Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto del comandante della Port Authority Joe Morris, che la mattina dell’11/9 si trovava nel proprio ufficio all'aeroporto LaGuardia e fu inviato al World Trade Center tra i primi soccorritori.
Il racconto di Morris non solo fornisce un ulteriore tassello per capire cosa è successo quel giorno ma fornisce anche dettagli importanti su come funzionava la sicurezza al World Trade Center dal punto di vista della giurisdizione e delle aree di competenza delle diverse agenzie coinvolte.
Ringraziamo Joe Morris per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto quel giorno?
Joe Morris: Ero il comandante del dipartimento di polizia della Port Authority di New York e New Jersey all’aeroporto LaGuardia. Ciò che rende unico il dipartimento di polizia della Port Authority è che non solo svolge i propri compiti negli aeroporti ma ha anche la responsabilità di gestire gli incendi sugli aerei: se un aereo ha un incidente o un incendio nell’aeroporto rispondiamo noi e spegniamo il fuoco, creando una via di fuga per i passeggeri e per l’equipaggio in modo che possano abbandonare l’aereo; fatto questo, l’aereo diventa un incendio di una struttura, per il quale interviene il dipartimento dei vigili del fuoco di New York. La Port Authority ha giurisdizione governativa sul complesso del World Trade Center, sull’aeroporto JFK, sull’aeroporto LaGuardia, e sull’aeroporto Liberty International di Newark. La giurisdizione dell’agenzia include anche la stazione degli autobus della Port Authority a Midtown Manhattan e i ponti sul fiume Hudson tra New York e il New Jersey, che includono il George Washington Bridge, l’Uptown Bus Station, il Lincoln Tunnel e l’Holland Tunnel. Gli altri attraversamenti del fiume includono il Goethal, Bayonne e l’Outerbridge Crossing a Staten Island. La Port Authority gestisce anche il sistema ferroviario PATH (Port Authority Trans Hudson) e i treni tra Newark, New Jersey e Manhattan. Gestisce anche i porti marittimi di New York e New Jersey. La Port Authority aveva dato in affitto il complesso del World Trade Center alla Silverstein Real Estate quattro mesi prima dell’11 settembre 2001. Silverstein si occupava della conduzione del complesso, mentre la Port Authority manteneva le funzioni primarie di polizia e di gestione degli incendi.
La mattina dell’11 settembre ero all’aeroporto LaGuardia e stavo svolgendo l’attività quotidiana che svolge ogni comandante: in questo caso ero seduto nel mio ufficio con l’amministratore dell’ufficio e l’arredatore e stavamo discutendo, attorno a un piccolo tavolo, della necessità di rifoderare le poltrone con tessuti nuovi nel mio ufficio. Scherzavo con loro del fatto che siccome i poliziotti che portano il cinturone con la pistola diventano sempre più grossi, avevano consumato il tessuto delle sedie al punto che era necessario sostituirlo. Durante questa discussione qualcuno fuori dal mio ufficio disse: “Un aereo ha colpito il World Trade Center”. La polizia della Port Authority aveva dei piani di mobilitazione e quindi sapevo che la mobilitazione sarebbe stata avviata dal Quartier Generale della Polizia. Incontrai il mio tenente, Ed Dowling. Ed era tenente da lungo tempo all’aeroporto e nessuno conosceva il suo funzionamento meglio di lui. Gli dissi: “Tu resta qua e prenditi cura dell’aeroporto; io prendo le persone mobilitate e le porto al Trade Center”. Ci spostammo con otto veicoli e credo che fossimo 17 o 18 tra detective e personale in divisa. Il nostro convoglio di mezzi della polizia si spostò verso sud sulla Brooklyn Queens Expressway. Durante il tragitto vidi la seconda torre colpita da un aereo. In quel momento capii che non era un semplice incidente aereo o un incendio in un grattacielo ma era un atto di terrorismo. La mia mente tornò al 1993; allora partecipai alle attività di soccorso e recupero come tenente lavorando quel giorno di febbraio con il Capitano James Nachstein, il direttore delle operazioni del dipartimento.
Quando attraversammo il Williamsburg Bridge e vidi l’inferno che avvolgeva il World Trade Center capii che era completamente diverso dall'attacco del 1993. Diedi istruzioni via radio al personale che stava arrivando dall’aeroporto LaGuardia di non raggiungere la posizione prevista a West Street per le mobilitazioni per il World Trade Center ma di recarsi ad un punto di raccolta un isolato più a nord delle torri, a Barclay Street. Questo punto era al riparo dei palazzi tra il confine nord del complesso del World Trade Center su Vesey Street e Barclay Street. Durante il nostro spostamento in auto cercai, attraverso il sistema radio 800 della polizia, di contattare la sede della polizia al World Trade Center e anche le unità del Quartier Generale che stavano intervenendo, ma mi fu impossibile stabilire un contatto radio. In seguito scoprii che la stazione della radio localizzata al World Trade Center 5 era stata danneggiata dalle macerie cadute dalle torri in fiamme, rendendo così inservibili le comunicazioni radio. Scoprii che potevo utilizzare un canale di comunicazione della polizia obsoleto e poco usato, il “Channel A”, per contattare la sede centrale della polizia della Port Authority per informarla su come procedeva il nostro intervento e sulle nostre risorse al World Trade Center.
Il mio veicolo era parcheggiato all’incrocio tra Barclay Street e West Broadway, su un marciapiede proprio sotto una copertura protettiva di un cantiere. Anche gli altri veicoli che arrivavano da LaGuardia erano parcheggiati lì, sul lato opposto della strada rispetto alla rampa di accesso veicolare al World Trade Center da Barclay Street. Radunai il mio personale che arrivava da LaGuardia e diedi istruzioni di rimanere con me. Camminammo verso ovest lungo Barclay Street finché arrivammo a West Street e girammo a sud, dove trovammo l’automezzo di comando della Port Authority Police parcheggiato all'angolo nord-est dell'incrocio tra Vesey Street e West Street. Mentre ci avvicinavamo al mezzo di comando incontrai un Senior Executive di lunga esperienza della Port Authority, Robert Van Etten, e il primo Vice Commissario della Polizia di New York, Joseph Dunne. Dunne mi chiese se la Port Authority avesse chiuso i tunnel e i ponti verso New York. Gli risposi che basandomi su quando avevo sentito sul “Channel A” pensavo di sì, ma avrei verificato presso l’automezzo di comando. Riuscii a fare una telefonata alla sede centrale della polizia e mi dissero che il George Washington Bridge e i tunnel Holland e Lincoln erano chiusi al traffico in ingresso a Manhattan e che solo il traffico in uscita verso il New Jersey poteva usare quegli attraversamenti. Lasciai l’automezzo di comando e informai Joe Dunne della situazione degli attraversamenti fluviali. Mi fu impossibile entrare in contatto con altri comandanti che prendevano parte alle operazioni di soccorso nelle due torri. Fui informato da Joe Poland, un Sergente del Quartier Generale, che il Sovrintendente della polizia e due capitani di polizia erano entrati nella Torre Nord per condurre le operazioni di salvataggio.
A quel punto decisi che sarei andato al lobby (atrio) della Torre Nord, sapendo che era la zona di comando per gli incidenti che era stata designata dalle procedure sviluppate in seguito all’attacco del 1993. Vicino all’automezzo di comando c'erano circa 17 o 18 membri della polizia dell'aeroporto LaGuardia insieme a credo altri 50 o 60 membri degli altri uffici della polizia della Port Authority che prendevano parte alle operazioni di mobilitazione per il World Trade Center. Ordinai ai tenenti e ai sergenti che si trovavano lì di dividersi in gruppi di tre o quattro e di rimanere lì finché non fossi tornato con un piano. Li informai che sarei entrato nella Torre Nord e avrei incontrato i supervisori del dipartimento dei pompieri di New York e della polizia della Port Authority alla postazione di comando per gli incidenti nel lobby della Torre Nord.
Mi feci accompagnare alla postazione di comando nel lobby dal tenente Emilio Sepleveda, che durante la propria carriera aveva lavorato per anni al comando del World Trade Center, anche in occasione dell’attentato del 1993. Mentre camminavamo verso sud su West Street verso l'ingresso carraio VIP della Torre Nord iniziai a guardare in alto e improvvisamente vidi oggetti che uscivano dai piani più alti della Torre Sud e la torre iniziò a crollare verticalmente. Nei primi secondi rimasi stupefatto da ciò che vedevo, non credevo ai miei occhi che la Torre Sud stesse crollando. Poi mi resi conto dell pericolo e urlai “Cazzo! Corriamo!”, mi girai e cominciai a correre verso nord su West Street con altre persone che erano con me. Mentre correvamo indietro verso nord capii che sopra e dietro di me c’era una forza potente di macerie in caduta. A circa 70 metri di distanza vidi l’automezzo di comando e mi ci lanciai dentro per proteggermi. Il personale di polizia dentro l’automezzo poi chiuse le porte per proteggersi dai detriti che volavano. Mentre le macerie del crollo ancora volavano, le persone bussavano alle porte del veicolo cercando riparo dalla tempesta di macerie. Una di queste persone era il capitano dei detective della polizia, il Capitano Olly, che veniva portato da altri membri del New York Police Department ed era ricoperto di polvere bianca ovunque, inclusa ogni apertura del suo viso: le narici e la bocca erano coperte di polvere. Lo ripulimmo con acqua, che gli permise di respirare in modo meno sofferto.
Posso descrivere la polvere e le macerie che volavano solo come una bufera di neve calda. Ricordo che l’unica cosa che effettivamente sopravvisse erano pezzi di carta. In quel momento non vedi nessun altro comandante della polizia della Port Authority e quindi presi il comando, cercando di prevedere ciò che poteva succedere. Dopo il crollo della Torre Sud altri agenti della polizia della Port Authority che erano sfuggiti al crollo e alle sue conseguenze si radunarono al furgone di comando. Uno di loro era il capitano Tony Whitaker, il comandante per il World Trade Center; stavamo cercando di organizzare il personale e le risorse disponibili. Eravamo posizionati fuori dal Verizon Building, che sorgeva a pochi metri dalla Torre Nord. Il Capitano Whitaker espresse la necessità di andarcene velocemente dicendo “Dobbiamo andare via da qui”; io chiesi “Perché?” e Tony mi disse “La prima torre è crollata e anche quest'altra verrà giù”. Su questa base fu deciso di spostare l’automezzo di comando più a nord su West Street, per sicurezza.
Per via della quantità dei detriti nell’aria che si erano raccolti intorno all’autobus di comando il motore non prendeva aria e si fermò. Gli agenti di polizia Arcardi e Kennedy presero l’iniziativa, tolsero il filtro intasato, andarono all’idrante dei pompieri più vicino, lavaronoil filtro e lo rimisero nel motore, e così fu possibile far partire l’automezzo, che fu spostato tre isolati più a nord su West Street appena più a sud dell'incrocio con Chambers Street.
Una cosa che vidi io e che la maggior parte degli altri comandanti non vide quella mattina fu la veduta panoramica del World Trade Center mentre percorrevo la Brooklyn Queens Expressway. Quella vista mi diede una migliore comprensione della devastazione causata dagli attacchi terroristici. Il personale della Port Authority si radunò attorno all’autobus di comando. Stavamo facendo l’appello di chi era sopravvissuto, ritenevamo che 300 o 400 poliziotti della Port Authority fossero stati dentro o nelle vicinanze del World Trade Center quando la Torre Sud era crollata. Nel frattempo altri dipendenti dell’Agenzia si radunarono intorno all’autobus di comando. Arrivarono anche due Senior Executive, Christopher Ward, un direttore di progetto, e Jeff Green, il capo dei consulenti legali. Entrambi erano scappati dai propri uffici nella Torre Nord dopo che l’aereo aveva colpito la torre e si erano rifugiati nel Marriott Hotel del World Trade Center, per poi sfuggire al crollo della Torre Sud addosso all’albergo, ed avevano trovato riparo nell’autobus di comando. Stavo discutendo con loro per capire cosa sapessero loro della situazione quando la Torre Nord crollò. Di nuovo la bufera di neve calda ricoprì l'intera area e la gente cercava riparo dalla bufera finché questa non finì.
Ricordai le parole del Comandante Nachstein durante le operazioni di intervento e soccorso in occasione dell’attacco del 1993 sul fatto che il nostro lavoro era non annegare nella marea e di portare ordine nel caos. Quelle parole dettarono le mie azioni per il resto della giornata. Io e altro personale di supervisione portammo ordine al caos, incontrandoci e intraprendendo azioni man mano che la giornata si evolveva. Incontrando altro personale dell’agenzia in un cortile chiuso del Manhattan Community College ordinai ai colleghi dipendenti di raggrupparsi in base al reparto nel quale lavoravano e di organizzarsi in questo modo.
Nel primo pomeriggio venni informato dal Comandante Thomas Farrell, che era in malattia e che aveva risposto presso la sede di comando della Port Authority di Jersey City, che ero stato designato comandante del sito del World Trade Center. Mi ero spostato al Manhattan Community College, che era su West Street, a nord di Chambers Street. Le attività di soccorso e recupero della Port Authority furono dirette dalla palestra del college. Io fui presentato e iniziai a lavorare con Ed Sullivan, un grande uomo, che era Senior Vice President del college. Mi disse: “Non abbiamo corrente elettrica nel palazzo”. Io gli dissi “Non c'è problema, ti porteremo la corrente elettrica con dei generatori portatili. Abbiamo solo bisogno di usare la palestra.” È semplicemente così che le cose furono fatte, senza burocrazia: solo persone che si fidavano reciprocamente e che portavano le cose a compimento, quel giorno e nei mesi che seguirono. Io rimasi al sito come Comandante della Port Authority al World Trade Center finché non fui promosso Capitano del Dipartimento e sostituto Sovrintendente della polizia il 24 settembre 2001. Fui materialmente presente quasi ogni giorno sul luogo, fino alla cerimonia di chiusura nel maggio del 2002.
Undicisettembre: Sai qualcosa del crollo del WTC7?
Joe Morris: Sapevamo che stava bruciando, parlai con alcuni agenti del Secret Service [servizio di protezione delle principali autorità governative, N.d.T.], i cui uffici erano nel palazzo e che erano scappati da lì; mi descrissero i danni e gli incendi che si diffondevano nella struttura. Il palazzo era anche la sede dell’ufficio della gestione delle emergenze e del centro di comando per le emergenze della città di New York che erano al 25° piano. Il palazzo conteneva grandi serbatoi di gasolio che fornivano energia elettrica ai generatori d’emergenza usati per fornire energia elettrica d’emergenza. Il WTC7 era completamente in fiamme nel tardo pomeriggio dell’11 settembre, non c’erano risorse per estinguere gli incendi. Non c’era acqua perché non c’era pressione nelle condotte, a causa del danno alle infrastrutture stradali dovuto al crollo delle Torri, le condutture dell’acqua erano rotte. L'unica cosa che si poteva fare era tenere lontano il personale. Sapevamo che la situazione era grave e la struttura crollò dopo le 17, aggiungendosi alla carneficina del World Trade Center.
Una cosa che impari come comandante della polizia è che poliziotti e pompieri vogliono entrare in azione; tenerli a freno e organizzarli è la parte più difficile della supervisione. Ma quello è il nostro compito nel portare ordine nel caos. Ero deciso, come molti altri capi, a non perdere nessun’altra persona in quel massacro.
Undicisettembre: Cosa successe quella sera?
Joe Morris: Ricordo di aver mandato delle persone a verificare ed esplorare il sito. Mandai solo personale del dipartimento qualificato per la gestione delle emergenze; inviai il supervisore delle gestione delle emergenze, il sergente della polizia John Flynn, con questi ufficiali specificamente preparati ad osservare quali fossero le condizioni del sito, ciò che potevamo fare e ciò che non potevamo fare. Il sergente tornò e mi riferì quanto fossero negative le condizioni del sito. Alle 20:30 incontrai i funzionari della città e il personale dell’ufficio del medico legale. Stimarono, a quel punto, che ci fosse la possibilità di aver perso 10.000 persone, perché gli attacchi erano avvenuti durante l’ora di punta. Il medico legale ci disse inoltre che sarebbero stati trovati pochi cadaveri. La maggior parte sarebbe stata polverizzata, nella migliore delle ipotesi avremmo trovato brandelli di corpi.
Ripensando a quella sera ricordo che mentre mi avvicinavo alla Torre Nord per andare al centro di comando vidi l’ufficiale di polizia della Port Authority George Howard; era alcuni metri alla mia destra, vicino al One World Financial Center, sulla carreggiata sud di West Street. George fu uno dei primi ufficiali morti che furono ritrovati quel pomeriggio. Era morto durante il crollo della Torre Sud, colpito alla testa dalle macerie. Penso che fosse accaduto mentre stavo correndo verso nord via dal crollo. Se ci ripenso mi rendo conto che fu solo una questione di dove ti trovavi quel giorno. Ciò che mi protesse, credo, fu la struttura del North Bridge che attraversava West Street unendo l'ufficio della dogana del World Trade Center al World Financial Center. Quella struttura mi riparò sufficientemente mentre correvo lungo West Street prima di tuffarmi nell’autobus di comando.
Era questione di continuare a utilizzare le risorse che avevi a disposizione. L’uso delle risorse include l’assegnazione dei detective del dipartimento agli obitori temporanei e agli ospedali per svolgere le funzioni investigative in quei luoghi o l’assegnazione dei tenenti per conteggiare quelli che sapevamo essere sopravvissuti, quelli uccisi e quelli ancora dispersi. Fu assegnato del personale per fare il punto dei veicoli e dell’equipaggiamento inviato al World Trade Center e di quali veicoli e quale equipaggiamento fossero ancora utilizzabili. Fu molto difficile, perché le comunicazioni erano per la maggior parte interrotte. La Port Authority aveva pochissime comunicazioni radio e noi non avevamo cellulari funzionanti. Io utilizzai agenti in moto, come durante la prima guerra mondiale, per consegnare messaggi verbali e scritti. Gli unici telefoni che effettivamente funzionavano al World Trade Center erano i BlackBerry, ma per via del loro costo né la polizia né il dipartimento dei pompieri ne aveva.
Le agenzie di polizia e il dipartimento dei pompieri stavano cercando di organizzarsi per assegnare le responsabilità di polizia e di gestione degli incendi al World Trade Center. Il miglior modo di spiegare le responsabilità dal punto di vista della giurisdizione durante una catastrofe o un incendio al World Trade Center è che la Port Authority rispondeva agli allarmi per fumo o incendi ricorrendo ad agenti di polizia. Il dipartimento dei pompieri doveva recarsi alla postazione di comando nel lobby della torre e attendere conferme. Se del fumo o un incendio veniva confermato, spettav al personale del dipartimento intervenire sul posto tramite gli ascensori. Gli ufficiali di polizia della Port Authoirty assegnati al World Trade Center erano stati formati sulla gestione degli incendi e frequentavano corsi e conseguivano certificazioni ogni anno per la gestione degli incendi nei palazzi. La polizia di New York aveva responsabilità sulle strade adiacenti e sui marciapiedi circostanti il World Trade Center. Queste responsabilità giurisdizionali erano alle base di tutte le direttive operative per gli interventi che coinvolgevano sia la Port Authority che le agenzie della città di New York. Se consideri gli attacchi al World Trade Center dell’11 settembre, le vittime subite dalle tre agenzie rispecchiano le loro responsabilità operative. I vigili del fuoco ebbero vittime dentro e nei dintorni del World Trade Center, gli agenti di polizia della Port Authority che erano assegnati al World Trade Center o che risposero alla mobilitazione subirono perdite e solo il personale della Polizia di New York specificamente assegnato all'Unità di Servizio per le Emergenze che fu inviato quel giorno al World Trade Center ebbe delle vittime. L'unica eccezione fu un ufficiale della polizia di New York che sarebbe andato in pensione quel giorno: corse dalla sede della polizia al World Trade Center e perse la vita.
Undicisettembre: Avendo vissuto l’attacco del 1993, vi aspettatavate un altro attentato contro il World Trade Center?
Joe Morris: Nel 1993 ero tenente, avevo un incarico amministrativo nel quartier generale. Avendo parlato con delle persone, so che c'era una minaccia, una minaccia molto generica. La polizia della Port Authority basandosi su quella minaccia generale, effettivamente aumentò la sicurezza perimetrale al World Trade Center per quanto riguarda pattuglie a piedi e motorizzate.
In base all’esperienza dell’attacco al World Trade Center nel 1993 i piani per la risposta alle emergenze furono rivisti e corretti dalle agenzie che dovevano intervenire. Questi piani furono alla base della risposta agli attacchi dell’11 settembre al World Trade Center. Nel luglio del 2001 ci fu un incontro, convocato dalla Federal Aviation Administration (FAA), al quale partecipai come Comandante dell’aeroporto LaGuardia. La FAA informò i partecipanti di una minaccia generica che non era specifica e serviva solo a fini informativi. La Port Authority, come agenzia, aveva deciso nel 1996, dopo l’incidente occorso al volo TWA 800, di portare il proprio personale di polizia al livello di allerta appena inferiore a quello massimo per motivi di sicurezza nei suoi tre principali aeroporti.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l’11/9 fu un autoattentato?
Joe Morris: È ciò che considero al livello massimo una stronzata! Ciò che successe fu che un grande aereo fu fatto schiantare contro ciascuna torre a grande velocità, causando un grave danno strutturale e diminuendo le capacità delle strutture di resistere agli incendi. Queste condizioni, insieme all’elevato calore alimentato dal carburante avio, furono ulteriormente alimentate dai materiali presenti nel mobilio degli uffici e causò il crollo.
Durante i primi giorni delle operazioni di recupero, a volte gli stivali da lavoro che indossavamo dovevano essere sostituiti due volte durante un turno da 12 ore per via del calore che veniva dalla pila delle macerie su cui ci muovevamo. C’era un onnipresente odore di morte. È un modo terribile di descriverlo, ma c’era odore di barbecue.
Undicisettembre: Quanto tempo ti ci volle per tornare alla normalità?
Joe Morris: Lascia che ti descriva cosa è successo alla polizia della Port Authority. L’11 settembre eravamo un dipartimento di 1300 persone; dopo gli attacchi avevamo bisogno di più personale per coprire gli aeroporti, i tunnel, i ponti e le altre sedi di trasporti; avevamo bisogno da 2200 a 2500 persone per raggiungere i livelli di sicurezza e le responsabilità, perché questi luoghi erano obiettivi primari per il terrorismo. Nel nostro dipartimento ogni richiesta di ferie o assenza per malattia fu cancellata e fu ordinato a tutti di tornare al lavoro. Durante i primi 20 giorni non furono concesso giorni di riposo; dopo quei primi 20 giorni fu concesso un giorno di riposo ogni due settimane, e mesi dopo uno ogni settimana. Tutto il personale della polizia lavorò su turni di 12 ore fino a luglio del 2003.
Era l’unico modo con cui potevamo coprire le nostre responsabilità, ma le persone ne pagarono il peso. La cosa di cui sono veramente orgoglioso è che nel pomeriggio dell’11 settembre, quando eravamo nella palestra, arrivarono dei consulenti psicologici dal New Jersey, erano della Cop2Cop; ciascuno di loro era un agente di polizia formato per fare consulenza psicologica ai colleghi. Uno di loro era, per caso, un mio vicino di casa che avevo conosciuto in occasione degli eventi sportivi della scuola superiore dei nostri figli. Parlando con lui mi disse che dopo l’attentato di Oklahoma City 19 dei primi soccorritori si suicidarono negli anni successivi. Fui sconvolto da quel numero e decisi di intraprendere delle azioni per gestire il rischio. Ciò che facemmo fu portare continuamente consulenti e psicologi su base quasi giornaliera, farli parlare con tutto il personale che lavorava al World Trade Center e portarli in tutti i posti dove era stato assegnato del personale della polizia.
Subito dopo l’inizio delle operazioni di recupero, la polizia della Port Authority decise di lasciare che ogni agente del dipartimento che voleva andare a lavorare al World Trade Center potesse andarci. L’intero dipartimento lavorava su due turni di 12 ore, dalle 7 alle 19 e dalle 19 alle 7. Dopo la prima settimana i tenenti assegnati al World Trade Center mi dissero che volevano che fossero sempre le stesse persone selezionate a lavorare al sito. Decisi di seguire i loro suggerimenti e il personale fu selezionato. Questo sistema fu diverso da quanto fatto dai pompieri e dalla polizia di New York, perché loro avvicendavano continuamente le persone.
Questi tenenti si incontrarono e consigliarono i 200 agenti. Il personale consigliato includeva agenti con un solo anno di servizio e altri con 25 o 30 anni di servizio. Capii la necessità di avere persone diverse che parlassero con loro tutto il tempo; loro accettarono la consulenza psicologica come parte del loro lavoro e fu dato loro un numero di telefono se pensavano di avere un problema che doveva essere discusso lontano dal sito. Quando il lavoro al World Trade Center fu completato, nel maggio del 2002, la Port Authority decise di organizzare un programma di debriefing che consistette in un seminario di due giorni con consulenti della Cop2Cop guidati da Cherie Castellano e da un ex profiler dell’FBI, Jim Reese. Dopo il primo giorno ci fu una cena a cui il personale fu invitato a portare le proprie mogli o partner e di coinvolgere anche loro nel secondo giorno, in cui si discusse dei suicidi. Il nocciolo della consulenza fu che tutto quello che loro stavano vivendo e provando non era una sensazione unica: altri avevano provato emozioni e sensazioni simili e non dovevano vergognarsi o aver paura ma solo chiedere assistenza e di essere ascoltati.
Posso dire con grande orgoglio che ad oggi nessun ufficiale della polizia della Port Authority coinvolto nelle operazioni di recupero dopo l’11 settembre si è suicidato. Ne do il merito a Cherie Castellano, a Lillian Valente dei servizi medici della Port Authority e al tenente Anthony Fitzgerald. La signora Castellano mi ha detto che il programma di debriefing è stato il modello utilizzato poi con il personale di ritorno dall’Iraq.
Dopo gli eventi dell’11 settembre, quando tornai a casa quella sera intorno all'una di notte, trovai mia moglie e i miei due figli che mi aspettavano con alcuni loro amici. Mi diedero tutti degli abbracci che non dimenticherò mai. Alcune settimane dopo venni a sapere che mia moglie e i miei ragazzi furono informati che ero sopravvissuto soltanto alle 20 e che ero stato incluso nei dispersi. Siccome avevo da fare, non avevo contattato la mia famiglia. La mia paura più grande fu che tutto il materiale che avevo ingerito quel giorno nell’aria mi avesse causato dei danni: mi svegliai alle 4 del mattino del 12 settembre, mi occupai delle mie funzioni corporali e capii che tutto funzionava bene, con mio grande sollievo.
Un altro ricordo vivo di quella notte è che mio figlio maggiore, che stava studiando legge, prese le mie scarpe da lavoro e le lucidò quando andai a letto. Aver indossato quelle scarpe lucidate la mattina seguente è una cosa che non dimenticherò mai.
Mia moglie capì che avevo bisogno di dedicare le mie energie e il mio tempo al dipartimento. Il mio figlio maggiore si fece carico di molte cose per il primo anno a casa e anche mia moglie fu molto comprensiva e di supporto.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono moderati e possono restare in sospeso anche per giorni, ossia fino a quando qualcuno ha tempo di occuparsene.
Prima di fare domande, leggete per favore le FAQ nella colonna di destra del blog.
Evitate commenti non attinenti all'argomento trattato nell'articolo: quindi state in tema o pubblicate il vostro commento in un articolo pertinente.
Non verranno pubblicati messaggi contenenti polemiche o insulti, a meno che siano utili per mostrare l’infantile maleducazione di chi li invia.
Lo scopo dei commenti è arricchire, aggiornare e (se necessario) correggere gli articoli, non perdere tempo in battibecchi personali. Se siete capaci di avere davvero qualcosa di utile da dire, siete anche capaci di essere civili.
Per evitare confusioni d’identità, non sono ammessi i commenti anonimi: possono commentare soltanto gli utenti che si identificano con un nome o pseudonimo tramite il loro account Google o OpenID.