di Hammer
Nelle Torri Gemelle lavoravano quotidianamente numerosi cittadini italiani i cui racconti sono particolarmente vividi in quanto non mediati dalla traduzione.
Ruggero De Rossi aveva i propri uffici nella Torre Sud e riuscì a scampare al disastro appena in tempo. Ruggero ha accettato di concedere a Undicisettembre un'intervista orale, trascritta qui sotto, dalla quale emergono le emozioni di chi si trovò a pochi passi dalle Torri in fiamme e che chiarisce con quali sentimenti vengano percepite a New York e negli USA le tesi di complotto.
Ringraziamo Ruggero per la sua cortesia e disponibilità.
Nelle Torri Gemelle lavoravano quotidianamente numerosi cittadini italiani i cui racconti sono particolarmente vividi in quanto non mediati dalla traduzione.
Ruggero De Rossi aveva i propri uffici nella Torre Sud e riuscì a scampare al disastro appena in tempo. Ruggero ha accettato di concedere a Undicisettembre un'intervista orale, trascritta qui sotto, dalla quale emergono le emozioni di chi si trovò a pochi passi dalle Torri in fiamme e che chiarisce con quali sentimenti vengano percepite a New York e negli USA le tesi di complotto.
Ringraziamo Ruggero per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Ci puoi raccontare la tua giornata dell'11/9? Cosa ricordi in generale di quel giorno?
Ruggero De Rossi: Quel giorno ero rimasto a lavorare un po' di più a casa perché stavo scrivendo a mio figlio che vive a Milano. Poi sono sceso e come ogni mattina ho preso l'autobus che parte dall'Upper East Side di Manhattan e che andava fino al World Trade Center. Era una giornata bellissima con un cielo azzurro come solo a New York si vede, l'aria era fresca e pulita. Arrivato downtown sono salito per le scale che percorrevo ogni giorno e che portavano alla piazza alla base delle Torri. Attraversai la piazza. Erano le 8:40, quindi la maggior parte della gente era già dentro gli uffici, quindi non c'era molta gente nella piazza. Passai di fianco alla Torre Nord e poi accanto a The Sphere e pensai a quanto erano alte e belle le torri.
Ero molto contento della vita. Io ho studiato a Roma, dove non c'era lavoro se uno non aveva raccomandazioni, non era un'Italia che desse aiuto a un neolaureato, specialmente uno come me, determinato a realizzare i propri sogni. Io sono uno che quando si mette in testa una cosa e la vuole fare, la fa. Quindi ho dovuto emigrare, andare all'estero; ho dovuto lasciare gli amici, ho lasciato i miei genitori e la mia famiglia. Non è stato facile. Però poi ho fatto una bella carriera, lavorando prima a Londra e poi a New York. Nel 2001 avevo avuto un bambino da poco e mia moglie stava aspettando il secondo, mancavano pochi mesi. Al lavoro gestivo uno dei fondi più grandi del mondo, ero primo nelle classifiche mondiali della gestione dei fondi. Ero arrivato al picco della mia carriera e mi sentivo soddisfatto della vita.
Guardavo le Torri, che per me simboleggiavano questo momento. Ricordo di aver guardato anche The Sphere passando lì accanto con molta tranquillità, ignaro di quello che poi sarebbe successo. È stata una delle poche volte, con il lavoro che faccio, che potevo fermarmi “to smell the roses”, come si dice in inglese, cioè a “odorare le rose” nel senso di potermi fermare per guardarmi intorno e apprezzare la vita.
Poi sono andato verso la Torre Sud, sono entrato dalla porta scorrevole e stavo prendendo le scale mobili. Mentre ero per le scale ho sentito questa forte esplosione e all'inizio chiedevo cosa fosse successo, ma la mia prima reazione, visto che l'esplosione era molto forte, fu che si trattasse di un attacco terroristico di qualche genere. Veniva da fuori e io sentii il terreno vibrare da sopra, non da sotto; già questo dimostra, nell'ottica delle teorie cospiratorie, che non ci furono esplosivi.
Comunque la mia prima reazione fu quella di pensare a un attentato terroristico perché, avendo io vissuto a Londra per molti anni, di attentati ne ho visti più di una volta anche a poche centinaia di metri da me. Lavoravo nella City e ovviamente i centri della finanza sono un grosso obiettivo per i terroristi. Anche lì una volta riuscii a sopravvivere per poco a uno degli attacchi.
Chiesi conferma alle guardie della sicurezza, ma nessuno sapeva niente. Mi dissero: “No, no, tranquillo. Salga pure in ufficio.” Io mi sono fidato a salire e c'era gente che entrava dalla piazza; ho chiesto e mi hanno detto di aver visto un aereo che colpiva il palazzo. Però a quel punto si pensava che fosse un aereo piccolo che per sbaglio ci fosse andato a sbattere, comunque era successo in passato che un aereo piccolo per un'avaria o per un altro motivo andasse a sbattere contro un palazzo.
Intanto altre persone erano corse dentro in completo panico; considera che dopo che l'aereo colpì la Torre Nord veniva giù di tutto. C'era una pioggia di detriti e pezzi di palazzo. Io quando più tardi uscii dalla Torre raccolsi da terra un pezzo di carta e c'era scritto “Piano 102”, quindi per strada c'erano proprio oggetti che stavano negli uffici là in alto. Questo ancora senza neanche sapere esattamente cosa fosse successo.
Alcune persone dicevano che era un piccolo aereo, altre correvano dentro nel panico. La mia prima reazione istintiva fu di mettermi al riparo da qualche parte. Io pensavo che ci fosse stato un attacco terroristico sulla piazza, magari con bombe o mitragliatrici, come oggi se ne vedono frequentemente nelle scuole o dovunque ci sia qualche pazzo che inizia a sparare alla gente. Però poi ho pensato che avrei fatto la fine del topo in trappola se invece fosse crollato il palazzo.
Quindi tentai di uscire, ma la Polizia teneva la gente dentro al palazzo per via delle macerie che cadevano. Non facevano uscire, ma a un certo punto decisi: “Io scappo” e uscii, e mentre attraversavo la strada sentii il rumore di un aereo che si avvicinava, mi girai e vidi il secondo aereo sopra la mia testa. Iniziai a correre più forte che potevo e così fecero altre persone intorno a me. Mentre correvamo sentimmo la fortissima esplosione del secondo schianto.
Alcuni miei colleghi erano scesi per le scale dopo il primo impatto ed erano per strada al momento del secondo. In seguito mi hanno raccontato di aver visto proprio gente colpita da pezzi di palazzo e ammazzata lì sul posto. Una ragazza, in particolare, mi raccontò che una trave caduta da una delle Torri ha completamente schiacciato, quasi fatto scomparire, una persona accanto a lei: una scena da film dell'orrore. Io correvo, non mi sono mai girato. Sapevo che potevo essere colpito dalle macerie.
Camminai per tre ore verso casa. La prima parte della camminata fu molto dura, perché mi voltavo e vedevo il palazzo in fiamme e non sapevo se i miei colleghi erano scappati, non sapevo a quali piani c'era l'incendio. Non sapevo niente, è stato terribile. Sapevo che il fuoco si stava diffondendo e che c'era una grossa parte di palazzo sopra alle fiamme, quindi sapevamo che c'era gente che stava morendo bruciata viva. Vedere e sapere che c'erano migliaia di persone che stavano morendo bruciate vive è stata l'esperienza più brutta della mia vita. E non potevo fare niente. Neanche i vigili del fuoco potevano fare niente, perché c'erano fiamme più grandi del palazzo, cosa potevano fare? Era impossibile fermare l'incendio e salvare quelle persone.
È stato terribile. Così come lo è stato capire che c'era gente che si buttava dalla finestra. C'era gente così disperata che non aveva altra possibilità che buttarsi dalla finestra per non rimanere bruciata viva.
Ricordo distintamente che a circa duecento metri di lontananza dalle Torri Gemelle ho iniziato a lanciare improperi a Bill Clinton. Il mio lavoro comporta anche lo studio delle geopolitica, del mercato del petrolio e di quali sono le motivazioni che regolano le economie mondiali; questo comporta anche la conoscenza dei rischi che esistono a livello mondiale, tra cui quello del terrorismo. Quindi io avevo studiato approfonditamente i vari rapporti e le investigazioni del Congresso relativi al terrorismo e una delle cose che avevo notato era che Osama bin Laden e Al Qaeda erano sul “radar screen” già da anni; ma anche che alcuni paesi, come Iran, Iraq e Corea del Nord, erano additati come pericolosi, perché ospitavano molti campi di addestramento del terrorismo.
Clinton aveva sottovalutato la minaccia e aveva lasciato la sicurezza nazionale in un completo abbandono, almeno per quanto riguarda la lotta al terrorismo. Aveva incontrato solo una volta in un anno il capo della CIA, la spesa per il controterrorismo era diminuita e non c'erano più spie che parlassero arabo. Clinton era stato molto assorbito dalle sue vicende personali negli ultimi anni; poi, quando Bush è stato eletto, come succede in tutte le amministrazioni, gli ci è voluto un anno o un anno e mezzo prima di poter ricostruire certe istituzioni e cambiare i vertici delle organizzazioni. Bush ha pagato lo scotto del fatto che queste istituzioni sono state abbandonate nella disorganizzazione.
Quindi la mia prima reazione fu di pensare a Clinton e che era tutta colpa sua, perché era proprio tutta colpa sua. La sua amministrazione aveva fatto sì che Osama bin Laden non venisse preso e questo in seguito è emerso perché in America è tutto trasparente, ci sono le interrogazioni parlamentari e tutto viene divulgato. Fu presa la decisione di non attaccare una casa in cui si rifugiava Osama bin Laden per il rischio di danni collaterali e di morti civili. Questa fu una pecca dell'amministrazione Clinton e un punto a favore di Obama, che quando ha avuto l'opportunità decise di attaccare anche prendendosi il rischio di sbagliare, rischiando che i propri soldati cadessero in brutte mani e anche di causare danni collaterali. Quindi Obama ha preso decisioni che Clinton avrebbe potuto prendere dieci anni prima ed evitare tutto questo.
Comunque questo è stato il mio primo pensiero, mentre camminavo per allontanarmi. Poi ci fu una lunghissima camminata insieme a gente tutta sporca di polvere; anche io lo ero. Camminavamo, alcune persone erano più nervose e impaurite di altre, alcuni piangevano, alcuni urlavano. La camminata durò due o tre ore e c'erano varie voci che si rincorrevano. La più ricorrente era che ci fossero vari aerei ancora in aria in tutta la nazione che stavano attaccando molte città. Ci siamo sentiti in guerra, sotto attacco. Pensavamo alle nostre famiglie e non c'era modo di comunicare perché i telefoni non funzionavano. Pensavo a mia moglie con un figlio piccolo, di un anno, e incinta di un altro.
Dopo questa lunghissima camminata sono arrivato a casa e mia moglie non poté credere ai propri occhi vedendomi vivo, perché quando si era svegliata la prima immagine che aveva visto in televisione era il World Trade Center che crollava, quindi pensava che io fossi morto. Pensava che il padre dei suoi figli fosse morto. Sapeva che lavoravo là, che in quel momento dovevo essere in ufficio. La stessa cosa successe a mia madre. La sua segretaria le aveva detto: “Signora, ha visto che è crollato il World Trade Center?”, mia madre ha risposto “Ma il World Trade Center è dove lavora mio figlio.” ed è svenuta. E così fu per tutte le persone che conoscevo e che sapevano che io lavoravo lì; per fortuna tante persone che conosco, anche in Italia, non sapevano con precisione che lavoravo al World Trade Center ma solo vagamente vicino a Wall Street.
Da lì è iniziato un lungo calvario, anche psicologico, perché la città era come in guerra con le sirene di ambulanze e polizia che si sentivano passare in continuazione. C'era una puzza! C'era odore di bruciato, sinceramente c'era odore di cadavere bruciato. Io ero all'Upper East Side e lo sentivo da là, quindi da 8 o 9 chilometri di distanza, specialmente quando il vento soffiava da sud verso nord.
Ricordo di aver passato notti intere insonni, dapprima preoccupato della possibilità di altri attacchi, perché a livello psicologico la prima cosa che pensi è che possa succedere ancora. Pensavo a cosa avrei potuto fare per mettere al riparo la mia famiglia: rifugiarsi nella nostra casa di campagna, prendere soldi per avere contanti in caso di razionamento delle provviste. Poi cominciai a sperare che venissero tirate fuori altre persone vive e giorno dopo giorno non veniva estratta neanche una persona. Fu una cosa allucinante: erano tutti morti.
C'erano vigili del fuoco, poliziotti che rimasero mesi sotto le macerie, ci furono anche cani da soccorso con le zampe bruciate: ho visto un eroismo che si vede solo in queste situazioni. Non posso dire che si veda solo in America, perché io quando avevo 17 anni andai come soccorritore volontario ad aiutare per il terremoto in Irpinia e tiravamo fuori cadaveri dalle macerie, quindi anche in Italia ci fu una forte risposta a un evento catastrofico. Però devo dire che la solidarietà che si è vista anche tra i newyorkesi, cioè tra quegli stessi newyorkesi che se cadi per strada quasi ti calpestano perché vanno ognuno per la propria strada e sono tutti stressati in una città in costante competizione, fu eccezionale. C'erano file di persone per donare il sangue. Hanno raccolto talmente tanto sangue che non sapevano cosa farne, perché hanno tirato fuori pochissimi feriti che avessero bisogno di una trasfusione. Arrivarono aiuti da tutti gli Stati Uniti, ci furono camion dei Vigili del Fuoco che arrivavano dal sud degli USA e si sono fatti tutta la traversata per venire qua ad aiutare.
Undicisettembre: Un dettaglio che non ho capito dal tuo racconto è se hai visto i due crolli dalla strada.
Ruggero De Rossi: Ho visto un crollo dalla strada, il secondo non l'ho visto. Vidi il primo crollo, lo vidi da molto lontano. Non vidi il secondo perché i palazzi mi bloccavano la visuale.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui le Torri Gemelle sarebbero state demolite con esplosivi in un autoattentato organizzato dal Governo Americano.?
Ruggero De Rossi: Io di queste teorie non capisco la meccanica. Non capisco come avrebbero potuto far cadere quei palazzi con esplosioni da sotto, quando io ero esattamente lì e sotto i miei piedi non c'è stato nulla. Io l'esplosione l'ho sentita arrivare dall'alto. Se dovessi fare io una teoria cospiratoria, direi che c'è stata un'esplosione interna al settantesimo piano. Di sicuro non c'è stato nulla da sotto, perché l'avrei sentita: questo non è successo ed è un dato di fatto. Quindi quelli che credono alle teorie del complotto sarebbe meglio che facessero qualcos'altro e dedicassero il proprio tempo a qualcosa di più utile.
Come dicevo, al massimo potrebbero dire che c'è stata un'esplosione ai piani alti, ma io in alto ho visto entrare un aeroplano. Quindi se c'è un complotto, anche io faccio parte del complotto, e insieme a me altre cinquantamila persone che erano lì.
La versione corretta che io ho letto è che la temperatura era talmente alta che ha indebolito i pilastri in acciaio e il palazzo è collassato. Mi sembra che la spiegazione abbia senso ed è coerente con quello che ho visto e sentito. Di certo non c'è stata un esplosione da sotto, su questo non ci sono dubbi.
Inoltre l'America è il paese più democratico e dalle istituzioni più solide che esista al mondo, quindi questa gente che crede alle teorie del complotto parla degli Stati Uniti da ignorante. Questa gente è ignorante perché non conosce la Costituzione degli Stati Uniti, non conosce come funzionano i vari emendamenti alla Costituzione e non conosce i meccanismi che sono stati messi in piedi affinché i complotti non avvengano. Quindi le teorie della cospirazione si basano sull'ignoranza, perché non tengono conto della Costituzione degli Stati Uniti e che negli Stati Uniti quando ci sono eventi sovversivi questi emergono perché ci sono registrazioni di tutto quanto, a partire da qualunque conversazione che il Presidente tiene con chiunque. Per esempio, se il Presidente ha una conversazione con qualcuno, deve mettere il tutto per iscritto. Se vuole esprimere dissenso, anche verso una persona che gli lavora accanto, lo deve mettere per iscritto.
Le istituzioni seguono un sistema definito “checks and balances” che vuol dire “controlli ed equilibri”. Questo significa che se uno degli apparati dello stato tende da una parte sbagliata, ce n'è un'altro pronto a dibattere a e controllare.
Quindi, principalmente è una questione di ignoranza della Costituzione e di come funzionano gli Stati Uniti. Poi c'è un discorso molto più pratico: immaginiamo per ipotesi che ci fossero delle correnti più interventiste, più propense ad attaccare stati nemici e che volessero proteggere la lobby del petrolio (e non nego che ci siano correnti politiche che lavorano affinché gli interessi di pochi vengano protetti; succede in tutti i paesi del mondo), in America queste avrebbero agito nel modo corretto e alla luce del sole. Perché in America avviene tutto alla luce del sole. Questa trasparenza pervade gli Stati Uniti in tutti i settori ed è uno dei cardini della democrazia che in America esiste e viene rispettata. Questa è una democrazia troppo forte perché ci possano essere dei complotti di questo tipo.
In ultimo, sempre nell'ipotesi che ci sia una corrente politica che voglia spingere alla guerra contro Afghanistan, Iraq o altri stati, io non credo in alcun modo che queste correnti possano decidere la morte di migliaia di persone per perseguire questa causa. Questo perché le persone più interventiste sono anche patriottiche e nazionaliste e i patrioti e i nazionalisti non ammazzano i propri cittadini. È completamente inconsistente intellettualmente.
Quindi, in sintesi, la mia opinione è che le teorie del complotto sono ignoranti e inconsistenti.
Undicisettembre: Immagino che tu conosca molti, magari tuoi colleghi, che come te sono sopravvissuti all'attacco. Tra questi le teorie del complotto sono diffuse, come sostengono i complottisti, o anche loro la pensano come te?
Ruggero De Rossi: Tra i newyorkesi le teorie del complotto sono considerate un insulto. Ti posso assicurare che se dici una cosa del genere a un newyorkese ti caccia di casa. È veramente un insulto: un insulto ai cittadini americani, allo stato americano e alla trasparenza di un paese che dovrebbe essere di esempio a tutta la civiltà.
Detto ciò, ci sono persone che pensano che l'evidenza nel caso dell'Iraq sia stata plasmata per poter andare in guerra e avere influenza strategica in un paese che ha una delle più grandi riserve mondiali di petrolio. Specialmente a sinistra ci sono varie correnti che sostengono che la verità sia stata forzata, che siano state create ad arte della prove per andare in guerra contro l'Iraq e che la decisione finale sia stata presa con leggerezza e con finalità strategiche e geopolitiche di lungo termine. Però molte di queste persone ammettono anche che è importante avere un'alleanza con un paese che ha molti milioni di musulmani e che sia democratico. Quindi se l'obiettivo era di portare la democrazia in un paese islamico che poteva essere una delle culle del terrorismo internazionale, questo obiettivo ha raccolto il favore di molte persone in America che credono che il Presidente abbia agito per creare stabilità e non con mire espansionistiche. La cosa poi è stata dimostrata, perché l'America è andata in Iraq, l'ha invaso, ha creato istituzioni democratiche e poi se n'è andata. Non si è presa i pozzi di petrolio. È un'ulteriore prova del fatto che l'America prova a diffondere la democrazia.
Si può disquisire se sia giusto che l'America lo faccia, perché magari anche la Cina potrebbe decidere di cominciare a esportare e imporre il comunismo a tutti. Ma bisogna sempre essere attenti ad attribuire falsi obiettivi o false motivazioni a un paese che comunque è democratico e risponde alle aspettative del cittadino votante. Le teorie del complotto non capiscono il fatto che la democrazia americana è talmente grande che esprime sempre la volontà dei cittadini. Quando è stato invaso l'Iraq, la maggior parte della popolazione si era convinta che questo avrebbe portato un beneficio alla sicurezza nazionale, perché avrebbe portato l'eliminazione delle basi terroristiche in Iraq. La spinta veniva dal popolo, dal Congresso, dalla democrazia. Forse gli Stati Uniti sono più interventisti di altri stati, ma comunque questo è frutto di un processo democratico.
Undicisettembre: Come si vive a New York 11 anni dopo l'accaduto?
Ruggero De Rossi: New York rimane la città dove realizzare i propri sogni: sia nella finanza, sia nella medicina, sia nella legge, sia nell'economia, sia a Broadway. È una città estremamente competitiva ed entusiasmante. Lo era prima e lo è adesso. Resta nel mio pensiero che New York non sarà più ricordata come un posto idilliaco ma rimane l'amarezza di quel bruttissimo evento che non se ne andrà mai. La natura e lo stato d'animo dei newyorkesi è comunque lo stesso, anche se dovessero attaccare New York cento volte. Il terrorismo non vince mai, non vince perché dieci anni dopo la città è sempre la stessa.
La seconda riflessione è che dal 2001 l'economia americana è cambiata. Dopo il 2001 c'è stato un forte segnale di ripresa, ma l'economia americana non si è mai ripresa del tutto da allora.
La spesa per l'intervento militare in Iraq e per la consolidazione della democrazia in Iraq potrebbe risolvere la crisi dell'Eurozona. Altri soldi sono stati spesi per migliorare i sistemi di sicurezza durante gli eventi pubblici o negli aeroporti. Sono tutti soldi sottratti alla spesa per l'economia.
È anche vero che la spesa militare porta miglioramenti tecnologici di cui poi l'economia beneficia, ma la realtà è che oggi ci troviamo con un grosso debito causato proprio da ciò che è successo dopo l'11 settembre. Questo ha cambiato la nazione per sempre.