2016/10/24

La presunta detenzione in Israele di Mohamed Atta

di Hammer

Nei giorni successivi all’11/9 si diffuse su alcuni media la notizia secondo cui Mohamed Atta sarebbe stato un terrorista già noto da tempo alle autorità americane e israeliane in quanto reo di un attentato contro un autobus in Cisgiordania nel 1986. Ne diedero notizia, tra gli altri, il Boston Globe il 13 settembre 2001 e il San Francisco Chronicle il 16 settembre 2001. Secondo quanto riportato sarebbe quindi incomprensibile come un noto terrorista possa essere entrato negli USA, averci vissuto liberamente e aver preso un aereo di linea.

L'attentato a cui tali articoli fanno riferimento fu perpetrato il 12 aprile del 1986 da un uomo di 33 anni chiamato Mahmoud Mahmoud Atta, che lanciò una bomba contro un autobus della compagnia israeliana Egged e poi, insieme a un complice chiamato Salah Hariz, sparò contro il mezzo con degli Uzi dopo che l'autobus si era fermato. Nell'attentato l'autista perse la vita e tre passeggeri rimasero gravemente feriti.

Secondo quanto riportato dal volume The Terrorist List: The Middle East di Edward F. Mickolus, Atta, nato in Giordania ma in possesso anche di cittadinanza statunitense, fu catturato in Venezuela nel maggio del 1987 e trasferito negli USA, dove fu arrestato dall'FBI, quindi fu estradato nel 1990 dagli USA verso Israele, dove fu condannato all'ergastolo.

In realtà il Mohamed Atta che pilotò il volò American Airlines 11 contro la Torre Nord del World Trade Center non ha alcun legame con Mahmoud Mahmoud Atta: si tratta solo di un caso di quasi omonimia, che in seguito all'11/9 generò confusione. La smentita che si trattasse della stessa persona fu pubblicata da varie testate, tra cui il Jerusalem Post il 7 novembre del 2001. Il Post specificò che tra i due Atta c'era un notevole differenza di età, che Mahmoud Mahmoud Atta era nativo della Palestina (e non della Giordania come riportato dal libro di Mickolus) mentre il dirottatore era egiziano, che l’uomo fu liberato dopo la condanna dalla Corte Suprema per irregolarità del processo di estradizione, e in ultimo che non era noto dove l'Atta che attaccò l'autobus si trovasse nel 2001 e se fosse ancora vivo. Anche il Boston Globe pubblicò il 19 settembre del 2001 la smentita del fatto che i due Atta fossero la stessa persona. Inoltre dell'arresto di Mahmoud Mahmoud Atta a New York esiste una foto del celebre fotografo Allan Tannenbaum, da cui si vede chiaramente che l'uomo è ben diverso dal dirottatore Mohamed Atta.

Un equivoco di questo tipo, e se ne verificarono molti altri durante l'identificazione dei 19 dirottatori dell’11/9, dimostra anche a chi sostiene che questi siano ancora vivi che in realtà le omonimie esistono e a volte possono portare a errori clamorosi, e che talvolta si verificano anche coincidenze all'apparenza improbabili, come il fatto che due omonimi possano essere entrambi terroristi.

2016/10/03

Getting bin Laden, il primo racconto della missione che uccise Osama

di Hammer

Prima della pubblicazione del libro No Easy Day di Matt Bissonnette (con lo pseudonimo di Marc Owen) e prima che Rob O'Neill raccontasse la propria versione dei fatti a The Esquire (celandosi dietro al nome The Shooter), fu pubblicato un primo e meno noto racconto della missione che uccise Osama bin Laden. L'8 agosto del 2011, a soli tre mesi dal raid di Abbottabad, il giornalista Nicholas Schmidle pubblicò sul New Yorker un lungo articolo intitolato Getting bin Laden, in cui descrisse in modo molto dettagliato come la missione era stata compiuta. L’articolo fu pubblicato anche prima del contestato volume SEAL Target Geronimo di Chuck Pfarrer, le cui lacune ed evidenti imprecisioni sono state evidenziate sia dall'American Thinker sia dal giornalista della CNN Peter Bergen.

Schmidle inizia la propria ricostruzione dal 2009, anno dell’insediamento di Barack Obama, che volle spingere di nuovo sulla ricerca del terrorista saudita dopo che la pista si era raffreddata sotto la presidenza di George W. Bush. L'anno seguente la CIA individuò uno dei corrieri di Osama che si spostava frequentemente verso un compound di Abbottabad i cui abitanti bruciavano i rifiuti all'interno delle mura anziché depositarli per la raccolta; inoltre all'interno della struttura abitava un uomo che non usciva mai dal recinto esterno. Dopo essere giunti, con un'azione di intelligence, alla ragionevole certezza che l'uomo che non usciva era proprio Osama bin Laden, Obama chiese alla CIA di predisporre alcuni piani per un raid nel compound.

Una delle prime ipotesi considerate fu di scavare un tunnel ed entrare da sottoterra, ma fu scartata perché il compound sorgeva su un bacino di ritenzione. Gli scenari proposti a Obama prevedevano quindi un bombardamento aereo o un raid con elicotteri. Il Presidente scelse la seconda opzione e incaricò l'ammiraglio McRaven di definirne i dettagli.

Vennero scelti per l'operazione 23 uomini del Red Squadron del SEAL Team 6; il gruppo condusse una settimana di esercitazioni nel North Carolina dal 10 aprile e una seconda settimana in Nevada a partire dal 18 aprile. Il piano prevedeva di trasportare gli uomini con due elicotteri Black Hawk, il primo dei quali avrebbe fatto scendere i 12 SEAL che trasportava al suolo vicino al compound, mentre il secondo elicottero avrebbe fatto scendere quattro SEAL, insieme al traduttore (che l'autore cela sotto lo pseudonimo di Ahmed), all'angolo nord orientale del compound affinché controllassero il perimetro per poi portare i restanti sette militari sul tetto della struttura. Il team partì il 26 aprile dagli Stati Uniti per arrivare dopo alcuni scali a Jalalabad due giorni dopo.

La notte tra l'1 e il 2 maggio del 2011 la missione non iniziò come previsto e i primi problemi si verificarono appena giunti al compound. Il primo elicottero, infatti, perse il controllo e atterrò in una situazione di emergenza, riportando gravi danni. Il pilota fece schiantare intenzionalmente il velivolo di muso in un recinto per animali all'interno delle mura esterne del compound per evitare che l’elicottero si rovesciasse su un lato. Non sapendo cosa fosse successo al primo Black Hawk, anche il secondo cambiò i propri piani e abbandonò l'idea di far scendere alcuni uomini sul tetto, atterrando invece sul terreno all'esterno delle mura.

Nonostante l'avvio problematico, il gruppo decise di continuare la missione; Schmidle descrive dettagliatamente i movimenti di ciascun gruppo di SEAL all'interno del complesso e dell'edificio fino a quando tre dei militari salirono al piano superiore, dove colpirono a morte il fondatore di al-Qaeda. I SEAL annunciarono quindi via radio al Presidente di aver ucciso "Geronimo", come era chiamato in codice il terrorista saudita.

Prima di riportare il cadavere in Afghanistan, i militari dovettero distruggere i resti dell'elicottero danneggiato: dapprima con mani e martelli e poi con dell'esplosivo. Un Chinook arrivò a prelevare il corpo di bin Laden e venne usato anche per trasportare alcuni SEAL in sostituzione dell'elicottero andato distrutto. Dal cadavere vennero estratti campioni di midollo osseo che furono trasportati sul Black Hawk in modo che viaggiasse su un mezzo diverso rispetto al corpo. Il cadavere fu quindi portato a Jalalabad, dove per verificare che l'altezza corrispondesse a quella stimata fu fatto sdraiare un SEAL di un metro e ottanta accanto al corpo del terrorista morto in modo da valutarne la differenza.

Il corpo di Osama fu quindi lavato, avvolto in una veste bianca e deposto nell'Oceano Indiano. La morte di bin Laden fu un grande successo politico e militare per la Casa Bianca e pochi giorni dopo anche al-Qaeda confermò il decesso del proprio leader.

Nonostante sia molto ricco di dettagli che si sono nel tempo rivelati corretti, l'articolo di Schimdle fu criticato dal giornalista Craig Silverman e da Adam Clark Estes, che contestarono che Schimdle non ebbe accesso ai racconti diretti dei militari che compirono la missione per scrivere il proprio pezzo. Tuttavia sia Schindle sia l'editore David Remnick ribatterono che l'autore aveva consultato fonti vicine al commando che aveva condotto le operazioni e che le informazioni riportate erano state adeguatamente verificate, nonostante effettivamente l'autore non citi le proprie fonti. Del resto, il lungo articolo di Schindle è citato come fonte anche dai migliori libri sulla missione che uccise Osama bin Laden, quali Manhunt di Peter Bergen e The Finish di Marc Bowden, e tuttora costituisce una delle migliori e più ricche fonti di informazioni per conoscere quanto accaduto quella notte ad Abbottabad.