Introduzione
Una delle ipotesi di complotto più ricorrenti è che i dirottatori che hanno preso i comandi degli aerei di linea l'11 settembre non avessero una competenza di pilotaggio tale da consentire loro di dirigerli contro i bersagli.
Ma qual è il reale livello di competenza necessario per manovrare un aereo di linea nel modo in cui i quattro velivoli dirottati furono pilotati l'11 settembre? Secondo i complottisti (nessuno dei quali, si noti, è pilota di linea), è un livello elevatissimo. Non è sufficiente, dicono, la licenza statunitense di pilota conseguita da Mohammed Atta, Hani Hanjour, Ziad Jarrah e Marwan Al-Shehhi, documentata dall'enorme massa di prove raccolta per il processo Moussaoui.
I complottisti ricorrono spesso alle dichiarazioni di Nela (o Nila) Sagadevan (nella foto), che si dichiara "ingegnere aeronautico e pilota qualificato di aerei pesanti" (fonte). Le sue credenziali sono impossibili da verificare: non risponde alle richieste di contatto via e-mail e il suo nome non compare nel database dei piloti USA.
Viene poi da chiedersi come mai i complottisti debbano ricorrere a un ingegnere/pilota originario dello Sri Lanka: possibile che non ci sia neppure un pilota o ingegnere aeronautico italiano disposto a sostenere le loro teorie?
Ovviamente non è questione di pregiudizi etnici: semplicemente desta perplessità che i sostenitori delle teorie di complotto debbano utilizzare, come esperto, una persona che presenta come credenziali non la propria esperienza di pilota, ma il fatto che (come dice la presentazione del suo libro mistico Warpaint of the Gods) era "stato ospite di un documentario televisivo sui fenomeni extraterrestri e ha condotto un proprio programma radiofonico che parlava di documenti governativi top secret ottenuti tramite il Freedom Of Information Act" negli anni Ottanta, e che "ha vissuto in Alaska per 15 anni, quando un'esperienza profonda, di quelle che cambiano la vita, ha alterato per sempre la sua concezione delle religioni terrene e lo ha spinto a ponderare approfonditamente l'atteggiamento mentale antropocentrico che guida la vita dell'essere umano".
Gli unici riferimenti alla sua esperienza di pilota fin qui reperiti provengono da fonti favorevoli alle sue ipotesi, che lo presentano come "ex pilota commerciale con laurea in ingegneria aeronautica dell'Università di Edimburgo, attualmente operante come consulente in comunicazioni". Nei propri scritti, Sagadevan descrive soltanto pilotaggi di piccoli aerei ("bimotore con 14 passeggeri").
Vale quindi la pena di confrontare le affermazioni di Sagadevan e le teorie complottiste con l'opinione di un esperto italiano di settore, Giulio Bernacchia, pilota professionista con esperienza diretta di controllo del traffico aereo civile e militare, citato qui con il suo permesso. Le sue credenziali, a differenza di quelle di Sagadevan, sono consultabili (con tanto di scansione della licenza di pilota e di altre certificazioni): includono 27 anni di esperienza di volo militare e civile, esperienza come istruttore ed esaminatore su simulatori, e pilota di AWACS.
Quanto segue è la traduzione in italiano di un articolo scritto in inglese da Bernacchia per 911myths.com. L'originale è disponibile qui (PDF). Le immagini sono tratte dagli archivi del gruppo di ricerca Undicisettembre.
Oh no! Un altro esperto no! di Giulio Bernacchia
Negli ultimi 27 anni ho lavorato come pilota, prima per l'Aeronautica Militare Italiana e poi come ispettore di volo (check captain) per una compagnia aerea di linea.
Ho una buona esperienza come istruttore ed esaminatore nei simulatori (per la precisione, uno dei miei compiti era addestrare persone con un livello di esperienza minimo), e ho volato su aerei AWACS della NATO come Aircraft Commander o Comandante d'Aereo (qualificato per le operazioni di rifornimento in volo) e su aerei per la ricognizione marittima a bassissima quota.
Penso dunque, forse senza troppa modestia, di poter entrare nell'arena dell'11 settembre.
Una delle cose che ho sempre trovato incredibile è assistere a persone di ogni genere, accomunate solo dall'assoluta incompetenza nei confronti di qualunque argomento attinente al volo, che pensano di poter dire cosa è davvero accaduto semplicemente guardando un documentario di quindici minuti e leggendo un paio di interviste tolte dal loro contesto, ignorando allo stesso tempo tonnellate di dati generati da veri esperti di aerodinamica, fisica e ingegneria strutturale.
Per chi non è informato, qualsiasi cosa sembra ugualmente plausibile, possibile, spiegabile. Non è così. Le cose non fanno che peggiorare quando informazioni totalmente prive di senso vengono spacciate per analisi di esperti. Mi rendo conto che, avendo deciso di scendere in campo, sarò sottoposto allo stesso livello di esame critico che io stesso applico agli altri.
Sono pronto. Una sola premessa: conosco già quasi tutte le barzellette che girano sugli italiani, per cui evitate di ricorrere agli insulti razzisti. Sprecano banda.
Partirò da un articolo che ho trovato a questo indirizzo. L'ho ricopiato integralmente, riportandolo in corsivo e aggiungendo i miei commenti [questa frase è modificata rispetto all'originale per rispecchiare la diversa impaginazione che trovate qui (N.d.T.)]. Lo considero un esempio di pseudo-competenza che ottiene in realtà l'unico risultato di confondere ancora di più la questione.
L'impossibilità di far volare grossi aeromobili senza addestramento
Nila Sagadevan è ingegnere aeronautico e pilota qualificato di aeromobili pesanti.
Alcuni sostengono che i mitici dirottatori dell'11 settembre, nonostante si sia dimostrato che erano troppo incompetenti per pilotare un piccolo Cessna 172, avrebbero acquisito, allenandosi nei simulatori di volo, le notevoli capacità che consentirono loro di far volare degli aerei di linea.
Tutti i piloti di linea hanno cominciato la propria carriera ad un livello al quale erano tanto incompetenti da non poter pilotare un Cessna 172. E' proprio per questo che sono state create le scuole di volo. La questione è un'altra: i presunti dirottatori erano così sprovveduti come dice Sagadevan? E quanto bravi si deve essere per fare quello che hanno fatto i dirottatori secondo la versione ufficiale dei fatti? Lo vedremo.
Questo articolo è un tentativo di seppellire una volta per tutte questo mito, perché ho sentito diffondere in lungo e in largo ad nauseam questa ridicola spiegazione, sia su Internet che in TV, invariabilmente da parte di persone che non sanno in concreto nulla riguardo al volo, ai simulatori di volo, o anche solo agli aerei.
Una delle più comuni idee sbagliate di chi non è pilota a proposito dei simulatori è quanto sia “facile” usarli.
Questo è un assunto ingiustificato. Sagadevan ha forse condotto un sondaggio in proposito? Immagino che chi non è pilota pensi che i simulatori siano difficili o facili tanto quanto gli aerei che si prefiggono appunto di simulare. Ma non dovremmo preoccuparci di quello che pensa chi non è pilota, giusto?
Sono in effetti relativamente facili da utilizzare, se lo scopo è compiere qualche tranquilla virata o gironzolare allegramente per il cielo libero. Ma se lo scopo è eseguire una qualsiasi manovra con almeno un minimo di precisione, allora il compito diventa immediatamente piuttosto scoraggiante.
Sinceramente non capisco. Da come scrive, mi vien da pensare che Sagadevan possa non avere troppa dimestichezza con i simulatori. Quando dice: “Sono in effetti relativamente facili da utilizzare, se lo scopo è compiere qualche tranquilla virata”, dovrebbe spiegare che tipo di persone ha in mente. Sta parlando di mia nonna, o di un comandante dell'American Airlines? In entrambi i casi si sbaglia, perché mia nonna troverebbe ugualmente scoraggiante sia compiere tranquille virate che eseguire manovre precise, mentre il comandante AA troverebbe piuttosto semplici da gestire entrambe le situazioni.
Sagadevan potrebbe avere ragione se parlasse di persone con esperienza minima, ma sarebbe l'inizio di un percorso molto insidioso: i dirottatori, dopotutto, potrebbero aver avuto bisogno di fare soltanto qualche virata, senza alcuna necessità di compiere manovre precise o accurate. E Sagadevan stesso dice che queste cose sono facili...
E se l'obiettivo è navigare verso una località geografica specifica a centinaia di miglia di distanza volando ad oltre 500 miglia all'ora (800 km/h circa) a 30000 piedi [9000 metri circa, N.d.T.] di quota, la sfida diventa praticamente impossibile per un pilota non addestrato.
Non addestrato a fare cosa? Sagadevan non lo dice. E cosa intende con “navigare”? Se voglio andare da un punto A ad un punto B in aereo, posso decidere semplicemente di seguire strade, ferrovie e addirittura cartelli stradali, se volo abbastanza basso. Posso usare il sole o le stelle, o posso semplicemente impostare il mio sistema di navigazione (Flight Management System) e lasciare che faccia tutto da solo. Fra l'altro, questo è quello che fa la maggior parte dei piloti se ha l'equipaggiamento adatto e vola per mestiere. Potrebbe essere quindi che per volare dal punto A al punto B un pilota "non addestrato" abbia bisogno di imparare soltanto qualche sequenza di tasti? Lo vedremo.
Ed è precisamente quello che avrebbero fatto l'11 settembre, su pesanti e veloci jet di linea, quattro dirottatori che non erano in grado di pilotare un Cessna intorno ad un aeroporto.
Di nuovo: ci sono prove abbondanti (date un'occhiata al capitolo 7 del Rapporto della Commissione 11 settembre, ma vi consiglio di leggere tutte le 585 pagine del documento) del fatto che tutti i dirottatori coinvolti avessero almeno delle licenze da pilota privato, e che quelli che hanno colpito il bersaglio avevano una licenza da pilota commerciale. Se sono stati valutati come a malapena nella media, significa che erano a malapena nella media per gli standard della FAA, che non sono affatto bassi. Di conseguenza, non essere capaci di lanciare un avvicinamento ILS con un margine di precisione di non più di x gradi non significa necessariamente non essere in grado di compiere virate scomposte e picchiate suicide.
Per una persona non abituata alle complessità pratiche del pilotaggio, un simulatore di volo moderno può rappresentare un'esperienza capace di disorientare e confondere terribilmente. Questi complicati sistemi di addestramento non somigliano nemmeno vagamente ai videogiochi che si possono trovare nelle sale giochi e neppure alle versioni software disponibili per i computer domestici.
Concordo con la prima parte del paragrafo. Quando mi occupavo delle visite scolastiche agli impianti che ospitavano i simulatori, mi accorgevo che sia i bambini sia gli insegnanti guardavano a bocca aperta il complesso insieme di lancette, bottoni e quadranti nella cabina di pilotaggio (cockpit). E allora? Non capisco dove Sagadevan voglia arrivare.
Per quanto riguarda la seconda parte del paragrafo, presumo che Sagadevan si riferisca alla differenza complessiva tra un PC da una decina di chili, con uno schermo da 17”, e un simulatore di volo da tre tonnellate, largo cinque metri e mezzo, con sei gradi di libertà e con un sistema video che avvolge l'intero campo visivo.
A parte questo, chiunque possieda una copia di MS Flight Simulator può facilmente notare che i cockpit che vi sono rappresentati sono identici a quelli reali. Fra l'altro, è al cockpit, non ai pistoni idraulici che sostengono il simulatore, che il pilota rivolgerà generalmente lo sguardo durante il volo.
Per comandare un moderno simulatore di volo con un minimo di competenza occorre non soltanto essere un buon pilota in partenza, ma oltretutto essere un pilota esperto e qualificato per il volo strumentale, ed avere piena dimestichezza con il tipo di aereo che il simulatore rappresenta, dal momento che la disposizione degli strumenti nel cockpit varia da velivolo a velivolo.
A meno che si stia parlando di una persona che voglia diventare istruttore di simulatori di volo, e che per "comandare" s'intenda "sedersi alla console dell'istruttore e preparare perfidi imprevisti agli allievi", Sagadevan sta volando sottosopra: sta ribaltando la questione. I simulatori sono nati come strumenti di insegnamento: quindi non si vola in un simulatore perché si è bravi piloti, ma perché si vuole diventare bravi piloti.
Quanto alla surreale affermazione che bisogna avere "piena dimestichezza con il tipo di aereo che il simulatore rappresenta, dal momento che la disposizione degli strumenti nel cockpit varia da velivolo a velivolo", in realtà è vero l'esatto opposto. I simulatori si usano per permettere agli allievi di familiarizzare con la disposizione dei comandi che troveranno nell'aereo vero.
Il sogno di tutte le compagnie è essere in grado di prendere il primo che passa per strada e portarlo alla totale abilitazione senza dovergli mai far pilotare un aereo vero. Alcune di queste compagnie sono molto vicine al raggiungimento di questo obiettivo, e il modo migliore e più veloce per diventare “oltretutto... un pilota esperto e qualificato per il volo strumentale" è fare sessioni di addestramento su un simulatore di volo.
Il vero valore aggiunto del simulatore risiede nel fatto che si possono provare le procedure in un modo molto più efficiente. Si può riposizionare l'“aereo” su una rotta di avvicinamento rettilinea di 11 miglia, lasciare che l'allievo compia l'avvicinamento, correggere i suoi errori e poi, agendo su un semplice comando, riposizionarlo nello stesso identico punto a 11 miglia di distanza. Si possono provare situazioni pericolose in completa sicurezza, discutendone in tempo reale “congelando” la macchina a mezz'aria; si può giocherellare con il sistema di navigazione, far pratica nell'inserimento dei waypoint [punti di via o di riferimento, N.d.T.], attivare e disattivare il pilota automatico, l'automanetta e così via. I simulatori sono strumenti estremamente efficienti in termini di tempo.
Se disponete di qualcuno che paga il conto, un simulatore può fare meraviglie. Consiglio per l'FBI: cercate un bravo istruttore di simulatore che parli arabo e che potrebbe aver dato qualche lezione privata...
Gli unici aspetti del volo per i quali un gioco per PC/sala giochi potrebbe quasi cominciare ad avvicinarsi al grado di realismo grafico di un simulatore di volo professionale moderno sarebbero le fasi del decollo e dell'atterraggio. In queste fasi, ovviamente, si vedono chiaramente le potenti luci della pista allineate davanti all'aereo, e alla periferia del campo visivo si vedono scorrere gli edifici e quant'altro. I decolli – e anche gli atterraggi, entro certi limiti – sono relativamente “facili”, perché il pilota ha dei punti di riferimento visivi che esistono “al di fuori” della cabina.
E allora? I simulatori per PC danno il proprio meglio esattamente nelle cose su cui i dirottatori avevano bisogno di esercitarsi: attivazione/disattivazione del pilota automatico, inserimento dei waypoint, automanetta. Chi se ne frega se non si vede in maniera realistica il panorama degli Stati Uniti orientali!
I dirottatori sapevano in anticipo che il decollo sarebbe stato effettuato da un pilota vero e che non ci sarebbe stato alcun bisogno di preoccuparsi dell'atterraggio.
Ma una volta che il pilota ha ruotato, che è salito, ha raggiunto la quota di crociera in un simulatore (o in un aereo vero) e si trova in viaggio per qualche lontana destinazione (usando sofisticate tecniche di navigazione elettronica), la situazione cambia in maniera drastica: il pilota perde praticamente ogni riferimento visivo esterno e si ritrova totalmente in balìa di una serie di complicati strumenti di volo e navigazione per ricevere informazioni sulla situazione (altitudine, direzione, velocità, assetto, eccetera).
Il discorso di Sagadevan non ha senso: quella fatidica mattina, i controlli pre-volo, il push-back, la messa in moto, l'autorizzazione al decollo, le operazioni di rullaggio, l'allineamento, il decollo, la Standard Departure, la salita e la crociera furono condotti da piloti professionisti. Ma sono d'accordo con lui: mia nonna si sarebbe sentita “totalmente in balìa di una serie di complicati strumenti di volo e navigazione per ricevere informazioni sulla situazione (altitudine, direzione, velocità, assetto, eccetera)” se avesse provato a salire da sola a quota di crociera.
Nel caso di un 757 o di un 767, il pilota si troverebbe a interagire con un EFIS (Electronic Flight Instrumentation System [sistema di strumentazione elettronica di volo, N.d.T.]) composto da sei grossi schermi LCD multifunzione inframmezzati a gruppi di altri strumenti "reali" assortiti. Questi schermi elaborano i dati grezzi di volo e dei sistemi dell'aereo per ricavarne un quadro integrato della situazione, posizione e direzione dell'aereo, non solo per quel che riguarda le componenti orizzontali e verticali, ma tenendo conto anche del tempo e della velocità. Durante il volo “cieco”, cioè senza riferimenti al suolo, ci vuole un pilota altamente qualificato per interpretare e poi applicare correttamente questi dati. Se non si è in grado di tradurre queste informazioni velocemente, precisamente e accuratamente (e per farlo ci vuole un pilota abilitato al volo strumentale), ci si trova in una condizione di “Zero Situational Awareness” [consapevolezza zero della situazione di volo, N.d.T.], che significa che il pilota non ha la più pallida idea di dove si trovi rispetto al suolo. Volare in queste condizioni viene definito IFR, o Instrument Flight Rules [volo strumentale, N.d.T.].
E' per questo che il Manuale dei Trucchi del Dirottatore afferma che non si dovrebbe mai prendere il controllo dell'aereo durante la fase di rullaggio, ma soltanto dopo che i piloti professionisti hanno già fatto la parte difficile al posto del dirottatore e sono pronti ad offrirgli un aeroplano in assetto perfetto, assistito dall'autopilota e con i motori regolati in maniera automatica.
E la regola numero uno delle Norme di Volo Strumentale (IFR) dice: “Non togliere mai gli occhi dagli strumenti, perché sono tutto quello che hai!”
Giusto. Sono sicuro che tutti i piloti professionisti che erano a bordo degli aerei stavano facendo esattamente questo. Nel frattempo i dirottatori se ne stavano seduti in prima classe...
Il corollario alla regola numero 1 è: “Se non riesci a leggere gli strumenti in maniera veloce, ordinata e disciplinata, sei praticamente morto”. I registri degli incidenti di tutto il mondo sono pieni di di bravi piloti, cioè piloti professionisti abilitati al volo strumentale, morti per aver fatto confusione in condizioni IFR.
Sono d'accordo. Se si aspira a guidare grandi aerei in ogni condizione meteo, entro strette tolleranze e come impiegati di grandi compagnie aeree, bisogna tenere a mente le parole di Sagadevan. Ma, se ci si prepara per una missione di volo suicida i requisiti potrebbero essere diversi...
Permettetemi di inserire queste due regole nel contesto dei piloti-dirottatori dell'11 settembre. Questi uomini erano stati ripetutamente giudicati non idonei a volare da soli su un semplice Cessna 172, un compito elementare che consiste nel volare con questo piccolo aereo da addestramento per una volta attorno alla pista in un giorno di sole. Il primo volo in solitario di un allievo è costituito da un semplice circuito: il decollo, seguito da quattro lievi virate a sinistra e dall'atterraggio sulla stessa pista. Non c'è forma di volo più elementare.
Nessuno dei dirottatori fu considerato idoneo a condurre questo esercizio semplicissimo da solo. Anzi, ecco quello che hanno detto i loro istruttori di volo a proposito della predisposizione al volo di questi aspiranti aviatori:
Mohammed Atta: “La sua capacità di restare concentrato era zero”.
Khalid al-Mihdhar: “Non lo abbiamo espulso, ma non raggiungeva i nostri standard”. [Al-Mihdhar non figura fra i dirottatori piloti secondo la ricostruzione comunemente accettata; era sul volo 77, pilotato da Hani Hanjour, per cui le sue competenze di pilota non sono in realtà pertinenti (N.d.T.)]
Marwan Al-Shehhi: “E' stato scartato per la sua limitata conoscenza dell'inglese e per la sua incompetenza ai comandi".
Salem Al-Hazmi: “Gli abbiamo consigliato di rinunciare dopo due lezioni”.
Hani Hanjour: “Il suo inglese era orribile, e le sue competenze meccaniche anche peggiori. Sembrava che non avesse neanche mai guidato un'automobile. Sono ancora stupito dal fatto che abbia potuto schiantarsi sul Pentagono. Non era semplicemente capace di volare.”
Per un'analisi esauriente delle esperienze di volo dei dirottatori, consultate di nuovo il link che ho segnalato in precedenza, tenendo presente che tutte le persone citate sopra che hanno commentato il livello di competenza dei dirottatori avevano il compito di fornire un'opinione professionale su come se la cavavano questi allievi rispetto ai livelli di competenza richiesti dalla FAA, e che la FAA non ha un corso del tipo "uccidi i piloti di un jet, rimani in autopilota finché non vedi un riferimento a terra e poi buttatici sopra” con relativo volo di qualificazione.
Quello che sappiamo è che gli ispettori di volo della FAA li hanno considerati idonei al volo in solitario con velivoli a doppia elica con l'ausilio di navigazione elettronica, e questo è più di quello che posso dire di certe persone che conosco. Se mi venisse chiesto se sceglierei o no uno qualsiasi dei dirottatori come copilota, risponderei di no, perché la scarsa conoscenza di una lingua comune (in questo caso l'inglese) è da sola più che sufficiente a causare incidenti aerei. Ma ancora una volta, a meno di non ipotizzare che tutti gli ispettori di volo della FAA fossero incompetenti o complici, i dirottatori possedevano almeno una capacità di pilotaggio di base. Atta era indisponente? E allora? Parlavano male l'inglese? E allora? Non avevano bisogno di rispondere alle ingegnose domande di un ispettore texano della FAA, quella mattina. Questo lo sappiamo: tutto il resto è semplicemente ipotesi.
Ora diamo un'occhiata al volo American Airlines 77. A metà del volo, il passeggero/dirottatore Hani Hanjour si alza dal proprio posto, si fa strada con violenza fino a invadere la cabina insieme alle sue truppe, riesce ad avere la meglio sul Capitano Charles F. Burlingame e sul Primo Ufficiale David Charlebois, e in qualche modo riesce a sbatterli fuori dalla cabina (cosa che, tanto per cominciare, è molto difficile in un ambiente stretto senza urtare inavvertitamente la cloche e disattivare quindi il pilota automatico). Si potrebbe correttamente dedurre che questo sarebbe molto impegnativo per un piccoletto armato di taglierina.
I piloti sono legati ai sedili dalle cinture e quindi incapaci di muoversi velocemente. Una persona con intento suicida e molto determinata (e non era da sola, giusto?) dovrebbe semplicemente entrare nella cabina e tagliare la gola a due persone inermi.
Per chi non lo sapesse, nel mondo pre-11/9 la procedura che il capitano doveva seguire in caso di dirottamento era fare qualunque cosa dicesse il dirottatore, spiegargli cosa l'aeroplano poteva o non poteva fare, e non farlo arrabbiare. L'idea era di evitare qualsiasi rischio di un'escalation di violenza durante il volo, soddisfare il dirottatore e far atterrare l'aereo appena possibile, in modo che un cecchino delle forze speciali potesse mettere fine alla faccenda.
Tutto questo, però, si basava sull'assunto che il dirottatore volesse vivere, per cui è facile capire che questi comportamenti abbiano in realtà l'effetto contrario se il dirottatore ha intenti suicidi. A partire dal 12 settembre 2001, sono state distribuite in tutto il mondo le informative che impongono ai piloti di chiudere a chiave la porta della cabina, di non lasciare mai entrare qualcuno in cabina durante il volo, e di resistere ad ogni costo a qualsiasi tentativo di forzare l'ingresso. Sicuramente quei dirottatori erano in grado di pensare fuori dagli schemi, e ci conoscevano meglio di quanto noi potremo mai conoscere loro.
Burlingame [nella foto, N.d.T.] era un rude, corpulento ex-pilota di caccia F4, veterano della guerra in Vietnam, con oltre 100 missioni di combattimento alle spalle. Tutti i piloti che lo hanno conosciuto dicono che piuttosto che cedere educatamente i comandi, Burlingame avrebbe rovesciato di colpo l'aereo per fare in modo che Hanjour si rompesse il collo nel ricadere sul pavimento della cabina.
Non è possibile “rovesciare di colpo l'aereo”, perché una manovra del genere ad alta quota porterebbe l'aereo a stallare molto prima di essere anche soltanto a metà della manovra.
Ma supponiamo che si tratti di una figura retorica, un'esagerazione comprensibile. Dopo l'11 settembre ci furono discussioni piuttosto lunghe tra gli addetti ai lavori a proposito dell'idea di escogitare “manovre incapacitanti”, mirate a far perdere l'equilibrio ad un dirottatore. Alla fine fu ritenuto che queste manovre avrebbero creato un rischio maggiore di quello rappresentato dal dirottatore. E questo dopo l'11 settembre! Per questo mi sembra altamente improbabile che qualsiasi pilota pre-11/9 potesse prendere in considerazione l'idea di strattonare la cloche allo scopo di far cadere il cattivo di turno. E in ogni caso questo sarebbe stato un gesto contrario alle procedure in uso, che imponevano di evitare di innervosire sei terroristi facendo loro sbattere la testa da qualche parte. Quale garanzia poteva avere Burlingame che una manovra che mettesse fuori combattimento tutti i terroristi non avrebbe spezzato in due l'aereo? Burlingame non era uno stupido, e si è giocato come meglio ha potuto le carte che la sorte gli ha servito.
Ma lasciamo perdere la reazione quasi naturale che ci si aspetterebbe da un ex-pilota di caccia e andiamo avanti con questa farsa.
Nonostante tutto quanto detto finora, immaginiamo che Hanjour sia riusciuto a sopraffare l'equipaggio di cabina, lo abbia rimosso dalla cabina e abbia preso posto sul sedile del capitano. E, anche se i bollettini meteorologici ci dicono che non era così, facciamo finta che Hanjour sia stato abbastanza fortunato da trovarsi in una giornata di visibilità ottima (CAVU – Ceiling And Visibility Unlimited). Se Hanjour avesse guardato dritto davanti a sé attraverso il parabrezza, oppure alla sua sinistra, verso il suolo, avrebbe visto al massimo, 35.000 piedi (10.500 metri circa) sotto di lui, un confuso paesaggio di color grigio-verdastro-marroncino, praticamente privo di qualsiasi dettaglio della superficie, mentre il velivolo che stava a quel punto pilotando si muoveva in maniera quasi impercettibile e in un silenzio soprannaturale, a circa 500 miglia all'ora (800 km/h ca.), cioè 750 piedi al secondo (220 m/s ca.)
In una situazione reale (e viste le condizioni meteo registrate quel giorno), Hanjour avrebbe probabilmente visto sotto di sé nuvole che gli bloccavano completamente la vista del terreno che stava sorvolando. In una simile condizione di “situational non-awareness” (assenza di consapevolezza della situazione), Hanjour avrebbe potuto benissimo volare sopra l'Argentina, la Russia o il Giappone senza comunque avere la minima idea di dove si trovasse di preciso.
Probabilmente il dirottatore si è comportato diversamente: ha ucciso i piloti; si è assicurato che l'aereo fosse stabilizzato e ben assettato, che il pilota automatico fosse ancora attivo (è solo un interruttore, il cui funzionamento può essere facilmente imparato con MS Flight Simulator), che velocità e altitudine fossero stabilizzate (anche qui è il pilota automatico a occuparsene, con un po' di comandi appresi nei corsi base e su Flight Simulator); ha estratto dalla tasca un pezzo di carta sul quale aveva annotato le coordinate di qualche waypoint (come il WTC o l'aeroporto di Washington) e le ha inserite nel Flight Management System [sistema automatico di gestione del volo, N.d.T.] (chiunque sia capace di inviare un SMS o navigare tra i menu del proprio telefono cellulare è certamente in grado di gestire le funzioni di base del FMS). A questo punto il dirottatore si è accomodato e ha cominciato a pregare, mentre i suoi accoliti si occupavano di tenere a bada i passeggeri.
Dopo pochi secondi (a oltre 750 piedi al secondo) (220 m/s ca.) Hanjour si accorgerebbe probabilmente che guardare fuori ha poco senso, perché non c'è niente che possa fornire alcuna reale indicazione visiva. Per una persona che in precedenza aveva tribolato con i comandi di un piccolo Cessna, seguendo autostrade e ferrovie (e sempre con la confortante presenza di un istruttore), questo sarebbe stato un contesto decisamente strano e per nulla rassicurante.
È vero. Si accorge che guardare fuori serve a poco: sta volando col pilota automatico verso un punto di navigazione la cui precisione è determinata dal sistema GPS di bordo. Diamine, anch'io stesso raramente guardo fuori quando volo in quota! (per tutti i piloti veri che dovessero leggere: scherzo, compio sempre regolarmente le osservazioni anticollisione).
Senza vedere nulla di fuori, Hanjour sarebbe stato costretto a spostare la propria attenzione al pannello degli strumenti, e qui si sarebbe trovato di fronte una stupefacente serie di strumenti, dai quali avrebbe dovuto rapidamente decifrare la propria direzione, traiettoria al suolo, altitudine e velocità relativa ancor prima di poter stabilire dove diavolo si trovava; altro che determinare l'ubicazione del Pentagono rispetto all'aereo!
Hanjour stava probabilmente pregando il proprio dio di dargli la forza di portare a termine la sua terribile e “sacra” missione e probabilmente non si preoccupava affatto di parametri che il pilota automatico manteneva graniticamente stabili.
In fin dei conti, prima di potersi schiantare su un bersaglio, Hanjour lo deve trovare.
È molto difficile spiegare a chi non è pilota questa condizione di totale mancanza di punti di riferimento al suolo, ma basti dire che per questi dirottatori non piloti e incompetenti, anche il solo pensare di doversi confrontare con un compito così impegnativo sarebbe stata una sfida insuperabile. Non avrebbero saputo da che parte cominciare.
Ma per amor di discussione andiamo oltre ogni limite di plausibilità e diciamo che Hanjour, che secondo il suo istruttore di volo “non era in grado di volare per niente”, sia riuscito in qualche modo a capire qual era la sua esatta posizione sul territorio americano in relazione al bersaglio scelto, mentre attraversava il paese ad una velocità cinque volte superiore a quella alla quale sia lui che gli altri suoi compagni avevano mai volato da soli.
Una volta stabilito esattamente dove si trovasse, avrebbe dovuto scoprire dove stesse il Pentagono rispetto alla propria posizione, che nel frattempo cambiava rapidamente. Avrebbe dovuto quindi calcolare una rotta verso il bersaglio (che non poteva vedere con i propri occhi, perché, è bene ricordarlo, il nostro asso stava volando in strumentale).
Hanjour, avendo scelto un waypoint adeguato con mesi di anticipo durante la fase di pianificazione, sa perfettamente dove sta andando e dove cominciare la discesa. A quel punto sta probabilmente cominciando a guardare fuori e cercando di acquisire visivamente il bersaglio. Un punto di riferimento possibile potrebbe essere l'aeroporto Ronald Reagan, facile da localizzare visivamente a distanza e molto vicino al Pentagono.
La rotta dell'aereo, dal momento in cui i dirottatori ne prendono il controllo, punta direttamente all'area dell'aeroporto. Quindi non c'è nessun bisogno di una conoscenza approfondita della navigazione e non c'è nessun bisogno di guardare fuori; c'è soltanto qualche pulsante da premere in sequenza.
Per riuscire in tutta quest'operazione di navigazione elettronica, Hanjour avrebbe dovuto essere un buon conoscitore delle procedure IFR [Instrument Flight Rules, regole di volo strumentale, N.d.T.]. Ma né lui né nessuno di questi signori sapevano come è fatta una carta di navigazione, ...
E chi lo dice? Ai dirottatori non importava davvero nulla di violare gli spazi aerei riservati, di volare lungo i corridoi aerei giusti, di intersecare le regioni terminali di controllo o di volare in direzione sbagliata lungo le aerovie a senso unico. Dal punto A al punto B, e basta. E fra l'altro, si possono ordinare per posta tutte le carte di navigazione che si vuole e tutti i libri che le spiegano. Ma comunque non ne avevano bisogno.
... tanto meno aveva alcuna idea di come immettere i dati nei computer di navigazione (FMC) e attivare l'LNAV (Lateral Navigation Automated Mode) [modalità di navigazione laterale automatica].
Presumo che i dirottatori non abbiano lasciato un appunto indirizzato al signor Sagadevan nel quale descrivono i propri progressi nell'arte del premere pulsanti. C'è qualche prova che dimostri che i dirottatori non hanno mai fatto pratica (su un aereo, su MS Flight Simulator o in un simulatore professionale) delle semplici sequenze della programmazione di base di un FMS? È una domanda retorica, perché sappiamo che i dirottatori si erano addestrati sui simulatori e che è facile procurarsi manuali d'istruzioni sul funzionamento del FMS.
A sentire i racconti ufficiali, tutto questo sarebbe stato compiuto da allievi piloti inesperti, in volo cieco a 800 km/h (circa 220 m/s), a quasi 30.000 piedi (9.000 metri circa) di quota, su un terreno sconosciuto (e praticamente invisibile) e con l'ausilio di complesse metodologie e strumenti sofisticati.
In realtà era l'aereo a svolgere la parte difficile del lavoro. Le metodologie complesse venivano applicate dal computer di bordo, lasciando ai "piloti" un carico di lavoro molto modesto.
Per aggirare questo piccolo problema, la versione ufficiale sostiene che queste persone abbiano pilotato manualmente i velivoli verso i rispettivi bersagli (e questo, si noti, non avrebbe comunque risparmiato loro l'onere della navigazione).
Questo non è quello che afferma la versione ufficiale. La versione ufficiale dice che i dirottatori hanno usato il pilota automatico per dirigere l'aereo (quindi sapevano come svolgere questo semplicissimo compito, che consiste nel girare una manopola sul cruscotto finché il muso non punta nella direzione voluta o finché la lancetta di deviazione non è rivolta verso l'alto) e, nel caso di AA77, lo hanno scollegato a circa 38 miglia (61 km ca.) ad ovest del Pentagono, a 7000 piedi (circa 2100 metri) di quota (scollegamento del pilota automatico: 09:29; inizio della virata: 09:34; impatto: 09:37:46. Fanno 8 minuti di volo manuale, dei quali circa 5 con ali livellate. Non proprio un volo intercontinentale).
Se si va nella direzione giusta e si mantengono livellate le ali, non si finisce troppo fuori rotta nemmeno se si scollega il pilota automatico. Si tratta insomma di una semplice discesa graduale ad ali livellate: non è certo un'impresa enorme. Il fatto che l'aereo sia stato portato a 7000 piedi quando era ancora a 38 miglia dal Pentagono dimostra che il dirottatore, conoscendo i propri limiti, temeva di non essere in grado di valutare il giusto punto di inizio della discesa o il punto dal quale un pilota professionista avrebbe iniziato una discesa "normale", e così ha deciso di approssimare per difetto e iniziare una discesa anticipata.
Per quanto riguarda la navigazione, la lancetta che indica la direzione che verrebbe seguita dall'aereo se il pilota automatico fosse attivo rimane visibile anche quando il pilota automatico è spento: basta mantenere la lancetta rivolta verso l'alto inclinando dolcemente le ali fino a seguire la direzione desiderata. Vi sembra difficile? Non lo è. E lo strumento era probabilmente impostato per portare l'aereo sopra la zona generale dell'aeroporto di Washington, dove infatti è venuto a trovarsi. Da quel punto, e ad una quota di molto meno di 7000 piedi, è facile scorgere la gigantesca forma del Pentagono.
Ma ammettiamo pure che Hanjour abbia disattivato il pilota automatico e l'automanetta e abbia pilotato manualmente l'aereo sul bersaglio prescelto (che è invisibile) con il solo ausilio degli strumenti fino al momento in cui non avesse potuto localizzarlo visivamente. Sarebbe stato costretto a volare sopra il West Virginia e la Virginia fino a Washington DC. Ebbene, questa parte della rotta di AA77 non può essere confermata da nessun tracciato radar, perché si dice che l'aereo sia scomparso improvvisamente dagli schermi radar sopra l'Ohio. Ma non soffermiamoci su questo dettaglio.
Secondo i controllori radar della FAA, il "Volo 77” ricompare improvvisamente dal nulla sopra Washington DC e compie una virata in picchiata di circa 360° al minuto mentre scende ad una velocità di 3500 piedi al minuto (1070 metri al minuto); al termine di questa virata, "Hanjour" avrebbe riguadagnato l'assetto stabile a livello del suolo. Oh, quasi dimenticavo: ha anche avuto la presenza di spirito di spegnere il transponder a metà di questa manovra incredibilmente complessa. Uno dei suoi istruttori ha affermato successivamente che il povero ragazzo non sarebbe stato in grado di sillabare la parola "manovra" nemmeno per salvarsi la vita [la parola inglese "manoeuvre", ossia "manovra", ha una grafia molto complessa da ricordare anche per gli inglesi e si scrive in modo differente in inglese britannico e in inglese americano (N.d.T.)].
Prima di tutto, Sagadevan fa sembrare che una discesa di 3500 piedi al minuto sia una cosa che soltanto i piloti collaudatori della NASA possono compiere. No, 3500 piedi al minuto è una velocità di discesa assolutamente normale, e 3400 o 3600 (1037 m/min, 1097 m/min) sono difficili in egual misura. E a proposito della virata di “circa 360° al minuto", qualunque cosa questo possa significare nella testa di Sagadevan, date un'occhiata a questo link, che spiega con numeri e formule una manovra molto comune. [il link è ora obsoleto, N.d.T.]
In secondo luogo, il transponder era spento sin dalle 08:56 e non era mai stato riattivato dai dirottatori. Quindi probabilmente Sagadevan è un po' confuso a questo proposito. Forse pensa che la traccia primaria che i controllori del TRAC di Dulles hanno visto alle 09:32 sia un modo di dire per indicare un segnale di ritorno dal transponder. Non è così. Una traccia primaria è il “blip” causato dalla riflessione dell'energia del radar sulla struttura metallica dell'aereo e non fornisce alcun tipo di indicazione sull'identità del velivolo.
Sagadevan dice: “Secondo i controllori radar della FAA, il "Volo 77” ricompare improvvisamente dal nulla sopra Washington DC e compie una virata in picchiata di circa 360° al minuto mentre scende ad una velocità di 3500 piedi al minuto...". Beh, questo non è quello che dice la versione ufficiale: "American 77 era a quel punto a 5 miglia [8 km ca.] a ovest/sud-ovest del Pentagono e iniziava una virata di 330°, alla fine della quale stava scendendo fino a circa 2.200 piedi (670 metri ca.) di quota, in direzione del Pentagono e del centro di Washington. A quel punto il dirottatore ai comandi aumentava al massimo la potenza dei motori e picchiava verso il Pentagono" ["American 77 was then 5 miles west-southwest of the Pentagon and began a 330-degree turn. At the end of the turn, it was descending through 2,200 feet, pointed toward the Pentagon and downtown Washington. The hijacker pilot then advanced the throttles to maximum power and dove toward the Pentagon"]. L'aereo fece una virata di 330°, cioè circa 30° in meno di un giro completo. Fu una virata a sinistra, che è quella che avrebbe fatto una persona seduta sul sedile di sinistra (quello del capitano) che avesse voluto mantenere il contatto visivo con un bersaglio situato alla propria sinistra.
[Nota: secondo i dati di rotta del registratore di volo (la "scatola nera") e dei radar del controllo del traffico aereo, riassunti dalla linea gialla nell'immagine accanto, la virata fu a destra, non a sinistra come indicato da Bernacchia. La sua ricostruzione risale a prima della divulgazione dei dati del registratore di volo e quindi non ne può tenere conto. Le dichiarazioni di Bernacchia vengono comunque riportate integralmente per correttezza e completezza, e l'errore riguarda soltanto la direzione della virata; tutti gli altri parametri sono esatti. (N.d.T.)]
Una manovra del genere richiede un angolo di rollio [inclinazione delle ali, N.d.T.] compreso fra 32 e 45 gradi e un modesta velocità di discesa; niente per cui sia necessario Iceman (ricordate Top Gun?). Ancora una volta, il dirottatore ha scelto di approssimare per difetto ed è sceso molto più di quanto avrebbe fatto un buon pilota. E' sceso quasi troppo, dato che negli ultimi secondi è stato costretto a volare livellato a bassissima quota abbattendo i lampioni situato lungo il suo tragitto.
Infatti la manovra è stata eseguita con tale precisione che i controllori di volo di Dulles si rifiutarono di credere che il blip sul loro schermo fosse un aereo di linea commerciale. Danielle O'Brian, una dei controllori di volo di Dulles che ha riferito di aver visto l'aereo alle 09:25, ha affermato: “la velocità, la manovrabilità, il modo di virare, tutti noi nella sala radar, tutti noi esperti controllori di volo, abbiamo pensato che fosse un aereo militare”.
È naturale. I controllori di volo civili (e anche quelli militari) non sono abituati a vedere un aereo di linea a più 300 miglia all'ora (480 km/h ca.) a bassa quota comandato da un guerriero “santo” suicida. Il limite di velocità standard in Europa, ad una quota inferiore o uguale a 10.000 piedi (3048 metri), è 200 nodi (230 MPH, circa 370 km/h). Questo non significa, però, che gli aerei di linea non siano fisicamente in grado di volare veloci a bassa quota. A noi piloti piacerebbe avere il permesso di farlo, è molto più divertente! Per cui se qualcuno sul radar vede un aereo che vola veloce come un jet militare, dice che “sembrava un jet militare”. Ma questo non prova nulla.
E, di colpo, abbiamo la magia. Voilà! Hanjour trova il Pentagono proprio davanti a sé.
È naturale. Ci ha girato intorno negli ultimi due minuti. E nonostante questo ha deciso di seguire un'autostrada che si dirige verso il bersaglio, utilizzandola come un ausilio supplementare alla navigazione, per dirigersi contro il Pentagono, proprio come avrebbe fatto qualcuno con poca esperienza.
Ma neanche questo fu ancora abbastanza per questo fanatico pilota kamikaze musulmano. Vedete, scoprì che il proprio "missile" si stava dirigendo verso una delle ali più densamente popolate del Pentagono, occupata da pezzi grossi delle forze armate, compreso il segretario alla difesa Rumsfeld. Così, presumibilmente per salvare la vita di queste persone, esegue una grande virata di 270° e si avvicina all'edificio dalla direzione opposta, allineandosi con l'unica ala dal Pentagono che era praticamente disabitata a causa degli importanti lavori di ristrutturazione in corso. Furono uccisi circa 120 operai edili civili in quella zona; il loro lavoro includeva rendere a prova di esplosione la facciata di quell'ala.
Penso che debba essere già chiaro il motivo per cui era desiderabile volare attorno al bersaglio: visibilità! Ci si dirige al punto di riferimento più grosso (l'aeroporto) con l'aiuto della navigazione elettronica (cioè ci si assicura che la lancetta punti verso l'alto...), poi lo si acquisisce visivamente e infine si sposta la propria attenzione sul vero bersaglio, intorno al quale si gira mentre si scende di quota, in modo che non lo si possa perdere di vista.
Questo è il modo in cui navigherebbe una persona con poca esperienza. Pilota automatico attivo il più a lungo possibile, linee rette, poco rollio e una virata discendente lunga e continua da un'altitudine che rende impossibile sbagliare.
L'idea che qualcuno con la sfrontatezza di pianificare la distruzione di due supergrattacieli pieni di gente e la Casa Bianca o il Congresso scelga quale lato del Pentagono colpire, per salvare una manciata di vite, mi sembra abbastanza ridicola, ma è soltanto una mia opinione.
Non entrerò nel dettaglio del perché sia aerodinamicamente impossibile pilotare un grosso aereo commerciale a 20 piedi di quota [6 metri circa, N.d.T.] a più di 400 miglia all'ora (640 km/h ca.). La discussione dell'energia dovuta all'effetto suolo, sulla compressione dovuta ai tip vortex [vortici che si formano all'estremità delle ali, N.d.T.], sul downwash sheet [deviazione di flusso verso il basso o flusso di controportanza, N.d.T.], sulla turbolenza di scia e sugli effetti del getto di spinta dei motori esula dall'ambito di questo articolo (i 50.000 kg del getto di spinta dei motori da soli avrebbero spazzato via dalla strada interi autoarticolati).
Basti dire che è fisicamente impossibile far volare un aereo di linea da 100 tonnellate a 400 miglia all'ora a 20 piedi (6 metri circa) dal suolo.
Sono sicuro che Sagadevan non avrà problemi a pubblicare i suoi documenti che dimostrano siffatta affermazione, che fra l'altro stride con quanto visto da parecchi testimoni. L'aereo, inoltre, non ha volato sempre a 20 piedi di quota, ma solo negli ultimi secondi.
Posso testimoniare che è assolutamente possibile volare continuativamente per miglia a 50 piedi da terra (15 metri) a 250 nodi (287 MPH, circa 460 km/h) con un grande aereo a basso carico alare, ma ammetto di non aver mai provato a oltre 400 MPH.
Il sottoscritto, pilota e ingegnere aeronautico, sfida qualunque pilota al mondo a fare altrettanto, cioè volare a 400 miglia all'ora a 20 piedi dal suolo su una traiettoria piana lunga un miglio con un qualsiasi grande aeroplano veloce avente un carico alare relativamente basso (come i jet commerciali).
Lo farò io, se Sagadevan mi promette che riceverò la mia ricompensa in paradiso. Secondo me, Hanjour è stato molto fortunato nella sua impresa nefasta, perché se un pilota con la sua esperienza avesse la possibilità di tentare ripetutamente la medesima manovra, avrebbe un tasso di fallimenti molto alto. Significa che aveva raggiunto con successo il livello minimo di competenza che si era prefissato: colpire il Pentagono in un punto qualsiasi e in un modo qualsiasi. Tuttavia mi è capitato di insegnare a diversi allievi che sono riusciti ad eseguire una procedura di volo entro i limiti richiesti al primo tentativo e successivamente hanno fallito molte volte. Loro, però, diversamente da Hanjour, sono sopravvissuti al primo tentativo andato a buon fine e col tempo sono diventati dei buoni piloti.
Se consideriamo il tasso di successo dei terroristi, possiamo vedere che due di essi hanno colpito i bersagli arrecando il danno massimo. Ma si trattava di bersagli semplici, e anche in quel caso i dirottatori li hanno quasi mancati, pur avendo manovrato gli aerei ben oltre i limiti consueti. Uno dei terroristi ha centrato l'obiettivo a malapena, dopo aver falciato dei lampioni, e un altro ha fallito completamente. Se dovessi scegliere degli agenti CIA fanatici, pronti a morire per offrire ai propri leader un motivo per entrare in guerra, sceglierei dei piloti migliori.
Perché dico 20 piedi per un miglio? Diversi lampioni, situati fino ad un miglio di distanza dal Pentagono, furono tranciati dall'aeroplano in avvicinamento [in realtà il lampione più lontano si trovava a 300 metri, non un miglio, ossia 1600 metri; Sagadevan moltiplica per cinque la difficoltà della traiettoria (N.d.T.)] Questo indica una traiettoria orizzontale a bassa quota durante la fase di avvicinamento prima dell'impatto. È noto, inoltre, che l'aereo ha colpito il piano terra del Pentagono. Se, a titolo di confronto, si prendesse un 757 e lo si appoggiasse per terra sulle gondole dei motori (cioè a carrello ritratto, come durante il volo), il suo muso sarebbe a circa 20 piedi (6 metri) di altezza! Quindi per colpire il Pentagono in quel modo, Hanjour avrebbe dovuto volarci dentro con i motori sepolti a dieci piedi di profondità (3 metri) sotto il prato del Pentagono. Decisamente un pilota che ci sapeva fare!
A prescindere da questo: perché è impossibile, dal punto di vista aerodinamico, un volo ad una quota così bassa? Perché le forze di reazione scatenate dall'estrema potenza del downwash sheet, unite agli effetti di compressibilità dei tip vortex, semplicemente non consentono al velivolo di scendere a meno di una distanza dal suolo pari a circa metà della propria apertura alare, a meno di non ridurre notevolmente la velocità, che è quello che succede ovviamente durante i normali atterraggi.
In altre parole, se quello fosse stato un 757, come ufficialmente affermato, allora non avrebbe potuto in alcun modo volare ad una velocità di 400 MPH (640 km/h circa) a meno di circa 60 piedi (circa 18 metri) da terra (una manovra di questo genere rientra però comodamente nelle possibilità di aerei ad elevato carico alare, come i caccia per gli attacchi a terra, il bombardiere B1-B, i missili Cruise... e il Global Hawk).
Ripeto: posso offrire la mia personale esperienza di volo a 50 piedi (15 metri) e 250 nodi (460 km/h). Sagadevan sarà sicuramente in grado di portare prove analoghe di quanto sostiene. Stiamo tutti aspettando.
I piloti che hanno manovrato i due 767 per colpire le Torri Gemelle si sarebbero imbattuti esattamente negli stessi problemi di navigazione descritti sopra, nel senso che anche loro avrebbero dovuto prima di tutto trovare i propri bersagli. Anche in questo caso questi signori si sarebbero ritrovati miracolosamente proprio sulla rotta giusta. E ancora una volta le loro manovre di "avvicinamento finale" a oltre 500 miglia all'ora (800 km/h circa) sono semplicemente troppo incredibili per essere state eseguite da piloti che non erano nemmeno in grado di volare da soli su piccoli aerei da addestramento.
Tutto quanto ho detto finora vale anche per il WTC, con l'eccezione che le torri erano un bersaglio di gran lunga più visibile.
Si vede chiaramente che entrambi gli aerei hanno compiuto manovre brusche per colpire i propri bersagli. Questo significa che le manovre di avvicinamento non erano state valutate accuratamente (qualunque pilota vero avrebbe fatto di meglio...). Quindi gli aerei furono pilotati da qualcuno che sapeva far virare un aereo (basta ruotare la cloche, e non c'è nessun ispettore della FAA seduto accanto che prende nota di quanto sia ben coordinata la virata) ma non era un Chuck Yeager [leggenda vivente nel mondo dell'aviazione, pilota collaudatore, primo uomo a superare il muro del suono in volo orizzontale -- con due costole rotte, N.d.T.], che è esattamente quello che hanno detto tutti gli istruttori a proposito dei dirottatori.
Le persone che hanno scritto la versione ufficiale degli eventi si aspettano che noi crediamo che, una volta che i dirottatori avevano messo fuori combattimento l'equipaggio grazie a dei "taglierini" e "preso il controllo" dei vari aerei, i loro bersagli siano comparsi dal nulla fuori dai finestrini, come succede nei videogame, e che tutto quello che questi signori abbiano dovuto fare sia stato semplicemente dirigere gli aerei contro gli edifici e volarvi contro. La maggior parte della gente alla quale è stata raccontata soltanto la versione ufficiale non è mai stata in una cabina di pilotaggio di un aereo di linea in quota per guardare fuori. Se lo avesse fatto, si renderebbe conto dell'assurdità di questo genere di ragionamento.
Forse è quello che è successo a Sagadevan: ha avuto il permesso di entrare nella cabina di un aereo di linea in volo, ha guardato fuori dai finestrini e gli è venuta l'ispirazione per questo articolo. Anch'io ho fatto lo stesso (mille volte, ed ero seduto ai comandi) e poi ho scritto il mio articolo.
In realtà, un non-pilota imbranato incontrerebbe delle difficoltà quasi insormontabili nel cercare di navigare e far volare un aereo di linea da 100 tonnellate contro un edificio situato al suolo 7 miglia (11 km ca.) più in basso e a centinaia di miglia di distanza fuori portata visiva e in una direzione sconosciuta, mentre volava a oltre 800 km/h, e tutto questo in una situazione di stress estremo.
Vero, ma cosa c'entra questo scenario con quello che è successo l'11 settembre?
Personalmente penso che la versione ufficiale dei fatti sia assolutamente plausibile: non richiede circostanze eccezionali, non richiede la violazione di nessuna legge fisica e non esige capacità sovrumane. Come hanno detto anche molti altri piloti (veri), le manovre che i dirottatori dovevano compiere rientravano nelle loro (molto limitate) capacità, sono state eseguite senza nessuna particolare eleganza e hanno procurato danni ai bersagli soltanto in seguito a disperati tentativi di correzione. I dirottatori hanno approfittato di qualunque cosa che potesse semplificare loro il compito e hanno deciso di non fare affidamento sulle proprie scarse abilità di pilotaggio. È fuorviante far credere alla gente che i dirottatori dovessero avere delle abilità di pilotaggio fuori dal comune per fare quello che hanno fatto.
Giulio Bernacchia
giulioberna(chiocciola)tin.it
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