’ISAF e le forze militari che erano responsabili della sicurezza a Kabul, ci unimmo a loro e preparammo una squadra di intervento rapido. Avevamo elicotteri guidati dagli olandesi e la principale forza erano i canadesi che erano responsabili di quella zona. L’ISAF aveva il comando e il controllo dell'operazione e i norvegesi avevano forze speciali con cui lavoravamo.

Il fornitore della bomba avrebbe dovuto incontrare l'attentatore suicida in una casa da tè sul fiume Kabul per consegnare l’ordigno. La fonte era alla casa da tè e noi eravamo in macchina in strada. Quando ci giunse la notizia che l’uomo era arrivato chiamammo il QRF (quick reaction force, un convoglio di veicoli militari) della base di Kabul dell’ISAF e loro circondarono la casa da tè. Insieme a loro entrammo nella casa da tè e quando arrivammo l'attentatore suicida non c'era. Parlammo con la nostra fonte che ci disse che l'attentatore non era ancora arrivato, perché c'era stata un malinteso tra la nostra fonte e il nostro traduttore.

Quindi il mio partner e io trascinammo la fonte in macchina. Lui chiamò il fornitore della bomba e apprese che si trovava dall'altra parte del fiume. Quindi andammo dall'altra parte del fiume per cercare di mettere gli occhi sull'uomo con la bomba e lo vedemmo che camminava con una borsa di plastica. Aveva un ordigno esplosivo in una pentola a pressione con tre chili di esplosivo al plastico e un detonatore e stava camminando insieme alla nostra fonte. Quindi chiamammo il convoglio dell'ISAF affinché venisse e facesse l'arresto ma loro avevano grossi veicoli militari e la zona era troppo affollata e troppo congestionata e non potevano fare inversione e attraversare il fiume. Quindi il mio partner e io e un altro uomo americano e l'operatore radio norvegese seguimmo l'uomo con la bomba per la strada in una zona molto affollata proprio lungo il fiume. La strada si apriva in una piazza e dalla parte opposta della piazza c'erano centinaia di afghani che salivano sugli autobus per andare in varie zone del paese.

L'uomo con la bomba si stava dirigendo proprio verso uno di questi autobus e il QRF non riusciva ad arrivare per fare l'arresto. Quindi io e il mio partner saltammo fuori, attraversammo la piazza di corsa e il mio partner lo placcò. La bomba volò per aria e atterrò vicino a noi. Saltammo addosso all'uomo. Era un terrorista. Combatteva e durante il combattimento cercò di mettersi la mano in tasca. Combattemmo contro di lui per molti minuti. Credo che rimanemmo per terra con lui per quindici minuti. A un certo punto il mio partner disse “Dovrai ucciderlo perché non riesco a prendere la pistola”. Sapeva che il terrorista stava cercando di far esplodere la bomba, che era proprio accanto a noi. Quindi presi la pistola, la puntai alla testa dell'uomo e quando lo feci c'era un'enorme folla intorno a noi, circa duecento persone, e tutti loro iniziarono a urlare e a inveire perché c'era un uomo occidentale con una pistola alla testa di un uomo afghano (anche se in realtà era pakistano).

La folla iniziò a venire più vicino e lanciavano bottiglie. La situazione si scaldò e l'operatore radio norvegese saltò fuori dalla macchina e corse verso di noi mentre il nostro traduttore urlava alla folla che il sospettato era un uomo cattivo e che stavamo cercando di arrestarlo. Il norvegese prese il fucile e tenne la folla lontana, ma cercavano comunque di avvicinarsi. Un elicottero Apache passò sopra la piazza e allontanò la folla. Il mio partner stava soffocando l'uomo per farlo svenire fin quando finalmente il QRF arrivò e prese l’uomo in custodia. Recuperarono la bomba e il detonatore che teneva in tasca.


Undicisettembre: Oltre a questo cosa avete fatto in Afghanistan?

Jeffrey Higgins: Eravamo nell'ufficio della DEA a Kabul e facevamo formazione alla polizia afghana insieme ai francesi e tedeschi. Facevamo anche operazioni di intelligence. Trovavamo fonti e le mandavamo in tutto il paese a trovare informazioni su terrorismo e droga. In Afghanistan è più o meno la stessa cosa, perché i trafficanti di droga supportano i gruppi terroristici.

Lavoravamo con la polizia. Formavano una forza internazionale. Facevamo operazioni aeree con l'elicottero da Kabul, in modo da poter trasferire i poteri del governo di Kabul fino alle province. Sono stato lì dal 2004 al 2010, per il primo anno e pochi mesi eravamo stabiliti presso l'ufficio di Kabul, quindi la DEA capì che per poter funzionare devi essere autonomo, quindi crearono le squadre FAST (Foreign-Deployed And Support Teams) che sono sostanzialmente team tattici internazionali della DEA. Mi unii a loro nel 2005 e rimasi con queste squadre fino al 2010. Lavoravamo con le forze speciali americane in giro per il paese, in posti come Kandahar e Nangarhar che è storicamente una delle province della nazione con la più alta criminalità e dove c'è una forte influenza dei Talebani ed è una delle province del paese con la più grande produzione di eroina. Passai molto tempo lì lavorando sui legami tra la droga e il terrorismo.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie della cospirazione secondo cui l’11/9 è stato un autoattentato?

Jeffrey Higgins: Sono ridicole. Sono assurde. Le cospirazioni accadono, quindi se qualcosa sembra una cospirazione deve essere investigata. Le persone se ne escono con queste idee costantemente e vale la pena di considerarle e di cercare delle evidenze, ma le coincidenze non sono evidenze. Cose che non sembrano razionali non sono evidenze.

L’idea che il governo americano abbia avuto qualcosa da guadagnare nel commettere un atto del genere contro il proprio popolo è semplicemente assurda. Questo non significa che i governi non mentano e che questo governo non abbia mentito, ma in questo caso non c'è neanche una briciola di evidenza. Una nazione non ha bisogno di attaccare sé stessa per giustificare un intervento militare.


Undicisettembre: Cosa pensi della sicurezza oggi? La nazione è più sicura di quanto fosse nel 2001?

Jeffrey Higgins: Beh, siamo una società libera e in una società libera puoi essere al sicuro solo fino a un certo punto Ma oggi siamo più al sicuro perché la gente capisce le minacce dell'Islam fondamentalista e i nostri sforzi hanno reso la situazione migliore. Le reti di intelligence funzionano meglio, la raccolta dei dati funziona meglio, la comprensione di questa minaccia è migliore. Quindi direi di sì, siamo più al sicuro perché siamo consapevoli di quale sia la minaccia ma siamo anche vulnerabili sotto molti aspetti, come la sparatoria a Las Vegas: un uomo con un fucile. Quindi ci potrà sempre essere un gruppo di terroristi con delle armi da fuoco che paralizzano la nazione per un po'. In una nazione libera è molto facile colpire obiettivi deboli, come i civili. Siamo più sicuri di come eravamo, ma non puoi mai essere completamente al sicuro dal terrorismo.

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