di Paolo Attivissimo, con il contributo di Screwloosechange e degli utenti del forum della James Randi Educational Foundation. L'articolo è stato aggiornato e ampliato dopo la pubblicazione iniziale.
E' stato pubblicato nell'
Open Chemical Physics Journal un articolo, intitolato
Active Thermitic Material Discovered in Dust from the 9/11 World Trade Center Catastrophe, che asserisce la presenza di
"materiale termitico non reagito" (
"unreacted thermitic material") in alcuni campioni di polvere provenienti dalle macerie del World Trade Center.
L'articolo è firmato da Niels H. Harrit, Jeffrey Farrer, Steven E. Jones, Kevin R. Ryan, Frank M. Legge, Daniel Farnsworth, Gregg Roberts, James R. Gourley e Bradley R. Larsen.
Alcuni di questi nomi saranno familiari ai lettori di Undicisettembre: Steven Jones e Kevin Ryan, per esempio, sono fra i più assidui assertori delle teorie di demolizione controllata del World Trade Center; Roberts e Gourley sono membri di associazioni che sostengono queste ed altre teorie di complotto riguardanti gli eventi dell'11 settembre 2001. Altri nomi, compreso quello del primo firmatario, sono meno noti.
Chi è Niels Harrit?
Niels H. Harrit (immagine qui a destra, tratta da
questa apparizione televisiva danese) è il firmatario principale dell'articolo, che lo associa al
"Department of Chemistry, University of Copenhagen, Denmark". Secondo il dipartimento di chimica in questione, ha il ruolo di
"lektor" e un notevole
elenco di pubblicazioni scientifiche in campo chimico.
Alcuni suoi
scritti lo presentano come "
Associate Professor at the Department of Chemistry, University of Copenhagen", con una dicitura (
"has been") che sembra indicare che non sia più in attività, ma è possibile che si tratti di un semplice errore grammaticale. Cosa più importante, questi stessi scritti indicano che il suo sostegno alle teorie cospirazioniste è basato su premesse fasulle.
Per esempio,
sostiene che il crollo del WTC7 fu anomalo perché richiese soltanto 6,4 secondi; ma i dati sismografici e le registrazioni video indicano che il crollo durò almeno 13 secondi, ossia almeno il doppio di quanto asserito da Harrit.
Sostiene che nessuna struttura in acciaio fosse mai crollata prima per incendio, mentre abbiamo visto che non è affatto così (
dettagli;
altri dettagli).
Sostiene che il mancato crollo completo della Windsor Tower di Madrid dimostra che le Torri Gemelle non dovevano crollare, ma abbiamo visto che la Windsor Tower aveva una struttura in
cemento armato e acciaio (mentre il WTC aveva soltanto elementi strutturali in acciaio), per cui il paragone è grossolanamente errato. Anzi, tutta la parte in acciaio della Windsor Tower crollò, nonostante l'edificio non fosse stato colpito da un aereo di linea e non fosse stato incendiato da oltre 30.000 litri di carburante (
dettagli).
In altre parole, Harrit è un esperto nel proprio settore, ma come spesso avviene, quando esce dal proprio campo di competenza rischia di sbagliarsi tanto quanto qualunque altra persona se gli vengono passate informazioni errate e non si ferma a verificarle.
L'importanza del "materiale termitico"
Steven Jones, altro firmatario dell'articolo ed ex professore di fisica alla Brigham Young University, sostiene da tempo che le Torri Gemelle sarebbero state demolite grazie a una sostanza a base di
termite, una miscela incendiaria usata per le saldature in vari campi, che sarebbe stata applicata a mo' di vernice alla struttura dei grattacieli e innescata (sempre secondo Jones) tramite impulsi radio: una tesi presentata dal professore anche durante il programma radiofonico
Air America Radio (8 maggio 2008), come descritto
qui a suo tempo.
L'articolo dell'
Open Chemical Physics Journal è quindi significativo, perché sembra dare un inizio di base scientifica a questa tesi. Infatti i siti cospirazionisti celebrano questa pubblicazione come un successo, come si può leggere su
Luogocomune.net, su
Megachip.info o su
Effedieffe.com, che traduce in italiano la segnalazione in inglese di
911blogger.com:
In breve, il documento cancella la versione ufficiale secondo cui “non esistono prove” per dimostrare la presenza di materiale esplosivo/pirotecnico negli edifici delle Torri Gemelle.
(da Effedieffe.com)
Clamoroso: trovata sabbia nel deserto, acqua nel mare
Tanto entusiasmo pare lievemente prematuro. Lascio la discussione estesa dei dettagli tecnici al parere dei chimici di Undicisettembre, che stanno esaminando l'articolo, ma va segnalato il
commento a caldo dei tecnici del James Randi Educational Forum.
L'articolo di Harrit, Jones
et al. afferma, in sintesi, che le analisi hanno trovato ossido di ferro e alluminio in alcuni campioni di polvere e macerie minute del WTC. Secondo Steven Jones e colleghi, questo dimostrerebbe inequivocabilmente che al WTC fu presente della termite, che è appunto costituita principalmente da ossido di ferro e alluminio.
Ma i tecnici del JREF notano che
c'era un'altra cosa che al WTC conteneva ossido di ferro (ruggine) e alluminio: la struttura stessa degli edifici. Le Torri Gemelle, infatti, erano costruite in acciaio (ossia ferro e carbonio) e rivestite in alluminio, e le vernici protettive anticorrosione che si applicano all'acciaio spesso contengono alluminio e ossido di ferro (come si può vedere per esempio
qui e
qui). Per non parlare del fatto che gli arredi degli uffici presumibilmente includevano parti in alluminio e del fatto che quella mattina furono aggiunte alle Torri Gemelle grandi quantità di alluminio: quello degli aerei.
Detta così, è come stupirsi di aver trovato sabbia nel deserto o acqua nel mare. Sembra che Harrit, Jones e colleghi, invaghiti della teoria della termite e ansiosi di trovare conferme, siano stati troppo frettolosi nell'escludere le altre possibili cause dei risultati analitici. Prima di saltare alla conclusione clamorosa che si tratta di termite, andrebbero escluse sistematicamente tutte le altre possibili origini di questi risultati: ma questo non è stato fatto.
Aspettiamo comunque il giudizio degli esperti che Undicisettembre sta consultando: intanto possiamo esaminare altri aspetti di questo apparente
scoop pro-complotto.
Quand'anche fosse?
La teoria termitica sembra implausibile anche per motivi di ordine logico.
Supponiamo, per amor di discussione, che quella trovata da Harrit, Jones e colleghi sia davvero una sostanza termitica. I dati dell'articolo parlano di strati residuali
sottilissimi, misurati in micron, ossia millesimi di millimetro (
"Thicknesses vary from roughly 10 to 100 microns for each layer"), assolutamente insufficienti a fondere rapidamente le spesse lastre d'acciaio che formavano le colonne delle Torri Gemelle, come prevede la tesi della demolizione tramite termite.
Secondo quanto scritto dagli stessi complottisti in
questo articolo del 2007, riveduto da Frank Legge, che è uno dei coautori del nuovo articolo, nel caso migliore
ci vuole 1 grammo di termite per fondere 1,88 grammi di acciaio (grafico qui sopra, tratto dall'articolo del 2007). Il NIST è più generoso e
dice nelle sue FAQ che bastano circa 130 grammi di termite per fondere 1 chilogrammo d'acciaio.
Come potrebbe uno strato di termite (o nanotermite o supertermite che dir si voglia) spesso al massimo
un decimo di millimetro fondere di colpo delle colonne d'acciaio consistenti come quelle del World Trade Center?
Anche supponendo che si tratti davvero di termite o simili, non ce n'è abbastanza per tranciare le colonne. E questo si evince dai dati degli stessi cospirazionisti.
Anche volendo essere più generosi con le ipotesi e supponendo che quel decimo di millimetro sia solo la termite
residua,
quanto avrebbe dovuto essere spesso lo strato originale per riuscire a tranciare le colonne? E perché la termite avrebbe dovuto lasciare residui incombusti? Come e quando sarebbe stata collocata senza che nessuno se ne accorgesse? Come sarebbe stata innescata? In che modo sarebbe stata tenuta a contatto con delle colonne verticali durante la sua violentissima reazione chimica? L'articolo di Jones e colleghi non spiega nulla di tutto questo.
In altre parole, ancor prima di approfondire gli aspetti tecnici dell'articolo, se ne accettiamo le conclusioni ci troviamo di fronte a una ulteriore serie di assurdità irrisolte dalla tesi cospirazionista. Questo fa pensare che la tesi sia errata e che quindi vi sia un'altra spiegazione per la presenza di questo materiale.
Se Harrit, Jones e colleghi vogliono sostenere seriamente la loro tesi, che facciano una prova molto semplice: spalmino la termite (super o nano o sol-gel o come la preferiscono) su una colonna verticale di struttura e spessore pari a quelle delle colonne del WTC, la inneschino (nel modo che preferiscono) e ci facciano vedere che si trancia in meno di dieci secondi. Undicisettembre è disposto a pagare il campione d'acciaio pur di assistere a questo fenomeno fantascientifico.
In breve: da qui a dire che quest'articolo di Harrit, Jones e colleghi
"cancella" la ricostruzione tecnica fatta dal NIST e le testimonianze dei vigili del fuoco ce ne passa eccome.
Cos'è l'Open Chemical Physics Journal
C'è di più. Ci si potrebbe chiedere con incredulità come una rivista scientifica possa aver pubblicato un articolo contenente un errore logico apparentemente così madornale nelle sue conclusioni. Dopotutto, è noto che queste riviste sottopongono ogni articolo a una rigorosa selezione e all'impietosa revisione di colleghi (un processo chiamato
peer review).
Ma c'è un fatto che chi non frequenta le riviste scientifiche per lavoro probabilmente non sa: non tutte queste pubblicazioni sono uguali, esattamente come non lo sono i giornali generalisti. Come ci sono quotidiani autorevoli e giornali spazzatura, così ci sono riviste scientifiche di alto livello e riviste di scarso valore.
L'
Open Chemical Physics Journal ricade, secondo i dati finora disponibili, in questa seconda categoria:
questa rivista pubblica qualunque cosa, basta che l'autore paghi, e non c'è nessuna revisione significativa da parte di esperti. Anche altre riviste blasonate chiedono un onorario di pubblicazione e revisione, ma nel caso dell'
OCPJ sembra (stando a quanto emerso finora) che pagare sia l'unico criterio di selezione.
Secondo
questa discussione su un forum dell'Università di Yale, l'editore del
Journal, la
Bentham Science Publishers, effettua addirittura
operazioni di spamming alla ricerca di autori che scrivano articoli sulle sue riviste e persino di revisori che valutino questi articoli, ossia l'esatto opposto di quello che avviene nelle riviste normali, dove i ricercatori lottano non poco per riuscire a farsi pubblicare ed essere addirittura revisori è un attestato di esperienza e professionalità ambitissimo.
Un chiaro esempio del livello di serietà dell'
Open Chemical Physics Journal arriva da
Chris Reed,
Distinguished Professor of Chemistry presso la
University of California - Riverside, che nota il comportamento della Bentham nella lista di discussione
CHMINF-L:
Nell'ultimo mese ho ricevuto ben tre inviti a far parte dei comitati di redazione di nuove riviste della Bentham – "Notizie di questo", "Frontiere di quello" – nessuno dei quali ricadeva nei campi in cui sono effettivamente esperto.
In the past month, I have received no less that three invitations to join the editorial boards of new Bentham journals -- "Current this", "Frontiers of that" -- none in areas of my real expertise.
L'abitudine della Bentham di reclutare membri del comitato di redazione (
editorial board) fra persone che non hanno alcuna competenza nella materia che vengono chiamati a valutare è testimoniata anche dal giornalista Richard Poynder, che la
commenta qui:
Dopo la prima ondata d'entusiamo, tuttavia, i ricercatori cominciarono a mettere in dubbio le attività della Bentham, anche perché molti degli inviti che ricevevano sembravano decisamente mal mirati. Per esempio, gli psicologi venivano invitati a contribuire articoli sull'ornitologia; i ricercatori sulle politiche per la salute venivano invitato a inviare articoli di chimica analitica; e gli economisti ricevevano inviti a inviare articoli sulla ricerca sul sonno oppure, ancora più bizzarramente, ad unirsi al comitato di redazione di riviste sull'educazione. Questo ha inevitabilmente sollevato preoccupazioni sulla probabile qualità di queste nuove riviste, specialmente perché ai ricercatori veniva chiesto di pagare da 600 a 900 dollari per volta per il privilegio di esservi pubblicati.
Per aggiungere l'ingiuria al danno, alcuni degli inviti ricevuti dai ricercatori erano indirizzati a una persona completamente diversa o il campo del nome era vuoto e riportava semplicemente "Egregio Dott., ...". Era difficile non sentirsi più insultati che lusingati nel ricevere lettere di questo genere.
Oltretutto quello che era chiaramente un invio postale di massa automatizzato si stava dimostrando un po' troppo generoso con i suoi inviti, spedendoli non solo a ricercatori, ma a chiunque: per esempio, in almeno una occasione un giornalista (che ha chiesto di non essere nominato) è stato sorpreso di ricevere dalla Bentham una lettera che lo invitava a inviare un articolo "sulla base dei suoi contributi precedenti al campo della scienza dell'informazione". Come lui stesso spiega, "La cosa mi ha sorpreso abbastanza, visto che come giornalista scientifico in attività non sapevo di aver dato simili contributi!"
After the first flush of enthusiasm, however, researchers began to question Bentham's activities, not least because many of the invitations they were receiving seemed decidedly badly targeted. For instance, psychologists were being invited to contribute papers on ornithology, health policy researchers were being invited to submit papers on analytical chemistry and economists were being invited to submit papers on sleep research or, even more oddly, invited to join the editorial board of educational journals. This inevitably raised concerns about the likely quality of the new journals, particularly as researchers were being asked to pay from $600 to $900 a time for the privilege of being published in them.
To add insult to injury, some of the invitations researchers were receiving were addressed to a completely different person, or the name field was empty, and addressed simply to "Dear Dr.,". It was hard not to feel more insulted than flattered on receiving such letters.
Moreover, what was clearly an automated mass mailing exercise was proving a little profligate with its invitations, sending them out not just to researchers, but to any Tom, Dick or Harry. On at least one occasion, for instance, a journalist (who asked not to be named) was surprised to receive a letter from Bentham inviting him to submit a paper, "Based on your record of contributions in the field of information science." As he explains, "I was rather surprised by this, since — as a practicing science journalist — I wasn't aware that I had made any such contributions!"
Un'altra testimonianza arriva da Gunther Eysenbach,
senior health care research scientist presso la
University of Toronto:
Negli ultimi due mesi circa ho ricevuto ben undici mail dalla Bentham, tutte praticamente identiche per testo e forma, tuttte firmate da "Matthew Honan, Editorial Director, Bentham Science Publishers" o da "Richard Scott, Editorial Director, Bentham Science Publishers", che mi "invitavano" a inviare articoli di ricerca, revisioni e lettere a varie riviste (ho ricevuto una mail per ciascuna rivista!), fra cui "The Open Operational Research Journal", "Open Business Journal", "Open Management Journal", "Open Bioinformatics Journal", "Open Ethics Journal", "Open Analytical Chemistry Journal" e via dicendo – tutti inviti mandati a me "per via della sua eccellenza nel campo" [...]
La mail mi "invita" a inviare articoli e a pagare per la pubblicazione. [...] I ricercatori che avessero dubbi sulla reputazione e la levatura scientifica di una rivista dovrebbero controllare se la rivista stessa è indicizzata da Medline (nessuna delle riviste della Bentham lo è, nonostante la mail di spam suggerisca il contrario) e se la rivista riceve citazioni significative (si controlli Web of Science o Journal Citation Reports) prima di inviare alcunché a qualunque rivista Open Access.
In the past couple of months I have received no less than 11 emails from Bentham, all mostly identical in text and form, all signed by "Matthew Honan, Editorial Director, Bentham Science Publishers" or "Richard Scott, Editorial Director, Bentham Science Publishers", "inviting" me to submit research articles, reviews and letters to various journals (I got one email per journal!), including "The Open Operational Research Journal", "Open Business Journal", "Open Management Journal", "Open Bioinformatics Journal", "Open Ethics Journal", "Open Analytical Chemistry Journal" and so on - all of them sent to me "because of your eminence in the field" [...]
The bulk email "invites" me to submit articles and to pay for publication [... ] Researchers who are in doubt about the reputation and scientific standing of a journal should check if the journal is Medline-indexed (none of the Bentham journals is actually Medline-indexed, although the spam emails suggest otherwise), and whether the journal receives any significant citations (check Web of Science or the Journal Citation Reports) before submitting to any Open Access journal.
A tutto questo si aggiunge il dato che
la rivista attualmente non ha impact factor. L'
impact factor è un importantissimo indice di importanza settoriale, che si assegna a ogni rivista scientifica: viene calcolato sulla base della quantità e qualità delle citazioni di suoi articoli in altre riviste specialistiche.
L'
Open Chemical Physics Journal non ha questo
impact factor perché è stato fondato troppo recentemente per essere stato classificato, come ci ha confermato personalmente
Nicola Pinna,
Investigador coordenador (senior researcher) presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Aveiro, in Portogallo, che è membro del comitato di redazione (
editorial board) della rivista, come si evince dal suo
curriculum.
Pinna ha inoltre indicato che non ha
"partecipato al 'reviewing' di questo articolo né come editor né come referee". Undicisettembre ha già preso contatto con l'
editor in chief del Journal per conoscere l'iter reale di riesame e valutazione dell'articolo in questione.
Viene da chiedersi come mai Steven Jones, Kevin Ryan e gli altri autori dell'articolo si siano ridotti a pagare almeno 600 dollari (come indicato sopra) ad una rivista la cui reputazione è perlomeno equivoca, invece di sottoporsi all'esame di riviste più autorevoli di settore e conquistare quindi autorevolezza per le proprie teorie. Sembra quasi che il loro scopo sia screditare il cospirazionismo mediante gesti palesemente ridicoli. E' come se si vantassero di aver pubblicato un articolo di ginecologia in una rivista porno.
Al lettore attento non sfuggirà, inoltre, la profonda contraddizione della tesi cospirazionista, che sostiene l'esistenza di una congiura del silenzio da parte delle riviste scientifiche ma al tempo stesso si vanta di avere come prova una pubblicazione proprio su una rivista scientifica.
Zolfo al WTC, Steven Jones sbufala Zero e se stesso
C'è un altro aspetto interessante di questo articolo di Niels Harrit e Steven Jones: smonta una delle tesi presentate dal video
Zero di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi.
In questo video, infatti, Paolo Marini afferma che nelle macerie del WTC si nota la presenza
"a livello della struttura granulare del materiale dell'acciaio" di
"un elemento che normalmente non dovrebbe essere presente, e soprattutto in quantità cospicua, cioè dello zolfo."
Il video
Zero afferma anche che
"siamo molto sicuri della provenienza di questo metallo. Proviene da un materiale chiamato "termate", che è polvere di alluminio, ossido di ferro e zolfo." L'affermazione è fatta dallo stesso Steven Jones.
Ma adesso, in quest'articolo, Steven Jones non è più molto sicuro di questa provenienza e inseme ai colleghi offre a pagina 11 una spiegazione più che banale per la presenza dello zolfo che per Marini "
normalmente non dovrebbe essere presente":
I grandi picchi di calcio e zolfo possono essere dovuti a contaminazione dal gesso proveniente dal materiale in cartongesso polverizzato negli edifici.
The large Ca and S peaks may be due to contamination with gypsum from the pulverized wallboard material in the buildings.
Che è esattamente quello che il NIST afferma da tempo in risposta al presunto mistero dello zolfo al WTC: si vedano, in proposito, le
FAQ del NIST datate 2006, alla domanda numero 12. Un complottista DOC, insomma, avvalora la "versione ufficiale".
Siamo dunque tornati al solito copione: si scatenano facili entusiasmi per l'ennesima "prova" sfoderata dal virtuosismo investigativo dei ricercatori della verità, ma quando si va a verificare (e lo fanno i
debunker, perché i complottisti sono incapaci di autocritica) si scopre che la "prova" non è altro che l'ennesima cantonata autolesionista. Sembra di essere ancora i tempi dell'ormai mitico
"Seven is exploding".
Considerato il ripetersi periodico di questi autogol, viene quasi da chiedersi se si tratti di un'operazione di discredito dall'interno ben pianificata. Quale modo migliore per creare confusione e depistare le ricerche serie sull'11/9, che piazzare nel "movimento per la verità" dei personaggi che sappiano conquistare la fiducia incondizionata dei cospirazionisti, facciano montare l'entusiasmo e poi devastino psicologicamente il movimento rivelandosi dei ciarlatani e addirittura abbracciando progressivamente la versione ufficiale?