"Il processo di trasformazione, anche se porta cambiamenti rivoluzionari, sarà probabilmente lungo, a meno che vi sia un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor.”
Queste parole furono scritte nel settembre del 2000 in un documento programmatico del comitato politico conservatore PNAC (Project for a New American Century, letteralmente "Progetto per un nuovo secolo americano"), nel quale militavano nomi che sarebbero diventati elementi di spicco nel governo Bush Jr., come Dick Cheney, Paul Wolfowitz e Donald Rumsfeld. Sono la prova lampante che i neocon perlomeno auspicavano l'11 settembre, e magari l'hanno anche provocato per scatenare una rivoluzione. Almeno questo è quello che dicono i complottisti.
Lo suggerisce, per esempio, questa pagina di Luogocomune.net, che fa il paio con questa di Megachip.info (il sito dell'associazione di Giulietto Chiesa), dalla quale cito questa frase:
Nel loro documento scritto nel settembre del 2000 un anno prima dell'11/9, ammettono che il processo per cambiare anche se porta cambiamenti radicali, è sempre molto lungo. “A meno che” queste le loro agghiaccianti parole, “non ci sia un altro evento catastrofico e catalizzante come Pearl Harbour.” Un anno dopo quell'evento arrivò.
Anche Franco Cardini, membro dell'entourage di Chiesa, ha citato questa frase del PNAC a Matrix il 2/6/2006, e lo ha fatto anche il film-culto del complottismo, Loose Change, interpretandola sempre come la dimostrazione inequivocabile che i neocon volevano un pretesto per accelerare il loro diabolico piano di dominio planetario e quindi hanno inscenato o consentito gli attentati dell'11 settembre 2001 per ottenere l'appoggio del popolo americano e del mondo occidentale. Il PNAC è insomma un tormentone dei complottisti.
Ma andiamo a ripescare la frase originale e il contesto del documento dal quale è tratta. Ecco la frase in inglese, così come sta scritta nel documento Rebuilding America's Defenses: Strategies, Forces, and Resources For A New Century ("Ricostruzione delle difese americane: strategie, forze e risorse per un nuovo secolo") che è tuttora disponibile qui sul sito del PNAC.
"Further, the process of transformation, even if it brings revolutionary change, is likely to be a long one, absent some catastrophic and catalyzing event — like a new Pearl Harbor."
La frase si trova a pagina 51 delle 90 che compongono il documento, in un capitolo che parla di nuove tecnologie militari, non di strategie geopolitiche. Leggendo la frase nel suo contesto, risulta chiaro che la "trasformazione" alla quale si riferisce è l'ammodernamento delle risorse militari, soprattutto quelle informatiche. Ecco come comincia il capitolo (le evidenziazioni sono mie):
"Per mantenere la preminenza militare americana nei prossimi decenni, il Dipartimento della Difesa deve agire in modo più risoluto per sperimentare nuove tecnologie e nuovi concetti operativi e cercare di sfruttare la rivoluzione emergente nelle questioni militari. Le tecnologie informatiche, in particolare, stanno diventando elementi maggiormente prevalenti e significativi dei sistemi militari moderni. Queste tecnologie informatiche stanno avendo sulle questioni militari lo stesso tipo di effetti di trasformazione che stanno avendo nel mondo in generale." (p. 50, inizio del capitolo).
Il testo prosegue elencando ripetutamente gli aspetti di questa trasformazione tecnologica:
"... il Pentagono, vincolato da budget limitati e missioni urgenti in corso, negli ultimi anni ha visto assottigliarsi i fondi per la sperimentazione e la trasformazione... Qualsiasi sforzo serio di trasformazione deve avere luogo nell'ambito più vasto della strategia di sicurezza nazionale, delle missioni militari e degli stanziamenti per la difesa. Gli Stati Uniti non possono semplicemente dichiarare una 'pausa strategica' mentre sperimentano nuove tecnologie e nuovi concetti operativi, e non possono scegliere una strategia di trasformazione che separi gli interessi americani e quelli degli alleati..."
E qui arriva la frase incriminata:
"Inoltre, il processo di trasformazione, anche se porta cambiamenti rivoluzionari, sarà probabilmente lungo, a meno che vi sia un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor. Saranno la politica interna e industriale a determinare il ritmo e il contenuto della trasformazione tanto quanto i requisiti delle missioni correnti. Decidere di sospendere o terminare la produzione di portaerei, come consigliato da questo rapporto e giustificato dai chiari orientamenti della tecnologia militare, causerà grandi sconvolgimenti. Parimenti, i sistemi che entrano oggi in produzione (per esempio il caccia F-22) resteranno in inventario attivo per decenni... La spesa collegata ad alcuni dei programmi può convertirli in ostacoli per il processo più ampio di trasformazione: il programma per il Joint Strike Fighter, con un totale di circa 200 miliardi di dollari, sembra un investimento poco accorto. Pertanto, questo rapporto consiglia un processo di cambiamento in due fasi, transizione e trasformazione, nei prossimi decenni."
Mi fermo qui, perché la solfa si fa un po' ripetitiva: il resto del documento prosegue con una litania di nuove armi e nuove tecnologie informatiche per il campo di battaglia del futuro, citando nuovamente l'esempio di Pearl Harbor a pagina 67 in modo ancora più chiaro:
"Senza un programma rigoroso di sperimentazione che indaghi sulla natura della rivoluzione in materia militare per quanto riguarda la guerra navale, la Marina potrebbe rischiare di affrontare una futura Pearl Harbor: trovarsi impreparata per la guerra nell'era post-portaerei come lo fu agli albori dell'era delle portaerei."
Ormai dovrebbe essere chiaro il concetto: i cambiamenti sono "rivoluzionari" in senso tecnico, non politico. Nessuna rivoluzione o colpo di stato, ma un'innovazione radicale delle tecnologie militari. E la "nuova Pearl Harbor" è una situazione di inadeguatezza militare che, come la Pearl Harbor originale, darebbe una giustificazione lampante per un aggiornamento tecnologico più spedito. Ma gli attentati dell'11 settembre, essendo "a bassa tecnologia", non hanno comportato alcun ammodernamento tecnologico militare significativo (a parte dotare il controllo del traffico aereo e il NORAD di radar e sistemi di coordinamento meno fatiscenti).
In altre parole, il documento del PNAC dice che le forze militari devono ammodernarsi, e se non capita qualche evento drammatico che renda palese la loro inadeguatezza e induca i politici a darsi una mossa, l'ammodernamento procederà a rilento, e questo non è un bene. Tutto qui.
Ancora una volta, dunque, i complottisti vengono colti a praticare uno dei propri passatempi preferiti, il quote mining: la selezione maliziosa e arbitraria di dichiarazioni rimosse dal proprio contesto e tagliate e ricucite per confezionarne una falsa prova delle loro traballanti teorie.
I casi sono due: o i complottisti non hanno mai letto il documento del PNAC e quindi non sanno di cosa stanno parlando, oppure l'hanno letto e ne hanno intenzionalmente travisato il senso. Comunque sia, la figura che fanno non è certo quella dei "ricercatori della Verità".
Fra l'altro, lungi dall'essere l'imprendibile ed eterna fortezza del pensiero neocon che teorizzano i complottisti, il PNAC è ridotto agli stenti: il suo sito langue senza aggiornamenti dal dicembre del 2005, le sue caselle di e-mail sono inaccessibili e il motore di ricerca interno è in tilt, come notano Wikipedia. a marzo 2006 e la BBC a dicembre 2006. Quest'ultima, in particolare, titola senza mezzi termini "End of the neo-con dream", ossia "Fine del sogno neocon". E Donald Rumsfeld è stato silurato.
Loro hanno finito di sognare. Chissà quando si sveglieranno, invece, i complottisti.