2019/11/18

Cosa sapeva l'NSA prima dell'11/9: il centro per le comunicazioni di Sana'a

di Hammer

A metà degli anni 90 al-Qaeda attivò a Sana'a, capitale dello Yemen, un centro di comando che fu utilizzato principalmente come snodo per le comunicazioni. La scelta di porre questa sede nello Yemen fu dettata dai migliori collegamenti telefonici e aerei che la penisola araba aveva rispetto a quelli afghani.

L'edificio utilizzato come centro per le comunicazioni si trova, secondo quanto riportato dal libro The Shadow Factory di James Bamford del 2008, al vertice nord-occidentale del quartiere di Madbah e lo stesso Bamford riferì nel documentario The Spy Factory di averlo identificato con quello riportato nella foto sottostante. Il proprietario dell'edificio che lo mise a disposizione di al-Qaeda era lo yemenita Ahmed al-Hada la cui figlia Hoda avrebbe sposato il terrorista e dirottatore del volo American Airlines 77 (quello che si schiantò sul Pentagono) Khalid al-Mihdhar.


La struttura era dotata di un telefono satellitare Compact M comprato dal miliziano di al-Qaeda Ziyad Khalil a Deer Park, nello stato di New York, per 7.500$ che si poteva connettere alla rete telefonica satellitare Inmarsat.

Il dispositivo venne usato per coordinare molte e importantissime operazioni di al-Qaeda. Non è chiaro quando gli investigatori americani siano venuti a conoscenza dell'esistenza di questa base a Sana'a; secondo James Bamford l'NSA lo scoprì alla fine del 1996, mentre secondo quanto riportato da Lawrence Wright (autore del più completo volume sulla storia di al-Qaeda, The Looming Tower) la scoperta dell'esistenza di questa sede avvenne nel 1998. Gli investigatori riuscirono a risalire al numero di telefono del dispositivo, che al tempo era +967-1-200-578, e grazie a questa scoperta risalirono anche al numero di telefono personale di Osama bin Laden il quale comunicava spesso con il centro yemenita. Al tempo bin Laden utilizzava il numero telefonico +873-682505331 (873 era al tempo il prefisso Inmarsat dell'area dell'Oceano Indiano, i prefissi locali per Inmarsat sono stati dismessi a dicembre del 2018).

La CIA mise sotto controllo il telefono nella casa di Sana'a ed ottenne informazioni sulle attività di al-Qaeda come summit del terrore che si sarebbe tenuto in Malesia nel gennaio del 2000, ottenendo anche i nomi di due dei partecipanti: Khalid al-Mihdhar e Nawaf al-Hazmi (entrambi futuri dirottatori dell'11/9). Tuttavia la CIA non comunicò le informazioni raccolte all'FBI, ma le condivise solo con i servizi segreti Sauditi grazie a cui scoprì che i due erano legati ad al-Qaeda. Grazie a queste informazioni alcuni agenti della CIA riuscirono ad entrare nella camera di albergo di Dubai in cui al-Mihdhar si era fermato durante il suo viaggio verso la Malesia, gli agenti fotocopiarono il passaporto del terrorista e scoprirono che aveva un visto per entrare negli USA, ma di nuovo non ne informarono l'FBI né il Dipartimento di Stato.

Al-Mihdhar e al-Hazmi arrivarono negli USA pochi giorni dopo l'incontro in Malesia e da San Diego effettuarono varie telefonate verso la sede di Sana'a, e durante il periodo che trascorsero in California ricevettero anche molte chiamate dalla stessa sede. Alcune di queste comunicazione erano di carattere personale, ad esempio tra al-Mihdhar e la moglie che viveva proprio nella casa utilizzata come centro per le comunicazioni, ma altre servivano a dare indicazioni operative ai terroristi.

L'NSA intercettò queste chiamate ma, stando a quando a quanto asserito da Michael Hayden, direttore dell'NSA dal 1999 al 2005, l'agenzia di cui era a capo non poteva risalire al luogo da cui le chiamate venivano effettuate. Tuttavia il membro del Senior Executive Service dell'NSA Thomas Drake sostenne che la tesi di Hayden non corrispondeva alla realtà perché l'NSA è sempre stata in grado di individuare la provenienza delle telefonate al centro di Sana'a, come confermato dal fatto che sono stati in grado di identificare il telefono da cui chiamava bin Laden già negli anni 90.

Un'analisi di Peter Bergen del 2013 evidenzia come ciò che è mancato prima dell'11/9 non è stato tanto la raccolta delle informazioni, quando la condivisione delle stesse tra le varie agenzie e mostra come la situazione non sia migliorata dopo il 2001; l'articolo cita infatti altri quattro casi di mancata comunicazione avvenuti tra il 2008 e il 2009. Il cittadino americano David Headley ebbe un ruolo fondamentale nel coordinamento dell'attentato che a Mumbai uccise 166 persone nel 2008; le autorità americane avevano avuto informazioni sulle sue affiliazioni a gruppi terroristi ma non indagarono a fondo per tempo. Il medico militare Nidal Hasan uccise 13 persone in una sparatoria a Fort Hood in Texas nel 2009; i suoi legami con il terrorista yemenita Anwar al-Awlaki erano noti, ma sottovalutati dagli investigatori. Carlos Bledsoe, americano convertito all'Islam, uccise un soldato a Little Rock nell'Arkansas nel 2009; l'uomo era sorvegliato dall'FBI per un suo recente viaggio in Yemen, tuttavia riuscì a comprare le armi e a realizzare il suo folle intento. Il nigeriano Umar Farouk AbdulMutallab nel giorno di Natale del 2009 tentò di far esplodere il volo Northwest Airlines 253, partito da Amsterdam, sopra la città di Detroit, ma l'ordigno non funzionò; il padre aveva avvisato l'ambasciata del fatto che suo figlio avesse tendenze estremiste e che forse stava pianificando un attentato.

L'analisi di Bergen è tristemente corretta: il caso del centro operativo di Sana'a indica infatti come anche l'11/9 avrebbe potuto essere evitato se le agenzie investigative non avessero sottovalutato la minaccia dei terroristi sul suolo americano.

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