Omar al-Bayoumi è uno dei personaggi più misteriosi relativamente agli attentati dell'11/9. L'uomo, un saudita con forti legami con il governo di Riyadh, diede supporti logistico a Khalid al-Mihdhar e Nawaf al-Hazmi, due di quelli che l'11 settembre sarebbero diventati i muscle hijackers del volo American Airlines 77, durante la loro permanenza a San Diego, e ad oggi non è chiaro perché lo fece né quale fosse il suo ruolo tra i funzionari sauditi.
Omar al-Bayoumi |
Nel 2001 il nome di Omar al-Bayoumi non risultò nuovi agli inquirenti, infatti l'FBI condusse un'indagine preliminare su di lui già nel 1998. Secondo il rapporto del Dipartimento di Giustizia A Review of the FBI's Handling of Intelligence Information Related to the September 11 Attacks (in cui valuta la gestione dell'FBI delle informazioni raccolte prima dell'11/9), il nome di al-Bayoumi comparve all'attenzione dell'FBI nel 1995 nell'ambito di un'altra indagine, di cui non è fornito nessun dettaglio. Il 31 agosto del 1998 l'FBI fu contattato dal gestore del comprensorio di San Diego in cui abitava che segnalò attività sospette legate al saudita. Lo US Postal Inspection Service (la polizia postale degli USA) aveva infatti comunicato che al-Bayoumi aveva ricevuto un pacco postale definito sospetto che si era aperto, rivelando dei cavi elettrici al proprio interno; inoltre l'idraulico del palazzo aveva riportato di aver visto cavi elettrici sporgere da sotto uno dei lavelli del suo appartamento. In ultimo, aggiunse il gestore, al-Bayoumi organizzava presso il suo appartamento ritrovi con numerosi uomini di provenienza mediorientale durante i weekend e i suoi ospiti spesso occupavano abusivamente i parcheggi riservati agli inquilini.
L'agente dell'FBI assegnata al caso contattò l'ispettore postale che aveva fatto la segnalazione sul pacco, ma l'ispettore smentì che dal pacco fossero spuntati dei cavi e aggiunse che il motivo per cui lo aveva definito sospetto era che non vi era lettera di accompagnamento, non era stato affrancato correttamente e proveniva dall'Arabia Saudita. L'agente dell'FBI quindi chiese al gestore del residence di annotare i numeri di targa delle auto degli ospiti di al-Bayoumi, ma poco dopo il numero di partecipanti agli incontri nell'appartamento del saudita scese fino a quando gli incontri stessi non si verificarono più.
Nell'ambito dell'indagine l'FBI scoprì che al-Bayoumi aveva circa trent'anni (in realtà nel 1998 ne aveva 40 o 41), era sposato con figli piccoli, si era da poco laureato e intendeva iscriversi al dottorato ma al momento era senza lavoro; nonostante ciò aveva donato 400.000 dollari a una comunità islamica di El Cajon, in California, per la costruzione di una moschea. Una delle fonti riferì anche che riteneva che al-Bayoumi fosse un agente dei servizi segreti di un governo estero, probabilmente dell'Arabia Saudita.
Dall'indagine emerse anche che al-Bayoumi si trovava negli USA con un visto per studenti e che aveva intenzione di chiedere la green card. L'FBI contattò anche l'Immigration and Naturalization Service (l'ente che al tempo gestiva l'immigrazione e la nazionalizzazione), che confermò che il visto di al-Bayoumi era in scadenza ma che poteva essere rinnovato.
Non avendo trovato nulla che collegasse al-Bayoumi al terrorismo islamico, l'unica opzione rimanente sarebbe stata proprio quella di interrogare lo stesso al-Bayoumi, ma il supervisore dell'agente decise che non fosse necessario in quanto non c'erano i presupposti per ritenere che l'uomo costituisse una minaccia. Inoltre convocare al-Bayoumi avrebbe potuto avere ripercussioni negative su un'altra indagine in corso, di cui non vengono forniti dettagli, probabilmente perché l'uomo avrebbe potuto parlarne nella propria cerchia di conoscenze e l'informazione avrebbe potuto giungere a soggetti su cui l'FBI stava indagando. Il 7 giugno del 1999 l'indagine preliminare su Omar al-Bayoumi venne chiusa.
Parkwood Apartments, il complesso residenziale di San Diego dove abitava al-Bayoumi |
Interrogata dall'ufficio dell'ispettore generale, l'agente dell'FBI che condusse l'indagine disse di aver ritenuto corretta la decisione dei suoi responsabili di interrompere l'indagine per mancanza di evidenze. L'investigatrice aggiunse che durante l'indagine arrivò a pensare che al-Bayoumi fosse legato al governo saudita, ma l'Arabia Saudita non era ritenuta una nazione ostile e quindi questo non ebbe alcun effetto sulla decisione di interrompere le indagini. In ultimo, chiarì l'agente, per via delle restrizioni imposte dalle linee guida del procuratore generale sulle operazioni di intelligence su cittadini stranieri, non sarebbe stato possibile adottare tecniche di indagine più intrusive, come intercettazioni o controlli delle attività bancarie.
L'ispettore generale del Dipartimento di Giustizia conclude il proprio capitolo dedicato all'indagine preliminare sostenendo che la condotta dell'FBI fu corretta perché non c'erano motivazioni per proseguirla ed è apparsa corretta anche la decisione di non compromettere un'altra importante indagine. Purtroppo con il senno di poi è ovvio che se le intenzioni di al-Bayoumi fossero state chiarite nel 1999, probabilmente l'11/9 sarebbe stato evitato.
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