di Leonardo Salvaggio. L'originale inglese è disponibile qui.
Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto personale del sopravvissuto Alan Lindquist che era nella Torre Sud quando il primo aereo ha colpito il World Trade Center 1.
Ringraziamo Alan Lindquist per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l'11 settembre?
Alan Lindquist: L’11 settembre era una bellissima giornata, così bella che pensai di non andare al lavoro, ma avevo una riunione alle 8 quella mattina a cui non potevo mancare, quindi ovviamente andai a lavorare. La riunione era nella Torre 2 al sessantaquattresimo piano. Verso le 8:45, il signore che aveva presieduto la riunione, si chiamava Philip Roth ed era il capo analista tecnico di Morgan Stanley, aprì la fase di discussione e chiese se qualcuno avesse delle domande specificando "Non fate domande a cui ci voglia un'ora per rispondere, perché ho un altro incontro nel World Trade Center 1 alle 9 e voglio uscire da qui in tempo e arrivarci.” Diede la parola a una persona seduta accanto a me e quella persona fece una domanda che impiego tre minuti a formulare. Philip si arrabbiò e disse: “Non risponderò alla tua fottuta domanda; se qualcuno ha una domanda del genere, venga a trovarmi nel mio ufficio." Quindi, ovviamente, nessun altro volle fare domande. Philip disse "Va bene, riunione aggiornata", chiuse la valigetta e se ne andò.
Un mio collega di nome Giovanni venne da me e mi disse "Andiamo a fumarci una sigaretta velocemente". Nelle torri c'erano tre piani intermedi, nel senso che c'erano ascensori che portavano lì senza interruzioni o fermate. Prendemmo l’ascensore al sessantaquattresimo piano, cambiammo ascensore al quarantottesimo e scendemmo fino a terra. Ero appena uscito e sentii un aereo avvicinarsi molto velocemente. L'aereo sorvolò Manhattan, ma era molto più rumoroso del solito. Guardai in alto per vedere l'aereo e poi vidi un uomo che attraversava la strada proprio di fronte a me e improvvisamente disse "Andate dentro, cazzo" e fece cenno con la mano di entrare.
Non ricordo il rumore dell'aereo che colpisce la Torre 1; ovviamente l'ho sentito, solo che non lo ricordo. Stavo guardando l’uomo che mi aveva fatto cenno di entrare e a tre metri da lui una sezione trasversale di uno dei motori cadde sulla strada. Ne uscivano fiamme; lo guardai e dissi "Cos'è?" Cadevano detriti e ricordo due donne che urlavano dall'altra parte della strada, le stavo guardando e iniziarono a correre. C'era un'altra donna che camminava e una finestra cadde e la colpì, morì sul colpo.
In quel momento finalmente capii e pensai "Potrei morire in questo momento, qualunque cosa stia succedendo, potrei morire". Cadevano troppi detriti, quindi il mio istinto fu di tornare dentro la Torre. Tutti si precipitarono verso la porta girevole a cui ero più vicino, la gamba di un uomo rimase bloccata nel tornello e la porta si bloccò. Per venti o venticinque secondi ero il più lontano dal riparo dell'edificio, la porta non girava e provai a dire una preghiera di assoluzione ma non riuscivo a formulare una preghiera nella mia testa, non ci riuscivo.
Urlai all’uomo davanti a me "Gira quella cazzo di porta" anche se non era arrivato alla porta. Guardai l’uomo davanti a me, che era più alto di me, e pensai "Concentrati sul suo collo e non guardare in alto". Quei venticinque secondi furono un'eternità e dopo quel tempo qualcuno nel tornello disse "Smettete di spingere e state indietro, c'è la gamba di una persona bloccata e la porta non girerà se non riusciamo a sbloccare la gamba."
Mi convinsi a fare un passo indietro di quindici centimetri, sembra poco ma non riesco a spiegare quanto sia stato difficile. La porta iniziò a girare, entrai nell'edificio, trovai il collega con cui volevo fumare una sigaretta, lui e alcune persone di Morgan Stanley erano riuniti in cerchio e aveva un cellulare in mano ma tremava così intensamente che era spaventoso da guardare. Disse "Dobbiamo chiamare di sopra e vedere se stanno tutti bene, ma qual è il numero?" e poi ha disse "Dobbiamo tornare di sopra".
Avevo una zia che era morta di cancro al seno cinque anni prima e sentii la sua presenza lì con me e sentii il bisogno di lasciare l'edificio.
La Port Authority intervenne all’interfono e disse "C’è un'emergenza nella Torre 1, dobbiamo mantenere l'area libera per i mezzi di soccorso, per favore rimanete nei vostri uffici". Dissi al gruppo "Sentite, qualunque cosa stia succedendo Morgan Stanley ha una procedura di evacuazione, quindi non torniamo di sopra. Se qualcuno si perde, incontriamoci a Midtown Manhattan [l’area centrale di Manhttan, NdT]". Concordammo un luogo per incontrarci e ci dirigemmo verso le uscite della Torre 2. Ci vollero circa quindici minuti per uscire perché ovviamente era un edificio molto grande. Al centro del palazzo c'era l’uscita per la metropolitana ma nessuno voleva prenderla.
C'era un odore nell'aria, uno strano odore che il mio cervello non riesce a tradurre ma era un misto di fuoco, carburante avio e cose del genere. Sapevo che stava succedendo qualcosa, ma non sapevo cosa.
Arrivai all'uscita e corsi per circa cento metri, mi girai e iniziai a guardare la Torre 1: c'erano piani in fiamme, fumo che usciva e carta che volava. Mentre guardavo vidi un oggetto scendere molto più velocemente e sapevo che probabilmente era una persona. A metà capi che era una donna con una gonna blu navy e una camicia bianca a maniche lunghe. La guardai fino alla fine e vidi l'impatto, colpì il suolo e non potevo credere a quello che avevo visto. Mi voltai per allontanarmi e alla mia destra c'erano due operai, quello più lontano disse “Saltano giù come mosche”, alzai lo sguardo e da una stanza c’erano persone che saltavano. Mi sono dissi "Non guardo più".
Mi voltai di nuovo e iniziai a camminare. Ero sul lato destro della strada e Giovanni era sul lato sinistro che stava ancora guardando la Torre 1. Era sei metri davanti a me e in un secondo diventò bianco cadaverico, gridò "CORRI!". Provai a correre con le scarpe da ufficio, ma non avevo presa al suolo. Il secondo aereo si schiantò e iniziai a inciampare, forse a causa del rumore dell'impatto, per tutta la strada inciampavo. Sentii una vampata di calore sulla nuca. Il cervello funziona velocemente in situazioni di combattimento, e quella era una situazione di guerra, e pensai che fosse una bomba. Caddi mentre pensavo a queste cose, toccai terra con le mani, mi rialzai e iniziai a correre per oltre due chilometri alla massima velocità.
Quando mi trovavo a circa trecento metri dalla Torre, c’era ad un angolo di una strada una delle sezioni delle ruote di uno degli aerei, c'era un uomo che teneva lontane le persone dicendo "Questa è una scena del crimine, state alla larga!"
Mi dovetti fermare e avevo la gola così secca che avevo secco anche lo stomaco; non riesco a spiegarlo perché mi è successo solo una volta nella vita, non avevo liquido nell’esofago, non riuscivo a riprendere fiato, fu stato molto strano. Rimasi seduto lì per circa cinque minuti con le mani sulle ginocchia cercando di riprendere fiato. Alla fine ripresi fiato e dovetti ricominciare a correre, fino all'Interstate 495 [strada interstatale che porta al Queens, NdT]. Saltai davanti a un taxi, lo feci fermare e dissi "Portami a Midtown Manhattan". Mi disse "Vado a Brooklyn" e io risposi "No, mi porti a Midtown Manhattan adesso". Così presi la superstrada e alla mia sinistra vedevo le torri e dissi al tassista: “Cosa sta succedendo alle torri? Cosa sta succedendo?" e lui: “Non lo, sai? Due aerei hanno colpito le Torri." Dissi "Ero al lavoro lì dentro" e lui disse "Devi ringraziare Allah immediatamente".
Mi ha portato a Midtown e sono stato il primo ad arrivare al luogo d'incontro che avevo concordato con i miei colleghi di Morgan Stanley. Entrai in un bar e ordinai un bicchiere di Jagermeister, guardavo la TV, presi il bicchiere e mi tremavano le mani e ho pensai "Perché lo sto bevendo? Cosa mi sta succedendo? Sono un alcolizzato?" Poi ho guardai un tavolo con tre donne che stavano parlando tra loro come se fosse un giorno normale e era così strano che pensai "Che cazzo sta succedendo oggi?"
Venti minuti dopo la mia torre crollò, fu la prima a crollare, e ancora nessuna delle persone con cui ero era arrivata e pensai "Mio Dio, sono morti tutti!".
Dopo che entrambe le torri crollarono scoprii che erano sopravvissuti, come quasi tutti gli altri di Morgan Stanley, che era il più grande datore di lavoro del World Trade Center. Avevamo una procedura di evacuazione e le uniche persone morte a Morgan Stanley erano nella sicurezza e si sono offerte come volontari per rimanere indietro ad aiutare.
Undicisettembre: Quando sei tornato a casa?
Alan Lindquist: Più tardi quella sera. Siamo rimasti fuori a bere praticamente per tutta la giornata. Quella notte un cane antibomba rilevò un pacco sospetto all'Empire State Building a uno dei piani più alti. Stavo guardando il notiziario, avevo studiato biochimica e microbiologia all'università, e sentii la notizia ed ero così fuori di testa che dissi "Ok, sentite, se è un'arma biologica o chimica siamo morti". Ed eravamo così vicini che dalla finestra vedevo l'Empire State Building.
Volevo letteralmente attraversare il fiume a nuoto e scappare da Manhattan, ma mi convinsero a riprendermi perché forse ero un po' troppo ubriaco e spaventato. Rimasi a Manhattan per tre giorni e poi andai in macchina fino a Phoenix, la mia città natale.
Undicisettembre: Quando e come hai ricominciato a lavorare dopo l'11 settembre?
Alan Lindquist: Morgan Stanley è un ottimo datore di lavoro, quando avevi bisogno di tempo ti lasciavano il tempo per sistemarti, ma alla fine lasciai Morgan Stanely perché ero un po' troppo sconvolto. Mi ci vollero sei mesi di cure, bevevo tutti i giorni finché alla fine entrai in contatto con un veterano del Vietnam che diventò il mio consulente e mi disse che dovevo trattarlo come un evento della mia vita da cui trarre forza perché avrei detto per il resto della mia vita "sono un sopravvissuto dell'11 settembre" e questo lo ha reso un po' più sopportabile per me.
Undicisettembre: L'11 come condiziona la tua vita quotidiana anche oggi?
Alan Lindquist: Per me è diventato un aspetto da cui trarre forza; è un dono nel senso che capisci che i tuoi giorni su questa Terra sono limitati e non hai alcun controllo. Quando te ne rendi conto, ti rende libero in un certo senso. Ogni giorno è un regalo, va sfruttato al meglio che sia possibile.
Ancora mi condiziona perché quando ci avviciniamo all'11 settembre ho tuttora gli incubi. Non sempre piango o mi commuovo quando racconto a qualcuno la storia dell'11 settembre, ma a volte mi agito e diventa un po' più nitido nella mia memoria, come mi è successo oggi.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l'11 settembre è stato un inside job?
Alan Lindquist: Queste persone sono sciacalli, lo fanno per soldi. La chiara e semplice spiegazione è che quello che si è visto in TV è quello che è successo. Il motivo per cui i palazzi sono crollati è che le travi si sono scaldate fino a piegarsi e sono crollati come un mazzo di carte. È tutto qui.
Undicisettembre: Come paragoneresti la crisi dopo l'11 settembre alla crisi per il COVID-19 che il paese sta vivendo adesso?
Alan Lindquist: Ci sono similitudini tra eventi drastici nel modo in cui influiscono sulla nazione; ma l'11 settembre ha unito tutti, non solo negli Stati Uniti ma chiunque nel mondo. A New York era come se tutti fossero amici o anche famigliari. Al contrario, il COVID è molto più individualista, la gente non vuole sentirsi dire cosa fare, le nazioni fanno cose diverse, quindi non c'è unità in tutto il mondo anche se tutti stanno vivendo la stessa cosa perché ognuno ha un'opinione diversa su come gestirla.
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