di Hammer. L'articolo è stato corretto dopo la pubblicazione iniziale.
L'11 e il 12 novembre 2014 il canale televisivo Fox News ha trasmesso lo speciale The Man Who Killed Usama bin Laden che presenta una lunga intervista del giornalista Peter Doocy al Navy SEAL Robert O'Neill.
O'Neill fu il secondo dei tre uomini che salirono al terzo piano del compound di Abbottabad in cui si nascondeva Osama bin Laden e, secondo quanto dichiarato dallo stesso O'Neill, fu proprio lui a sparare il colpo mortale alla testa di Osama. O'Neill aveva rilasciato un'intervista a The Esquire nel 2013 nella quale si era celato sotto lo pseudonimo The Shooter.
L'intervista trasmessa da Fox News si apre con una lunga digressione sulla vita personale di Robert: dalla sua infanzia nella città di Butte, nel Montana, ai suoi primi lavori come facchino o come commesso di un McDonald's, fino alla decisione di entrare nei Marines e al duro addestramento fisico e attitudinale a cui ha dovuto sottoporsi.
L'11 settembre 2001 O'Neill si trovava in un ufficio in Germania quando sentì la notizia degli attentati e pensò immediatamente che la responsabilità fosse di Osama bin Laden. "We said the words Osama bin Laden within 30 seconds" dice testualmente. Come membro del SEAL Team 6 avrebbe dovuto partecipare alle prime fasi dell'invasione dell'Iraq, ma poco prima la sua squadra fu dirottata verso la Liberia, dove partecipò a una missione che doveva riportare in patria i militari americani e solo in seguito poté unirsi ai Navy SEALs inviati in Iraq e Afghanistan.
Nel 2009 prese anche parte all'operazione che portò alla liberazione del comandante Richard Phillips del mercantile Maersk Alabama dirottato da pirati somali. La vicenda è stata narrata nel 2013 dal film Captain Phillips - Attacco in mare aperto con Tom Hanks nel ruolo del comandante rapito.
Durante un periodo trascorso a Miami al termine dell'undicesima missione in cui fu coinvolto, la squadra di O'Neill fu richiamata proprio per la missione che avrebbe portato all'uccisione di Osama bin Laden.
Il documentario mostra quindi un intervento del giornalista americano Mark Bowden, autore del libro The Finish: the Killing of Osama bin Laden, che riassume brevemente come le forze americane furono in grado di individuare il luogo dove si nascondeva Osama e le diverse tipologie di missione che furono valutate: un attacco missilistico con aerei, una operazione congiunta con le forze pakistane o un raid dei Navy SEALs. Dopo opportune valutazioni fu scelta quest'ultima opzione.
Ai Navy SEALs chiamati per l'operazione fu inizialmente detto che avrebbero dovuto entrare in una casa a prendere qualcosa e portarla via, inducendo così i militari a pensare che la missione dovesse svolgersi in Libia e che l'obiettivo fosse il Colonnello Gheddafi. Fu quindi comunicato loro che invece l'obiettivo era bin Laden e dapprima il ruolo di O'Neill avrebbe dovuto essere di coordinatore all'esterno del compound. Durante le esercitazioni, svolte con un modello in scala 1:1 dell'edificio ricostruito negli Stati Uniti, O'Neill maturò la convinzione che quella sarebbe stata una missione dalla quale non sarebbe tornato vivo. Pensava infatti che i Navy SEALs sarebbero morti insieme a Osama, se questi si fosse fatto esplodere, oppure arrestati e catturati dalle milizie pakistane per poi trascorrere il resto delle loro vite da detenuti in Pakistan.
Prima di lasciare gli Stati Uniti per il viaggio da cui pensava di non tornare, O'Neill scrisse delle lettere per i suoi figli in cui dava loro delle raccomandazioni per il loro futuro e chiamò suo padre per salutarlo un'ultima volta. Anche il padre di Robert, visibilmente emozionato, ha preso parte al documentario di Fox News raccontando la toccante telefonata dal proprio punto di vista.
Durante il volo in elicottero che avrebbe portato i Navy SEALs dalla base in Afghanistan al compound di Abbottabad, O'Neill contava mentalmente da zero e mille e da mille a zero per tenere occupata la mente e per combattere il pensiero che avrebbero potuto essere abbattuti da un missile in ogni momento; altri militari per evitare di essere assaliti dagli stessi pensieri dormivano o ascoltavano musica.
Mark Bowden spiega quindi che la missione non andò come previsto in quanto il primo elicottero si schiantò al suolo, costringendo i Navy SEALs ad abbandonare l'ipotesi di entrare nel compound anche dall'alto. I SEALs entrarono quindi nel compound solo dal piano terra, venendo accolti da alcuni spari dalla finestra; uno dei SEALs rispose al fuoco ferendo una moglie di Osama che viveva nel compound. Tre dei Navy SEALs salirono quindi al terzo piano e Robert O'neill si trovò ad essere il secondo nella fila. Il primo dei tre Navy SEALs, noto come the point man, trovò davanti a sé una delle mogli e una delle figlie di Osama e si lanciò su di loro temendo che stessero per farsi esplodere. O'Neill proseguì fino alla camera da letto dove trovò Osama e un'altra delle mogli di fronte a sé; senza esitare sparò tre colpi al volto di Osama, che cadde a terra morto.
Uno dei SEALs che parlava arabo chiese a una delle figlie chi fosse l'uomo morto e la donna confermò che si trattava di Osama bin Laden. I SEALs quindi trasportarono il cadavere all'esterno e prima di infilarlo in un body bag e di caricarlo su un elicottero prelevarono dalla salma un campione di DNA con una siringa. La salma e la siringa viaggiarono poi su due elicotteri distinti in modo che in casi di abbattimento di uno dei due fosse ancora possibile provare che bin Laden era definitivamente morto.
I militari capirono di aver concluso con successo la missione una volta rientrati in Afghanistan dove poterono ascoltare l'annuncio del Presidente Obama in diretta televisiva.
Rientrati negli Stati Uniti il team dei Navy SEALs fu ricevuto privatamente dal Presidente, dal Vicepresidente e dal gabinetto di governo e quando fu chiesto loro chi avesse sparato il colpo mortale O'Neill e un altro soldato risposero che il successo doveva essere attribuito all'intera squadra.
Doocy chiede quindi a O'Neil come si spiega il fatto che il racconto di Matt Bissonnette (foto accanto), scritto con lo pseudonimo di Mark Owen, differisca dal suo.
Bissonnette, che è stato ospite della trasmissione televisiva 60 Minutes del canale CBS il 2 novembre e ha appena pubblicato un nuovo volume intitolato No Hero, infatti sostiene che il point man, appena arrivato al terzo piano, abbia sparato a bin Laden centrandolo e che quando i tre SEALs andarono insieme nella stanza da letto lo trovarono steso a terra. O'Neill risponde che probabilmente per via della velocità con cui si è svolta l'azione e del buio Bissonnette si sbaglia nel ricostruire la vicenda. Mark Bowden aggiunge che l'unica spiegazione possibile che faccia combaciare le due versioni è che il point man abbia sparato a bin Laden mancandolo, O'Neill gli si sia quindi avvicinato e lo abbia colpito a morte inducendo Bissonnette a credere che il primo colpo, e non il secondo, abbia centrato il terrorista. O'Neill aggiunge che prima di essersi trovato faccia a faccia con Osama ha sentito un colpo sparato da uno dei suoi colleghi, non sa dire dove questo colpo sia finito e quindi non può escludere che Osama fosse stato colpito da un proiettile sparato dal point man prima che lui se lo ritrovasse di fronte: l'unica cosa di cui è sicuro è che il terrorista fosse in piedi e non steso a terra.
Doocy chiede anche a O'Neill se siano state scattate foto di Osama morto e O'Neill risponde positivamente, aggiungendo però che il popolo americano non ha bisogno di vedere l'orrore di un cadavere sfigurato, ma è sufficiente che sappia che la giustizia è stata ristabilita.
O'Neill conclude l'intervista raccontando di aver donato al 9/11 Memorial Museum parte della divisa che indossava durante la missione e di essere andato al museo, dove ha tenuto una conferenza in cui ha raccontato come si è svolta la missione di Abbottabad e in tale occasione ha incontrato alcuni parenti delle vittime che lo hanno ringraziato per quanto fatto.
Il racconto di O'Neill è molto emozionante e coinvolgente e le sue vivide parole trasmettono la dedizione e il patriottismo che ha portato il Team 6 dei Navy SEALs a compiere questa singolare missione. Il racconto è impreziosito dai brevi ma precisi interventi di Bowden e dalle parole del padre di Robert, la cui emozione è più che evidente. Va comunque sottolineato che a parte le considerazioni personali dello stesso O'Neill, ad esempio quelle secondo cui pensava di intraprendere una missione da cui non sarebbe tornato vivo in patria, l'intervista non rivela particolari che non fossero già noti.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono moderati e possono restare in sospeso anche per giorni, ossia fino a quando qualcuno ha tempo di occuparsene.
Prima di fare domande, leggete per favore le FAQ nella colonna di destra del blog.
Evitate commenti non attinenti all'argomento trattato nell'articolo: quindi state in tema o pubblicate il vostro commento in un articolo pertinente.
Non verranno pubblicati messaggi contenenti polemiche o insulti, a meno che siano utili per mostrare l’infantile maleducazione di chi li invia.
Lo scopo dei commenti è arricchire, aggiornare e (se necessario) correggere gli articoli, non perdere tempo in battibecchi personali. Se siete capaci di avere davvero qualcosa di utile da dire, siete anche capaci di essere civili.
Per evitare confusioni d’identità, non sono ammessi i commenti anonimi: possono commentare soltanto gli utenti che si identificano con un nome o pseudonimo tramite il loro account Google o OpenID.