2015/06/29

The Black Banners di Ali H. Soufan

di Hammer

Nel 2011 l'ex agente dell'FBI Ali Soufan ha pubblicato il libro The Black Banners: Inside the hunt for al-Qaeda, in cui racconta la propria esperienza nella lotta all'organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden.

Il testo del volume è preceduto da una nota che spiega come prima della pubblicazione l'autore abbia sottoposto il testo all'FBI, che lo approvato senza modifiche ma che lo ha a sua volta sottoposto all'approvazione della CIA che ha imposto che alcune parti venissero censurate. Infatti in alcune sezioni, a volte molto ampie, il testo è censurato. Va tuttavia detto che molte delle censure sono assolutamente sciocche, perché si capisce benissimo dalle parole circostanti e dal numero di caratteri cancellati quali siano le parole oscurate (come si vede dall'immagine sopra).

Il libro si apre con una sezione autobiografica in cui l'autore racconta la propria vita, dai primi anni trascorsi in Libano, suo paese natale, al trasferimento negli USA e all'ingresso nell'FBI. Parallelamente racconta la storia di al Qaeda, dalla fondazione fino agli attentati alle ambasciate in Africa del 1998. Da questa data in avanti l'autore prosegue il racconto intrecciandolo a quello delle indagini svolte dall'FBI per arrivare ai vertici dell'organizzazione terroristica tra mille difficoltà di coordinamento con altri enti e dipartimenti statali americani e agenzie investigative sia in Europa sia nei paesi Arabi.

L'autore lamenta per esempio che i bombardamenti in Sudan e Afghanistan del 1998 in risposta agli attentati contro le ambasciate in Kenya e Tanzania non erano stati concordati con l'FBI e che agenti infiltrati erano presenti nelle zone attaccate; per fortuna nessuno di loro rimase ucciso. Tra i paesi esteri citati da Soufan c'è anche l'Italia, dove l'FBI dovette collaborare con la DIGOS nell'identificare un presunto terrorista legato ad al Qaeda che abitava a Torino, ma nessuno degli agenti italiani parlava inglese e nessuno degli americani parlava italiano: la comunicazione si svolse quindi con l'aiuto di un'interprete di arabo che traduceva per Soufan che a sua volta traduceva in inglese.

Nonostante gli scoordinamenti con altri enti, nel 1999 l'FBI riuscì comunque insieme all'intelligence della Giordania a sventare la serie di attacchi prevista per il capodanno del 2000 comunemente denominata Millennium Plot, che prevedeva una serie di attacchi contro obiettivi giordani e americani.

L'autore dedica poi un'ampia sezione del volume alle indagini sull'attacco kamikaze contro la USS Cole nel 2000 e racconta in particolare le difficoltà nel lavorare con le autorità yemenite. Da subito infatti queste si dimostrarono poco collaborative, installando cimici nelle stanze dove si riunivano gli americani e in secondo luogo vollero negare che si trattasse di un attentato, imputando il danno a un'incidente. Messi di fronte all'evidenza, provarono a incolparne il Mossad. In ultimo riconobbero che si trattò di un atto di terrorismo ma sostennero che non fosse necessaria un'indagine perché gli unici perpetratori erano morti nell'attacco. L'autore racconta di come, tra mille difficoltà dovute principalmente all'ostilità e alla disorganizzazione della autorità yemenite, l'FBI abbia comunque individuato i mandanti dell'attentato.

L'11/9 l'autore si trovava ancora in Yemen per l'indagine e dovette tornare in USA in pochi giorni, in quanto lo Yemen era ritenuto luogo insicuro. Appena tornato in America l'autore constatò che l'attentato avrebbe potuto essere sventato o attenuato se le informazioni relative ai membri di al Qaeda che venivano al tempo seguiti fossero state scambiate correttamente tra CIA ed FBI. In seguito Soufan fu ascoltato dalla Commissione 9/11 e riportò loro le stesse considerazioni.

Pochi giorni dopo Soufan fece ritorno in Yemen per partecipare all'interrogatorio della guardia di bin Laden Abu Jandal, il quale confermò che l'attentato fu opera di al Qaeda in quanto riconobbe i dirottatori come membri di al Qaeda.

Nel 2002 in Pakistan fu catturato il terrorista Abu Zubayda, che fu poi interrogato dopo essere stato trasferito negli USA. In questa occasione Soufan dovette scontrarsi con l'agente della CIA Boris, di cui omette il cognome, che sottopose l'interrogato a tortura. Soufan sottolinea che i terroristi di norma resistono alla tortura perché sono psicologicamente pronti a soffrire e anche ad affrontare la morte. Quando Zubayda fu passato all'FBI per essere interrogato, Soufan lo interrogò con metodi miti che sorpresero il terrorista e lo misero in condizione di collaborare. L'autore insiste molto sull'inutilità delle tecniche di tortura messe in atto dalla CIA, aggiungendo che le informazioni ottenute dalla tortura non sono attendibili perché questa spinge il detenuto a inventare informazioni per compiacere l'interrogatore.

Soufan passa quindi a occuparsi dei detenuti a Guantanamo, dicendo che il primo problema fu quello di distinguere i terroristi (Talebani o membri di al Qaeda) dagli innocenti arrestati per sbaglio; questo avvenne perché i terroristi sono noti con i loro nomi di battaglia, mentre sui documenti sono riportati quelli veri. Anche in questo caso sottolinea che i metodi di tortura applicati dalla CIA non sono efficaci, oltre ad essere inumani. L'FBI trattò i detenuti con moderazione, consentendo loro telefonate a casa e portando loro cibo gradito; questo trattamento spinse i terroristi ad essere più collaborativi e a dare informazioni utili. Alcuni di loro rivelarono anche che dopo l'11/9 non si aspettavano l'attacco militare americano in Afghanistan perché bin Laden aveva sostenuto che gli USA fossero una nazione debole che sarebbe arretrata davanti a un attacco terroristico.

Vista l'inimicizia creatasi con la CIA, una volta tornato negli USA la stessa CIA gli impedì di partecipare ad alcuni interrogatori di terroristi a Washington. E, aggiunge l'autore, nonostante l'FBI abbia raggiunto più risultati, la CIA si è arrogata maggiori successi in questo senso sulla stampa.

L'autore chiude il volume raccontando di un attentato al teatro di Doha nel 2005 compiuto da parte di un terrorista suicida che l'FBI inseguiva dagli attentati alle ambasciate del '98; l'autore espresse la propria delusione al proprio capo, Pat D'Amuro, trovandolo già dimissionario. D'Amuro convinse Soufan a seguirlo nella nuova occupazione e Soufan lasciò l'FBI non prima di aver concluso la sua ultima missione sotto copertura nel Bronx, in cui individuò due affiliati di al Qaeda, che vennero arrestati.

In conclusione l'autore constata che Osama bin Laden è stato ucciso proprio nel 2011 e si chiede perché ci sia voluto così tanto tempo, visto che il corriere di al Qaeda che fu seguito per trovare il compound in cui si nascondeva il terrorista era noto già da almeno 9 anni agli investigatori.

Essendo l'autore un ex agente dell'FBI è chiaro che deve essere riconosciuto un minimo di parzialità nel suo testo; sicuramente non tutte le ragioni stanno dalla parte dell'FBI e tutti i torti altrove, come sembra emergere dal libro, ma ciò nonostante questo volume spiega che i rapporti tra le diverse agenzie non sono sempre idilliaci e da questo si evince perché l'intelligence sia spesso più difficile di quanto possa sembrare dall'esterno.

2 commenti:

Petitfrere ha detto...

Vorrei segnalare quello che penso sia un piccolo refuso: nella frase "all'interrogatorio della guardia di bin Lande", immagino debba essere Bin Laden.

Per il resto, articolo interessante, come sempre :)

Leonardo Salvaggio ha detto...

Grazie della correzione, Petrifree.