di Leonardo Salvaggio
È disponibile sul mio canale YouTube un'intervista all'ex agente speciale del Diplomatic Security Service Scott Stewart sul primo attentato alle Torri Gemelle, quando nel 1993 un gruppo di terroristi parcheggiò un camion bomba nei parcheggi sotterranei con l'intenzione di far crollare il complesso.
L'intervista è disponibile solo in inglese.
2023/01/27
2023/01/16
11 gennaio 2023: l'FAA ordina il primo stop dei voli negli USA dopo l'11 settembre
di Leonardo Salvaggio
Lo scorso 11 gennaio l'FAA (l'ente americano che gestisce il trasporto aereo) ha disposto lo stop di tutti i voli in partenza dagli aeroporti degli Stati Uniti a causa di un problema di un software di gestione delle comunicazioni verso i piloti. Si è trattato del primo arresto totale dei voli dall'11 settembre 2001.
Il software interessato dal disservizio è noto come NOTAM (Notice to Air Missions) ed è utilizzato da varie agenzie governative per inviare ai piloti informazioni di sicurezza relative alla rotta che il velivolo deve percorrere o alla località di destinazione, ad esempio nell'elenco delle notifiche si trovano numerose segnalazioni di vulcani attivi da evitare. L'FAA ha annunciato la prima volta che il sistema era indisponibile alle 19:47 (ora della costa orientale) del 10 gennaio, quando il sistema aveva smesso di inviare aggiornamenti già da quattro ore. Un'ora dopo ha annunciato che i tecnici stavano lavorando alla risoluzione del problema, ma per tutta la notte il disservizio non è rientrato. La mattina dell'11 gennaio l'agenzia ha ordinato alle 7:30 lo stop di tutti i voli in partenza. Intorno alle 9 il divieto di decollo è stato revocato; in quel momento erano stati posticipati circa 8.500 voli e 1.200 erano stati cancellati. Ovviamente ci sono volute ore prima che i ritardi venissero smaltiti.
Tuttora le cause dell'incidente non sono chiare. L'FAA ha dichiarato che non si è trattato di un attacco informatico, ma di un errore umano di un ingegnere che durante una finestra di manutenzione ha sostituito uno dei file del database con una copia corrotta dello stesso in quanto non ha seguito correttamente la procedura. La spiegazione è di suo ragionevole, ma non spiega per quale motivo il Canada, che utilizza un software diverso anch'esso chiamato NOTAM, abbia avuto problemi simili nelle stesse ore; in ogni caso il disservizio in Canada e durato solo tre ore e non ha causato ritardi perché il sistema di backup ha sostituito il primario che era indisponibile. In ogni caso né l'FAA né l'omologo canadese Nav Canada hanno spiegato se i due eventi siano legati. Una seconda notevole stranezza è che soli dieci giorni prima, l'1 gennaio, nelle Filippine si è verificato un problema simile che ha causato il blocco totale dello spazio aereo.
Rispetto al blocco dei voli dell'11 settembre, questo caso recente presente comunque una notevole differenza: in questa occasione i velivoli già in volo hanno potuto completare il loro viaggio verso le loro destinazioni, mentre l'11 settembre 2001 tutti i voli dovettero atterrare nel più breve tempo possibile. Quello dell'11 settembre non fu comunque la prima chiusura dello spazio aereo, il quanto nel primi anni 60 i voli degli Stati Uniti furono bloccati tre volte nell'ambito di altrettante esercitazioni militari note come Sky Shield.
Il Segretario dei Trasporti Pete Buttigieg ha dichiarato alla CNN che le indagini dovranno proseguire per capire da dove è arrivato il file corrotto e perché la ridondanza dei sistemi non ha garantito il funzionamento. Fino a quando questi aspetti non verranno chiariti, quanto accaduto l'11 gennaio scorso resterà poco chiaro.
Lo scorso 11 gennaio l'FAA (l'ente americano che gestisce il trasporto aereo) ha disposto lo stop di tutti i voli in partenza dagli aeroporti degli Stati Uniti a causa di un problema di un software di gestione delle comunicazioni verso i piloti. Si è trattato del primo arresto totale dei voli dall'11 settembre 2001.
Il software interessato dal disservizio è noto come NOTAM (Notice to Air Missions) ed è utilizzato da varie agenzie governative per inviare ai piloti informazioni di sicurezza relative alla rotta che il velivolo deve percorrere o alla località di destinazione, ad esempio nell'elenco delle notifiche si trovano numerose segnalazioni di vulcani attivi da evitare. L'FAA ha annunciato la prima volta che il sistema era indisponibile alle 19:47 (ora della costa orientale) del 10 gennaio, quando il sistema aveva smesso di inviare aggiornamenti già da quattro ore. Un'ora dopo ha annunciato che i tecnici stavano lavorando alla risoluzione del problema, ma per tutta la notte il disservizio non è rientrato. La mattina dell'11 gennaio l'agenzia ha ordinato alle 7:30 lo stop di tutti i voli in partenza. Intorno alle 9 il divieto di decollo è stato revocato; in quel momento erano stati posticipati circa 8.500 voli e 1.200 erano stati cancellati. Ovviamente ci sono volute ore prima che i ritardi venissero smaltiti.
Tuttora le cause dell'incidente non sono chiare. L'FAA ha dichiarato che non si è trattato di un attacco informatico, ma di un errore umano di un ingegnere che durante una finestra di manutenzione ha sostituito uno dei file del database con una copia corrotta dello stesso in quanto non ha seguito correttamente la procedura. La spiegazione è di suo ragionevole, ma non spiega per quale motivo il Canada, che utilizza un software diverso anch'esso chiamato NOTAM, abbia avuto problemi simili nelle stesse ore; in ogni caso il disservizio in Canada e durato solo tre ore e non ha causato ritardi perché il sistema di backup ha sostituito il primario che era indisponibile. In ogni caso né l'FAA né l'omologo canadese Nav Canada hanno spiegato se i due eventi siano legati. Una seconda notevole stranezza è che soli dieci giorni prima, l'1 gennaio, nelle Filippine si è verificato un problema simile che ha causato il blocco totale dello spazio aereo.
Rispetto al blocco dei voli dell'11 settembre, questo caso recente presente comunque una notevole differenza: in questa occasione i velivoli già in volo hanno potuto completare il loro viaggio verso le loro destinazioni, mentre l'11 settembre 2001 tutti i voli dovettero atterrare nel più breve tempo possibile. Quello dell'11 settembre non fu comunque la prima chiusura dello spazio aereo, il quanto nel primi anni 60 i voli degli Stati Uniti furono bloccati tre volte nell'ambito di altrettante esercitazioni militari note come Sky Shield.
Il Segretario dei Trasporti Pete Buttigieg ha dichiarato alla CNN che le indagini dovranno proseguire per capire da dove è arrivato il file corrotto e perché la ridondanza dei sistemi non ha garantito il funzionamento. Fino a quando questi aspetti non verranno chiariti, quanto accaduto l'11 gennaio scorso resterà poco chiaro.
2023/01/03
World Trade Center: an interview with former NYPD detective Vic Ferrari
by Leonardo Salvaggio. An Italian translation is available here.
Undicisettembre is offering its readers today the personal account of former NYPD detective Vic Ferrari, who was on duty on 9/11 and arrived on the scene after the collapse of both towers.
We would like to thank Vic Ferrari for his kindness and time.
Undicisettembre: What happened to you on 9/11? Can you give us an account of what you saw and experienced on that day?
Vic Ferrari: I had worked twenty years for the NYPD, when 9/11 happened I had fourteen years in. That day was Tuesday and it was election day, my office was in the Bronx which is a forty-five minutes to an hour drive from the Twin Towers. Previous to that I had arrested a guy who was selling stolen vehicles, he was in jail in Manhattan, and on that day I was going to the court in Manhattan with my sergeant and we were going to meet with his defense attorney. I was going to take him out of jail because he was going to become an informant, he was going to provide people who were selling stolen cars and he knew a guy who was working in the Department of Motor Vehicles who was selling phoney driver licenses.
We were going to meet at nine in Manhattan. So I came into the Bronx at seven. At eight o'clock my sergeant, who was supposed to come with me, was nowhere to be found. He arrived some minutes later and I was looking at my watch and said "Come one, we have got to go! It's going to take us an hour to go into Manhattan and find parking". He was taking his time, dragging his feet. Our office was at the second floor of the police station, one of the police officers ran upstairs, entered the detective squad and said "Turn the TV on, a plane has just hit the World Trade Center". We put the TV on and were watching it like everybody else. New York city has three major airports within 40 miles from each other, so we thought either the pilot had a heart attack or a small plane had hit the building; nobody knew anything. As we were watching this the second plane came and hit the second tower, then we knew it was terrorism.
We were told to get into our uniforms and stand by. Around noon we received the order to go, so we jumped into our unmarked police cars, drove through the west side highway of Manhattan, parked our cars and by 13 or 13:15 I was down there. It was chaos, they had us in uniforms but they didn't really know what to do with us; my lieutenant volunteered and said "I'll take my people from my team and we'll march in", which we did. They gave us these masks that we put on our mouths, but it was just a paper mask, not a very good one. We walked in and it was wild, there were a couple of buildings on fire, one of which was World Trade Center 7. We were a couple of blocks away and we could feel the heath and see flames coming out of the windows of these buildings.
The closer you got to the World Trade Center the darker it got, because when the buildings collapsed you had this volcanic ash and dust that was thrown into the air: concrete, asbestos, anything else that got pulverized went up into the air. So the closer you got the more difficult it was for sunlight to get through the particles, it was like a twilight in broad daylight. Everything was covered with this ash. And one thing I'll never forget is there were thousands and thousands of pairs of women high heel shoes, because a lot of women who worked in the financial district were wearing them but when you have to run you can't run in high heel shoes, so they took them off and just threw them in the street and took off. It looked like a movie: you had hot dog trucks abandoned, everything else you can think of was abandoned and covered with that ash. It was very hot and itchy in those polyester uniforms because of the toxic dust blowing all around us. It was a ghost town down there. For a while, it felt like my co-workers and I were the only people in the area.
As we got up to the World Trade Center, a piece of the facade had come down thousands of feet and embedded itself in the concrete in front of this tremendous pile. It looked like the last scene of "The Planet of the Apes" when Charlton Heston sees the head of the Statue of Liberty on the beach. I had seen many terrible things: car accidents, people stabbed or people shot, but I could not wrap my head around what I was looking at.
Nothing was open, so you couldn't get water or use the bathroom. So we started looking for a place to take a break, and that's where we found an office building on Broadway with some of the maintenance workers hadn't leaved. They let us into the building to take a break, to take our masks off and get some water. One of the guys who worked in that building was from Afghanistan but had worked in the United States more than twenty years and he explained us, chapter and verse, what was going on, he explained us about the Taliban and Osama bin Laden. I knew who the Taliban were and I knew about Osama bin Laden, that he was behind the two attacks to the embassies in Africa and that he was on the FBI most wanted terrorists list, I knew he was making noise about hitting the United States, but this man explained us the details about how the Taliban came in, took over his country and gave refuge to all these jihadists. Everything started to make sense, as much sense as it could make.
It was so chaotic. I remember when we walked up to the pile on day one a guy walked passed us in something that looker a space suit and he had some kind of device that looked like a Geiger counter. We looked at him and said "Does this guy work for the government or is he just a random nut with a Geiger counter who thought 'Today is the day I'm going to use my Geiger counter'?"
The first day we didn't have a perimeter set around the area like we had in following days when you couldn't get down there unless you could produce ID and explain what you had to do in the area.
I remained there till 5 or 6 the morning after, they told us to go home, run our clothes through a washing machine because the dust was toxic and we were required to show up at the Bronx at 5:30 pm. By 7:30 at night I was at Ground Zero again and stayed there till 6 o'clock in the morning, I did that for the first couple of days. But we didn't really do rescue and recovery because there was no real organization, it was still cahos. By the second day there were a lot of different police agencies from other states and some squads with cadaver dogs. A day or two later there was a Winnebago camper with a bunch of cops from Chicago, I remember thinking "Wow! How fast do these guys drive to be here in a day and a half?"
All the cars in the area that were not crashed had ash all over. Cops have like a gallows humor and I remember walking past a car and someone had written in the ash "Fuck you bin Laden. We are coming for you".
The days after they put a perimeter so that people couldn't get in and start stealing things, but that happened anyway and the police were catching imposters pretending to be off duty police officers, people showing up in firemen costumes, bogus charities that didn't exist trying to raise money. People would also go down there to try to steal motorized scooters or power generators and were getting caught.
There was nobody alive in the rubble, it was clear to us after a few days but we couldn't say that because there were thousands of people hoping that their loved ones could somehow get out of that. But being down there we knew no one was going to come out of that. It was like pulverization of humanity.
My team and I were going building to building in the outskirts of Ground Zero and we would go to the roof to look for remains of the aircrafts. We went on the roof of a building in Murray Street and we found a piece of landing gear, it went several blocks away from the Towers.
After a week they pulled us out, I was not there for a couple of weeks and then they sent us back to do the bucket brigade. We were like ants on a pile of sugar, we were a single line of a hundred cops and firemen, we were bringing debris down in a five gallon bucket and everybody was passing it down the line. At the certain point they said "We have to speed this up" and they brought in heavy equipment that started pulling large sections out. After that in Staten Island in an abandoned dump that the city had closed decades before they brought large sections of debris from the World Trade Center so that we could sift through them to look for evidence or remains. I got sent there and since my team worked in auto crime we were give special equipment like the Jaws of Life to cut and open cars, trucks and firetrucks that got pulled out to make sure no one had perished inside.
The NYPD treated us well during that period. There was a church a couple of blocks away from Ground Zero where you can go to take a break; there was a woman playing the piano and they had professional masseuses giving massages. We weren't used to that treatment in NYPD. Also famous people volunteered their time to came to visit us. I saw Robert De Niro who came while we were taking a break and he shook everybody's hands.
Undicisettembre: Have you seen World Trade Center 7 collapse?
Vic Ferrari: No, but we heard it. We went passed it while making our way to a bus a block or two away, we heard it and we jumped out of the bus, even out of the windows, and run for our lives because we didn't know if it was going to come over us. It was a tremendous sound.
Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life, if it does?
Vic Ferrari: Today it doesn't. It was a terrible and horrific thing, but I don't have nightmares from it. It was one of the worst things I've even seen, but to be successful in the line of work that I was in you have to be able to compartmentalize things. Especially when going through something like that you have to tell yourself "Yes, this is bad but I can't go to pieces; I have to fight through this, things will get better, I have to push through this".
There were people who had problems as a result of this and I can call myself very lucky. Probably it's my personality type. It's one of the worst days in American history and in my lifetime but I moved passed it.
Undicisettembre: You now live far away from New York so I understand you cannot easily attend celebrations like for the anniversaries, but what do you think of those?
Vic Ferrari: It's a good thing to remember so people don't forget it because in the United States we tend to forget about things and that day should not be forgotten. There are a lot of people who lost their lives as a result of that, I knew people who died on the first day and I know a lot of cops and firemen who died of cancer in the following years as a result of being down there. They told us in the first couple of days that the air was safe, but it wasn't. I also have to go every year to cancer screening, so it's always on the back of my mind.
Undicisettembre: What is your personal opinion about what happened in Afghanistan? Was going away like that the only possible thing to do or was there another option?
Vic Ferrari: There's always another option, we never learn from our mistakes. We pushed the Soviets out and provided Afghans with stinger missiles that ended up in the hands of the Taliban and of the other jihadists. We tend to leave something alone and create a vacuum, then some scumbag takes over and this is what happened this time too.
Undicisettembre is offering its readers today the personal account of former NYPD detective Vic Ferrari, who was on duty on 9/11 and arrived on the scene after the collapse of both towers.
We would like to thank Vic Ferrari for his kindness and time.
Undicisettembre: What happened to you on 9/11? Can you give us an account of what you saw and experienced on that day?
Vic Ferrari: I had worked twenty years for the NYPD, when 9/11 happened I had fourteen years in. That day was Tuesday and it was election day, my office was in the Bronx which is a forty-five minutes to an hour drive from the Twin Towers. Previous to that I had arrested a guy who was selling stolen vehicles, he was in jail in Manhattan, and on that day I was going to the court in Manhattan with my sergeant and we were going to meet with his defense attorney. I was going to take him out of jail because he was going to become an informant, he was going to provide people who were selling stolen cars and he knew a guy who was working in the Department of Motor Vehicles who was selling phoney driver licenses.
We were going to meet at nine in Manhattan. So I came into the Bronx at seven. At eight o'clock my sergeant, who was supposed to come with me, was nowhere to be found. He arrived some minutes later and I was looking at my watch and said "Come one, we have got to go! It's going to take us an hour to go into Manhattan and find parking". He was taking his time, dragging his feet. Our office was at the second floor of the police station, one of the police officers ran upstairs, entered the detective squad and said "Turn the TV on, a plane has just hit the World Trade Center". We put the TV on and were watching it like everybody else. New York city has three major airports within 40 miles from each other, so we thought either the pilot had a heart attack or a small plane had hit the building; nobody knew anything. As we were watching this the second plane came and hit the second tower, then we knew it was terrorism.
We were told to get into our uniforms and stand by. Around noon we received the order to go, so we jumped into our unmarked police cars, drove through the west side highway of Manhattan, parked our cars and by 13 or 13:15 I was down there. It was chaos, they had us in uniforms but they didn't really know what to do with us; my lieutenant volunteered and said "I'll take my people from my team and we'll march in", which we did. They gave us these masks that we put on our mouths, but it was just a paper mask, not a very good one. We walked in and it was wild, there were a couple of buildings on fire, one of which was World Trade Center 7. We were a couple of blocks away and we could feel the heath and see flames coming out of the windows of these buildings.
The closer you got to the World Trade Center the darker it got, because when the buildings collapsed you had this volcanic ash and dust that was thrown into the air: concrete, asbestos, anything else that got pulverized went up into the air. So the closer you got the more difficult it was for sunlight to get through the particles, it was like a twilight in broad daylight. Everything was covered with this ash. And one thing I'll never forget is there were thousands and thousands of pairs of women high heel shoes, because a lot of women who worked in the financial district were wearing them but when you have to run you can't run in high heel shoes, so they took them off and just threw them in the street and took off. It looked like a movie: you had hot dog trucks abandoned, everything else you can think of was abandoned and covered with that ash. It was very hot and itchy in those polyester uniforms because of the toxic dust blowing all around us. It was a ghost town down there. For a while, it felt like my co-workers and I were the only people in the area.
As we got up to the World Trade Center, a piece of the facade had come down thousands of feet and embedded itself in the concrete in front of this tremendous pile. It looked like the last scene of "The Planet of the Apes" when Charlton Heston sees the head of the Statue of Liberty on the beach. I had seen many terrible things: car accidents, people stabbed or people shot, but I could not wrap my head around what I was looking at.
Nothing was open, so you couldn't get water or use the bathroom. So we started looking for a place to take a break, and that's where we found an office building on Broadway with some of the maintenance workers hadn't leaved. They let us into the building to take a break, to take our masks off and get some water. One of the guys who worked in that building was from Afghanistan but had worked in the United States more than twenty years and he explained us, chapter and verse, what was going on, he explained us about the Taliban and Osama bin Laden. I knew who the Taliban were and I knew about Osama bin Laden, that he was behind the two attacks to the embassies in Africa and that he was on the FBI most wanted terrorists list, I knew he was making noise about hitting the United States, but this man explained us the details about how the Taliban came in, took over his country and gave refuge to all these jihadists. Everything started to make sense, as much sense as it could make.
It was so chaotic. I remember when we walked up to the pile on day one a guy walked passed us in something that looker a space suit and he had some kind of device that looked like a Geiger counter. We looked at him and said "Does this guy work for the government or is he just a random nut with a Geiger counter who thought 'Today is the day I'm going to use my Geiger counter'?"
The first day we didn't have a perimeter set around the area like we had in following days when you couldn't get down there unless you could produce ID and explain what you had to do in the area.
I remained there till 5 or 6 the morning after, they told us to go home, run our clothes through a washing machine because the dust was toxic and we were required to show up at the Bronx at 5:30 pm. By 7:30 at night I was at Ground Zero again and stayed there till 6 o'clock in the morning, I did that for the first couple of days. But we didn't really do rescue and recovery because there was no real organization, it was still cahos. By the second day there were a lot of different police agencies from other states and some squads with cadaver dogs. A day or two later there was a Winnebago camper with a bunch of cops from Chicago, I remember thinking "Wow! How fast do these guys drive to be here in a day and a half?"
All the cars in the area that were not crashed had ash all over. Cops have like a gallows humor and I remember walking past a car and someone had written in the ash "Fuck you bin Laden. We are coming for you".
The days after they put a perimeter so that people couldn't get in and start stealing things, but that happened anyway and the police were catching imposters pretending to be off duty police officers, people showing up in firemen costumes, bogus charities that didn't exist trying to raise money. People would also go down there to try to steal motorized scooters or power generators and were getting caught.
There was nobody alive in the rubble, it was clear to us after a few days but we couldn't say that because there were thousands of people hoping that their loved ones could somehow get out of that. But being down there we knew no one was going to come out of that. It was like pulverization of humanity.
My team and I were going building to building in the outskirts of Ground Zero and we would go to the roof to look for remains of the aircrafts. We went on the roof of a building in Murray Street and we found a piece of landing gear, it went several blocks away from the Towers.
After a week they pulled us out, I was not there for a couple of weeks and then they sent us back to do the bucket brigade. We were like ants on a pile of sugar, we were a single line of a hundred cops and firemen, we were bringing debris down in a five gallon bucket and everybody was passing it down the line. At the certain point they said "We have to speed this up" and they brought in heavy equipment that started pulling large sections out. After that in Staten Island in an abandoned dump that the city had closed decades before they brought large sections of debris from the World Trade Center so that we could sift through them to look for evidence or remains. I got sent there and since my team worked in auto crime we were give special equipment like the Jaws of Life to cut and open cars, trucks and firetrucks that got pulled out to make sure no one had perished inside.
The NYPD treated us well during that period. There was a church a couple of blocks away from Ground Zero where you can go to take a break; there was a woman playing the piano and they had professional masseuses giving massages. We weren't used to that treatment in NYPD. Also famous people volunteered their time to came to visit us. I saw Robert De Niro who came while we were taking a break and he shook everybody's hands.
Undicisettembre: Have you seen World Trade Center 7 collapse?
Vic Ferrari: No, but we heard it. We went passed it while making our way to a bus a block or two away, we heard it and we jumped out of the bus, even out of the windows, and run for our lives because we didn't know if it was going to come over us. It was a tremendous sound.
Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life, if it does?
Vic Ferrari: Today it doesn't. It was a terrible and horrific thing, but I don't have nightmares from it. It was one of the worst things I've even seen, but to be successful in the line of work that I was in you have to be able to compartmentalize things. Especially when going through something like that you have to tell yourself "Yes, this is bad but I can't go to pieces; I have to fight through this, things will get better, I have to push through this".
There were people who had problems as a result of this and I can call myself very lucky. Probably it's my personality type. It's one of the worst days in American history and in my lifetime but I moved passed it.
Undicisettembre: You now live far away from New York so I understand you cannot easily attend celebrations like for the anniversaries, but what do you think of those?
Vic Ferrari: It's a good thing to remember so people don't forget it because in the United States we tend to forget about things and that day should not be forgotten. There are a lot of people who lost their lives as a result of that, I knew people who died on the first day and I know a lot of cops and firemen who died of cancer in the following years as a result of being down there. They told us in the first couple of days that the air was safe, but it wasn't. I also have to go every year to cancer screening, so it's always on the back of my mind.
Undicisettembre: What is your personal opinion about what happened in Afghanistan? Was going away like that the only possible thing to do or was there another option?
Vic Ferrari: There's always another option, we never learn from our mistakes. We pushed the Soviets out and provided Afghans with stinger missiles that ended up in the hands of the Taliban and of the other jihadists. We tend to leave something alone and create a vacuum, then some scumbag takes over and this is what happened this time too.
World Trade Center: intervista all'ex detective dell'NYPD Vic Ferrari
di Leonardo Salvaggio. L'originale in inglese è disponibile qui.
Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale dell'ex detective dell'NYPD Vic Ferrari che l'11/9 era in servizio e arrivò sulla scena dopo il crollo di entrambe le torri.
Ringraziamo Vic Ferrari per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Cosa ricordi dell'11 settembre? Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto quel giorno?
Vic Ferrari: Ho lavorato per la polizia di New York per vent'anni, quando avvenne l'11 settembre erano quattordici anni che ci lavoravo. Quel giorno era martedì e c'erano le elezioni, il mio ufficio era nel Bronx da cui si raggiungevano le Torri Gemelle in tre quarti d'ora o un'ora di macchina. Nei giorni prima avevo arrestato un uomo che vendeva veicoli rubati, era in prigione a Manhattan, e quel giorno dovevo andare in tribunale a Manhattan con il mio sergente e avremmo incontrato il suo avvocato difensore. Lo volevamo portare fuori di prigione perché sarebbe diventato un informatore, ci avrebbe portato a persone che vendevano auto rubate e conosceva un uomo che lavorava nel Dipartimento dei Veicoli a Motore che vendeva patenti false.
Ci saremmo incontrati alle nove a Manhattan. Così arrivai nel Bronx alle sette. Alle otto il mio sergente, che doveva venire con me, non era ancora arrivato. Arrivò pochi minuti dopo e io guardando l'orologio gli dissi "Dai, dobbiamo andare! Ci vorrà un'ora per andare a Manhattan e trovare parcheggio". Lui continuava a fare le cose con calma, senza fretta. Il nostro ufficio era al secondo piano della stazione di polizia, uno dei poliziotti corse di sopra, entrò nell'ufficio della squadra investigativa e disse "Accendete la TV, un aereo ha appena colpito il World Trade Center". Accendemmo la TV e iniziammo a guardare come chiunque altro stava facendo. La città di New York ha tre aeroporti principali entro un raggio di settanta chilometri l'uno dall'altro, quindi abbiamo pensato che un pilota avesse avuto un infarto o che un piccolo aereo avesse colpito l'edificio; nessuno sapeva niente. Mentre stavamo guardando, il secondo aereo arrivò e colpì la seconda torre, quindi capimmo che si trattava di terrorismo.
Ci venne detto di indossare le nostre uniformi e restare in attesa. Verso mezzogiorno ricevemmo l'ordine di partire, quindi salimmo sulle nostre auto della polizia senza loghi, attraversammo l'autostrada sul lato ovest di Manhattan, parcheggiammo le nostre auto e alle 13 o 13:15 ero là. C'era il caos, eravamo in divisa ma non sapevano proprio che incarico darci; il mio luogotenente si fece avanti e disse "Prendo la mia squadra e andiamo sulla scena", e così facemmo. Ci diedero delle maschere con cui ci coprimmo la bocca, ma erano semplici maschere di carta, non servivano a molto. Arrivammo ed era tutto folle, c'erano degli edifici in fiamme, uno dei quali era il World Trade Center 7. Eravamo a un paio di isolati di distanza eppure sentivamo il calore e vedevamo le fiamme uscire dalle finestre di questi edifici.
Più ci avvicinavamo al World Trade Center più diventava buio, perché quando gli edifici sono crollati hanno sollevato ceneri e polvere come in un'eruzione vulcanica che venivano lanciate in aria: cemento, amianto, qualsiasi altra cosa che era stata polverizzata volava nell'area. Quindi più ci avvicinavamo, più difficile era per la luce del sole passare attraverso il particolato, era come un crepuscolo in pieno giorno. Tutto era ricoperto da questa cenere. E una cosa che non dimenticherò mai è che c'erano migliaia e migliaia di paia di scarpe da donna con tacco alto, perché molte donne che lavoravano nel distretto finanziario le avevano indossate ma dovendo scappare e non potendo correre con i tacchi alti se le erano tolte, le avevano gettate in strada ed erano scappate. Sembrava un film: c'erano furgoni che vendano hot dog abbandonati, tutto ciò a cui si possa pensare era abbandonato e ricoperto da quella cenere. Faceva molto caldo e avevamo prurito in quelle uniformi di poliestere a causa della polvere tossica che volava tutto intorno a noi. Era una città fantasma. Per un po' mi sembrò che io e i miei colleghi fossimo le uniche persone della zona.
Quando arrivammo al World Trade Center vedemmo un pezzo della facciata che era caduto da centinaia di metri di piedi e si era incastrato al suolo di fronte al terribile cumulo di macerie. Sembrava la scena finale de "Il pianeta delle scimmie" quando Charlton Heston vede la testa della Statua della Libertà sulla spiaggia. Avevo già affrontato molte scene terribili: incidenti automobilistici, persone accoltellate o colpite da colpi di arma da fuoco, ma non riuscivo a a dare un senso a ciò che stavo guardando.
Non c'era nulla di aperto, quindi non potevamo prendere acqua da bere o usare un bagno. Così iniziammo a cercare un posto dove fermarci per una pausa, e trovammo un palazzo di uffici a Broadway in cui alcuni addetti alla manutenzione non erano usciti. Ci fecero entrare per fare una pausa, toglierci le mascherine e bere un po' d'acqua. Uno dei manutentori veniva dall'Afghanistan ma lavorava negli Stati Uniti da più di vent'anni e ci spiegò in dettaglio cosa stava succedendo, ci spiegò dei Talebani e di Osama bin Laden. Sapevo chi erano i talebani e sapevo di Osama bin Laden, che c'era lui dietro i due attentati alle ambasciate in Africa e che era nella lista dei terroristi più ricercati dell'FBI, sapevo che incitava i terroristi a colpire gli Stati Uniti, ma quest'uomo ci spiegò i dettagli su come i Talebani avevano preso il controllo del suo paese e avevano dato un rifugio a tutti questi jihadisti. Tutto iniziò ad avere un senso, per quanto potesse averne.
Era il caos totale. Ricordo che quando ci siamo avvicinammo alla pila il primo giorno, un uomo che indossava qualcosa che sembrava una tuta spaziale ci passò accanto, aveva con sé un dispositivo che sembrava un contatore Geiger. Lo guardammo e ci dicemmo "Quest'uomo lavora per il governo o è solo un matto a caso che ha un contatore Geiger e che ha pensato 'Oggi è il giorno in cui userò il mio contatore Geiger'?"
Il primo giorno l'area non era delimitata come lo sarebbe stato nei giorni successivi quando non si poteva entrare sulla scena senza un tesserino di identificazione e spiegando qual era il proprio ruolo.
Rimasi lì fino alle 5 o le 6 del mattino dopo, quindi ci dissero di andare a casa, di lavare i vestiti in lavatrice perché la polvere era tossica e di presentarci nel Bronx alle 17:30. Alle 19:30 ero di nuovo a Ground Zero e ci sono rimasto fino alle 6 del mattino, lo feci per i primi due giorni. Non prendemmo parte al soccorso e recupero perché non c'era una vera organizzazione, era ancora il caos. Il secondo giorno c'erano molte diverse agenzie di polizia di altri stati e alcune squadre con cani da cadavere. Un giorno o due dopo c'era un camper Winnebago con un gruppo di poliziotti di Chicago, ricordo di aver pensato "Wow! Quanto guidano veloce questi ragazzi per essere qui in un giorno e mezzo?"
Tutte le auto della zona che non erano rimaste schiacciate erano ricoperte di cenere. I poliziotti hanno un umorismo nero e ricordo di essere passato davanti a un'auto su cui qualcuno aveva scritto nella cenere "Fottiti bin Laden. Veniamo a prenderti".
I giorni dopo l'area era stata delimitata in modo che nessuno potesse entrare a rubare cose, ma è successo lo stesso e la polizia catturò impostori che fingevano di essere agenti di polizia fuori servizio, persone che si presentavano con costumi da pompiere, enti di beneficenza fasulli che non esistevano e che cercavano di raccogliere fondi. La gente andava nella zona anche per cercare di rubare monopattini elettrici o generatori di corrente e veniva scoperta.
Non c'era nessuno vivo tra le macerie, lo capimmo dopo pochi giorni ma non potevamo dirlo perché c'erano migliaia di persone che speravano che i loro cari potessero in qualche modo uscirne. Ma noi che eravamo lì sapevamo che nessuno ne sarebbe uscito. Era come la polverizzazione dell'umanità.
Io e la mia squadra andavamo da un edificio all'altro nelle vicinanze di Ground Zero per andare sui tetti a cercare resti degli aerei. Salimmo sul tetto di un edificio a Murray Street e trovammo un pezzo di carrello di atterraggio che era finito a vari isolati dalle Torri.
Dopo una settimana ci tolsero da quell'incarico, prima della fine della seconda settimana ci mandarono alla brigata del secchio. Eravamo come formiche su un mucchio di zucchero, eravamo un'unica fila di un centinaio di poliziotti e vigili del fuoco, riempivamo di detriti dei secchi da venti litri e li facevamo passare lungo la fila. A un certo punto dissero "Dobbiamo fare più in fretta" e portarono attrezzature pesanti con cui hanno estratto pezzi più grossi. Dopodiché a Staten Island, in una discarica abbandonata che era stata chiusa decenni prima, furono portati grandi pezzi di detriti dal World Trade Center in modo che potessimo setacciarli per cercare prove o resti. Venni mandato lì e, poiché la mia squadra lavorava nel crimine legato alle automobili, ci diedero strumenti speciali come gli utensili idraulici per il soccorso per tagliare e aprire auto, furgoni e camion dei pompieri che erano stati estratti per assicurarci che nessuno fosse morto all'interno.
La polizia di New York ci trattò bene durante quel periodo. C'era una chiesa a un paio di isolati da Ground Zero dove potevamo andare a fare una pausa; c'era una donna che suonava il pianoforte e c'erano massaggiatrici professioniste che facevano massaggi. Non eravamo abituati a quel trattamento alla polizia di New York. Anche personaggi famosi sono spontaneamente venuti a trovarci. Ho visto Robert De Niro che è venuto mentre facevamo una pausa e ha stretto la mano a tutti.
Undicisettembre: Hai visto crollare il World Trade Center 7?
Vic Ferrari: No, ma l'abbiamo sentito. Ci siamo passati accanto mentre ci dirigevamo verso un autobus a un isolato o due di distanza, l'abbiamo sentito crollare e siamo saltati giù dall'autobus, anche dai finestrini, per scappare e salvarci la vita perché non sapevamo se sarebbe crollato verso di noi. È stato un rumore tremendo.
Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana, se lo fa?
Vic Ferrari: Oggi no. È stata una cosa terribile e orribile, ma non ho incubi. È stata una delle cose peggiori che abbia mai visto, ma per avere successo nella linea di lavoro in cui mi trovavo devi essere in grado di tenere divise le cose. Soprattutto quando affronti qualcosa del genere devi dire a te stesso "È vero, è brutto ma non posso andare in pezzi; devo lottare, le cose andranno meglio, devo farcela".
Ci sono persone che hanno avuto problemi a causa di quanto accaduto e posso ritenermi molto fortunato. Probabilmente è il mio tipo di personalità. È stato uno dei giorni peggiori della storia americana e della mia vita, ma l'ho superato.
Undicisettembre: Ora vivi lontano da New York quindi capisco che non puoi partecipare facilmente a celebrazioni come per gli anniversari, cosa ne pensi in ogni caso?
Vic Ferrari: È una buona cosa commemorare, così che la gente non lo dimentichi perché negli Stati Uniti tendiamo a dimenticarci delle cose e quel giorno non deve essere dimenticato. Ci sono molte persone che hanno perso la vita a causa di ciò che è successo, conoscevo persone che sono morte il giorno stesso e conosco molti poliziotti e vigili del fuoco che sono morti di cancro negli anni successivi per il fatto di essere stati lì. Ci hanno detto nei primi due giorni che l'aria era sicura, ma non lo era. Devo fare ogni anno lo screening del cancro, quindi rimane sempre nel retro della mia mente.
Undicisettembre: Qual è la tua opinione personale su quanto accaduto in Afghanistan? Andarsene in quel modo era l'unica cosa possibile o c'era un'altra possibilità?
Vic Ferrari: C'è sempre un'altra possibilità, non impariamo mai dai nostri errori. Abbiamo cacciato i sovietici e fornito agli afghani missili stinger che sono finiti nelle mani dei Talebani e degli altri jihadisti. Tendiamo ad abbandonare certe situazioni e a creare il vuoto, poi subentra qualche bastardo ed è quello che è successo anche questa volta.
Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale dell'ex detective dell'NYPD Vic Ferrari che l'11/9 era in servizio e arrivò sulla scena dopo il crollo di entrambe le torri.
Ringraziamo Vic Ferrari per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Cosa ricordi dell'11 settembre? Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto quel giorno?
Vic Ferrari: Ho lavorato per la polizia di New York per vent'anni, quando avvenne l'11 settembre erano quattordici anni che ci lavoravo. Quel giorno era martedì e c'erano le elezioni, il mio ufficio era nel Bronx da cui si raggiungevano le Torri Gemelle in tre quarti d'ora o un'ora di macchina. Nei giorni prima avevo arrestato un uomo che vendeva veicoli rubati, era in prigione a Manhattan, e quel giorno dovevo andare in tribunale a Manhattan con il mio sergente e avremmo incontrato il suo avvocato difensore. Lo volevamo portare fuori di prigione perché sarebbe diventato un informatore, ci avrebbe portato a persone che vendevano auto rubate e conosceva un uomo che lavorava nel Dipartimento dei Veicoli a Motore che vendeva patenti false.
Ci saremmo incontrati alle nove a Manhattan. Così arrivai nel Bronx alle sette. Alle otto il mio sergente, che doveva venire con me, non era ancora arrivato. Arrivò pochi minuti dopo e io guardando l'orologio gli dissi "Dai, dobbiamo andare! Ci vorrà un'ora per andare a Manhattan e trovare parcheggio". Lui continuava a fare le cose con calma, senza fretta. Il nostro ufficio era al secondo piano della stazione di polizia, uno dei poliziotti corse di sopra, entrò nell'ufficio della squadra investigativa e disse "Accendete la TV, un aereo ha appena colpito il World Trade Center". Accendemmo la TV e iniziammo a guardare come chiunque altro stava facendo. La città di New York ha tre aeroporti principali entro un raggio di settanta chilometri l'uno dall'altro, quindi abbiamo pensato che un pilota avesse avuto un infarto o che un piccolo aereo avesse colpito l'edificio; nessuno sapeva niente. Mentre stavamo guardando, il secondo aereo arrivò e colpì la seconda torre, quindi capimmo che si trattava di terrorismo.
Ci venne detto di indossare le nostre uniformi e restare in attesa. Verso mezzogiorno ricevemmo l'ordine di partire, quindi salimmo sulle nostre auto della polizia senza loghi, attraversammo l'autostrada sul lato ovest di Manhattan, parcheggiammo le nostre auto e alle 13 o 13:15 ero là. C'era il caos, eravamo in divisa ma non sapevano proprio che incarico darci; il mio luogotenente si fece avanti e disse "Prendo la mia squadra e andiamo sulla scena", e così facemmo. Ci diedero delle maschere con cui ci coprimmo la bocca, ma erano semplici maschere di carta, non servivano a molto. Arrivammo ed era tutto folle, c'erano degli edifici in fiamme, uno dei quali era il World Trade Center 7. Eravamo a un paio di isolati di distanza eppure sentivamo il calore e vedevamo le fiamme uscire dalle finestre di questi edifici.
Più ci avvicinavamo al World Trade Center più diventava buio, perché quando gli edifici sono crollati hanno sollevato ceneri e polvere come in un'eruzione vulcanica che venivano lanciate in aria: cemento, amianto, qualsiasi altra cosa che era stata polverizzata volava nell'area. Quindi più ci avvicinavamo, più difficile era per la luce del sole passare attraverso il particolato, era come un crepuscolo in pieno giorno. Tutto era ricoperto da questa cenere. E una cosa che non dimenticherò mai è che c'erano migliaia e migliaia di paia di scarpe da donna con tacco alto, perché molte donne che lavoravano nel distretto finanziario le avevano indossate ma dovendo scappare e non potendo correre con i tacchi alti se le erano tolte, le avevano gettate in strada ed erano scappate. Sembrava un film: c'erano furgoni che vendano hot dog abbandonati, tutto ciò a cui si possa pensare era abbandonato e ricoperto da quella cenere. Faceva molto caldo e avevamo prurito in quelle uniformi di poliestere a causa della polvere tossica che volava tutto intorno a noi. Era una città fantasma. Per un po' mi sembrò che io e i miei colleghi fossimo le uniche persone della zona.
Quando arrivammo al World Trade Center vedemmo un pezzo della facciata che era caduto da centinaia di metri di piedi e si era incastrato al suolo di fronte al terribile cumulo di macerie. Sembrava la scena finale de "Il pianeta delle scimmie" quando Charlton Heston vede la testa della Statua della Libertà sulla spiaggia. Avevo già affrontato molte scene terribili: incidenti automobilistici, persone accoltellate o colpite da colpi di arma da fuoco, ma non riuscivo a a dare un senso a ciò che stavo guardando.
Non c'era nulla di aperto, quindi non potevamo prendere acqua da bere o usare un bagno. Così iniziammo a cercare un posto dove fermarci per una pausa, e trovammo un palazzo di uffici a Broadway in cui alcuni addetti alla manutenzione non erano usciti. Ci fecero entrare per fare una pausa, toglierci le mascherine e bere un po' d'acqua. Uno dei manutentori veniva dall'Afghanistan ma lavorava negli Stati Uniti da più di vent'anni e ci spiegò in dettaglio cosa stava succedendo, ci spiegò dei Talebani e di Osama bin Laden. Sapevo chi erano i talebani e sapevo di Osama bin Laden, che c'era lui dietro i due attentati alle ambasciate in Africa e che era nella lista dei terroristi più ricercati dell'FBI, sapevo che incitava i terroristi a colpire gli Stati Uniti, ma quest'uomo ci spiegò i dettagli su come i Talebani avevano preso il controllo del suo paese e avevano dato un rifugio a tutti questi jihadisti. Tutto iniziò ad avere un senso, per quanto potesse averne.
Era il caos totale. Ricordo che quando ci siamo avvicinammo alla pila il primo giorno, un uomo che indossava qualcosa che sembrava una tuta spaziale ci passò accanto, aveva con sé un dispositivo che sembrava un contatore Geiger. Lo guardammo e ci dicemmo "Quest'uomo lavora per il governo o è solo un matto a caso che ha un contatore Geiger e che ha pensato 'Oggi è il giorno in cui userò il mio contatore Geiger'?"
Il primo giorno l'area non era delimitata come lo sarebbe stato nei giorni successivi quando non si poteva entrare sulla scena senza un tesserino di identificazione e spiegando qual era il proprio ruolo.
Rimasi lì fino alle 5 o le 6 del mattino dopo, quindi ci dissero di andare a casa, di lavare i vestiti in lavatrice perché la polvere era tossica e di presentarci nel Bronx alle 17:30. Alle 19:30 ero di nuovo a Ground Zero e ci sono rimasto fino alle 6 del mattino, lo feci per i primi due giorni. Non prendemmo parte al soccorso e recupero perché non c'era una vera organizzazione, era ancora il caos. Il secondo giorno c'erano molte diverse agenzie di polizia di altri stati e alcune squadre con cani da cadavere. Un giorno o due dopo c'era un camper Winnebago con un gruppo di poliziotti di Chicago, ricordo di aver pensato "Wow! Quanto guidano veloce questi ragazzi per essere qui in un giorno e mezzo?"
Tutte le auto della zona che non erano rimaste schiacciate erano ricoperte di cenere. I poliziotti hanno un umorismo nero e ricordo di essere passato davanti a un'auto su cui qualcuno aveva scritto nella cenere "Fottiti bin Laden. Veniamo a prenderti".
I giorni dopo l'area era stata delimitata in modo che nessuno potesse entrare a rubare cose, ma è successo lo stesso e la polizia catturò impostori che fingevano di essere agenti di polizia fuori servizio, persone che si presentavano con costumi da pompiere, enti di beneficenza fasulli che non esistevano e che cercavano di raccogliere fondi. La gente andava nella zona anche per cercare di rubare monopattini elettrici o generatori di corrente e veniva scoperta.
Non c'era nessuno vivo tra le macerie, lo capimmo dopo pochi giorni ma non potevamo dirlo perché c'erano migliaia di persone che speravano che i loro cari potessero in qualche modo uscirne. Ma noi che eravamo lì sapevamo che nessuno ne sarebbe uscito. Era come la polverizzazione dell'umanità.
Io e la mia squadra andavamo da un edificio all'altro nelle vicinanze di Ground Zero per andare sui tetti a cercare resti degli aerei. Salimmo sul tetto di un edificio a Murray Street e trovammo un pezzo di carrello di atterraggio che era finito a vari isolati dalle Torri.
Dopo una settimana ci tolsero da quell'incarico, prima della fine della seconda settimana ci mandarono alla brigata del secchio. Eravamo come formiche su un mucchio di zucchero, eravamo un'unica fila di un centinaio di poliziotti e vigili del fuoco, riempivamo di detriti dei secchi da venti litri e li facevamo passare lungo la fila. A un certo punto dissero "Dobbiamo fare più in fretta" e portarono attrezzature pesanti con cui hanno estratto pezzi più grossi. Dopodiché a Staten Island, in una discarica abbandonata che era stata chiusa decenni prima, furono portati grandi pezzi di detriti dal World Trade Center in modo che potessimo setacciarli per cercare prove o resti. Venni mandato lì e, poiché la mia squadra lavorava nel crimine legato alle automobili, ci diedero strumenti speciali come gli utensili idraulici per il soccorso per tagliare e aprire auto, furgoni e camion dei pompieri che erano stati estratti per assicurarci che nessuno fosse morto all'interno.
La polizia di New York ci trattò bene durante quel periodo. C'era una chiesa a un paio di isolati da Ground Zero dove potevamo andare a fare una pausa; c'era una donna che suonava il pianoforte e c'erano massaggiatrici professioniste che facevano massaggi. Non eravamo abituati a quel trattamento alla polizia di New York. Anche personaggi famosi sono spontaneamente venuti a trovarci. Ho visto Robert De Niro che è venuto mentre facevamo una pausa e ha stretto la mano a tutti.
Undicisettembre: Hai visto crollare il World Trade Center 7?
Vic Ferrari: No, ma l'abbiamo sentito. Ci siamo passati accanto mentre ci dirigevamo verso un autobus a un isolato o due di distanza, l'abbiamo sentito crollare e siamo saltati giù dall'autobus, anche dai finestrini, per scappare e salvarci la vita perché non sapevamo se sarebbe crollato verso di noi. È stato un rumore tremendo.
Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana, se lo fa?
Vic Ferrari: Oggi no. È stata una cosa terribile e orribile, ma non ho incubi. È stata una delle cose peggiori che abbia mai visto, ma per avere successo nella linea di lavoro in cui mi trovavo devi essere in grado di tenere divise le cose. Soprattutto quando affronti qualcosa del genere devi dire a te stesso "È vero, è brutto ma non posso andare in pezzi; devo lottare, le cose andranno meglio, devo farcela".
Ci sono persone che hanno avuto problemi a causa di quanto accaduto e posso ritenermi molto fortunato. Probabilmente è il mio tipo di personalità. È stato uno dei giorni peggiori della storia americana e della mia vita, ma l'ho superato.
Undicisettembre: Ora vivi lontano da New York quindi capisco che non puoi partecipare facilmente a celebrazioni come per gli anniversari, cosa ne pensi in ogni caso?
Vic Ferrari: È una buona cosa commemorare, così che la gente non lo dimentichi perché negli Stati Uniti tendiamo a dimenticarci delle cose e quel giorno non deve essere dimenticato. Ci sono molte persone che hanno perso la vita a causa di ciò che è successo, conoscevo persone che sono morte il giorno stesso e conosco molti poliziotti e vigili del fuoco che sono morti di cancro negli anni successivi per il fatto di essere stati lì. Ci hanno detto nei primi due giorni che l'aria era sicura, ma non lo era. Devo fare ogni anno lo screening del cancro, quindi rimane sempre nel retro della mia mente.
Undicisettembre: Qual è la tua opinione personale su quanto accaduto in Afghanistan? Andarsene in quel modo era l'unica cosa possibile o c'era un'altra possibilità?
Vic Ferrari: C'è sempre un'altra possibilità, non impariamo mai dai nostri errori. Abbiamo cacciato i sovietici e fornito agli afghani missili stinger che sono finiti nelle mani dei Talebani e degli altri jihadisti. Tendiamo ad abbandonare certe situazioni e a creare il vuoto, poi subentra qualche bastardo ed è quello che è successo anche questa volta.