di Hammer
Un aspetto controverso e poco noto della vita di Osama bin Laden riguarda quanto avvenuto nei primi giorni di febbraio del 1994, durante il suo periodo di vita in Sudan, quando un gruppo di miliziani libanesi tentò di ucciderlo dapprima nella moschea che frequentava regolarmente e in seguito nella sua abitazione.
I fatti di quei giorni sono tuttora, a oltre vent'anni di distanza, poco chiari e le informazioni disponibili sono poche e spesso contraddittorie. Le fonti da noi utilizzate sono i libri di Peter Bergen Holy War, inc e The Osama bin Laden I know, The Looming Tower di Lawrence Wright, The Search for al Qaeda di Bruce Riedel e Canada in Sudan di Peter Pigott oltre all'articolo Bin Laden's Plush Life in Sudan di Tina Susman, pubblicato su Newsday il 26 agosto 1998, e a un articolo di Mohammed Ibrahim Naqd pubblicato sul quotidiano al Hayat il 18 novembre 2001 (quest'ultimo è disponibile solo in arabo, ma è complessivamente comprensibile grazie a Google Translate).
Il 4 febbraio del 1994, nella città di Omdurman, un gruppo di libanesi armati di kalashnikov e guidati dal connazionale Mohammed Abdullah al-Khilaifi assaltò una stazione di polizia, dove uccise due agenti per poi rubare armi e munizioni. Il gruppo si diresse quindi verso la moschea di Ansar al-Sunnah, nella periferia della città, dove alla conclusione della preghiera della sera aprì il fuoco indiscriminatamente sulla folla, uccidendo sedici persone e ferendone altre venti. La moschea era frequentata dai sauditi residenti nella zona, tra cui Osama bin Laden, che quel giorno era insolitamente assente.
Gli assalitori trascorsero la notte nascosti nei pressi dell'aeroporto di Khartoum. Il giorno seguente ingaggiarono uno scontro a fuoco con alcuni poliziotti per le strade di Khartoum e si diressero quindi verso la sede della Wadi al Aqiq, la holding fondata in Sudan dallo stesso bin Laden, dove aprirono il fuoco su alcuni dipendenti di Osama.
Il gruppo libanese giunse quindi alla residenza di Osama (immagine a fianco) nel quartiere Al-Riyadh di Khartoum intorno alle cinque del pomeriggio, quando bin Laden era solito aprire le porte di casa per ricevere ospiti. I libanesi spararono proprio verso il posto dove Osama era solito sedersi quando riceveva ospiti, ma in quel momento bin Laden era altrove impegnato in una discussione con il figlio maggiore Abdullah. Le guardie personali di Osama risposero al fuoco e nel conflitto e conseguente inseguimento rimasero uccisi tutti i membri del gruppo di al-Khilaifi (due secondo Wright, tre secondo Naqd), ad esclusione del loro leader, e alcune guardie di bin Laden.
Una settimana dopo l'accaduto, Osama bin Laden ha raccontato in un'intervista rilasciata al quotidiano National Salvation Front di ritenere che si trattasse di un tentativo di assassinarlo e che non fosse un gesto casuale, come accadeva frequentemente a Khartoum, ma pianificato e deliberato.
Al-Khilaifi rimase ferito negli scontri, fu portato in ospedale e fu poi sottoposto a processo ma, secondo quanto riportato da Naqd, rifiutò di rispondere alle domande e di nominare un avvocato; al termine del processo fu decisa per lui la condanna a morte.
Nonostante siano trascorsi più di vent'anni, molti aspetti della vicenda sono ancora poco chiari. Il primo dubbio riguarda i mandanti del duplice attentato. Un'indagine della CIA ha individuato l'Arabia Saudita come mandante del gruppo libanese, ma i sauditi hanno smentito di avere avuto alcun ruolo nella vicenda; tuttavia alcuni esperti, tra cui Peter Bergen e Bruce Riedel, non ritengono la smentita del tutto credibile e ad oggi non è chiaro chi fossero i mandanti.
Un secondo punto dibattuto riguarda le tempistiche con cui l'azione si sarebbe svolta. Lawrence Wright riporta nelle note al suo volume che secondo alcuni testimoni la sparatoria alla Moschea e quella nella casa di bin Laden non sarebbero avvenute in giorni consecutivi ma addirittura a distanza di diverse settimane e che i due attacchi sarebbero quindi due tentativi distinti di uccidere il terrorista saudita. Tuttavia questa versione è ritenuta poco credibile in quanto collide con la maggior parte delle testimonianze tra cui quello dello stesso bin Laden.
Altri dettagli, in contrasto con quanto già noto, sono emersi anche nel 2007 quando il sito di giornalismo investigativo Interlwire ha ottenuto un cablogramma, reso pubblico tramite una richiesta FOIA, che riporta una deposizione rilasciata in tribunale da al-Khilaifi che avrebbe raccontato una versione completamente diversa. Al-Khilaifi avrebbe infatti sostenuto che l'attacco alla Moschea sarebbe stato ordinato da ufficiali sudanesi e appoggiato da bin Laden allo scopo di uccidere alcuni oppositori. Dopo la sparatoria al-Khilaifi si sarebbe quindi diretto a casa di bin Laden, dove sarebbe nato un conflitto a fuoco con le sue guardie dopo che Osama avrebbe manifestato il proprio dissenso con l'attacco alla moschea. Nonostante non ci sia motivo di dubitare dell'autenticità del cablogramma, anche questa versione sembra poco realistica, in quanto contrasta con quanto dichiarato dallo stesso bin Laden e anche con le conclusioni a cui è giunta l'indagine della CIA.
A distanza di oltre vent'anni e dopo la morte di gran parte dei protagonisti di questa vicenda appare impossibile che si faccia mai totale chiarezza su quanto avvenuto.
Un aspetto controverso e poco noto della vita di Osama bin Laden riguarda quanto avvenuto nei primi giorni di febbraio del 1994, durante il suo periodo di vita in Sudan, quando un gruppo di miliziani libanesi tentò di ucciderlo dapprima nella moschea che frequentava regolarmente e in seguito nella sua abitazione.
I fatti di quei giorni sono tuttora, a oltre vent'anni di distanza, poco chiari e le informazioni disponibili sono poche e spesso contraddittorie. Le fonti da noi utilizzate sono i libri di Peter Bergen Holy War, inc e The Osama bin Laden I know, The Looming Tower di Lawrence Wright, The Search for al Qaeda di Bruce Riedel e Canada in Sudan di Peter Pigott oltre all'articolo Bin Laden's Plush Life in Sudan di Tina Susman, pubblicato su Newsday il 26 agosto 1998, e a un articolo di Mohammed Ibrahim Naqd pubblicato sul quotidiano al Hayat il 18 novembre 2001 (quest'ultimo è disponibile solo in arabo, ma è complessivamente comprensibile grazie a Google Translate).
Il 4 febbraio del 1994, nella città di Omdurman, un gruppo di libanesi armati di kalashnikov e guidati dal connazionale Mohammed Abdullah al-Khilaifi assaltò una stazione di polizia, dove uccise due agenti per poi rubare armi e munizioni. Il gruppo si diresse quindi verso la moschea di Ansar al-Sunnah, nella periferia della città, dove alla conclusione della preghiera della sera aprì il fuoco indiscriminatamente sulla folla, uccidendo sedici persone e ferendone altre venti. La moschea era frequentata dai sauditi residenti nella zona, tra cui Osama bin Laden, che quel giorno era insolitamente assente.
Gli assalitori trascorsero la notte nascosti nei pressi dell'aeroporto di Khartoum. Il giorno seguente ingaggiarono uno scontro a fuoco con alcuni poliziotti per le strade di Khartoum e si diressero quindi verso la sede della Wadi al Aqiq, la holding fondata in Sudan dallo stesso bin Laden, dove aprirono il fuoco su alcuni dipendenti di Osama.
Il gruppo libanese giunse quindi alla residenza di Osama (immagine a fianco) nel quartiere Al-Riyadh di Khartoum intorno alle cinque del pomeriggio, quando bin Laden era solito aprire le porte di casa per ricevere ospiti. I libanesi spararono proprio verso il posto dove Osama era solito sedersi quando riceveva ospiti, ma in quel momento bin Laden era altrove impegnato in una discussione con il figlio maggiore Abdullah. Le guardie personali di Osama risposero al fuoco e nel conflitto e conseguente inseguimento rimasero uccisi tutti i membri del gruppo di al-Khilaifi (due secondo Wright, tre secondo Naqd), ad esclusione del loro leader, e alcune guardie di bin Laden.
Una settimana dopo l'accaduto, Osama bin Laden ha raccontato in un'intervista rilasciata al quotidiano National Salvation Front di ritenere che si trattasse di un tentativo di assassinarlo e che non fosse un gesto casuale, come accadeva frequentemente a Khartoum, ma pianificato e deliberato.
Al-Khilaifi rimase ferito negli scontri, fu portato in ospedale e fu poi sottoposto a processo ma, secondo quanto riportato da Naqd, rifiutò di rispondere alle domande e di nominare un avvocato; al termine del processo fu decisa per lui la condanna a morte.
Nonostante siano trascorsi più di vent'anni, molti aspetti della vicenda sono ancora poco chiari. Il primo dubbio riguarda i mandanti del duplice attentato. Un'indagine della CIA ha individuato l'Arabia Saudita come mandante del gruppo libanese, ma i sauditi hanno smentito di avere avuto alcun ruolo nella vicenda; tuttavia alcuni esperti, tra cui Peter Bergen e Bruce Riedel, non ritengono la smentita del tutto credibile e ad oggi non è chiaro chi fossero i mandanti.
Un secondo punto dibattuto riguarda le tempistiche con cui l'azione si sarebbe svolta. Lawrence Wright riporta nelle note al suo volume che secondo alcuni testimoni la sparatoria alla Moschea e quella nella casa di bin Laden non sarebbero avvenute in giorni consecutivi ma addirittura a distanza di diverse settimane e che i due attacchi sarebbero quindi due tentativi distinti di uccidere il terrorista saudita. Tuttavia questa versione è ritenuta poco credibile in quanto collide con la maggior parte delle testimonianze tra cui quello dello stesso bin Laden.
Altri dettagli, in contrasto con quanto già noto, sono emersi anche nel 2007 quando il sito di giornalismo investigativo Interlwire ha ottenuto un cablogramma, reso pubblico tramite una richiesta FOIA, che riporta una deposizione rilasciata in tribunale da al-Khilaifi che avrebbe raccontato una versione completamente diversa. Al-Khilaifi avrebbe infatti sostenuto che l'attacco alla Moschea sarebbe stato ordinato da ufficiali sudanesi e appoggiato da bin Laden allo scopo di uccidere alcuni oppositori. Dopo la sparatoria al-Khilaifi si sarebbe quindi diretto a casa di bin Laden, dove sarebbe nato un conflitto a fuoco con le sue guardie dopo che Osama avrebbe manifestato il proprio dissenso con l'attacco alla moschea. Nonostante non ci sia motivo di dubitare dell'autenticità del cablogramma, anche questa versione sembra poco realistica, in quanto contrasta con quanto dichiarato dallo stesso bin Laden e anche con le conclusioni a cui è giunta l'indagine della CIA.
A distanza di oltre vent'anni e dopo la morte di gran parte dei protagonisti di questa vicenda appare impossibile che si faccia mai totale chiarezza su quanto avvenuto.
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