Come è noto, molti sostenitori di teorie "alternative" rispetto ai fatti dell'11 settembre 2001 sostengono che il Pentagono fu colpito da qualcosa di diverso dal volo American 77. In questo articolo affrontiamo la questione per verificare se esiste un "qualcosa di diverso" che sia compatibile con i danni subiti dal Pentagono.
Se io fossi un complottista, di fronte alla massa di prove fisiche e di testimonianze che dimostrano, al di là di qualsiasi dubbio, che l'American 77 si è schiantato contro il Pentagono la mattina dell'11 settembre del 2001, preferirei sostenere che quel volo è stato radiocomandato contro l'edificio. Potrei adattare persino la teoria Pentacon, che vuole che il volo 77 è passato sopra il Pentagono mentre qualcos'altro lo colpiva, invertendone i fattori: il volo 77 si è schiantato contro il Pentagono mentre l'aereo che lo radiocomandava gli passava sopra.
Per quanto una simile teoria sarebbe in ogni caso priva di senso e fondamento, avrebbe almeno il pregio di rendere un po' più difficile la vita ai debunker, visto che la stragrande maggioranza delle evidenze si accorderebbe sia con la "versione ufficiale" che con quella alternativa.
I complottisti, però, preferiscono ricorrere a teorie particolarmente pittoresche, che si prestano a fornire spunto per libri e film avvincenti, ed a coinvolgere una gran massa di aspiranti ricercatori della verità che, armati di righello e compasso, si dilettano a misurare la grandezza della breccia del Pentagono e l'inclinazione del prato davanti ad esso.
D'altro canto, ciò li porta a mentire su una parte dei dati di fatto (come l'entità dei danni e la presenza dei rottami) e a dover trovare impossibili spiegazioni per gli altri (i pali abbattuti dall'aereo in avvicinamento, i cadaveri dei passeggeri, il recupero delle scatole nere, eccetera).
Ma noi oggi concediamo uno sconto a tutto questo, e diciamo: va bene, ipotizziamo che non sia stato l'American 77 a colpire il Pentagono. Ma allora, cosa?
E qua viene il bello, perché sul punto i complottisti sono tutt'altro che d'accordo.
C'è chi si rifugia comodamente in un: "Non so cosa è stato ma so cosa non è stato", però dopo sei anni di "ricerche" uno si aspetta una risposta un po' più decente; di sicuro se la aspettano pubblico e giornalisti, per cui qualche cosa bisogna inventarsela.
E così, una parte dei complottisti abbraccia la teoria del missile: un missile "cruise" avrebbe colpito il Pentagono.
Un'altra parte di complottisti sostiene che il Pentagono abbia subito l'effetto di una "carica cava", un ordigno con spiccate capacità di penetrazione.
Altri ancora preferiscono l'idea che il Pentagono sia stato colpito da un piccolo aereo.
Sembra invece definitivamente accantonata la teoria che voleva il Pentagono colpito da un camion carico di esplosivo.
Per esaminare queste varie teorie, partiamo prima da alcuni dati di fatto sui quali anche i complottisti (o almeno, gran parte di essi) concordano.
1 - I due famosi filmati estratti dalle telecamere di sorveglianza del Pentagono ci mostrano un oggetto in avvicinamento e una grossa esplosione infuocata contro la facciata del Pentagono (fotogramma qui sotto).
2 - La facciata del Pentagono presenta un grosso "foro" o "squarcio" che ha un diametro di alcuni metri. Secondo i complottisti questo squarcio è di "3-4 metri al massimo" (così afferma il regista Massimo Mazzucco su Luogocomune e nel suo film Inganno Globale).
Ai due lati dello squarcio la facciata del Pentagono (specialmente il piano terra) è danneggiata o devastata per decine di metri: in totale la superficie danneggiata è lunga circa 36 metri e mezzo (misurazione fatta dagli ingegneri dell'ASCE e facilmente riscontrabile prendendo a riferimento le finestre). La foto sopra mostra come la facciata sia stata completamente demolita a livello del piano terra al punto da lasciare esposte alcune colonne portanti rimaste in piedi. Il famoso "foro" si trova a sinistra nella foto ed è coperto dal fumo.
3 - Tre anelli del Pentagono sono stati attraversati e devastati dal fuoco e dai rottami fino a provocare quello che è comunemente chiamato il "punch hole" o "foro di uscita" sul terzo anello. La sequenza di foto sotto illustra bene questi effetti.
Bene, adesso tralasciamo tutto il resto (pali della luce abbattuti, generatore esterno colpito, rottami, cadaveri, scatole nere, testimoni, chiamate dei passeggeri dai telefoni di bordo ecc...) e lavoriamo solo su questi fatti, condivisi anche dai complottisti, ed esaminiamo le varie ipotesi.
La "carica cava"
Che cos'è una carica cava? In breve, è una testata esplosiva utilizzata principalmente in campo militare, che ha la caratteristica di poter convogliare l'esplosione in una specifica direzione allo scopo di esaltare le capacità di penetrazione.
Entrando nel dettaglio, però, le cose sono un po' più complesse. In una carica cava, partendo dalla punta, troviamo: il distanziatore, che serve ad assicurare la corretta distanza tra la carica e la superficie da penetrare, al momento dell'esplosione; un cono di metallo (solitamente rame) cavo all'interno; una certa quantità di esplosivo, accuratamente determinata, che ricopre il cono.
Nella foto qui sotto vediamo un proiettile di artiglieria con testata a carica cava sezionato.
Distinguiamo chiaramente, nella parte anteriore del proiettile, la punta che agisce da distanziatore, il cono di rame e l'esplosivo di colore giallognolo. Nella parte posteriore del proiettile ci sono l'innesco detonante e la carica di lancio che servono per "sparare" il proiettile.
Il principio di funzionamento della carica cava è il seguente: nel momento in cui l'ogiva in cui è contenuta colpisce il bersaglio, la carica esplosiva detona, trasformando il cono di rame (o altro metallo simile) in una specie di dardo che viene proiettato ad altissima velocità (nell'ordine dei 10 km/sec) contro la superficie del bersaglio, perforandolo. Il principio è noto come Effetto Monroe).
La capacità di perforazione (nel senso della lunghezza) dipende dal materiale di cui è costituito il bersaglio e dal diametro dell'ordigno. Nell'acciaio, la penetrazione non supera in genere un valore pari a 3 volte il diametro, mentre nel cemento si può arrivare fino a un massimo di 7 volte il diametro. Gli ordigni più moderni e sofisticati possono migliorare questi valori di un 20-30%.
Il principio di funzionamento della carica cava comporta alcune interessanti caratteristiche:
- La capacità di penetrazione non dipende dalla velocità dell'ordigno che la trasporta;
- La capacità di penetrazione dipende dall'omogeneità della superfice-bersaglio, per cui la presenza di strati di materiale di diversa densità la riduce notevolmente, mentre la presenza di spazi vuoti la annulla praticamente del tutto;
- Il diametro della perforazione è inferiore rispetto al diametro dell'ordigno, in quanto dipende dal diametro del dardo generato dopo la compressione del cono di rame;
- Gli effetti esterni dell'esplosione sono molto limitati, perché essi si riversano essenzialmente nella direzione del bersaglio e si incanalano nel foro provocato dalla penetrazione;
- Gli effetti distruttivi dell'esplosione si verificano dopo la penetrazione, allorché i gas roventi ed il metallo fuso si proiettano nell'ambiente che si trova dietro la superficie colpita e penetrata.
Per contrastare gli effetti delle cariche cave contenute negli ordigni controcarro, i mezzi corazzati utilizzano vari sistemi, quali le corazzature composite stratificate, le corazzature reattive e le corazzature spaziate.
Queste ultime sono estremamente semplici ma molto efficaci, e consistono in banalissimi pannelli di metallo o semplici catene, posti a una certa distanza dalla corazza vera e propria.
Quando la testata colpisce i pannelli o le catene, esplode prima di aver raggiunto la corretta distanziatura rispetto alla superficie da penetrare, risultando così del tutto inefficace.
In risposta a queste contromisure, alcuni ordigni dispongono di due-tre testate a carica cava allineate una dietro l'altra, in tandem, in modo che ciascuna testata possa proseguire nella penetrazione iniziata da quella precedente. Le testate in tandem possono vincere corazze stratificate e corazze reattive e (entro certi limiti) quelle spaziate.
Ora, se esaminiamo l'esplosione al Pentagono ed i danni provocati, verifichiamo immediatamente che essi non hanno nulla di compatibile con una carica cava.
Innanzitutto il diametro del "foro" è troppo grande: almeno 3-4 metri secondo quanto affermano gli stessi complottisti.
Ciò implicherebbe l'uso di una testata con un diametro ben maggiore. Ma non esistono testate di questo diametro e non esistono né missili né bombe eventualmente in grado di trasportarle.
Un missile Cruise, per esempio, ha un diametro di mezzo metro, ed è il missile più grosso dell'arsenale convenzionale americano. Persino il gigantesco missile nucleare a traiettoria balistica Minuteman III ha un diametro massimo di 1,7 metri.
L'esplosione di una carica cava, inoltre, avrebbe riversato i suoi effetti nel primo ambiente vuoto presente dopo la superficie di impatto, esaurendo in quello ogni capacità di penetrazione. Mai e poi mai avrebbe potuto attraversare ben tre anelli del Pentagono e provocare addirittura un foro di uscita nel muro del terzo anello.
Infine, una carica cava non avrebbe mai provocato gli effetti esterni che abbiamo visto al Pentagono, perché essi si sarebbero concentrati verso l'interno, così come è tipico di questo tipo di esplosivi.
L'esplosione di un ordigno con testata a carica cava al Pentagono avrebbe dovuto determinare, invece, effetti esterni molto contenuti e ben diversi dalla gigantesca palla di fuoco che vediamo nei filmati, e lasciare sulla facciata un singolo foro del diametro di 10-20 centimetri al massimo, senza brecce ai lati. La carica avrebbe devastato un ambiente relativamente ristretto del primo anello dietro il punto di penetrazione, proiettandovi materiale fuso e gas roventi.
In nessun caso la carica avrebbe potuto superare gli ampi ambienti presenti nei tre anelli (parliamo di stanze e corridoi con relative pareti di separazione) che avrebbero avuto lo stesso effetto di numerose e grandi spaziature né avrebbe mai potuto abbattere o danneggiare gravemente le colonne portanti interne, come invece è avvenuto.
Fonti utilizzate:
Encyclopedia of Explosives And Related Items - US Army, Warheads, Energetics and Combat Support Center (Picatinny Arsenal, NJ);
Military Explosives - US Army, Department of the Army Technical Manual
Per saperne di più sulle cariche cave e verificare quanto abbiamo detto, si possono consultare sul Web le seguenti risorse:
- il sito GlobalSecurity tratta le cariche cave e gli ordigni che ne sono dotati;
- questo documento tecnico dei Laboratori Livermore analizza proprio la penetrazione delle cariche cave nel cemento;
- questa serie di slides animate della John Hopkins University mostra la formazione del dardo e le caratteristiche delle cariche cave;
- un'altra serie di slides è stata realizzata dalla Colorado School of Mines.
- questo articolo della Rank Enterprises espone i principi di funzionamento delle cariche cave;
- questa scheda di Designation Systems , basata su fonti qualificate, tratta il missile Hellfire, il più grosso ordigno con testata a carica cava in dotazione alle forze armate americane e NATO;
- in lingua italiana abbiamo reperito un articolo su Pagine di Difesa.
Il missile
Esistono vari tipi di missili in servizio con le forze armate di tutti i paesi del mondo, e ne esistono varie classificazioni.
I danni provocati al Pentagono richiedono l'utilizzo di una considerevole quantità di esplosivo ad alto potenziale (HE, High Explosive) nell'ordine di parecchie centinaia di chilogrammi (in realtà ce ne vorrebbe una quantità tale da risultare incompatibile con qualsiasi missile esistente, ma fingiamo che non sia così).
L'impatto è avvenuto sulla facciata dell'edificio, a un'altezza di pochissimi metri da terra, e l'eventuale missile avrebbe dovuto seguire una traiettoria pressoché parallela al terreno prima dell'impatto.
Queste due caratteristiche necessarie (testata con alcune centinaia di kg di HE, profilo di attacco parallelo al suolo) consentono di eliminare drasticamente quasi tutti i missili esistenti.
L'unico missile in grado di effettuare un attacco di quel tipo è infatti un missile "Cruise".
"Cruise" è in realtà un termine generico, utilizzato per indicare vari modelli di missili: il Tomahawk (nella prima foto) è quello più conosciuto, utilizzato dalla marina americana a bordo di navi (RGM-109) e sottomarini (UGM-109), ma c'è anche l'AGM-86 ALCM, lanciato dai bombardieri (la seconda foto ne mostra un esemplare, con le alette principali e quelle caudali ripiegate, mentre viene caricato a bordo di un grosso B-52), e l'AGM-129 ACM, che è una variante stealth (invisibile ai radar) ma con testata nucleare, recentemente ritirato dal servizio (la terza foto più sotto ne mostra alcuni esemplari sulla linea di produzione).
Come si può notare, questi missili non sono così grossi come siamo soliti immaginare.
Hanno tutti dimensioni molto simili: circa mezzo metro di diametro, sei metri di lunghezza, un peso intorno ai 1500 kg, sono propulsi da un piccolo turboreattore che ha un diametro di appena 30 centimetri e possono trasportare una testata esplosiva del peso massimo di circa 450 kg. L'apertura delle due piccole alette è pari a circa due metri e mezzo. L'ACM è appena un po' più grande (70 centimetri di diametro).
Anche russi e cinesi hanno realizzato dei missili praticamente identici a questi.
La velocità massima di questi ordigni si aggira intorno agli 850 km/h.
Ora, ciò che ha colpito il Pentagono ha provocato questi effetti esterni: grossa esplosione sulla facciata con enorme palla di fuoco, squarcio di alcuni metri di diametro, abbattimento di qualche decina di metri del muro esterno al pianterreno.
All'interno, poi, il "qualcosa" ha devastato un vasto ambiente su ben tre anelli della struttura dell'edificio, abbattendo un elevato numero di colonne portanti (al punto che l'intera sezione è collassata dopo pochi minuti) e infine ha penetrato il terzo anello provocando il famoso "punch out" o "foro d'uscita".
Dunque, il nostro oggetto misterioso è esploso all'impatto, è penetrato nella facciata, ha provocato un'altra esplosione all'interno, ed infine è penetrato nuovamente provocando il "buco di uscita" sul muro del terzo anello.
Testate esplosive che possano fare una cosa del genere, semplicemente non esistono.
Esse, infatti, possono esplodere all'impatto o possono penetrare nel bersaglio e poi esplodere.... ma non possono prima esplodere e poi penetrare: è un controsenso tecnico, oltre che logico.
Un esempio è la BLU-109, tipico ordigno da penetrazione anti-bunker dell'arsenale americano (che però è troppo grosso per essere ospitato in un missile Cruise) la cui scheda tecnica riporta:
"The weapon penetrates the target intact to get to the deep interior of hardened sites, where a delayed-action fuse detonates the 550 pounds of high explosive Tritonal, ensuring complete destruction of the location".
"L'ordigno penetra intatto il bersaglio per arrivare in profondità all'interno di obiettivi fortificati, dove una spoletta ad attivazione ritardata provoca la detonazione dei 250 kg di esplosivo ad alto potenziale Tritonal, assicurando la distruzione completa del sito".
La conclusione, anche in questo caso, è che nessun missile avrebbe potuto provocare gli effetti che abbiamo visto al Pentagono.
Potete consultare le caratteristiche di tutti i sistemi missilistici americani sul sito di Designation-Systems, e in particolare le schede dei missili citati sono: Tomahawk , ALCM, ACM. I missili delle altre nazioni possono essere consultati sul sito della FAS.
L'aereo piccolo
Qualche complottista, che si ritiene più furbo degli altri, ha pensato bene di aggirare i grossi problemi causati dalle teorie dell'ordigno a carica cava e del missile esplodi-penetra-esplodi-penetra, sviluppando la teoria che sì, il Pentagono è stato colpito da un aereo, ma più piccolo di un Boeing 757.
Quanto piccolo? Un aereo da 10-12 posti o un caccia.
Bene, prendiamo allora i dati di un caccia qualsiasi, un F-16 Falcon. L'apertura alare è di 10 metri e il diametro della fusoliera varia tra i 2 metri ed i due metri e mezzo. Troppo piccolo, per fare 20-30 metri di danni compreso un buco centrale di "3-4 metri".
Prendiamo il caccia più grosso che hanno gli americani, un F-15 Eagle. La fusoliera è larga poco più di tre metri, motori compresi, ma l'apertura alare è di soli 13 metri.
Non ci siamo.
Lasciamo perdere i caccia, allora, e andiamo su qualche jet executive da 10-12 posti.
Ad esempio, il Learjet 60: 10 posti più due piloti. 12 in tutto. Apertura alare: 13 metri.
Diametro della fusoliera? A giudicare dalla foto, non più di due metri e mezzo. Niente, anche l'aereo da 10-12 posti è troppo piccolo.
Ma allora, se non è stata una carica cava, se non è stato un missile, se non è stato un piccolo aereo... vuoi vedere che, niente niente, è stato un Boeing 757?
Perché si dà il caso che il Boeing 757 ha un diametro di fusoliera di appena 3,7 metri, che in quei "3-4 metri" di buco così cari ai complottisti, ci stanno proprio tutti, precisi precisi.
L'apertura alare è pari a 38 metri, che ci stanno benissimo nelle misure dei danni della facciata al piano terra.
Ed i circa 60 centimetri di diametro del core (la parte "dura e pesante") dei suoi turbofan RB211 ci entrano benissimo tra una colonna portante e l'altra dietro la facciata.
Con il Boeing 757, tutte le misure rientrano perfettamente. Non c'è bisogno di barare sulle dimensioni della breccia, come fanno i complottisti.
Con il Boeing 757, i rottami corrispondono perfettamente, non c'è bisogno di inventarsi che qualcuno li ha disseminati dopo l'impatto.
Con il Boeing 757, l'abbattimento dei pali della luce, la cui distanza in larghezza corrisponde esattamente all'apertura alare di questo aereo, trova una perfetta compatibilità: non c'è bisogno di inventarsi che qualcuno li abbia fatti saltare in aria con microcariche esplosive.
Con il Boeing 757, l'esplosione esterna trova una spiegazione perfetta, così come la trovano i danni interni provocati dalla forza d'urto della massa del carburante e delle parti pesanti scagliate oltre la facciata a oltre 800 km/h. Non c'è bisogno di inventarsi un missile o una carica cava con caratteristiche inesistenti e impossibili.
Con il Boeing 757, i cadaveri dei passeggeri trovano una spiegazione: non c'è bisogno di inventarsi qualcuno che è andato a piazzarli tra le macerie.
Con il Boeing 757, i testimoni che hanno visto un Boeing 757 trovano una spiegazione: non c'è necessità di dire che sono tutti bugiardi né di tagliuzzare le loro testimonianze.
Con il Boeing 757, la presenza della scatola nera di un Boeing 757 trova una giustificazione: non c'è bisogno di inventarsi che qualcuno l'abbia messa lì dopo l'impatto.
Di fronte a tutto ciò... è davvero così strano pensare che la mattina dell'11 settembre del 2001 il Boeing 757 dell'American Airlines, Volo 77, si è schiantato sul Pentagono?
Integrazione
Il commento di un lettore ci rammenta che esiste un'altra ipotesi che indica in un Global Hawk il possibile colpevole.
Il Global Hawk (sigla militare RQ-4A) è un velivolo senza pilota, da ricognizione.
La sua apertura alare è di ben 35 metri, ma il diametro della fusoliera è di appena un metro e mezzo. Troppo piccolo per provocare "il buco".
Inoltre il Global Hawk non è un velivolo armato, non ha alcuna testata esplosiva, ed è molto più lento (la velocità massima in configurazione alleggerita è inferiore ai 640 km/h) dell' "oggetto" che ha colpito il Pentagono (oltre 800 km/h). Airforce Technology , Navair