2022/09/11

World Trade Center: intervista al soccorritore David Blacksberg

di Leonardo Salvaggio. L'originale in inglese è disponibile qui.

Nel ventunesimo anniversario degli attentati dell'11/9, Undicisettembre offre ai suoi lettori il racconto personale del soccorritore David Blacksberg che al tempo lavorava nell'unità per le emergenze mediche del dipartimento dei pompieri di New York e che intervenne sulla scena prima dello schianto del secondo aereo.

Ringraziamo David Blacksberg per la sua gentilezza e disponibilità.





Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l'11 settembre?

David Blacksberg:
Al tempo lavoravo per il servizio per le emergenze mediche dei vigili fuoco di New York come soccorritore. Quel giorno non avrei dovuto essere al lavoro, ma il giorno prima una mia collega mi disse che non sarebbe venuta al lavoro perché aveva una visita dal medico e mi chiese se potevo sostituirla, ovviamente le dissi di sì.

La mattina dell’11 settembre ero con il mio partner sull’ambulanza parcheggiata vicino al ponte di Brooklyn, e da lì vedevamo Manhattan. Eravamo in attesa di qualunque chiamata che potesse arrivare, c’era un’unità paramedica con un’automedica proprio accanto a noi.

Mentre guardavamo verso Manhattan vedemmo il primo aereo schiantarsi contro il primo palazzo, lo vedemmo in cielo ancor prima che colpisse. Rimanemmo tutti scioccati, chiamai alla radio per dire al centralinista cosa era successo e gli dissi che saremmo intervenuti. Sapevo che mio padre quel giorno era al lavoro a Manhattan quindi lo chiamai per digli di non andare a downtown, era successo qualcosa e sarebbe stato pericoloso, lo avrei richiamato per dare informazioni. Dopo aver attraversato il ponte di Brooklyn, il mio partner e io con l’unità paramedica eravamo i primi soccorritori sul lato occidentale. Io guidavo e parcheggiai sotto il passaggio pedonale che collegava il Winter Garden al 2 World Financial Center.

Allestimmo un posto di comando lì stesso, indossammo gli elmetti e l’equipaggiamento protettivo con l’intenzione di entrare nella Torre 2 per coordinare i soccorsi e per far evacuare le persone, perché l'edificio colpito era vicinissimo. Ero appena fuori dalla Torre Sud quando sentimmo un rombo, alzammo lo sguardo e vedemmo il secondo aereo. Sembrava che potessimo toccarlo perché era così vicino e così grande. Il terreno iniziò a tremare e ci fu un rumore molto forte, mi danno ancora fastidio quel rumore e quel tremore, li ricordo ancora molto chiaramente. A quel punto iniziammo a far uscire tutti più in fretta possibile.

Photo credit: David Blacksberg

C'era gente che correva dappertutto, molti correvano verso di noi allontanandosi dalle torri. Iniziai a coordinare le ambulanze, aiutai lo smistamento e a curare i feriti, tra cui una persona che era gravemente ustionata, poi comunicai via radio dove era allestito il posto di comando e che avevamo iniziato a ricevere persone che uscivano dagli edifici. Non so se mi sentirono o no, perché c'era un caos enorme.

La nostra unità paramedica portò la vittima ustionata al centro per le ustioni del Cornell Hospital, non rividi quei colleghi per almeno altre due settimane, pensammo tutti che fossero morti e ci abbracciammo quando ci rivedemmo. Io e il mio partner rimanemmo lì da soli e finimmo per essere sommersi di gente da curare e non avevamo idea se avremmo ricevuto aiuto. Le persone arrivavano con diversi tipi di ferite: ustioni, tagli, lividi e alcune persone correvano solo in preda alla paura.

Tutti dicevano "Stanno arrivando altri feriti" o "Ci sono persone a terra davanti alla torre". Provai ad avvicinarmi all'edificio, ma c'erano molti detriti che cadevano. Non sapevamo nemmeno cosa fosse. Immagino fosse metallo, documenti e pezzi di computer, ricordo di aver visto materiale informatico per terra. C'erano corpi dappertutto. Vedemmo e sentimmo persone saltare dall'edificio e tutti gli altri scappavano urlando, mi sentivo impotente. Qualcuno disse: "C'è qualcuno a terra che si muove ancora. Qualcuno è ancora vivo" e vidi anche un cane legato davanti all'edificio, quindi provai ad avvicinarmi di nuovo. Venni colpito da alcuni detriti e decisi di non andarci.

Un paio di altre unità iniziarono ad avvicinarsi, dissi loro dove avevamo allestito l'area di comando perché non la trovavano, tornai con loro e una volta sistemati i veicoli sentimmo un boato. Giravano molte voci sul fatto che ci fosse un terzo aereo in arrivo, quindi alzammo lo sguardo ma non c'era nessun aereo. Era la Torre Sud che iniziava a crollare. Io e il mio collega iniziammo a correre insieme ad altre persone. Mi guardai indietro, era come una valanga, perché si vedeva il fumo e tutto ciò che stava crollando verso di noi. Non vedevamo in alto, non vedevamo indietro, e per quanto velocemente corressimo, non potevamo sfuggirle. Ci sembrò di di correre per un miglio, ma era appena oltre l’altro lato della strada, entrammo in un edificio e ci accovacciammo vicino a un muro interno. Quando il boato sembrò finito, uscimmo per aiutare altre persone, dando cure dove potevamo con la poca attrezzatura che avevamo nelle nostre borse di emergenza.

Tutti erano in preda al panico e cercammo di calmare le persone. Una ragazza mi disse che era scesa dal sessantatreesimo piano, un altra dall'ottantaquattresimo. Mi dissero che erano corse giù e indossavano ancora i tacchi alti. Provammo a scherzare un po' con frasi tipo "Ma come fai a correre con quelle scarpe?" anche se non era proprio una situazione adatta a scherzare, ma cercavamo di portare un po’ di calma.

Photo credit: David Blacksberg

Dopo un po' sentimmo di nuovo lo stesso boato e alcune persone mi presero un braccio. Una persona mi teneva il braccio sinistro, un'altra persona mi teneva il braccio destro e una fila di persone era dietro di noi. Iniziai a correre e li condussi a sud verso i traghetti. Trovammo degli autobus a Battery Park City, feci salire le persone su quegli autobus e dissi loro "Vi porteranno al sicuro!" Tornai di corsa al posto di comando, ma dovetti allontanarmi di nuovo per portare altre persone al sicuro. Li portai ai traghetti dove da dove furono trasferiti a Ellis Island, Jersey City e Staten Island. Poi tornai di nuovo indietro.

Da qui in poi i miei ricordi sono sfocati ed è difficile per me ricordare quando sono avvenute le cose e come.

Rimasi lì le prime 48 ore: tutto il giorno dell'11 e tutto il giorno del 12 senza sosta. La notte dell'11 cercai di riposare al secondo piano di uno degli edifici vicini a Ground Zero. Ho cercai di sedermi e rilassarmi, ma c'era così tanto da fare che non riuscii a dormire, quindi tornai e ricominciai ad aiutare. Avevo un cellulare personale che funzionava e quindi chiamai due persone: mia sorella, che poi contattò la mia famiglia, e il mio migliore amico, che contattò tutti i miei amici. Mi toccò molto il fatto che molti miei cari amici mi contattarono per sapere come stavo quei primi due giorni.

Ero sul lato est a curare i feriti tra cui cerano anche molti vigili del fuoco e poliziotti. Avevamo fame e sete, e per i primi giorni non avevamo attrezzature come i respiratori, era molto difficile respirare. Avevamo di tutto bloccato in naso, gola, occhi, bocca, viso e ovunque altro; prendevamo l'acqua cercavamo di lavarci tutti il più possibile. Dopo due giorni ritrovai la mia ambulanza, completamente ricoperta di polvere, mi misi la maglietta sul viso e sul naso e tornai alla mia stazione; non avevo trovato nessun altro della mia stazione perché nel caos ci siamo persi. Quando arrivai fu un momento spaventoso perché non sapevamo chi fosse vivo e chi no, fui accolto a braccia aperte perché tutti pensavano che fossi morto.

Rimasi lì tre giorni a settimana fino a marzo. Durante quel periodo potevamo contattare alcuni dei supervisori, luogotenenti e capitani per far loro sapere che stavamo bene.


Photo credit: David Blacksberg

Undicisettembre: Hai visto il crollo del World Trade Center 7?

David Blacksberg: Non l'ho visto, ma l'ho udito e ne ho sentito le vibrazioni. Stavo curando delle persone e ci aspettavamo che ci sarebbero stati altri edifici che sarebbero crollati, pensavamo di essere a distanza di sicurezza. Ma ho sentito il terreno muoversi.


Undicisettembre: Mentre eravate lì l'11 settembre, quando avete capito che non era un incidente ma un attentato terroristico?

David Blacksberg: Capimmo o ne avemmo la sensazione immediatamente. Quando vedemmo il primo aereo arrivare, ci sembrò che fosse intenzionale, proprio dal modo in cui l'aereo stava virando. Quando arrivammo sulla scena e vedemmo arrivare il secondo aereo, fu la conferma per tutti.


Undicisettembre: Vi aspettavate che le torri crollassero? O forse non hai nemmeno avuto il tempo di pensare a questa possibilità?

David Blacksberg: In tutte le esperienze che ho avuto di reazione a disastri ed emergenze, ci sono cose a cui non pensiamo costantemente, ma per le quali ci prepariamo. Non mi aspettavo che le torri crollassero, ma ero consapevole che fosse una possibilità. Se un enorme aereo di linea si schianta contro un edificio enorme può succedere di tutto.

Sono intervenuto in molti casi di incendi, esplosioni ed emergenze mediche ma questo è stato unico per via della sua grandezza.


Undicisettembre: Sei rimasto a Ground Zero fino a marzo, cioè sette mesi. Cosa avete fatto in quel periodo?

David Blacksberg: Il nostro compito era prestare cure ai soccorritori, come pompieri, agenti di polizia o altri che si erano feriti durante le operazioni di ricerca e soccorso che poi sono diventate ricerca e recupero. Ci sono state occasioni in cui abbiamo partecipato alla brigata del secchio, ma non era la nostra funzione principale; loro raccoglievano resti, noi prendevamo quei resti e li portavamo al coordinamento della gestione dei cadaveri.


Undicisettembre: In che modo l'11 settembre influisce sulla tua vita quotidiana anche oggi?

David Blacksberg: Ce l’ho sempre in mente, perché mi sono ammalato a causa dell’aria che ho respirato e ho avuto la pensione di invalidità.

Non avevamo le mascherine e le attrezzature che i soccorritori e i vigili del fuoco hanno oggi, quindi dovetti fare una serie di esami medici in seguito, anche perché riportai un lieve infortunio al ginocchio e al gomito. Mi seguirono per un paio d'anni e valutarono le mie condizioni, mi informarono che avevo sviluppato dei danni ai polmoni a causa di ciò che avevo respirato e quindi ho avuto la pensione di invalidità. Dovetti prendere medicine ogni anno e fare controlli medici annuali.

Photo Credit: David Blacksberg

Undicisettembre: Ora che vivi in California torni mai al World Trade Center?

David Blacksberg: Sì, torno a New York tutti gli anni. Quando ci torno per andare a trovare la mia famiglia e i miei amici, vado anche al World Trade Center. Porto i miei figli, mio figlio ha dieci anni e mia figlia otto, e racconto loro ciò che è successo. Non hanno problemi a farmi domande e io non ho problemi a rispondere.

Quest’anno ci sono già andato due volte, una delle quali è stata per capodanno. Ci ho portato i miei figli e i miei nipoti. Ai miei nipoti non ho raccontato tutti i dettagli, quindi ho iniziato a raccontare anche a loro ciò che mi è successo.

Torno per via delle persone che conosco o conoscevo che soffrono ancora di infortuni o malattie o i miei colleghi o altri che sono morti. Non devo tornare lì per ricordarmi di loro e tenerli nella mente e nel cuore., torno per mantenere la memoria e il significato di ciò che abbiamo fatto e di come ci siamo uniti come nazione in seguito. Mentre ero lì lo scorso dicembre, ho ricevuto la notizia che un altro mio collega è morto quella settimana a causa di un tumore causato dall'11 settembre. Torno per commemorare e per assicurarmi di non dimenticare. Nessuno dovrebbe dimenticare e dovremmo tutti unirci e collaborare. Dopo l'11 settembre gli Stati Uniti d'America si sono davvero uniti, ma più ci si allontana da un incidente che ha unificato le persone, più le persone si separano. Ho cercato fare in modo che le persone si unissero con qualsiasi contributo potessi dare. Mi sono trasferito in California sette anni fa ed è molto interessante quando racconto cosa mi accadde sapere come le persone della zona mi dicono che si sono sentite colpite, anche se erano dall’altra parte della nazione si sono unite con le loro comunità. Ne parlo nella scuola elementare dove vanno i miei figli o in altre occasioni per condividere la mia esperienza nei soccorsi e nell’essere pronti.


Undicisettembre: Come pensi che viva oggi la nazione? È più sicura rispetto al 2001 o pensi che qualcosa del genere possa accadere di nuovo?

David Blacksberg: Non importa dove vivi. Negli Stati Uniti, nel resto del Nord America, in Europa, in Asia se c’è chi la pensa in modo diverso e vuole il potere, qualcuno può ricorrere al terrorismo o alla guerra per ottenere ciò che pensa sia giusto. Sicuramente un attentato terroristico internazionale o un atto di guerra di questa dimensione o maggiore può avvenire di nuovo, non c'è dubbio. È solo questione di essere preparati, consapevoli e vigili e assicurarsi che tutti collaborino. Essere pronti parte dal singolo e coinvolge le autorità locali come stati o agenzie federali. È fondamentale avere una relazione di fattiva collaborazione. Migliora di giorno in giorno.

Causare danni e morte non richiede più necessariamente l'uso di un'arma fisica, possono essere causati anche da attacchi informatici. Se qualcuno usa un attacco informatico per danneggiare una rete elettrica o un’altra infrastruttura su cui la società si appoggia può danneggiare milioni di persone. Togliere l'elettricità colpisce tutti: aziende e sistemi sanitari fino al singolo che dipende da un'assistenza medica elettrica, può uccidere. Quindi non si tratta necessariamente di un combattimento faccia a faccia, ma anche qualcuno che sta dietro lo schermo di un computer può causare danni. Lo stesso può essere fatto con infiltrazioni nelle riserve d'acqua per causare patologie. Ci sono tanti modi diversi di colpire la sanità e la sicurezza degli individui nella nazione.

È molto importante sapere a quali rischi si è vulnerabile nella propria comunità di origine o dove ci si trova in viaggio. Incoraggio tutti ad avere un piano di comunicazione, un piano per la salute e la sicurezza, almeno una borsa con forniture e documenti essenziali e a testare il proprio piano. C'è molto da fare per aiutare noi stessi, le nostre famiglie e le comunità. Anche una sola cosa al giorno può fare la differenza nel modo in cui si può essere colpiti da un disastro naturale o causato dall'uomo.

Se qualcuno vuole fare qualcosa di dannoso c'è sempre un modo di farlo e il problema è essere pronti a reagire.

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