di Hammer
Gli Stati Uniti non furono l'unica nazione che dovette fronteggiare gli attentati dell'11/9 mentre si stavano svolgendo: anche il loro vicino più a nord, il Canada, con cui condividono storia, tradizione, cultura e il confine più lungo del mondo, dovette ricorrere a procedure mai attuate prima per aiutare gli USA nell'organizzazione della propria difesa e per liberare lo spazio aereo nel più breve tempo possibile. L'operazione fu denominata Operation Yellow Ribbon.
Dopo che la FAA ordinò di fare atterrare tutti i voli interni, lo stesso ente chiese il supporto del Dipartimento dei Trasporti del Canada e dell'agenzia Nav Canada per fare atterrare in Canada tutti i voli intercontinentali diretti verso gli Stati Uniti. Durante l'operazione tutti i voli in partenza dagli aeroporti canadesi furono cancellati.
Le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono le informazioni fornite da Nav Canada alla pagina NAV CANADA and the 9/11 Crisis, il documento PDF 11-09-2001 Four Days in September di Transport Canada, gli articoli di giornale Scores of U.S.-Bound Planes Are Diverted to Canadian Airports, pubblicato dal New York Times il 12 settembre 2001, e International Flights Diverted to Canada di DeNeen Brown, pubblicato dal Washington Post il 12 settembre 2001, alcuni articoli del National Post del 12/9/2001 e il documentario Operation Yellow Ribbon della NBC trasmesso per la prima volta il 27 febbraio 2010 in occasione delle olimpiadi invernali di Vancouver.
Il dipartimento Transport Canada attivò un situation center al quattordicesimo piano della Torre C del Place de Ville di Ottawa (immagine a fianco); la sede era originariamente stata costruita per gestire gravi terremoti sulla costa occidentale, ma dalla sua attivazione nel 1994 non se ne è verificato neanche uno. Negli anni era comunque stata utilizzata per altri scopi, per esempio per la gestione della tempesta di ghiaccio in Ontario del 1998 e per lo schianto del volo Swissair 111 a Paggys Cove nello stesso anno. Il situation center rimase attivo per tre settimane.
Al contempo Nav Canada attivò un centro di comando strategico nella propria sede principale di Ottawa, allo scopo di coordinare tutta l'operazione, e un centro di comando tattico nella propria sede per la formazione a Cornwall, Ontario, per gestire le comunicazioni con gli aeroporti e le torri di controllo. Il centro di comando tattico rimaste operativo solo per la giornata dell'11/9 e dopo che tutti i voli furono fatti atterrare fu spostato nella sede di Ottawa e le funzioni dei due uffici furono fuse.
Al momento degli attacchi circa 500 voli intercontinentali erano diretti verso gli Stati Uniti e Transport Canada consentì l'accesso sul suolo canadese di tutti quelli che erano oltre la metà nel proprio tragitto verso il continente americano, a tutti gli altri fu chiesto di tornare verso il loro aeroporto di origine. I velivoli entravano nello spazio canadese alla media di due al minuto e uno degli aspetti problematici che fu gestito fu far entrare tutti i passeggeri sul suolo canadese con i dovuti controlli di frontiera.
Per i voli di provenienza atlantica furono preferiti gli aeroporti che si trovano sulla costa occidentale e solo un numero ridotto di velivoli fu diretto verso quelli più grandi, e quindi più trafficati, di Ottawa, Toronto e Montreal.
Il primo aeroporto a essere coinvolto fu l'International Airport della città di Gander (immagine a fianco scattata l'11/9/2001), nel Newfoundland, in quanto è il più orientale di tutto il Canada. Gander è una piccola città di 10.000 abitanti e i voli previsti in arrivo quella mattina erano solo otto, al contrario ne atterrarono 38 creando non poche difficoltà ai controllori di volo e portando oltre 6000 persone nella cittadina.
L'unità di controllo di Gander controlla anche tutti gli aeroporti del Newfoundland e delle zone immediatamente circostanti e quella mattina riuscì a fare atterrare nei propri aeroporti 167 voli. L'aeroporto maggiormente coinvolto fu quello di Halifax, dove ne arrivarono oltre 40. Molti dei velivoli atterrati sulla costa orientale dovettero scaricare il carburante per raggiungere un peso adatto all'atterraggio.
Similmente sulla costa occidentale 34 voli provenienti dall'Oceano Pacifico furono fatti atterrare nell'aeroporto di Vancouver.
Durante questa operazione si verificarono, come è ovvio, alcuni incidenti dovuti a falsi allarmi su sospetti aerei dirottati che coinvolsero l'aviazione militare canadese. Ci siamo occupati in passato del caso del volo Korean Air 85, ma non fu l'unico: Nav Canada e i giornali dell'epoca riportano un caso analogo occorso ad un 747 proveniente dalla Cina (per esempio ne parlò brevemente il National Post il 12 settembre 2001, pag. A9).
Secondo i dati forniti da Transport Canada sul suolo nazionale entrarono 33.000 persone in 224 voli, Nav Canada riporta invece che i velivoli coinvolti furono 238 e non specifica il numero dei passeggeri.
Gli impatti di un tale afflusso di persone non furono limitati agli aeroporti e all'aviazione in generale. Anche gli alberghi, le scuole e le palestre del Canada dovettero attrezzarsi per ospitare i viaggiatori scesi dagli oltre 200 voli. Le autorità locali chiesero ai propri cittadini di aiutare gli ospiti che la nazione si trovava ad avere in modo del tutto inaspettato e la risposta della popolazione fu notevole. Molte persone si presentarono spontaneamente agli aeroporti per offrire posti letto e pasti nelle loro case. Inoltre numerosi esercizi commerciali, incluse le farmacie, rimasero aperti oltre le ore previste concedendo gratuitamente cibo e medicine.
Ovviamente lo sforzo canadese fu molto apprezzato dalle autorità degli Stati Uniti che espressero il loro ringraziamento, attraverso il Segretario dei Trasporti Norman Mineta in diretta televisiva il giorno stesso; nel decennale degli attentati anche il Presidente Obama scrisse una lettera al Primo Ministro del Canada, Stephen Harper, per ringraziarlo del prezioso aiuto fornito dalla sua nazione dieci anni prima.
2015/05/25
2015/05/11
Pentagon: An Interview with Firefighter James Bonzano
by Hammer. An Italian translation is available here.
Undicisettembre today offers its readers the account of firefighter James Bonzano, who was one of the first responders to arrive on the scene at the Pentagon. Bonzano's account is yet another confirmation that among people who were present no one had doubts about the fact that the facade of the Pentagon was hit by an airliner and that conspiracy theories were only created long afterwards by people who don’t know what they are talking about.
We thank James Bonzano for his time and willingness to help.
Undicisettembre today offers its readers the account of firefighter James Bonzano, who was one of the first responders to arrive on the scene at the Pentagon. Bonzano's account is yet another confirmation that among people who were present no one had doubts about the fact that the facade of the Pentagon was hit by an airliner and that conspiracy theories were only created long afterwards by people who don’t know what they are talking about.
We thank James Bonzano for his time and willingness to help.
Undicisettembre: Can you give us a general account of what you saw and experienced on that day?
James Bonzano: All the chief officers, even those off duty, were attending a leadership class half a mile from the Pentagon. While we were at the class we heard what sounded like an explosion and all of our pagers went off, so my colleagues and I exited the school and got into our vehicles. I turned on my portable radio and started listening to the radio traffic and it was almost surreal; I could not believe what I was hearing. We heard that an airliner had crashed into the Pentagon and we had a mass casualty incident. I was listening to the return of the first two units that arrived on the scene basically saying what they were up against.
We staged at one of our firehouses and then we started to shuttle over to the Pentagon. I was given the responsibility of the EMS division. I was in charge of the triage, treatment and the transport of the injured and making sure that we got the casualties to the appropriate facilities and hospitals.
As you can imagine there was a lot of fire, you could see where the point of impact was and there was a lot of mass chaos. My first responsibility was also to get control of the civilian and military traffic; bring order to chaos. I was working with an Arlington County police officer and friend Don Grinder. We started working and setting up a perimeter with one point of entrance and one point of exit so we could get control of the situation. Our main concern was taking care of the injured and transporting them to the hospitals.
Immediately following the attack, I was at the Pentagon for 24 hours. Following that I worked nine days in a row on twelve hours shifts. On the first day we were in a recovery and rescue mode. The following days we did more firefighting as well as casualty collection.
Undicisettembre: What can you tell us about people coming out of the Pentagon? What were their conditions?
James Bonzano: There were people being transported either via helicopter or medic units to the civilian hospitals before I even got there. But I remember people were rattled because of the event of that day. We had civilians, military and firefighters with soot on their faces and torn clothes. Some said they were fortunate enough and blessed to have made it out.
Undicisettembre: What happened in the next days at the Pentagon?
James Bonzano: Over the next few days, I had several responsibilities. The first day I was in charge of the EMS division and the day after I was in charge of the operations section, which included fighting the fires and search and recovery effort. The incident commander was then Assistant Fire Chief James Schwartz and I was working under his direction.
Undicisettembre: Did you get a chance to see the hole in the facade before it collapsed?
James Bonzano: I got there just after the collapse; the radio announcement was happening as I was getting there.
Undicisettembre: Did you get a chance to see if it was big enough for an airliner?
James Bonzano: It collapsed when I was getting there but there were different layers or “rings” of the Pentagon which were pierced. There was no question that the impact zone was catastrophic and large enough for an airliner.
Undicisettembre: Has this experience given you a new insight into being a firefighter?
James Bonzano: I have been a firefighter for 31 years. I’m a Deputy Chief now and this has always been a very rewarding job. I was blessed to come to work and actually help people and this is how I still see it today. I love the fact that all our focus is to be trained to help people. On that day my job changed significantly; no longer was it just running to fight fires, or treat the sick and injured but also terrorism. And we knew we would have to deal with it for a long time. We were fortunate as we had forged great relations with our partners at the Pentagon and our mutual aide neighbors. We had trained together, working on regional emergency standard operating procedures, and medical protocols which enabled us all to operate smoothly. Like any incident, there are always challenges to overcome, but it’s so much easier when you have developed positive working relationships with your regional partners prior to an event, thus facilitating a team mentality.
Undicisettembre: What’s your opinion on the many conspiracy theories regarding 9/11 and specifically the Pentagon incident?
James Bonzano: I was one of the first responders on that day and it doesn’t hold the water with me. I know what we were up against on that day and conspiracy theories weren’t a reality, we had a major airline disaster.
Undicisettembre: How does it feel to have been part of such a search and rescue effort? Firefighters are generally considered the heroes of that day.
James Bonzano: I don’t see myself as a hero, I see myself as a part of people who came together to do the right thing. Anybody in the same situation would have done the same thing. We were blessed in the sense that we were trained and everybody came together on that day and worked in a framework according to our procedures. I think anybody under the same circumstances would have done the same thing. I feel blessed I was able to help people, my heart and my prayers go to people who lost their life or lost the loved ones on that day. I feel for my brothers and sisters in New York City and in Pennsylvania as well. It was a tragedy and the only good I saw was the people coming together to help others.
Undicisettembre: Did you have psychological consequences after 9/11?
James Bonzano: I did not. But I have close friends in the fire department that did have consequences.
One of my colleagues and very close friend, Captain Ed Blunt, had been there since very early and dealing with the casualties as an EMS Supervisor. I asked him “Are you good?” He said “Yes, I am good.” and then he told me his wife was on a flight headed home right then. He didn’t know which flight but he thought it was the flight that hit the Pentagon. I looked at him and said “Eddie, are you sure?” he said “No, I'm not sure but I have this feeling it's that flight.” and I said “We need to get you out of here.” He looked at me very clearly and said “No, I need to be here.” I guess what he was saying to me was that if he had to leave the scene what was on his mind would have been more than he could handle but staying and being focused on helping people helped him feel like he was serving the cause.
I thank God she wasn't on that flight.
My family was 20 miles away that morning. Cellphones were not working but I was able somehow to make one phone call to my wife to make sure they were all okay. Once I knew they were safe, I was fine.
As sad as that event was I was very, very proud of the men and women who worked for the fire department as well as our regional neighbors; lots of people did very good things on that day. Even before we got there, there were people helping people, putting themselves in harm’s way trying to save others.
Undicisettembre: While you were there at the Pentagon was anyone having doubts about the fact that a plane had hit the Pentagon?
James Bonzano: No. Not even one. Never. It’s easy for me to refute them because I lived it. However, I heard these theories later but they hold no water with me. I don't believe, not even for a second, that something different from an airliner crashed into the Pentagon on that day. I know what I lived, I know what I saw, I know what I saw for more than ten days. There is no question.
Undicisettembre: Do you think the country is still living in fear or has it regained its standing in the world?
James Bonzano: We have a new outlook. 9/11 woke up a lot of people, the world changed before my eyes. I cannot tell you that people live in fear, but we are better prepared and resolved to defend our liberties.
Pentagono: intervista con il pompiere James Bonzano
di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.
Undicisettembre propone oggi ai suoi lettori la testimonianza diretta del pompiere James Bonzano, che fu tra i primi soccorritori a intervenire sulla scena al Pentagono. La testimonianza di Bonzano è l'ennesima conferma che tra coloro che si trovavano lì mentre gli eventi si svolgevano nessuno aveva dubbi sul fatto che contro la facciata dell'edificio si fosse schiantato un aereo di linea e che le teorie alternative sono nate solo in seguito dalla fantasia di persone che non sanno di cosa parlano.
Ringraziamo James Bonzano per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre propone oggi ai suoi lettori la testimonianza diretta del pompiere James Bonzano, che fu tra i primi soccorritori a intervenire sulla scena al Pentagono. La testimonianza di Bonzano è l'ennesima conferma che tra coloro che si trovavano lì mentre gli eventi si svolgevano nessuno aveva dubbi sul fatto che contro la facciata dell'edificio si fosse schiantato un aereo di linea e che le teorie alternative sono nate solo in seguito dalla fantasia di persone che non sanno di cosa parlano.
Ringraziamo James Bonzano per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di cosa hai visto e vissuto quella mattina?
James Bonzano: Tutti i comandanti, anche quelli che non erano in servizio, erano a un corso di leadership a circa ottocento metri dal Pentagono. Mentre eravamo al corso sentimmo ciò che sembrava un'esplosione e tutti i nostri cercapersone iniziarono a suonare, quindi io e miei colleghi uscimmo dalla scuola e prendemmo i nostri veicoli. Accesi la radio portatile e iniziai a sentire le notizie del traffico ed era quasi surreale; non potevo credere a ciò che sentivo. Sentimmo che un aereo di linea si era schiantato contro il Pentagono e che c'erano molte vittime. Stavo ascoltando il ritorno delle prime due unità che erano arrivate sulla scena e stavano raccontando quello che stavano affrontando.
Usammo una delle nostre stazioni come base e iniziammo ad andare al Pentagono. Io fui incaricato di dirigere la divisione EMS. Ero responsabile dello smistamento, del trattamento e del trasporto dei feriti e di assicurarmi che le vittime venissero trasferite nei luoghi appositi e negli ospedali.
Come puoi immaginare c'era molto fuoco, si vedeva dov'era il punto d'impatto e c'era molto caos. La mia prima responsabilità era di prendere il controllo del traffico civile e militare: riportare ordine nel caos. Lavoravo con l'amico e ufficiale di polizia della contea di Arlington Don Grinder. Iniziammo a lavorare e a definire un perimetro con un punto di ingresso e uno di uscita così che potessimo prendere il controllo della situazione. La nostra principale preoccupazione era prenderci cura dei feriti e trasportarli agli ospedali.
Immediatamente dopo l'attacco, rimasi al Pentagono per 24 ore. Dopo quel giorno lavorai nove giorni consecutivi in turni da dodici ore. Il primo giorno eravamo in modalità recupero e soccorso. I giorni successivi eravamo più impegnati a spegnere gli incendi e a raccogliere le vittime.
Undicisettembre: Cosa ci puoi dire delle persone che uscivano dal Pentagono? In che condizioni erano?
James Bonzano: C'erano persone che venivano portate in elicottero o con mezzi medici agli ospedali civili anche prima che io arrivassi lì. Ma ricordo che le persone erano scosse dagli eventi di quel giorno. C'erano civili, militari e pompieri con fuliggine sul viso e i vestiti strappati. Alcuni di loro dicevano di essere stati sufficientemente fortunati e benedetti da esserne usciti vivi.
Undicisettembre: Cosa è successo al Pentagono nei giorni seguenti?
James Bonzano: Nei giorni successivi avevo diverse responsabilità. Il primo giorno ero responsabile della divisione EMS e il giorno dopo ero responsabile delle attività operative, che includeva spegnere gli incendi e il lavoro di ricerca e soccorso. Il comandante che aveva in gestione l'incidente era il vice capo James Schwartz e io lavoravo ai suoi ordini.
Undicisettembre: Sei riuscito a vedere il buco sulla facciata del Pentagono prima che crollasse?
James Bonzano: Arrivai appena dopo il crollo; l'annuncio radio fu dato mentre arrivavo.
Undicisettembre: Hai potuto vedere se sembrava grande abbastanza perché lo avesse causato un aereo di linea?
James Bonzano: Crollò mentre arrivavo lì ma c'erano diversi strati o “anelli” del Pentagono che erano stati bucati. Non c'erano dubbi che la zona dell'impatto fosse abbastanza grande per un aereo di linea.
Undicisettembre: Questa esperienza ti ha dato una nuova visione del tuo lavoro come pompiere?
James Bonzano: Sono un pompiere da 31 anni. Sono un Vice Comandante, adesso, ed è sempre stato un lavoro molto gratificante. Sono onorato di andare al lavoro e aiutare davvero la gente ed è ancora così che lo vedo. Mi piace molto il fatto che il nostro impegno è essere pronti per aiutare le persone. Quel giorno il mio lavoro è cambiato significativamente; non correvo più solo per combattere gli incendi, o occuparmi di malati e feriti, ma anche per il terrorismo. E sapevamo che avremmo dovuto occuparcene per molto tempo. Eravamo fortunati perché avevamo creato buone relazioni con i nostri partner al Pentagono e con gli altri gruppi con cui prestavamo soccorso. Ci eravamo allenati insieme, lavorando su emergenze regionali, procedure operative standard, e protocolli medici che ci hanno consentito di operare senza intoppi. Come in tutti gli incidenti ci sono ostacoli da superare, ma è molto più facile quando hai sviluppato buone relazioni di lavoro con i tuoi partner regionali prima di un evento, così da facilitare una mentalità di gruppo.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto sull'11/9 e nello specifico di quelle sull'attentato al Pentagono?
James Bonzano: Sono stato uno dei primi a intervenire quel giorno e queste teorie per me non stanno in piedi. So cosa ho affrontato quel giorno e le teorie del complotto non corrispondono alla realtà, si è schiantato un aereo di linea.
Undicisettembre: Come ti senti ad essere stato parte di un tale lavoro di ricerca e soccorso? I pompieri sono generalmente considerati gli eroi di quel giorno.
James Bonzano: Non mi vedo come un eroe, mi vedo come parte di un gruppo di persone che si sono unite per fare la cosa giusta. Chiunque nella stessa situazione avrebbe fatto la stessa cosa. Siamo privilegiati nel senso che eravamo preparati e ci siamo tutti uniti quel giorno a lavorare in gruppo secondo le nostre procedure. Credo che chiunque nelle stesse circostanze avrebbe fatto lo stesso. Mi sento onorato di aver potuto aiutare la gente, il mio cuore e le mie preghiere sono rivolte alle persone che quel giorno hanno perso la vita o perso i propri cari. Mi dispiace anche per i miei fratelli e sorelle a New York City e in Pennsylvania. Fu una tragedia e l'unica cosa buona che ho visto è stata la gente che si univa per aiutare gli altri.
Undicisettembre: Hai avuto conseguenze psicologiche dopo l'11/9?
James Bonzano: Io no. Ma ho amici nel dipartimento dei pompieri che ne ebbero.
Uno dei miei colleghi e amico intimo, il Capitano Ed Blunt, era lì dall'inizio e si stava occupando delle vittime come supervisore dell'EMS. Gli chiesi “Stai bene?” Mi rispose “Si, sto bene” e poi mi disse che sua moglie era su un aereo e che stava tornando a casa proprio in quel momento. Non sapeva quale volo fosse ma pensava che fosse quello che aveva colpito il Pentagono. Lo guardai e gli dissi “Eddie, sei sicuro?” mi disse “No, non ne sono sicuro, ma mi sento che il volo fosse quello.” e gli dissi “Devi andartene da qui.” Mi guardò molto chiaramente e mi disse “No, devo restare qui.” Credo che volesse dirmi che se avesse dovuto lasciare la scena ciò che aveva nella testa sarebbe stato più di ciò che poteva sopportare ma restare lì ed essere concentrato nell'aiutare le persone lo aiutava a sentire che stesse servendo la causa.
Grazie a Dio la moglie non era su quel volo.
La mia famiglia era a 30 chilometri di distanza quel giorno. I cellulari non funzionavano ma in qualche modo riuscii a fare una telefonata a mia moglie per assicurarmi che stessero bene. Quando ho saputo che stavano bene, io mi sono sentito a posto.
Per quanto triste fosse quell'evento ero molto, molto orgoglioso degli uomini e delle donne che lavoravano al dipartimento dei vigili del fuoco così come dei nostri colleghi degli altri stati; molte persone fecero cose ottime quel giorno. Anche prima che noi arrivassimo, c'era gente che aiutava altra gente, mettendosi in pericolo per aiutare gli altri.
Undicisettembre: Mentre eri al Pentagono c'era qualcuno che avesse dei dubbi sul fatto che il Pentagono fosse stato colpito da un aereo?
James Bonzano: No. Nessuno. Mai. È facile per me smentirli perché l'ho vissuto. Comunque ho sentito queste teorie in seguito e per me non hanno senso. Non credo, neppure per un secondo, che qualcosa diverso da un aereo di linea si sia schiantato contro il Pentagono quel giorno. So cosa ho vissuto, so cosa ho visto, so cosa ho visto per più di dieci giorni. È fuori discussione.
Undicisettembre: Pensi che la nazione viva ancora nella paura o credi che abbia recuperato la sua posizione mondiale?
James Bonzano: Abbiamo una nuova visione d'insieme. L'11/9 ha svegliato molta gente, il mondo è cambiato davanti ai miei occhi. Non posso dirti che le persone vivono ancora nella paura, ma siamo più pronti e risoluti nel difendere le nostre libertà.