Qualifica: Dipendente presso la Federal Deposit Insurance Corporation.
Luogo da cui ha assistito: La propria auto, su una strada accanto al Pentagono, ferma nel traffico.
Data della testimonianza: 2002.
Fonte: Dichiarazione Statement from Penny Elgas - Personal Experience At The Pentagon on September 11, 2001, depositata presso il National Museum of American History. Nella foto qui accanto, Elgas (a sinistra) dona un rottame del Volo 77, piovuto nella sua auto, al curatore del museo, William Yeingst. La versione originale della dichiarazione di Penny Elgas è disponibile presso il sito del museo. Nella traduzione, le misure espresse nel sistema anglosassone in originale sono state convertite al sistema metrico decimale per facilitarne la comprensione.
Avevo un appuntamento presto, l'11 settembre 2001, perciò mi recai al lavoro in auto più tardi del solito. Lavoro alla Federal Deposit Insurance Corporation [un'agenzia governativa che si occupa di garantire i depositi delle banche commerciali da insolvenza, N.d.T.] vicino alla Casa Bianca. Dalla mia casa, a Springfield, in Virginia, mi diressi verso nord sulla I-395 verso Washington e imboccai l'autostrada poco dopo le 9 del mattino per poter prendere la corsia preferenziale [la "HOV express lane", normalmente riservata ai veicoli con più passeggeri].
Come al solito, il traffico era molto intenso e dopo aver lasciato la I-95 mi trovai bloccata nel traffico di punta della tarda mattinata, praticamente di fronte al Pentagono. Per gran parte del tragitto mi ero concentrata totalmente sulla radio ed ero ben consapevole degli eventi che si stavano svolgendo a New York. Sebbene i giornalisti della radio fossero cauti, ero già convinta dal primo impatto che non si trattasse solo di uno sfortunato errore di pilotaggio. Tuttavia pensavo che fosse New York ad essere sotto attacco e non avrei potuto immaginarmi cosa sarebbe accaduto davanti a me.
Il traffico era bloccato. Sentii un rombo, guardai fuori dal finestrino del lato guida e mi resi conto che stavo guardando il muso di un aereo che arrivava dritto verso di noi da sopra la strada (la Columbia Pike) che corre perpendicolare alla strada sulla quale ni trovavo. L'aereo comparve improvvisamente, molto basso, di lato (e non molto al di sopra) della stazione di rifornimento della CITGO, che non sapevo neppure esistesse. Il mio primo pensiero fu “Mio Dio, questa dev'essere la terza guerra mondiale!”
In quell'attimo il mio cervello si inondò di adrenalina e vidi tutto svolgersi al rallentatore. Vidi l'aereo avvicinarsi al rallentatore alla mia auto e poi inclinarsi lievemente di lato in virata davanti a me, verso l'eliporto. Nel nanosecondo in cui l'aereo si trovava proprio sopra le auto davanti alla mia, l'aereo sembrava essere a non più di 25 metri dal suolo e circa 4 o 5 auto davanti a me. Era abbastanza lontano, di fronte a me, da poter vedere l'estremità dell'ala più vicina a me e il ventre dell'altra ala mentre quest'ultima oscillava leggermente verso il suolo. Ricordo di averlo riconosciuto come un aereo della American Airlines, potevo vedere i finestrini e le bande colorate. E ricordo di aver pensato che era proprio come gli aerei in cui avevo volato tante volte, ma a quel punto non mi resi conto che si poteva trattare di un aereo con passeggeri [a bordo].
Nel mio stato mentale pieno di adrenalina, ero sopraffatta dal senso della vista. La giornata era cominciata con il bel tempo e il sole, e mi ero diretta al lavoro col tettuccio aperto. Credo di aver avuto anche uno o più finestrini aperti, dal momento che il traffico comunque era immobile. Nell'istante in cui vidi l'aereo, il senso della vista prese totalmente il sopravvento e non udii né sentii più nulla: né il rombo dell'aereo, né la forza del vento, né i rumori dell'impatto.
Il velivolo pareva fluttuare come un aereo di carta e lo guardai con orrore mentre oscillava leggermente e scivolava lentamente dentro il Pentagono. Quando la fusoliera colpì il muro, parve semplicemente fondersi nell'edificio. Vidi un anello di fumo circondare la fusoliera mentre impattava contro il muro. Pareva un anello di fumo che circondava la fusoliera nel punto di contatto e pareva spesso qualche metro. Mi resi conto più tardi che erano probabilmente i detriti rimescolati, composti dai rottami dell'aereo e dal cemento. L'anello di fumo che ribolliva iniziò alla sommità della fusoliera e simultaneamente avvolse sia il lato destro che il sinistro della fusoliera fino al ventre, dove le sue volute si incrociarono e risalirono. Poi riprese di nuovo, ma questa volta vidi anche del fuoco, un fuoco luminoso nell'anello di fumo. A quel punto, le ali scomparvero dentro il Pentagono. Poi vidi un'esplosione e guardai la coda dell'aereo infilarsi nell'edificio. Fu a quel punto che chiusi gli occhi per un istante e quando li aprii tutta l'area era invasa da spesso fumo nero.
Non ero sicura di cosa fare a quel punto. Tutti uscivano dalle proprie auto e, con sguardi di orrore e incredulità, molti cominciarono a chiedere cellulari per chiamare il 911 [l'equivalente statunitense del 113, N.d.T.], la famiglia o riferire la storia ai propri giornali. Continuavo ad ascoltare la radio ed ancora si parlava soltanto degli eventi di New York. Ero assolutamente convinta che un altro aereo era diretto verso di noi, perché c'erano stati due aerei al World Trade Center e mi sentivo come se tutti fossimo bersagli facili, su quella strada. Avrei voluto che il traffico invertisse la marcia. Non sapevo cos'altro fare, e così uscii dall'auto e tornai di corsa verso l'autostrada, urlando “Tornate indietro! Hanno appena colpito il Pentagono!” Ma naturalmente nessuno poteva muoversi in nessuna direzione a causa dell'ingorgo.
Una giovane, circa ventenne, che proveniva dall'auto che precedeva la mia stava in piedi davanti alla mia auto, era visibilmente affranta e diceva che non sapeva cosa fare. Le dissi che avrebbe potuto sedersi con me per un po' nella mia auto, poi raggiunsi la mia auto e cominciai a buttare dietro tutto ciò che stava sul sedile anteriore, per farle posto. Ricordo di aver pensato per un attimo che c'era qualcosa di strano nelle cose che stavo buttando dietro, ma non mi soffermai sulla cosa. A quel punto, un uomo di corporatura piuttosto grande (proveniente dalla corsia del traffico normale) in uniforme militare marroncino gridò a tutti coloro che erano a portata d'orecchio: “Tornate alle vostre auto!” E così facemmo.
Poi mi accorsi del fiume di gente che usciva dal lato posteriore del Pentagono e si radunava sui marciapiedi. Mi pare che fu solo un minuto o due dopo l'impatto, perché non guardavano ancora il punto dello schianto e sembravano perplessi sul motivo per cui si trovavano fuori. Forse trascorse solo qualche minuto fra il momento effettivo dell'impatto e quello in cui qualcuno urlava al [alla gente nel] traffico “Via! Via! Via!”, ma parve un'eternità. Quando ripresi a guidare, sentii un scricchiolio (come guidare sulla ghiaia) e vidi sulla strada un pezzo di metallo delle dimensioni di una palla da softball [una variante del baseball, N.d.T.] (pareva un rullo di un nastro trasportatore con dei perni). Ricordo di aver pensato che avrei potuto forare le gomme, ma con lo stesso pensiero giurai di continuare a guidare, a costo di arrivare a casa sui cerchioni. Mentre l'auto avanzava lentamente nel traffico, mi resi conto che ero ancora diretta verso il mio ufficio e non volevo assolutamente andarci: si trova in Pennsylvania Avenue, a poca distanza dalla Casa Bianca.
Perciò attraversai le corsie ed uscii invece nel parcheggio del Pentagono. Girai a destra ed uscii sotto la strada su cui mi trovavo prima, diretta verso la I-66, ad ovest. Fu allora che mi resi conto che la mia auto sembrava vibrare e pensai di aver forse forato. Mi sembrava anche che l'auto fosse molto lenta e di essere ferma alla seconda marcia. Guardai la leva del cambio [automatico, N.d.T.] e verificai che fosse su “Drive”. Poi guardai il tachimetro e rimasi sbalordita nel notare che viaggiavo a oltre 130 km/h e mi sembrava di non muovermi affatto. Le gomme erano a posto, ma la mia piccola Dodge Neon vibrava perché non l'avevo mai spinta prima a quella velocità. Mi resi conto che sentivo ancora gli effetti dell'adrenalina e mi imposi di rallentare.
Mentre guidavo, ricordo che mi sentivo frustrata e di aver pensato che tutti gli altri, lungo la strada, sembravano troppo normali e troppo inconsapevoli dell'atrocità che si era appena svolta di fronte ai miei occhi. Lasciai la I-66 e quando raggiunsi l'incrocio tra Glebe Road e la Columbia Pike, sentii un terribile rumore esplosivo (che mi fu detto poi essere stato il boom sonico dei nostri caccia). Pensai fosse un segno di un altro attacco. Il traffico si immobilizzò e la gente uscì dai negozi, dalle auto e dalle case per guardare il cielo. Accesi la radio per scoprire cosa fosse successo e sentii che una torre del WTC era crollata. Così accostai per riprendere fiato e piansi per tutte le vite perdute e per quello che mi pareva allora l'inizio della fine. Voltai verso sud sulla Columbia Pike e mi diressi verso casa, fermandomi una volta per tentare di chiamare da un telefono pubblico, ma le linee erano tutte occupate. Mentre mi allontanavo dal luogo dell'impatto [l'originale scrive "sight", "vista", al posto di "site", "luogo"; dal contesto si evince l'errore, N.d.T.], i veicoli d'emergenza continuavano a sfrecciarmi accanto, diretti verso Arlington, in Virginia, e il Pentagono.
Un secondo shock...
Quando arrivai a casa, accesi ogni radio ed ogni televisore della casa; non so bene se cercavo di zittire i miei pensieri o se semplicemente ero affamata di notizie. Mi feci una tazza di tè per calmarmi i nervi e chiamai mio marito per fargli sapere che stavo bene. Gli dissi che c'era un pezzo dell'aereo nella mia auto ma per qualche ragione ancora non riuscivo ad occuparmene. Chiamai anche mio figlio al college per tranquillizzarlo che stavo bene. A quanto pare, preparai parecchie tazze di tè di cui non mi ricordo, perché più tardi quel giorno ritrovai quattro bustine di tè fradice allineate sul bancone della mia cucina. Ora credo che agii come se avessi attivato il pilota automatico e rimasi probabilmente sotto shock per gran parte di quella giornata. Ad un certo punto scelsi il silenzio e spensi tutto il rumore tranne la radio in cucina. Poi andai alla mia auto e affrontai quel pezzo d'aereo che si trovava sul sedile posteriore. Pareva una parte della coda. Non c'era metallo su di esso e pesava molto poco: tutta plastica e fibra di vetro. Era lungo 60 centimetri e largo 40. Non so come sia finito nella mia auto, perché non ricordo di aver visto alcun detrito volarmi attorno mentre ero sul luogo dell'impatto. Credo sia caduto dentro passando dal tettuccio o attraverso un finestrino. Il pezzo d'aereo era formato da uno strato di vernice bianca e da strati di fibra di vetro gialli e grigi oltre che da un sottile materiale ondulato marrone.
Raccolsi il pezzo con cautela e lo portai in casa. Entrando in cucina, sentii l'annuncio alla radio WMAL che si era trattato di un volo della American Airlines e pensai “Questo lo sapevo”. Ma poi l'annunciatore disse che era il volo 77 e parlò del numero dei passeggeri e dell'equipaggio e mi ferì rendermi conto che l'aereo era pieno di vittime innocenti. L'annunciatore disse che stavano raccogliendo chiamate dalle persone che volevano condividere la propria esperienza personale. Chiamai la radio. Ricordo di aver detto loro che ero “Penny da Springfield” e che avevo un pezzo dell'aereo. Mi misero immediatamente in onda e Chris Core disse “Penny da Springfield, cosa hai visto?” Non ricordo nient'altro della nostra conversazione e i colleghi che l'ascoltarono dissero che era piuttosto incoerente. La sola cosa che ricordo è che alla fine, Chris Core disse “Non è incredibile?” e ricordo di aver pensato che il suo commento non mi faceva sentire meglio affatto.
Note: La Elgas donò il frammento di aereo alla collezione dedicata all'11 settembre dello Smithsonian Institute, come riportato dal Washington Post e dalla pagina dell'istituto dedicata alla Elgas ed alla sua “patriotic box” ("scatola patriottica"). Tutta la vicenda viene riportata, corredata di foto, sia presso il sito dello Smithsonian Institute, sia sul blog di Steven Warran. La fotografia del frammento nella scatola in questione, riportata qui sotto, proviene dal sito dello Smithsonian, che precisa che si tratta di un frammento "strappatosi dall'aereo nel colpire un lampione mentre si avvicinava al Pentagono".
La Elgas nota che il traffico sulla strada davanti al Pentagono era tanto intenso da essere fermo, e che lei stessa era in coda, in una posizione dalla quale si aveva dunque una visuale chiarissima degli eventi.
L'aereo viene riconosciuto esplicitamente come un aereo di linea e specificamente come un aereo di linea recante le insegne della American Airlines. Ne viene notata la manovra scomposta, con oscillazioni laterali. La testimone afferma di aver visto direttamente l'impatto contro la facciata e lo descrive in dettaglio: tuttavia, considerata la rapidità degli eventi, è possibile che alcuni dettagli siano frutto delle tipiche rielaborazioni successive che caratterizzano molte testimonianze di eventi drammatici. Il concetto essenziale è che la testimone dichiara di aver riconosciuto il velivolo e di averlo visto impattare. Non vi è alcun riferimento a missili o altri ordigni volanti.
Nel suo resoconto, l'impennaggio sembra penetrare nell'edificio, ma questo avviene dopo la formazione della palla di fuoco prodotta dall'innesco del carburante (definita impropriamente, come fanno quasi tutti i testimoni, come "esplosione") e l'esatta dinamica degli eventi può essere stata quindi mascherata dalla palla di fuoco.
La descrizione del rottame è ricca di dettagli, ma va ricordato che è fatta da una persona non specializzata, per cui non è prudente interpretarla letteralmente in termini di riconoscimento dei materiali. E' comunque significativa la segnalazione della natura estremamente leggera dell'oggetto e dei suoi colori, che suggeriscono un componente in materiale composito, per esempio fibra di carbonio, proveniente forse dalle estremità delle ali o dell'impennaggio. La natura non metallica del frammento è suggerita anche dalla forma frastagliata delle fratture. La fotografia evidenzia inoltre due file di fori, compatibili con quelli delle rivettature del rivestimento degli aerei, che si incrociano lungo il lato superiore e quello sinistro e una superficie lucida di forma arrotondata (indicata dai riflessi nella zona di colore bianco).
Che dire?
RispondiEliminaUna testimonianza pesante e non per gli avvenimenti che conosciamo ma per le conseguenze subite nell'animo, nella psiche di chi vi ha assistito direttamente.
Ho letto diversi libri sui campi di sterminio ma per uno solo ho avuto difficolta' ad arrivare fino in fondo: quello di Primo Levi, perche' analizza le mutazioni e le devastazioni interiori provocate in quei prigionieri.
Fatti i debiti paragoni, ma anche le debite distanze, questa testimonianza mi ha ricordato lo stile di Primo Levi.
Premesso tutto il rispetto per la drammatica vicenda cui la donna ha assistito.
RispondiEliminaMa credo che il riconoscere le livree e la compagnia di un velivolo che le sia sfrecciato davanti al suo orizzonte visivo a breve distanza a una velocità superiore agli 800 km/h sia frutto di rielaborazione post trauma.
rimane comunque significativo che abbia riconosciuto un aereo , e non un missile o un raggio cosmico.
appunto, di certo non era un missile come personaggi del tipo di giulietto chiesa vanno in giro a dire
RispondiEliminausa-free
RispondiEliminacredo sia possibile riconoscere la compagnia di un aereo anche ad alte velocita', specialmente uno come quello della american airlines, con un colore cosi' unico e diverso dalle altre compagnie.
Quanto alla descrizione, mi ha fatto passare un brivido per tutta la schiena esattamente com'e' successo quella mattina. Quella stessa sensazione che mi fa provare ribrezzo per i complottisti che cercano di guadagnarci sopra, non degni di essere chiamati umani.
Grazie a Paolo per la testimonianza e grazie a tutti per il vostro lavoro.
Per usa-free
RispondiEliminaNegli Stati Uniti l'aereo e' usato spesso, anche per l'inefficenza di un sistema ferroviario. Inoltre la donna percorreva ogni giorno quella strada sorvolata a bassa quota da aerei di linea. La livrea di quella compagnia e' abbastanza evidente. La scritta American Airlines si trova a grandi caratteri gia' sulla fiancata della fusoliera. Altre compagnie invece hanno il logo solo sul timone di coda.
Immagino che il riconoscimento sia stato automatico.
@giuliano:
RispondiEliminaEffettivamente, quello che colpisce di più è proprio l'impatto emotivo subito da chi quel giorno c'era davvero, al di là dell'aspetto curioso costituito dall'aneddoto del frammento di aereo.
OT:
Prova a leggere "Necropoli" di Boris Pahor. Si tratta non di campo di sterminio ma di concentramento. Il libro non è semplice, ma vale assolutamente la pena.
Una piccola recensione qui: recensione necropoli
"Prova a leggere "Necropoli" di Boris Pahor. Si tratta non di campo di sterminio ma di concentramento. Il libro non è semplice, ma vale assolutamente la pena."
RispondiEliminaHo visto qualche tempo fa l'intervista di Fabio Fazio a Boris Pahor nella trasmissione "Che tempo che fa", e da ciò che ha raccontato in quell'occasione, sono sicuro che il libro più che non essere semplice è un'autentica mazzata sullo stomaco. Da non leggere se non si è nella giusta condizione mentale.
Però Ahmadinejad sostiene che è tutto un...complotto.
A volte mi trovo d'accordo con la posizione di studente88 riguardo ai complottisti -_-
Scusate la domanda sciocca, ma come ha fatto questa signora a donare un pezzo di aereo? Non era mica roba sua.
RispondiEliminaNon era mica roba sua
RispondiEliminaIn effetti il dubbio formale è lecito: bisognerebbe però vedere cosa prevedono le leggi della Virginia e federali in merito alla proprietà dei rottami, se per esempio cadono dentro una proprietà magari assimilabile al domicilio (come l'auto)... insomma una cosa molto complicata.
Credo, più semplicemente, che "donare" sia un verbo usato impropriamente al posto di "restituire".
Sull'osservazione fatta da USAFree, è vero quanto replicato (la livrea AA è molto visibile e conosciuta) e aggiungo anche che - pur non sapendo spiegare perchè - capita sovente che un oggetto ad altissima velocità sia ben distinto e riconosciuto dall'occhio e dal cervello umano.
RispondiEliminaCi sono sequenze ad alta velocità in cui tutto avviene in pochi attimi senza che ce ne rendiamo contro, e altre in cui riusciamo quasi a congelare il tempo, e pochi secondi sembrano durare un'eternità.
Credo dipenda anche dallo stato soggettivo della persona in quel momento, dalla sua abitudine a mettere a fuoco eventi rapidi, dalla sua "competenza" di determinate situazioni, ecc...
Però è vero anche quello che USAFree fa notare, ossia che è difficile separare ciò che un teste ha visto realmente e consapevolmente, e ciò che invece ha assimilato e integrato a posteriori.
Il che non necessariamente e non sempre toglie credibilità e valenza ai dettagli forniti.
Esempio: un teste vede un aereo con i colori American Airlines ma non sa che quelli sono i colori American Airlines. Sentito in quell'istante direbbe: "Ho visto un aereo con livrea blu e rossa".
Successivamente ha modo di vedere e conoscere la livrea di American Airlines, la riconosce, da quel momento in poi dirà: "Ho visto un aereo American Airlines".
Nè più nè meno di quando un teste individua e riconosce un aggressore da una foto o dietro un vetro speciale, e scopre la sua identità.
L'individuazione successiva non toglie validità alla testimonianza, ma è chiaro che da quel momento il teste (avendo appreso come si chiama l'aggressore) si riferirà a lui con nome e cognome anche nel ricostruire la testimonianza.
In altri casi, invece, il teste vede poco, o vede tutto ma focalizza poco, e successivamente arricchisce il ricordo (consapevolmente o meno) con una serie di dettagli appresi successivamente e che non aveva assolutamente visto o focalizzato.
Confonde ciò che ha visto dal vivo con ciò che ha visto in TV o appreso dai giornali o da altri testimoni.
In questo caso diventa più utile ciò che il teste NON ha visto rispetto a ciò che ha visto o crede di aver visto.
Nel caso-esempio dell'aggressore, una testimonianza così inquinata diventa inutile al fine di accusare un sospettato. Ciò nonostante, può servire a scagionarlo.
Ossia il teste può dire: "ho letto sui giornali che il sospettato si chiama Mario Rossi ed è un albino alto due metri, ma lo ricorderei certamente se avessi visto un tipo simile, e così non è".
Che Penny Elgas abbia riconosciuto realmente la livrea American Airlines o meno in quel preciso momento, non si può stabilire con certezza.
Che abbia visto la livrea è però molto probabile, ed il fatto che l'abbia riconosciuta per la livrea AA è un dato molto significativo, a prescindere se questa consapevolezza sia stata immediata o successiva.
Che non abbia visto un missile è certo.
Questa testimonianza, in ogni caso, è sempre stata molto dettagliata, anche con particolari che difficilmente possono essere stati integrati successivamente (non ci sono video decenti dell'impatto al Pentagono) e se esaminata con attenzione, scremando o meglio soppesando adeguatamente le inevitabili valutazioni soggettive e tutti gli elementi che vanno presi in considerazione in questi contesti, va obiettivamente giudicata molto attendibile e molto utile.
;-)
@anonimo.
RispondiEliminaMe lo sono chiesto anch'io.
Alle giuste osservazioni di Paolo, aggiungo solo che, considerando che nessuno che abbia avuto realmente a che fare con l'11/9 ha mai avuto il benchè minimo dubbio di trovarsi davanti i resti del volo AA77, probabilmente si è semplicemente ritenuto che il frammento della Elgas di 40x60 non aggiungesse granchè alle prove, e che il suo posto fosse la vetrina del museo.
a proposito di interviste di "Che tempo che fa": stasera era ospite Piero Angela, che col suo consueto magnifico stile ha esposto le ragioni e ...oserei dire il fascino della scienza.
RispondiEliminaIo mi chiedo se certi complottisti sfegatati si siano mai posti nell'animo di ascoltare una persona del genere.
E ho appreso con entusiastico stupore che è tra i fondatori del CICAP :)
E' fenomenale, per me è un mito perchè si può dire che sono cresciuto con la sua divulgazione, davvero un modello da seguire.
E ancor meglio vedere dopo la trasmissione Ulisse condotto dal figlio: che dire, grazie. Se non fosse per questi soggetti avrei smesso di pagare il canone rai da tempo.