2016/05/23

Recensione: Guarding bin Laden: My life in al-Qaeda di Nasser al-Bahri

di Hammer

Nel 2010 il terrorista saudita Nasser al-Bahri, noto anche con il nome di guerra di Abu Jandal assunto come membro di al-Qaeda, pubblicò il volume Dans l’ombre de ben Laden (pubblicato in inglese nel 2013 con il titolo Guarding bin Laden: My life in al-Qaeda; è a questa versione che si riferisce la presente recensione), nel quale racconta la sua esperienza all'interno dell'organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden e offre uno spaccato ricco di dettagli di come la stessa al-Qaeda funzionasse durante la sua militanza.

Il libro inizia narrando brevemente la vita di al-Bahri dalla nascita in Arabia Saudita nel 1972 in una famiglia della classe media di origine yemenita da sempre contraria alla monarchia saudita. Il primo interesse di al-Bahri per il terrorismo jihadista nacque durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan e nello stesso periodo iniziò a nutrire un crescente interesse verso Osama bin Laden. Quando poi l’URSS si ritirò dall’Afghanistan, bin Laden tornò in Arabia Saudita e poco dopo la monarchia concesse agli USA l’uso del proprio suolo per condurre l’offensiva contro l’Iraq di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait. Osama si offrì quindi di unire al-Qaeda, al posto delle truppe USA, all’offensiva contro Saddam, ma il governo saudita non accettò la proposta, considerando che i jihadisti non avrebbero potuto fronteggiare un vero esercito.

Nel 1993 al-Bahri si trasferì in Bosnia, dove si unì per la prima volta alla jihad e rimase alcuni anni. Fu proprio nello stato balcanico che nel 1995 gli venne attribuito il nome di battaglia con cui è universalmente noto. Dopo essere rimasto in Bosnia si spostò in Somalia e poi in Tajikistan per unirsi alla jihad anche in questi luoghi; in seguito si spostò in Afghanistan, dove entrò in contatto con un gruppo di Talebani, grazie ai quali riuscì a conoscere bin Laden. Il fondatore di al-Qaeda lo inviò dapprima in un campo di addestramento nella città di Khost, dove Abu Jandal dovette prendere parte a esercitazioni sulla sorveglianza e su operazioni speciali come uccisioni o rapimenti. Nel gruppo delle reclute al-Bahri si distinse per via del proprio senso critico, pe esempio perché contestava il fatto che per esercitarsi nelle uccisioni dovesse davvero uccidere un compagno anziché simulare. Di ritorno dal campo di addestramento chiese di essere impiegato come guerrigliero in prima linea, ma al contrario Osama lo scelse per arruolarlo tra le proprie guardie personali.

Abu Jandal ebbe così occasione di vivere per anni costantemente con bin Laden e di conoscere alcuni aspetti poco noti della personalità di Osama, come il fatto che fosse un uomo di poche parole e non altezzoso, che mangiava e viveva con i propri miliziani rivelandosi anche molto disponibile ad ascoltarli. Abu Jandal riporta anche alcune abitudini alimentari di Osama, come la sua predilezione per i datteri e le omelette, e anche quelle legate all’abbigliamento, come il fatto che indossasse sempre le tradizionali tuniche afghane e solo di rado le divise mimetiche; inoltre al-Bahri non vide mai Osama a capo scoperto, nemmeno quando giocava a calcio o a pallavolo. Osama era inoltre, secondo al-Bahri, un padre e un marito amorevole che aveva a cuore il benessere della propria famiglia e l’educazione dei figli.

Abu Jandal racconta anche come funzionavano le comunicazioni via radio tra le diverse sedi di al-Qaeda in Afghanistan, come era fatto lo studio personale di Osama, come funzionavano i campi di addestramento e quali fossero gli armamenti di cui al-Qaeda era in possesso. L’autore dedica anche un’ampia sezione alla descrizione di come venivano organizzati i grandi attentati, come quelli contro le ambasciate americane in Africa, e di quale fosse il ruolo di ciascuno dei vertici in queste fasi.

Al-Bahri era tra le guardie di bin Laden da un mese quando il 7 agosto del 1998 furono bombardate le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania; Osama si trovava a Kandahar, in una casa vicino a quella del Mullah Omar, durante gli attentati e nei giorni seguenti avrebbe dovuto spostarsi a Khost per un incontro con i vertici di al-Qaeda, ma venne informato da una spia che le forze USA avrebbero bombardato la sede di Khost proprio nel giorno dell’incontro e quindi Osama decise di spostarsi invece a Kabul, sfuggendo così all'attacco.

Durante il periodo di permanenza di al-Bahri con bin Laden il leader di al-Qaeda subì numerosi tentativi di uccisione. Secondo il racconto di al-Bahri, il più significativo si svolse il giorno seguente il quarto matrimonio di Osama, quando questi stava guidando la propria auto all'interno di un convoglio verso Kandahar, mentre la sposa viaggiava su un altro mezzo. Il gruppo era circondato da motociclette di protezione ed era preceduto da un altro autoveicolo guidato dallo stesso al-Bahri. Il convoglio fu attaccato da quattro motociclisti intenzionati a schiantarsi conto il mezzo guidato da bin Laden. Probabilmente gli attentatori avevano su di sé degli esplosivi che sarebbero serviti ad uccidere il terrorista saudita. Le guardie di Osama riuscirono a mettere in fuga i quattro motociclisti evitando così che il leader di al-Qaeda venisse colpito.

Nonostante le apparenze i rapporti tra Osama bin Laden e i Talebani non erano buoni, a cominciare dal fatto che Osama non parlava correntemente il pashtu e Omar non parlava bene l’arabo classico, per cui i due dovevano relazionarsi con l’aiuto di un interprete. Oltre a questo bin Laden riteneva che i Talebani fossero troppo influenzati dal marxismo e dal comunismo e che a breve si sarebbero alleati con la Russia. I rapporti erano talmente tesi che al-Qaeda aveva un piano di evacuazione per spostarsi in Somalia nel caso in cui la situazione fosse precipitata. Le relazioni tra i due leader migliorarono dopo che il 25 agosto del 1999 la residenza del Mullah Omar a Kandahar fu attaccata da un’autobomba: bin Laden corse subito a verificare lo stato di salute di Omar e inviò alcune sue guardie, che si trovavano poco lontano, ad aiutare i feriti.


Al-Bahri (foto sopra) abbandonò al-Qaeda poco prima dell'attentato contro la nave statunitense USS Cole, dopo che bin Laden lo mandò in missione di reclutamento in Yemen ma al suo ritorno non fu soddisfatto dell’operato di al-Bahri. Questi rivela quindi di aver saputo, ma non spiega come, che i perpetratori dell’attacco alla nave da guerra americana sbagliarono obiettivo rispetto alle indicazioni di bin Laden perché il leader di al-Qaeda aveva chiesto di colpire una nave in acque internazionali e non yemenite.

Dopo aver lasciato al-Qaeda al-Bahri scappò proprio in Yemen, dove venne braccato dalla polizia e arrestato nel febbraio del 2001 per poi essere interrogato dall’agenzia di intelligence nazionale.

Quando avvennero gli attentati dell’11/9 al-Bahri aveva già lasciato al-Qaeda da tempo, ma comunque riporta alcune informazioni su quanto avvenuto in precedenza e su quanto poi seppe da altre fonti (che non specifica). Bin Laden già dal 1999 parlava di un evento che avrebbe sconvolto il mondo e quando la data si avvicinò disse che l'evento si sarebbe verificato sul suolo americano nel settembre del 2001 ma non ne conosceva esattamente la data; al-Bahri aggiunge a tal proposito di non sapere perché Osama ignorasse la data precisa. Nell'agosto del 2001 bin Laden alzò il livello di allerta del campo di addestramento di Kandahar e l’11 di settembre si rifugiò in una casa nella medesima città, tenendo però la propria famiglia lontana da sé.

Appena i Talebani vennero a conoscenza degli attentati convocarono Osama per accordarsi su come prepararsi alla ritorsione americana che sarebbe da lì a poco avvenuta e insieme decisero di evacuare i campi di addestramento, sia quelli dei Talebani che quelli di al-Qaeda. Nei primi giorni di ottobre del 2001 Osama spostò la propria famiglia dalla regione di Kandahar a quella di Khost e non volle nessuno dei suoi famigliari durante i suoi spostamenti successivi. Al-Bahri sostiene che un numero così alto di vittime non era nei piani di Osama e di conseguenza la forza della reazione americana superò le sue aspettative.

Al-Bhari dedica poi un capitolo ai dirottatori dell’11/9 che conobbe personalmente in Afghanistan, cioè i quattro della cellula di Amburgo, di cui condusse l’addestramento, al-Midhar e Moussaoui (che poi non trovò posto tra i diciannove che condussero gli attentati). Di tutti loro dice di ricordarli come uomini intelligenti e volenterosi.

Il giorno degli attentati al-Bahri era detenuto in Yemen, dove rimase recluso fino al 2002 per poi uscire e partecipare al programma yemenita di recupero per jihadisti che l’autore critica per la sua superficialità. Al-Bahri chiude il volume con una riflessione personale sul fatto che al momento dell’uscita del libro, nel 2010, non sapeva se Osama fosse ancora vivo o no ma riteneva che probabilmente si nascondesse vicino al confine tra Pakistan e Afghanistan: un solo anno dopo la sua previsione si rivelò notevolmente sbagliata perché Abbottabad si trova piuttosto vicino al confine indiano.

Prima di scrivere il testo in questione al-Bahri rilasciò anche un’interessante intervista al Toronto Star nel 2009. Al-Bahri non potrà però rivelare altri dettagli su al-Qaeda e sul suo fondatore, in quanto è morto in Yemen il 26 dicembre del 2015.

2016/05/03

Le 28 pagine mancanti del Joint Inquiry

di Hammer

Nelle ultime settimane ha ripreso una notevole rilevanza mediatica la richiesta di desecretare le 28 pagine mancanti del Joint Inquiry into Intelligence Community Activities before and after the Terrorist Attacks of September 11, 2001, comunemente noto come Joint Inquiry, che secondo diverse fonti conterrebbero informazioni relative al presunto coinvolgimento saudita nel finanziamento degli attentati dell’11/9.

L'ex senatore e governatore della Florida Bob Graham recentemente è apparso recentemente in varie trasmissioni televisive allo scopo di risollevare l'interesse verso le sezioni mancanti del documento e al contempo aumentare la pressione mediatica verso il Congresso affinché il contenuto di queste venga desecretato. Graham è stato infatti ospite della puntata del celebre programma 60 Minutes della CBS lo scorso 10 aprile e il giorno seguente del programma The Kelly File di Fox News Channel.

Riguardo a questo testo non ancora pubblicato esiste anche un sito Internet denominato 28pages, creato dallo scrittore freelance Brian McGlinchey allo scopo di chiederne la pubblicazione.


Anzitutto occorre ribadire, come già scritto su Undicisettembre fin dal 2014, che anche altre parti del Joint Inquiry sono ancora secretate e quindi il testo non pubblicamente disponibile ammonta a molto più di 28 pagine.

Inoltre, contrariamente a quanto riportato da molti media, tra cui anche Fox News, le pagine mancanti non appartengono al 9/11 Commission Report, ma appunto al Joint Inquiry, che è l'indagine governativa, riassunta in un documento di quasi 900 pagine redatto e pubblicato nel 2002, che aveva lo scopo di evidenziare gli errori di intelligence che hanno consentito ai terroristi di condurre gli attentati; si tratta quindi di un pezzo di un rapporto già edito e non di un documento nuovo, come invece descritto da La Repubblica.

Nel 2003 Bandar bin Sultan, ambasciatore saudita negli stati Uniti, si espresse positivamente sulla possibilità che il testo mancante venisse pubblicato e anzi sembrò unirsi alla pressione di chi voleva che questo venisse desecretato. Disse infatti a tal proposito: “Saudi Arabia has nothing to hide. We can deal with questions in public, but we cannot respond to blank pages” (“L'Arabia Saudita non ha nulla da nascondere. Possiamo affrontare le questioni in pubblico, ma non possiamo rispondere a delle pagine bianche.”)

Ma a seguito delle nuove pressioni mediatiche di Bob Graham l’Arabia Saudita sembra aver cambiato parere: infatti, secondo quanto riportato da numerose testate, la prima delle quali è il New York Times, la monarchia saudita sta minacciando gli USA di sanzioni economiche nel caso in cui passasse un disegno di legge che consentirebbe di citare in giudizio governi esteri per gli attentati dell'11/9 ed altri attacchi terroristici.