di Hammer
A sei anni di distanza dalla missione che ha ucciso Osama bin Laden, l’ex Navy SEAL Robert O'Neill, l’uomo che dichiara di aver sparato al terrorista il colpo mortale, ha pubblicato la propria autobiografia intitolata The Operator.
Il libro inizia con il racconto dell'adolescenza dell'autore e della sua dedizione alle passioni giovanili quali la caccia e la pallacanestro. Fu proprio la passione per la caccia a indurlo a perseguire la carriera militare e nelle sue intenzioni O'Neill avrebbe voluto diventare un cecchino nei Marines, ma al momento del colloquio il recruiter gli disse che se la sua intenzione era di diventare un cecchino, la scelta migliore sarebbe stata di entrare nei Navy SEALs.
O'Neill entrò nei BUD/S, il corpo preposto all’addestramento dei futuri SEALs, dopo aver completato la scuola superiore e lì scoprì che la vita e la preparazione fisica richiesta erano molto più duri di quanto si aspettasse. Al termine del periodo di addestramento, della durata di poco meno di un anno, O’Neill riuscì comunque ad entrare nei Navy SEALs nonostante il processo di reclutamento di norma scarti l’80% dei partecipanti. Dapprima l’autore del libro fu inserito nel SEAL Team 2 e durante il primo periodo del suo incaricò sentì per la prima volta il nome di Osama bin Laden quando la sua squadra dovette sorvegliare l’ambasciata americana in Albania per timori che al Qaeda volesse compiere un attacco per uccidere alcuni ufficiali americani.
Qualche mese dopo avvennero gli attacchi dell’11/9 e i SEALs capirono subito che dietro di essi c’era l'organizzazione di bin Laden; a quel punto O’Neill volle spostarsi nel SEAL Team 6 in quanto fu il primo ad essere inviato in Afghanistan e quello che aveva le maggiori responsabilità nella lotta al regime dei Talebani. Curiosamente nel libro il numero della squadra di cui faceva parte O’Neill, e che di conseguenza uccise Osama bin Laden, è oscurato; non se ne capisce il motivo, essendo ampiamente noto che si trattasse del Team 6 sin dai primi giorni dopo la missione; inoltre in alcune frasi (come l'esempio sotto riportato) si capisce perfettamente dal contesto.
O’Neill ottenne il passaggio desiderato dopo aver trascorso un breve periodo nel Team 4. Da allora passò molto tempo tra Afghanistan e in Iraq. L’autore dedica quindi ampie parti del libro a raccontare e descrivere le numerose missioni a cui partecipò; tra di esse spicca quella narrata dal SEAL Marcus Luttrell nel libro Lone Survivor, in cui lo stesso Luttrell rischiò di finire prigioniero del Talebani ma fu salvato dagli abitanti di un villaggio locale. Quando i Talebani attaccarono il villaggio per uccidere Luttrell questi fu salvato da un tempestivo intervento della squadra di cui faceva parte lo stesso O'Neill, che partecipò al salvataggio del collega.
L'ultima parte del libro è ovviamente dedicata alla missione di Abbottabad. Il primo passo verso la missione avvenne quando i membri della squadra furono convocati in un edificio governativo in North Carolina una domenica di aprile del 2011 per discutere di una missione segreta. I vertici militari spiegarono di aver una pista molto forte che aveva probabilmente condotto a localizzare Osama bin Laden, e che si basava sull’aver seguito un corriere di al Qaeda chiamato Abu Ahmed al-Kuwaiti che si recava spesso presso un compound dove abitava un uomo molto alto vestito di bianco che non usciva mai dalla recinzione. La riunione durò sei ore, mettendo a dura prova la resistenza dei militari, e i vertici spiegarono che erano state considerate tre ipotesi per l'uccisione di Osama: un'operazione condotta insieme alle forze pakistane, un attacco missilistico e una missione da terra di una squadra speciale. La scelta finale cadde sulla terza ipotesi.
O'Neill ricorda anche che l'ammiraglio McRaven raccontò di aver proposto il piano al presidente Obama e che questi lo accettò rispondendo "Avete tre settimane." Durante il periodo della preparazione O’Neill credeva che nel compound di Abbottabad sarebbe morto e in quei giorni trovò conforto ascoltando la canzone Alive dei Pearl Jam il cui ritornello dice I'm still alive (Sono ancora vivo).
Per le esercitazioni fu ricreato un compound a grandezza naturale; tuttavia, specifica l'autore, gli interni non erano noti e una volta giunti dentro l'edificio la squadra si sarebbe affidata alla propria esperienza.
Il gruppo si spostò in Afghanistan pochi giorni prima della missione, che si sarebbe svolta nella notte tra l'1 e il 2 maggio. O'Neill racconta quindi le fasi dell'operazione, dalla partenza da Jalalabad all'ingresso nello spazio aereo pakistano, dove temevano di venir abbattuti dalle forze antiaeree nazionali. Una volta raggiunto il compound, O'Neill descrive i problemi aerodinamici incontrati dal primo dei due elicotteri, che portarono il pilota a un atterraggio di emergenza; tuttavia questa fase concitata gli fu raccontata da un altro militare in quanto essendo sull'altro elicottero l'autore pensò dapprima che fosse stato il velivolo preposto ad asportare il cadavere ad essersi schiantato.
O'Neill racconta poi lo svolgersi dell'agguato ai danni di Osama bin Laden secondo la versione che ha sempre sostenuto, cioè che fu lui a sparare al terrorista saudita i colpi mortali. Come sottolineato varie volte su questo blog (in occasione dell'intervista rilasciata da O'Neill all'Esquire sotto lo pseudonimo di The Shooter e in occasione dell'uscita dello speciale televisivo The Man Who Killed Usama bin Laden, in cui O'Neill apparve per la prima volta a viso scoperto e con il suo vero nome), un altro Navy SEAL che partecipò alla missione, Matt Bissonnette, raccontò invece una versione diversa, cioè che quando il gruppo formato da Bissonnette, O'Neill e the point man (l'unico dei tre rimasto anonimo) salì al terzo piano del compound fu the point man a colpire per primo il terrorista con un colpo non mortale e che poi tutti e tre lo finirono quando era steso a terra.
Dopo aver sparato a bin Laden, O'Neill si prese cura della sua giovane moglie Amal, che rimase colpita alla spalla ma non in modo grave; tuttavia a causa dello spavento il militare la trovò in stato catatonico.
O'Neill racconta anche della missione del 6 agosto 2011, a cui comunque non prese parte, in cui morirono alcuni membri del SEAL Team 6, incidente che stimolò la fantasia complottista, senza aggiungere particolari di rilievo rispetto a quanto già noto.
In ultimo l'autore chiude il volume interrogandosi sulla responsabilità morale che ora si porta appresso per aver ucciso Osama bin Laden. Ancora non sa rispondere alla domanda se sia stata la cosa migliore o la peggiore che ha fatto nella sua vita, ma è ora determinato a sfruttare questo onere per il bene di tutti.
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