Continuando il nostro impegno affinché il ricordo di quanto accaduto l’11/9 non venga perso, offriamo oggi ai nostri lettori la testimonianza del sopravvissuto Marvin Pickrum che si trovava nella Torre Nord al momento del primo impatto.
Il vivido racconto di Pickrum aggiunge un importante tassello per capire le emozioni di chi ha vissuto personalmente l’attentato alle Torri Gemelle.
Ringraziamo Pickrum per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Cosa ricordi in generale dell’11/9?
Marvin Pickrum: Lavoravo per una compagnia di trading all’ottantacinquesimo piano della Torre 1, mi stavo preparando per andare al piano dove si fa il trading che era ai piani inferiori, al quarto piano della torre. Stavo uscendo dal mio ufficio e stavo andando in bagno e mentre uscivo dal mio ufficio il mio palazzo fu colpito, e quando fu colpito si inclinò in avanti. Sapevo e capivo che era qualcosa di grosso perché sono un ex militare, ero stato nell'esercito e nella marina e avevo visto le esplosioni e cose del genere in passato e sapevo che era una situazione piuttosto seria. Inoltre quando ero in corridoio il carburante avio dell’aereo riempiva gli ascensori, scendeva lungo le trombe degli ascensori quando l’aereo colpì il palazzo e io letteralmente dovetti correre nel corridoio per scappare dalle fiamme che lo stavano riempiendo. Beh, avendo servito nell’esercito posso dirti di non aver mai sentito un tale calore prima. Quindi dal palazzo che si era inclinato e dal calore delle fiamme capii che era una cosa seria. Nella mia vita di rado vado nel panico, ma quella fu una delle poche volte nella mia vita in cui ci andai.
La mia reazione iniziale fu di provare a tornare in ufficio per vedere se i miei colleghi stavano bene, ma quando mi girai le fiamme riempivano il corridoio. Era come se stessi guardando nella bocca di un drago, letteralmente! Fu a quel punto che andai nel panico e ciò che mi passò per la testa in quel preciso istante fu che non c’era modo che fossero sopravvissuti, dovevano essere morti. Non avrei mai lasciato i miei colleghi se avessi pensato che erano vivi, e quindi entrai in modalità di sopravvivenza.
Quindi dopo l’impatto iniziale stavo semplicemente cercando di capire cosa succedeva e principalmente cercavo di capire come uscire dal corridoio e non bruciarmi nelle fiamme; una volta arrivato alla fine del corridoio mi ricomposi un po’, entrai in un ufficio che era in fondo al corridoio, guardai fuori per vedere cosa stava succedendo, non vidi nulla, il cielo era terso. Mi ricomposi e decisi di uscire dal palazzo, in quel momento capii immediatamente che dovevo uscire dall’edificio.
Prima che si diffondessero le notizie, le persone facevano congetture su cosa poteva essere successo. Iniziammo a sentire storie di un aereo che aveva colpito il palazzo ma non sapevamo quanto fosse grande. Nessuno lo sapeva. A quel punto le persone cominciarono a riempire le scale per uscire dal palazzo. Non c'era caos per le scale, le persone erano molto ordinate, mentre eravamo nella tromba delle scale la gente usciva dagli uffici ad ogni piano per scendere. Era tutto molto calmo. A uno dei piani mi ricongiunsi con una mia collega e grazie a lei seppi che tutti erano usciti dall'ufficio e che stavano bene. Ci incontrammo quando lei stava uscendo da un altro piano e io stavo andando nella sua direzione.
Non c'era una minaccia imminente e noi stavamo semplicemente uscendo dal palazzo. Arrivammo in un’area dove non potevamo continuare a scendere per le scale, dovemmo attraversare il piano in uno dei livelli più bassi e fu come essere in un film: c’era fuoco ovunque, il corridoio era danneggiato, c’erano persone coperte di cenere. Attraversammo quel piano e finimmo in un’altra scala per continuare a scendere. Quando eravamo tra il quarantesimo e il cinquantesimo piano o tra il cinquantesimo e il sessantesimo, o forse ancora più in basso, cominciammo a vedere i pompieri che salivano; a quel punto fui fiducioso che saremmo usciti perché pensai “Se i pompieri stanno entrando significa che c'è un modo per uscire dal palazzo.” A quel punto nessuno considerava che l’edificio sarebbe crollato.
A quel punto non lo sapeva nessuno, ma fu quando arrivammo al quarto piano che crollò la Torre 2. Io ero al quarto piano e non me lo dimenticherò mai. Stavo scendendo lungo le scale, stavo guardando la mia collega e lei era in piedi vicino al muro, sul punto di girare per continuare a scendere, e il palazzo iniziò a tremare e sul muro dietro di lei apparvero delle crepe. A quel punto le persone andarono nel panico, tutti cercavano di uscire dal palazzo. Non sapevamo se anche il nostro edificio sarebbe crollato. Tutte le luci si spensero, c’era fumo ovunque. Ci sono immagini di quel giorno che non dimenticheremo mai. Arrivammo a un punto dove c’era così tanto fumo e nessuna luce che non sapevamo quale fosse il percorso da prendere per uscire. I pompieri avevano delle luci chimiche e delle luci d’emergenza che servono a segnalare dov’è la persona davanti a te, nelle forze armate è così che teniamo traccia l'uno dell'altro di notte. Vidi una luce chimica e andai in quella direzione, perché sapevo che lì avrei trovato la via d’uscita dal palazzo.
Quindi uscimmo dal palazzo e non sapevo e non capivo su quale lato del palazzo fossi, stavano succedendo così tante cose che non ricordo come siamo usciti da lì. Ricordo solo di aver visto il pompiere e la cosa successiva che ricordo è di essermi trovato fuori dal palazzo. Fuori c'erano macerie ovunque, caos. Ricordo di aver detto alla mia collega “Siamo in una zona di guerra.” Iniziammo a seguire la folla che stava andando verso nord, lontano dal palazzo, cercammo di andare più lontano possibile dai palazzi per via del fumo denso. Pochi minuti dopo, quando eravamo sufficientemente lontani dall'edificio, un po' più al sicuro e l'aria cominciava ad essere meno densa di fumo, pensai “Ok, forse posso girarmi e guardare l’edificio per vedere cosa sta succedendo.” Mi girai e guardai in alto e vidi questo immenso buco e gli edifici in fiamme. E la nostra torre iniziò a crollare. Come puoi immaginare, le persone furono prese di nuovo dal panico e iniziammo a correre verso nord, il più lontano possibile, per scappare dal crollo. La mia collega viveva a Brooklyn, io vivevo a Jersey City e non c'era modo che io potessi andare a casa, così ci dirigemmo verso il Ponte di Brooklyn, arrivammo a casa sua, accendemmo la televisione sul telegiornale e cercammo di elaborare ciò che era successo.
Undicisettembre: Quando finalmente tornasti a casa?
Marvin Pickrum: Non tornai a casa fino al weekend. Eravamo appena stati bombardati, quindi andammo in un negozio e comprammo degli alcolici, perché avevamo bisogno di riprenderci. Andammo diretti in un negozio e prendemmo birra e vodka, ci sedemmo sul divano a sentire le notizie e per cercare di elaborare ciò che era successo. Non tornai a casa fino al weekend, penso che fosse sabato.
Undicisettembre: Cosa ti è successo in quei giorni, quando non potevi tornare a casa?
Marvin Pickrum: Ho tenuto compagnia alla mia collega, sentivamo le notizie alla CNN. Chiamai mia madre per dirle che ero uscito dal palazzo e stavo bene e che ero dalla mia collega. La città era bloccata, non c'era trasporto pubblico e andare a casa non era nemmeno una priorità. Stavo cercando principalmente di riprendermi da ciò che era successo.
Undicisettembre: Quanto ti ci volle per tornare alla normalità?
Marvin Pickrum: Beh, come definisci cos’è la normalità? Mi ero trasferito a New York perché il mio scopo era diventare un trader, lavoravo per una compagnia di trading e quella era la mia priorità. Mi ero laureato in legge, avevo un background finanziario e volevo essere un trader. Dopo l’11/9 sentivo di voler lasciare New York subito, molte persone si sentivano così. Tutti erano molto scossi, ma io non volevo prendere una decisione sull’onda dell’emozione. Decisi che mi sarei preso del tempo per decidere se volevo rimanere lì. New York è una città molto stressante dove vivere, è una città stupenda ma anche molto stressante e ci vivono molte persone: è il meglio e il peggio di tutto. Quindi l’11/9 cambiò la mia vita; non sarei qui a San Francisco se non fosse per l’11/9. Sarei rimasto a New York e sarei diventato un trader.
Quindi dopo l’11/9 rimasi lì per un anno e poi mi dissi “Non ne vale la pena. È troppo stressante, torno in California, mi trovo un lavoro lì.” E ho ricomposto la mia vita, quindi quando chiedi “Quando tornasti alla normalità?” la mia risposta è “Non sono mai tornato alla normalità.” Ha cambiato il corso della mia vita, non c'era dubbio nella mia mente che sarei arrivato alla fine ad avere un lavoro come trader da qualche parte e non è successo. Ora sono un auditor in un’azienda informatica. Ma non era la visione che avevo per la mia vita, non era lo scopo che avevo: l’11/9 lo ha cambiato.
Quindi se mi chiedi se la mia vita è normale, sì, vado al lavoro come chiunque altro, mi piace stare all’aria aperta e tutto ciò che la California ha da offrire. Ora la mia vita è normale e mi ci volle un po’. perché trascorsi un anno a New York dopo l’11/9 e mi trasferii a Los Angeles e lavorai come allenatore, perché ho sempre voluto essere un atleta, quindi lavorai come allenatore in una palestra per un anno e mezzo. Non ti aspetteresti che qualcuno con i miei studi e il mio background faccia una cosa del genere. Ma poi sono tornato a un lavoro che era più in linea con la mia formazione e il mio background.
Undicisettembre: L’11/9 come condiziona la tua vita quotidiana?
Marvin Pickrum: Beh, arrivai molto vicino a essere un Navy SEAL e per motivi personali abbandonai quel programma. Dopo l’11/9 volevo tornare nelle forze armate, ma a quel punto ero troppo vecchio e fisicamente non potevo fare le cose che facevo quando avevo poco più di vent’anni, ma ero arrabbiato, ero furioso, non potevo credere che quella gente avesse preso di mira dei civili.
Ogni giorno penso a tutto ciò che sta succedendo con l’ISIS e ciò che stiamo facendo, e spero che stiamo facendo abbastanza dietro le quinte per gestire veramente questa minaccia. Essendo quasi entrato nelle forze speciali ho una prospettiva diversa su quali dovrebbero essere le nostre politiche e quando sento che c'è stato un altro attentato e che tutto il mondo sui social media incoraggia le persone a commettere questo tipo di attacchi terroristici contro civili spero che gli Stati Uniti e la comunità globale stiano facendo tutto il necessario per eliminare, e intendo dire eliminare, questa minaccia.Vivo a San Francisco, ma ho vissuto anche nella zona di East Bay, dove dovevo prendere un tunnel per andare nel distretto finanziario e non mi piace più stare su quei treni, perché per me sono un obiettivo molto facile. Penso a queste cose e non credo che altri pensino allo stesso modo.
Ma continuo con la mia vita. Siamo in guerra da non so quanto tempo, continueremo a essere in guerra. Loro stanno usando delle tattiche che sono un segno dei tempi, non posso preoccuparmi di ciò che non posso controllare e devo andare al lavoro come chiunque altro.
Undicisettembre: Cosa pensi delle guerre in Afghanistan e in Iraq?
Marvin Pickrum: È complicato, per me ciò che sta succedendo nel Medio Oriente ha fatto nascere questi gruppi, ma non capisco la natura del perché ci siano così tanti conflitti e penso anche che la cosa non possa essere mai risolta. Quando cerco di seguire “Ok, beh, questo gruppo è nato per via di ciò che è successo in Iraq”, poi c'è la guerra in Siria, chi supporta chi, è incredibilmente confuso. Credo che possiamo aver fatto degli sbagli per quanto riguarda la nostra politica, ma non credo di avere veramente l'esperienza per conoscere davvero la storia di quella regione e le basi del conflitto e l'animosità verso di noi. Detto questo, da ex militare amo il mio paese, sono un patriota e spero che stiamo facendo tutto il necessario per eliminare questa minaccia.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l’11/9 fu un inside job?
Marvin Pickrum: Non credo molto nelle teorie del complotto a meno che ci siano delle prove. Beh, sono un avvocato e chiedo a queste persone “Mostrami delle prove. C'è qualche prova che sia stato un inside job? Se c'è stata una cospirazione, fammi vedere delle prove concrete.” Fino ad allora per me sono solo congetture per vendere giornali e creare animosità.
Devono darci delle prove, è semplice. Per quanto ne so, c’era un gruppo, sappiamo chi erano, ed erano legati a un gruppo terroristico molto specifico.
Undicisettembre: Pensi che la nazione viva ancora nella paura o che abbia recuperato la sua posizione mondiale?
Marvin Pickrum: Beh, io sono sopravvissuto, quindi non ne ho paura. Abbiamo delle minacce, come ne abbiamo sempre avute, gli Stati Uniti hanno sempre avuto nemici, avremo sempre dei nemici, è per questo che supporto i militari. È per questo che credo nell’avere un apparato militare forte, solido, efficace, capace, competente. Detto questo, credo che ci serva più intelligence per affrontare questa minaccia. Non ho esperienza in questo campo, ma credo che una buona intelligence fornisca bersagli. Non credo che dobbiamo ripetere l'Iraq e mobilitare masse enormi di persone e materiali, non credo che sia quella la guerra del futuro. Quindi i soldi devono essere spostati da questo all'intelligence, per avere informazioni su chi sono queste persone e dove stanno.
Per quanto riguarda il resto del paese, penso che la gente viva le proprie vite come ha sempre fatto. La gente va al lavoro, ha bollette da pagare, deve prendersi cura dei propri figli, farli studiare, ma dovremo sempre affrontare delle minacce.
Penso che in questo tipo di interviste riguardanti un avvenimento che ha colpito emotivamente, e tanto, le persone ed sopratutto effettutate dopo tanti anni da quell'avvenimento, vi sia il rischio di falsi ticordi.
RispondiEliminaSicuramente con il passare degli anni i ricordi possono sbiadire, ma quello che più importa è preservare la memoria degli aspetti umani della tragedia.
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