di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.
Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto del sopravvissuto Jim Campbell, che l'11/9 si trovava a New York per un viaggio di lavoro ed era al sessantaquattresimo piano della Torre Sud al momento del primo schianto.
Il racconto di Campbell non solo fornisce un ulteriore tassello per capire cosa è successo quel giorno ma fornisce anche dettagli importanti su come funzionava la sicurezza al World Trade Center, confermando nuovamente che sarebbe stato impossibile per eventuali cospiratori andare a posizionare esplosivi senza essere notati.
Ringraziamo Jim Campbell per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto del sopravvissuto Jim Campbell, che l'11/9 si trovava a New York per un viaggio di lavoro ed era al sessantaquattresimo piano della Torre Sud al momento del primo schianto.
Il racconto di Campbell non solo fornisce un ulteriore tassello per capire cosa è successo quel giorno ma fornisce anche dettagli importanti su come funzionava la sicurezza al World Trade Center, confermando nuovamente che sarebbe stato impossibile per eventuali cospiratori andare a posizionare esplosivi senza essere notati.
Ringraziamo Jim Campbell per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di cosa hai visto e vissuto quel giorno?
Jim Campbell: Ero arrivato a New York in aereo la sera precedente e alloggiavo sull'altro lato della strada rispetto alle Torri Gemelle. Ero rimasto sveglio fino all'una di notte a controllare le email e fare altro, quindi avevo puntato la sveglia per le 6:15. La mattina seguente mi svegliai e andai al centro commerciale sotto le Torri Gemelle, presi un bagel con del formaggio spalmabile e guardai le persone che passavano, quindi camminai verso il lobby [l'atrio d'ingresso] di entrambe le torri. Quando attraversavi il lobby ti veniva fatta una foto e ti davano una tessera di riconoscimento con la tua foto, la data e i piani ai quali avresti dovuto accedere; con quella tessera potevi andare agli ascensori e andare a qualunque piano ti fosse stato assegnato. La sicurezza al World Trade Center era veramente buona. Salii al sessantaquattresimo piano della Torre Sud, parlai con la receptionist e lei mi portò alla sala dove la mia riunione avrebbe dovuto iniziare alle 8:00. Credo che iniziammo leggermente in ritardo, forse alle 8:05.
Guardai fuori dalla finestra e contemplai New York, probabilmente era la miglior visuale che avessi mai visto: il ponte di Brooklyn a destra, l'Empire State Building, Central Park. Era una vista stupenda! Procedemmo con la nostra riunione ed eravamo quasi alla fine, riassumendo le decisioni che avevamo preso alle 8:52 o 8:53, quando sentii molto forte il motore di un aereo, quindi uno schianto e un'esplosione. Ci guardammo in faccia e poi fuori dalla finestra: il cielo era pieno di carta. Vedevamo il lato est della Torre Nord e da lì non sembrava che la situazione fosse così grave come dal lato nord, che vidi in seguito, perché c'erano forse 14 o 15 finestre rotte con del fuoco all'interno. La Morgan Stanley era preparata, in modo che se fosse successo qualcosa a una delle due torri avremmo dovuto uscire, e quindi Sandy, la donna che era con me, iniziò a correre per tutto il piano urlando a tutti di uscire e andare giù. Quindi presi le mie cose e la seguii; in realtà lasciai lì il mio computer pensando che saremmo tornati, come in un’esercitazione antincendio.
Così iniziammo a scendere le scale, ma era come in un’esercitazione, le persone ridevano e scherzavano. Quando ci trovammo al trentesimo piano la nostra torre fu colpita, tutto il palazzo si spostò di due o tre metri e iniziò a oscillare avanti e indietro e quindi si fermò. Dondolò per circa 7 o 8 secondi. A quel punto tutti erano in preda al panico e la gente iniziò a camminare più velocemente e la discesa accelerò molto. Arrivammo al centro commerciale sotto le torri e lì c'erano poliziotti e ufficiali della Port Authority che ci indicavano la via in modo da farci uscire; tutti stavano uscendo dall'edificio mentre loro ci mandavano verso le scale che ci avrebbero portato al livello del lobby che si affacciava sul tetto del centro commerciale. Sembrava una zona di guerra, c'erano pezzi di vetroresina gialla dell'aereo, c'erano scarpe, c'era una pila di poltiglia che sembrava una persona rivoltata, con le interiora di fuori. Ci tenevano lontani dalle finestre e in continuo movimento per uscire. Arrivammo al municipio, che era a un isolato di distanza, eravamo migliaia di persone semplicemente lì in piedi a guardare in alto mentre entrambe le torri bruciavano.
Fu allora che sentii per la prima volta che le torri erano state colpite da aerei, perché la donna davanti a me era al quarantaquattresimo piano della Torre Nord e stava guardando fuori dalla finestra quando vide l'aereo che le volava proprio sopra. A quel punto qualcuno cominciò a gettarsi dall'edificio e io decisi di non guardare, quindi camminai intorno al municipio, che è un grosso complesso, ed entrai in un negozio per prendere una Coca Cola. Misi il mio bicchiere sotto l'erogatore per prendere del ghiaccio e quando lo feci l'intero palazzo tremò e la Torre Sud crollò. Uscii dal negozio, mi guardai intorno nella via e sentii l'odore della polvere e delle macerie. Continuai a camminare verso ovest ed era lì che i pompieri si raggruppavano, avevano camion lungo tutta la strada e c'era una colonna di pompieri che camminavano verso le Torri: fu una cosa incredibile da vedere.
Per qualche ragione pensai che avrei dovuto tornare al mio hotel, ma la strada era bloccata e non facevano avvicinare. Rimasi al West End e passai 10 o 15 minuti in coda a una cabina telefonica perché i cellulari non funzionano, e fu allora che la Torre Nord crollò. La vidi crollare e continuai a camminare verso nord. Arrivai a Midtown e mentre camminavo c'erano le auto parcheggiate con le radio accese e le portiere aperte e una cerchia di persone che ascoltavano, si parlava di un altro aereo che stava arrivando a New York e di un aereo su Washington. Non sapevamo cosa fosse vero e cosa no.
C'erano automobili con la radio accesa e persone che ascoltavano ogni quattro o cinquecento metri. Arrivai in un bar chiamato Barney Macs che aveva due telefoni a pagamento, presi una birra e chiamai anzitutto mia moglie per dirle che stavo bene e le chiesi di individuare dove fosse Nate, un mio dipendente che si trovava a New York, e di dirgli dove mi trovavo. Quindi chiamai la mia azienda per dire anche a loro dov'ero. Trascorsi il resto della giornata lì, a dirigere l'azienda, cercando di gestire ciò che stava succedendo, cercando di capire cosa avrei dovuto fare per il resto della giornata, chiamando le persone che avrei dovuto vedere per dir loro che in quel momento non avrei potuto.
Undicisettembre: Dove rimanesti quella notte?
Jim Campbell: Camminammo in giro e trovammo un piccolo hotel che aveva una stanza che condivisi con Nate. Prendemmo una stanza lì, ma avevano posto solo per una notte e quindi la sera seguente camminammo fino a Times Square e passammo le due notti successive al Marriott.
Undicisettembre: Quanto sei rimasto a New York prima di tornare a casa?
Jim Campbell: Fino a venerdì mattina, quando ripartirono i treni e fu possibile uscire dalla città. C'era una coppia che conoscevo nel New Jersey, quindi presi un treno fino al New Jersey e mi vennero a prendere e mi portarono a casa loro. A quel punto capii che avrei dovuto muovermi verso casa, chiamai l'aeroporto per sapere se potevo prendere un'auto, ne avevano solo una piccola. Ma mi andava bene. Mi portarono in aeroporto, la donna all'autonoleggio mi chiese se ne volessi una più grande e dissi ovviamente di sì; mi diede una Cadillac, così potei attraversare tutta la nazione senza costi aggiuntivi per il chilometraggio o per la restituzione in un luogo diverso; non credo che avesse capito che avrei guidato fino a San Francisco. Quindi presi l'auto e cominciai ad andare verso ovest. Attraversai il New Jersey, la Pennsylvania e mi fermai per la prima notte nell’Ohio.
Undicisettembre: Tornando all’11/9, cosa pensi dei pompieri e dei soccorritori che hanno rischiato le proprie vite per salvare gli altri?
Jim Campbell: Fu una delle cose più incredibili che io abbia mai visto. Ho sentito cose del genere in passato, mio zio era sulla USS Arizona a Pearl Harbor, sopravvisse all'attacco iniziale e il suo comandante chiese a tutti i volontari di scendere ad allagare la zona dove c'erano le munizioni. Mio zio scese e non tornò mai più. Quindi avevo sentito parlare di eroismo come questo, ma non lo avevo mai visto, quindi per me i pompieri furono incredibili. Alcuni di loro erano molto giovani, probabilmente tra 20 e 22 anni, e altri erano veterani.
Quando mi trasferii a Tucson, uno dei primi contatti che stabilìi fu con il comandante dei pompieri; per l'anniversario ponemmo due luci gemelle su una montagna [foto a sinistra N.d.R.] e celebrammo lì anche il decimo anniversario. Sono rimasto in contatto con loro e li aiuto tuttora.
Prima dell'11/9 pensavo che fare il pompiere fosse un lavoro piuttosto semplice, con 7 giorni di lavoro e 7 giorni a casa. Ma guardarli avanzare e continuare mentre l'altro palazzo era già caduto fu la cosa più straordinaria che avessi mai visto.
Undicisettembre: Hai sofferto di stress post traumatico?
Jim Campbell: Sì, per circa una settimana. Mi ci vollero tre giorni e mezzo per arrivare a San Francisco e in quei giorni quando mi svegliavo la mattina e mi facevo la doccia mi mettevo a piangere, non sapevo perché piangessi, piangevo e basta. Le emozioni erano molto vive.
Sulla via di casa mi fermai alla cattedrale di Notre Dame e mentre camminavo per tornare alla mia auto vidi una stazione dei pompieri con degli striscioni neri; c'erano due pompieri che stavano salendo su un camion e mi avvicinai a loro. Mi dissero: “Possiamo fare qualcosa per te?” e io risposi “Arrivo da New York, ero nel World Trade Center, ho visto i vostri fratelli entrare nei palazzi ed è stata la cosa più incredibile che abbia mai visto. Volevo solo ringraziarvi.” Avevo le lacrime agli occhi, lì guardai e anche loro stavano piangendo.
Quando arrivai a San Francisco piansi ancora per quattro o cinque giorni, ma la notte facevo sogni strani e cupi. Una delle cose chi mi aiutò a superare questo momento fu scrivere la mia storia. A quel tempo dirigevo un'azienda di 150 persone, per cui quando tornai in azienda invece di raccontare la mia storia a tutti più e più volte inviai la mia storia scritta; così quando parlavo con qualcuno avevo l’opportunità di parlare di come stavo, perché non dovevo raccontare la storia. Questo mi aiutò molto.
Undicisettembre: Quanto tempo ti ci è voluto per tornare alla normalità?
Jim Campbell: Presi la mia vita e mi mossi in avanti. Lasciai il mio lavoro e mi trasferii con la mia famiglia in un'altra città. Indietro non si tornava, fu un andare avanti. Per un anno non feci nulla, mi occupai del rinnovamento della casa nuova. Non ricominciai a lavorare fino all'estate del 2003. Appena ricominciai a lavorare iniziai ad abituarmi al lavoro e a venire a casa alla sera. Mi ci volle un po' per arrivare al punto di pensare di essermi stabilito.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie di complotto secondo cui l’11/9 fu un autoattentato?
Jim Campbell: Ho degli amici e un dipendente che ne parlano, lo trovo frustrante. Ho letto ogni libro sull'11/9, il Commission Report, il New York Times per un anno, il libro di Popular Mechanics e il dato di fatto è che se eri lì hai visto e sentito ciò che è successo: non c'erano esplosivi nei palazzi. Non fu un piccolo aereo che si schiantò contro il Pentagono.
Tendo a ignorare queste persone.
Undicisettembre: Prima hai detto che quando entravi al World Trade Center ti facevano una foto. Questo significa che se c’è stato un complotto, allora anche il personale all'ingresso ne deve far parte, perché nessuno può essere entrato a piazzare gli esplosivi senza essere visto.
Jim Campbell: Sì, dovevi avere una tessera di riconoscimento. Quindi anche quell'uomo avrebbe dovuto far parte del complotto e anche la Port Authority, che ha perso molti uomini, deve pure esserne parte, perché erano i responsabili della sicurezza, il che non ha alcun senso.
Undicisettembre: Hai mai provato a discutere con queste persone che conosci che credono alle teorie del complotto?
Jim Campbell: Sì. Ma è difficile discuterci perché non presentano fatti. Puoi provare a spiegare loro della temperatura dell’acciaio: io sono un ingegnere, quindi posso provare a spiegare loro che il peso sopra a quella parte di acciaio arriva al punto in cui crolla e ciò che l'inerzia fa da lì in avanti, ma con loro non ha alcuna importanza. Sono solo capaci di dire “Sono stati Bush o Cheney o l’FBI o Wall Street.”
È difficile discuterci. Credono così tanto in ciò che dicono che crederanno sempre a ciò che gli fa comodo. Ho avuto queste discussioni, ma le ho trovate frustranti, quindi tendo a ignorarli.
Undicisettembre: Avendo visto con i tuoi occhi il secondo crollo, puoi confermare che non ci furono esplosioni durante il crollo?
Jim Campbell: Sì. In realtà si vede bene che la sommità del palazzo si è inclinata sopra a dove l'aereo aveva colpito, e quindi il palazzo ha iniziato a crollare su se stesso. Da ingegnere, per me è piuttosto ovvio che una parte della struttura dei solai ha ceduto e quindi improvvisamente c’è tutto questo peso che scende. Si vede molto bene.
Undicisettembre: Credi che la nazione viva ancora nella paura o ha secondo te recuperato la sua posizione mondiale?
Jim Campbell: L'11/9 ha unito la nazione e il mondo occidentale. Credo che George Bush abbia fatto un buon lavoro nell’unire la nazione. Ora non concordo con ciò che viene fatto e non mi sento al sicuro, temo che il Medioriente possa esplodere e che l’ISIS stia diventando sempre più forte.
Credo che la nazione sia divisa su questo punto e può essere una grossa parte delle prossime elezioni. Dobbiamo decidere che tipo di nazione vogliamo essere.
2 commenti:
Grazie per il tuo lavoro Hammer, un punto di vista davvero interessante.
Grazie a te per l'apprezzamento.
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