2009/04/29

Si dimette il redattore capo della rivista scientifica che ha pubblicato l'articolo pro-complottismo: "Rivista pessima"

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

English abstract: According to Danish science news site Videnskab.dk, a controversial article claiming that World Trade Center dust samples contained "active thermitic material" was published in the Open Chemical Physics Journal without the knowledge or approval of the editor in chief, Marie-Paule Pileni. The editor in chief has resigned over the incident. Says Pileni: “I cannot accept that this topic is published in my journal. The article has nothing to do with physical chemistry or chemical physics, and I could well believe that there is a political viewpoint behind its publication. If anyone had asked me, I would say that the article should never have been published in this journal. Period.”




Altro che peer review: l'editor in chief (redattore capo) non aveva neanche letto l'articolo dell'Open Chemical Physics Journal che sostiene di avere prove scientifiche della presenza di "materiale termitico attivo" nei resti delle Torri Gemelle, fornendo un'apparente supporto scientifico alle tesi di demolizione controllata.

Lo segnala il portale di notizie scientifiche danese Videnskab, che ha annunciato le dimissioni del redattore capo in questione, la professoressa Marie-Paule Pileni della Université Pierre et Marie Curie in Francia, specializzata in nanomateriali. La Pileni non era stata informata della pubblicazione dell'articolo e ha trovato la cosa inaccettabile. Da qui le sue dimissioni. E non sono le uniche: anche un altro membro della redazione della rivista si è dimesso perché gli veniva chiesto di valutare articoli al di fuori della sua sfera di competenza.

L'episodio conferma quanto già segnalato da Undicisettembre a suo tempo: l'Open Chemical Physics Journal è una rivista che di scientifico ha ben poco, dato che il controllo di qualità sugli articoli è sostanzialmente inesistente.

Dalle parole della professoressa dimissionaria emerge chiaramente che il "peer review" (controllo da parte di revisori indipendenti, di norma anonimi), che doveva conferire l'agognato crisma di serietà all'articolo pro-nanotermite e fornire ai cospirazionisti la patente di scientificità, non c'è stato.

Qui sotto trovate una prima traduzione dell'articolo di Videnskab dal danese. Chi conoscesse meglio questa lingua è pregato di segnalare errori o imprecisioni.


Redattore capo si dimette dopo articolo controverso sull'11/9



28 aprile 2009 - Un articolo sulla presenza di esplosivi nel World Trade Center è stato pubblicato in una rivista scientifica senza che il redattore capo lo sapesse. Ora il redattore capo si è dimesso, come racconta a Videnskab.dk.

di Thomas Hoffman (th@videnskab.dk)

Ha destato molta attenzione, grande sorpresa e sospetto la pubblicazione ad aprile, da parte dell'Open Chemical Physics Journal, di un articolo scientifico che parlava di resti di nanotermite trovati in grandi quantità nella polvere del WTC.

Una delle persone più sorprese è stata, a quanto pare, il redattore capo della rivista, la professoressa Marie-Paule Pileni, che ha sentito per la prima volta dell'articolo quando Videnskab.dk le ha scritto per chiederle una valutazione professionale del contenuto dell'articolo. La mail l'ha spinta a chiudere subito la porta in faccia alla rivista.

"Mi dimetto dal ruolo di redattore capo" è stata la brusca risposta via mail a Videnskab.dk.

Stampato senza permesso – Una telefonata rivela che il redattore capo Marie-Paule Pileni non era mai stata informata che l'articolo sarebbe stato pubblicato nell'Open Chemical Physics Journal, edito dal colosso di settore Bentham Science Publishers.

“Hanno mandato in stampa l'articolo senza il mio permesso, per cui quando mi avete scritto non sapevo che era stato pubblicato. Non lo posso accettare e quindi ho scritto alla Bentham che mi dimetto da ogni attività con loro", spiega Marie Paule Pileni, professoressa con specializzazione in nanomateriali presso la stimata Université Pierre et Marie Curie in Francia.

Si sente non solo colpita alle spalle, ma perplessa all'idea che l'articolo sull'analisi della polvere dopo l'attacco terroristico agli Stati Uniti l'11 settembre 2001 sia finito nell'Open Chemical Physics Journal.

“Non posso accettare che quest'argomento sia pubblicato nella mia rivista. L'articolo non ha niente a che fare con la chimica fisica o la fisica chimica, e non faccio fatica a credere che ci sia una visione politica dietro la sua pubblicazione. Se qualcuno me l'avesse chiesto, avrei detto che l'articolo non avrebbe mai dovuto essere pubblicato in questa rivista. Punto e basta" ha concluso l'ex redattore capo.

Voto d'insufficienza alla rivista – Il drammatico abbandono dell'editor in chief fornisce ai critici ulteriori motivi di dubitare delle conclusioni dell'articolo, ma Marie-Paule Pileni sottolinea che lei non può giudicare se l'articolo in sé sia valido o meno perché è al di fuori del suo campo di competenza. Cionondimeno, la pubblicazione la spinge a dare un voto insufficiente all'Open Chemical Physics Journal.

“Avevo in effetti dei dubbi sulla rivista anche prima, perché avevo chiesto più volte informazioni su di essa senza ricevere risposta. Non compare nell'elenco delle riviste internazionali, e questo è un brutto segno. Ora vedo che è perché si tratta di una pessima rivista", dice Marie-Paule Pileni, e prosegue: "Non ci sono citazioni dell'Open Chemical Physics Journal in altri articoli. Ho due colleghi che hanno contribuito alla pubblicazione di un articolo: neanche quello è stato citato altrove. Se non la legge nessuno, è una cattiva rivista e non serve a nulla". Questo è il suo secco verdetto.

La professoressa ci informa che alcuni anni fa fu invitata a svolgere il ruolo di editor in chief di una rivista che avrebbe aperto nuove possibilità a nuovi ricercatori, e poiché lei è favorevole all'idea delle riviste open access, in cui gli articoli sono accessibili a chiunque, disse "Sì, grazie".

“E' importante permettere alle persone di tentare di ottenere il successo, ma non deve essere permesso fare di tutto, e tutto questo è certamente un sacco di sciocchezze senza senso. Cerco di essere una ricercatrice seria e non voglio che il mio nome sia legato a questo genere di cose" conclude Marie-Paule Pileni.

Non altera l'indagine – La decisione del redattore capo è vista con rammarico dal chimico danese Niels Harrit, che è uno degli autori dell'articolo controverso riguardante la nanotermite nella polvere del WTC.

“Mi sorprende, ovviamente, ed è un peccato se questo scredita il nostro lavoro. Ma le sue dimissioni non alterano le nostre conclusioni, perché lei è adirata per una questione puramente amministrativa. Credo comunque che abbiamo fatto della fisica chimica, e se c'è qualcosa che non va nel nostro studio, lei è libera di criticarci" dice Niels Harrit, professore associato all'Istituto di Chimica dell'Università di Copenhagen.

Dato che Steven Jones, uno dei coautori di Niels Harrit, era responsabile dei contatti con la Bentham, il ricercatore danese non è al momento informato su chi sia l'assistente redattore responsabile con il quale il gruppo ha rapporti.

Tuttavia conosce i nomi dei due ricercatori, i cosiddetti referee, che hanno esaminato l'articolo, ma non intende rivelarne i nomi perché "in linea di principio sono anonimi".

Danese si ritira dalla rivistaNils O. Andersen, il superiore di Niels Harrit all'Università di Copenhagen, aveva fatto parte del pool di ricercatori che potevano essere selezionati come editor (redattori) per un articolo di prossima pubblicazione nell'Open Chemical Physics Journal. Di recente ha deciso di dimettersi dall'Editorial Advisory Board della rivista.

Andersen ha informato Videnskab.dk che la sua decisione non ha a che fare con l'articolo di Niels Harrit e che non ha avuto esperienze con la rivista, per cui non può fare ulteriore chiarezza sul modo di operare della pubblicazione.

"L'open access è uno sviluppo interessante, e in linea di principio l'idea va messa alla prova, perché non c'è motivo che gli editori commerciali guadagnino sul nostro lavoro. Ma professionalmente parlando, la rivista era ai limiti della mia competenza, e dato che avevo già detto di no all'invito di essere editor di due articoli, ho deciso che non avrei investito ulteriormente il mio tempo" spiega Nils O. Andersen, preside della facoltà di Scienze Naturali ed editor dell'European Physical Journal D.

Non è stato finora possibile ottenere un commento dalla Bentham Science Publishers.



Per chiarire l'importanza delle dimissioni dell'editor in chief è utile questo commento inviatomi da un lettore, Ezio Bonsignore, redattore capo della rivista Military Technology, citato con il suo permesso. Bonsignore segnala che il redattore capo, ossia l'editor in chief, è la persona responsabile del contenuto editoriale.

"Nel mondo editoriale europeo e americano" nota "non esiste una figura come quella del direttore responsabile italiano, che è in tutti i versi il 'Numero 1' con un redattore capo che fa un po' il comandante in seconda. Esistono invece un 'publisher' (editore) che risponde alla proprietà dei risultati economici della pubblicazione, e un 'editor-in-chief' che ha la responsabilità legale del contenuto. Pubblicare un articolo senza che l'editor-in-chief lo veda è una cosa gravissima, e se mai dovesse capitarmi non solo darei immediatamente le dimissioni, ma (se me ne accorgessi in tempo) farei anche bloccare tutte le copie in tipografia (almeno qui in Germania posso farlo)."

2009/04/26

Cosa non ci s'inventa per drammatizzare una notizia: le immagini "inedite" dell'11 settembre

di Paolo Attivissimo

"Inedite"
e "declassificate solo di recente". Così le presenta Il Sole 24 Ore, come se ci fosse bisogno di renderle ancora più drammatiche: sono le immagini terribili degli attentati dell'11 settembre 2001. Sarebbero addirittura state "presumibilmente scattate dai servizi di sicurezza".



La galleria di foto proposta è impressionante, ma non è affatto "inedita" o "declassificata solo di recente": si tratta di immagini già disponibili sin dal 2002 nel libro Above Hallowed Ground e scattate dalle forze di polizia che sorvolavano la zona in elicottero. Sarebbe bastato provare a controllare tramite Tineye.com se le immagini in questione erano già presenti online: per esempio, questa era già stata pubblicata online l'11 settembre 2007 qui.

2009/04/16

United 93: una FOIA di troppo

di John - www.Crono911.org

Negli ultimi mesi una marea imponente di documenti relativi ai fatti dell'11 settembre è stata oggetto di diffusione al pubblico, grazie a una serie di FOIA (richieste di accesso agli atti secondo le procedure americane) avanzate da numerosi ricercatori, in qualche caso anche appartenenti alle correnti di pensiero "complottiste".

In particolare, spiccano la desegretazione degli atti dell'indagine PENTTBOM dell'FBI (cui hanno lavorato migliaia di agenti) avviata subito dopo la tragedia, e quella degli atti riservati della Commissione Indipendente sui fatti dell'11 settembre.

Nel corso di prossimi articoli analizzeremo almeno i più salienti tra questi documenti; oggi invece vogliamo parlare della registrazione audio memorizzata sul Cockpit Voice Recorder (CVR) dello United 93, recuperato tra i rottami del velivolo a Shanksville, che vediamo nella foto in apertura, e di quella delle comunicazioni radio con il Controllo del Traffico Aereo (ATC).

Ancora oggi la prima registrazione è mantenuta segreta: solo i familiari delle vittime di quel volo hanno avuto la possibilità di ascoltarla, mentre al pubblico e ai giornalisti è stata rilasciata una semplice trascrizione scritta, peraltro parziale.

Il motivo è semplice: su di essa è inciso l'audio dal momento in cui i dirottatori fecero irruzione nella cabina di pilotaggio e uccisero i piloti fino al momento in cui i passeggeri assaltarono i dirottatori nel tentativo di riprendere il controllo del velivolo. Le autorità hanno ritenuto che non fosse il caso – per rispetto delle vittime e dei loro familiari – di diffondere tale contenuto.

La registrazione delle comunicazioni radio dell'ATC è stata invece divulgata in tempi più o meno recenti ma solo in forma parziale: i piloti lasciarono aperta la linea di comunicazione radio, per cui di fatto nella prima parte della registrazione ATC sono memorizzate parte delle voci registrate dal CVR.

Alcune settimane or sono il file audio integrale delle comunicazioni ATC è stato ottenuto senza molti clamori da John Farmer del sito AAL77.com, che sta compiendo una imponente opera di acquisizione documentale, e quella parte iniziale è stata resa disponibile e l'abbiamo ascoltata.

L'ascolto ci ha consentito di capire il motivo per cui quella registrazione è stata tenuta segreta nel corso di questi 8 anni, e ci lascia estremamente sconcertati che infine sia stata rilasciata. All'inizio del file audio, le comunicazioni di routine vengono interrotte per due volte dalle grida provenienti dalla cabina di pilotaggio dello United 93. Grida disperate dei piloti che venivano uccisi, probabilmente sgozzati. L'ultima parte del file audio permette di ascoltare uno dei dirottatori che annuncia ai passeggeri che a bordo dell'aereo c'è una bomba, lo stesso stratagemma utilizzato negli altri voli per tenerli buoni e seduti.

Ormai il file è pubblico, si trova persino su Youtube, per cui ha poco senso nasconderlo. Può essere scaricato dalla pagina delle fonti di Crono911, al numero 258.

Al numero 259 si può scaricare il file delle comunicazioni ATC nella versione rilasciata in precedenza, che "tagliava" la parte sopra citata.

Così ora sappiamo quali orrori sono memorizzati nel nastro CVR, e ne abbiamo una testimonianza diretta. Ne avremmo fatto volentieri a meno.

Gli enti che hanno rilasciato quella registrazione su richiesta FOIA (la FAA) avrebbero fatto meglio a mantenerla riservata. Non crediamo sia giusto che un domani i figli di quei piloti debbano convivere con la consapevolezza che su Youtube chiunque possa ascoltare le urla dei propri padri mentre venivano sgozzati.

Cos'altro giungerà attraverso le richieste FOIA in futuro? Quale altro orrore sarà svelato in nome di una ricerca della verità che ne potrebbe fare tranquillamente a meno? I complottisti hanno dimostrato in tante occasioni di non avere alcun rispetto per quei morti e di voler continuare a credere alle proprie teorie a prescindere dalla quantità e qualità delle prove contrarie.

Le trascrizioni delle comunicazioni radio e quelle del CVR già disponibili erano più che sufficienti ai fini di documentazione storica. Questa FOIA, secondo noi, è stata di troppo.

2009/04/13

"Active Thermitic Material" Claimed in Ground Zero Dust May Not Be Thermitic At All

by Enrico Manieri (Henry62) - Adapted and translated by Paolo Attivissimo with the author's permission. Original Italian text is available here.

Abstract: A recent paper claiming "active thermitic material" in dust collected in the vicinity of the Twin Towers after their collapse is found to have shortcomings in its methodology. The paper also fails to explore adequately alternative, non-thermitic explanations for its findings.

Specifically, the paper's use of methyl ethyl ketone (MEK) to demonstrate the presence of elemental aluminum is known to yield inconsistent results because MEK reacts with aluminum; alleged elemental aluminum nanoparticles are claimed to remain unreacted after 55 hours of MEK bath, but also contradictorily to react violently already at 430°C; photographic and spectral comparisons between commercial thermite and spheroidal particles in Ground Zero dust omit any other comparison with possible alternative sources of such findings; DSC analysis was conducted in air, but should have been conducted in an inert gas environment in order to obtain reliable results for thermite, which does not require an external oxidizer.

The paper also does not consider the chemical composition of the corrosion-proofing paints and of the vermiculite used as thermal insulation and soundproofing at the World Trade Center and
extensively documented by NIST. These products contain exactly the same elements and exhibit the same structural characteristics as the allegedly thermitic material found by the paper's researchers in their samples.

The researchers therefore appear to have been somewhat hasty in reaching their conclusions.





The debate regarding the collapse of New York's Twin Towers as a consequence of the 9/11 terrorist attacks has been revived by a study published by a US journal: "Active thermitic material discovered in dust from the 9/11 World Trade Center catastrophe" (Bentham Science Publishers).



Some of the authors of this study, such as Steven Jones and Kevin Ryan, are well-known for their strong support of so-called "conspiracy theories". The main author, Danish chemistry professor Niels Harrit, has also stated publicly his unorthodox views on 9/11 in writing and in TV appearances.

However, I will not deal with who supports these theories. Rather, I will simply assess the conclusions and facts stated by these researchers.

The authors claim to have analyzed debris dust from multiple New York sites located in the vicinity of Ground Zero, finding particles characterized by the presence of two layers, a red one and a gray one, joined in a wafer-like arrangement.





Analysis of these layers showed the presence of elements that can be observed in spectra.


Red layer


The red layer shows the presence of carbon, oxygen, iron, zinc, aluminum, calcium, chromium, silicon and sulfur. The authors write that the presence of calcium and sulfur might be explained by the dust generated by the gypsum wallboard that was abundant in the Twin Towers. The other elements are always present in various analyses carried out on the four samples studied in the paper.

Therefore, attention is called to the constant presence of carbon, oxygen, iron, aluminum and silicon. Chromium and zinc are instead said to be present, but it is not clear in which samples they were found, since the caption of Figure 14 of the paper (shown below) suggests that the finding was occasional (note the word "sometimes").



The red layer appears to be porous and composed of particles having various shapes (faceted and laminar), embedded in a matrix that holds them. The faceted particles are rich in iron and oxygen (probably crystals) and the laminar ones are rich in silicon and aluminum. Carbon does not appear to be present specifically in the particles, but seems to be distributed within the matrix.



The porous region of the red layer, analyzed after soaking in a strong solvent, shows instead the presence of oxygen and silicon as well as carbon and iron.




Interface between red and gray layers


Spectral analysis of this separation region between the two layers shows the presence of oxygen and carbon.






Gray layer


This layer contains carbon, oxygen and iron. BSE (Back-Scattered Electron) imaging of this gray layer reveals lighter shades than the red layer. This means that the red layer is made of matter whose atomic number is, on average, lower than the matter that constitutes the gray layer.

Optical and electron microscope imaging also shows that the red layer has a larger particle size distribution than the gray layer, with evident porosities and heterogeneities, in sharp contrast with the compactness of the gray layer.

Both the red layer and the gray layer are sensitive to a magnetic field.

In summary, the two layers, despite their different appearance and color, are found to have an extremely similar chemical composition. In particular, the red layer has a carbon-rich matrix that embeds crystal-like particles rich in oxygen and iron and other laminar particles rich in silicon and aluminum (page 15 of the paper).


Use of methyl ethyl ketone (MEK)


The authors immersed samples of these particles in a bath of methyl ethyl ketone (MEK) for 55 hours in order to separate the elements of the red layer. They claim to have thus obtained, in addition to considerable swelling of the matrix of the red layer, segregation of the aluminum. They also claim that this demonstrates the presence of elemental aluminum.

However, it is trivial to find that the reactivity of MEK with light metals, and particularly with aluminum, is well-known, as reported for example in this Italian document, which states (in translation, emphasis added):

10. Stability and reactivity

The product is stable in normal conditions of storage and use. Heat or fire can cause the release of carbon oxides and vapors that can be harmful. Vapors can form explosive mixtures with air.

Methyl ethyl ketone reacts with light metals, such as aluminum, and with strong oxidizers: it attacks various kinds of plastic.

Unsuitable materials: natural rubber, butyl rubber, EPDM, polystyrene, polyethylene, polypropylene, polyvinyl chloride, polyvinyl alcohol, Polyacrylonitrile. Suitable materials: stainless steel, carbon steel, polyester, Teflon.


If the intention of the researchers was to break up the carbon matrix of the red layer to allow analysis of the nanoparticles embedded in it, the result regarding the presence of aluminum does not appear to be compatible with this goal, since it is well-established that MEK might react more or less violently with elemental aluminum.

This appears to be a rather important methodological error by the researchers, since such a test might yield inconsistent results depending on whether the temperatures are suitable for the triggering of chemical reactions.

The logical conclusion is that one should therefore hypothesize the very opposite of what is claimed in the study, i.e., that there is no elemental aluminum in the compound and that aluminum is present in chemical bonds, or that elemental aluminum is present but in highly oxidized conditions and therefore scarcely reactive.

From a commodity point of view, MEK is sold for the following uses (translated from Italian):

"Methyl ethyl ketone - Used as a substitute of acetone when it is necessary to use a less volatile solvent, it dissolves shellac, rosin, cellulose resins, epoxy resins, many phenolic and acrylic resins, polystyrene etc.
It is a component of vinyl and nitrocellulose paints.
Methyl ethyl ketone is also suitable for cleaning instruments and tools and for washing impurities and chemical products off mechanical parts.


A data sheet of the product is available here (in Italian).

Going back to the analysis of the red player, the iron-rich particles exhibit a simultaneous abundance of oxygen, with a 2:3 proportion of iron to oxygen.

This means that these particles are Fe2O3, i.e., iron oxide. The simultaneous presence of iron oxide and elemental aluminum thus leads the authors to the conclusion that this is thermite. However, we have seen that the presence of reactive metallic aluminum is not at all beyond doubt.

I believe, therefore, there is good reason to question this forced conclusion, which contrasts with the rules of chemistry. The authors claim to have found nanoparticles of elemental aluminum, which cannot be all that reactive if they remain unchanged after 55 hours in a methyl ethyl ketone bath (in other words, one can deduce that they should be surrounded by a compact layer of aluminum oxide, a material that withstands extremely high temperatures and has a very high hardness), yet react violently already at 430°C to trigger a thermitic reaction.

as pigment:

Misleading comparisons


In their study, the authors support their conclusions by showing charts of spectral analyses of various samples.

– Combustion products of commercial thermite:


- Spheroidal particles found in Ground Zero dust some time after the collapse and after work to demolish and clear the rubble had begun:


This is a clear attempt to influence the less than careful reader by suggesting explicitly the analogy between the analyzed samples and the products of thermite reaction, without investigating whether a similar spectrum might be due to other causes and reactions.

In other words, the authors jump immediately from the incorrect assessment of the presence of highly reactive elemental aluminum to the (evidently highly desired) conclusion that the collapse of the World Trade Center involved some sort of thermitic reaction of a mysterious product that is triggered at low temperature, provides twice the energy of ordinary thermite, and is characterized by the presence of nanoparticles that give explosive properties to a substance that otherwise is only an incendiary.

These are dramatic claims that need to be backed by equally dramatic evidence, not by suggestions.

Let's now consider the energy issue.

Thermal DSC analysis conducted in air



The authors analyze the behavior of the samples when heated in air in a differential scanning calorimeter (DSC). The result is that all the samples begin to burn in the temperature range between 415 and 435°C. In some cases, the heat generated by the exothermic reaction reaches 7.5 kJ/g.

After combustion, spheroidal particles are found in the porous burned residues. Some of these particles are rich in iron and other are rich in silicon (which is transparent and translucent). These particles indicate that high temperatures were reached as a result of an unspecified chemical reaction (which begins at 430°C!). According to the authors, this reaction can only be thermitic.

In particular, therefore, the authors claim (page 22 of the paper) that a highly exothermic reaction, such as to generate temperatures of approximately 1400°C, needed to melt iron and iron oxide, was triggered at only 430°C.

What this thermitic reaction that is triggered at 430°C might be is not known, since the ignition temperature of commercial thermite is higher than 900°C.

The authors seem to have failed to consider that the matrix of the red layer is highly abundant in carbon and that carbon has a lower heating value (or net calorific value) of 34.03 kJ/g, whereas thermite releases 3.9 kJ/g in combustion. In other words, one gram of carbon releases, in combustion at constant pressure, more than eight times the energy released by one gram of thermite.

Since the measurement was performed in air (why? Is this another rather embarrassing error in methodology, after the MEK blunder?), one cannot exclude the combustion of carbon, which is instead highly probable.

In order to obtain reliable results, since thermite does not require an oxidizer from the external environment, the DSC measurement should have been conducted in an inert gas environment (with nitrogen or argon).



The conclusions of the study are obviously favorable to the "alternative" hypotheses. In other words, they suggest that a nanothermite-based substance was used on 9/11 in the Twin Towers and was applied by unknown means, in unknown locations, at an unknown date by unknown individuals, yet was able to cause the collapse of the two giant steel buildings and of the comparatively smaller WTC7 building.

Here are the conclusions as stated in the article:





Remarks


After examining the paper, which we can now describe as pro-conspiracy in its conclusions, I would like to present a few thoughts and consider whether there might be other working hypotheses that should be examined before jumping to the hasty conclusions presented in the paper.

My memory goes back to photographs like these:







These pictures show parts of the structural steel of the Twin Towers preserved by NIST.

Since these buildings were entirely made of steel and stood in a brackish environment, one of the builder's main concerns was to protect the steel adequately against corrosion by setting high quality standards for the protective coating.

Here are some documents related to the standards agreed by the Port Authority, owner of the Twin Towers, with the suppliers of the corrosion-proofing coating (source: NIST NCSTAR 1-6A, page 302 onward):





These documents and others presented in NIST's final report allow to determine the methods used to provide the corrosion-resistant coating and the quality control tests (source: NIST NCSTAR 1-1A, page 146):





It is very important to know the chemical composition of the paint used, which was the following (source: NIST NCSTAR 1-3C, page 147 onward, "Appendix D - Forensic thermometry tecnique development"):



Here we find that a substantially oily and resinous base (linseed oil and alkyd resin) contained a mixture of the following substances
Fossil flour is an opacifier constituted essentially by silicon dioxide, aluminum oxide, iron oxide and other impurities. It is added to paint to give it an opaque finish and a rough feel when dry, so as to provide grip for subsequent spray-on fireproofing.

The dried resinous and oily base might be the organic matrix that constitutes the base of the red layer, which is rich in carbon and, as shown, may have a primary role in the release of energy during the combustion process.

In practice, the red layer of the wafers identified by the researchers contains exactly the same elements that we now know were present in the corrosion-resistant coating used during the construction of the World Trade Center, including the organic base constituted by linseed oil and alkyd resin.

It's not just a matter of the same chemical elements being present. The presence of fossil flour in the paint, too, is compatible with the porosity observed in the samples of the red layer. If one considers, moreover, that mica is also often present in fossil flour, then the presence of laminar particles mixed with crystalline particles of iron oxide might also be explained.

The gray layer, which as noted is rich in iron and oxygen, might be linked to a green corrosion-proofing paint (Tnemec Green Metal Primer, page 303), used extensively to provide markings on steel and explicitly listed in the materials supply specifications, or to a bonding agent used during construction to fix thermal insulation and soundproofing elements.

Could this type of paint peel off, forming the small flakes found in Ground Zero dust? We can refer to the photographs provided by NIST to document its research aimed at determining the temperatures to which the perimeter columns of the Twin Towers were exposed. Some of these pictures, shown below, show the behavior of the corrosion-resistant paint used in the WTC when exposed to heat.









These pictures show that the coating, when subjected to temperatures above 250°C, begins to break up in irregular patterns and can flake off surfaces if subjected to impacts. For temperature far above 250°C, the coating separates completely from the part to which it was applied and the organic component undergoes combustion, causing complete separation from the steel and simultaneously producing a layer of dark burned residues.

This result is compatible with the description given in the paper:
"Several paint samples were also tested and in each case, the paint sample was immediately reduced to fragile ashes by the hot flame. This was not the case, however, with any of the red/gray chips from the World Trade Center dust."


The corrosion-proofing paint used in the WTC was tested by NIST by subjecting it to 650°C for one hour. Combustion of the organic matrix occurred, but the paint was not reduced to ash.

Bearing in mind the passive fire-retardant protection of the perimeter columns, one can notice that the inward face of the many columns that composed the building faces was protected by panels of vermiculite, i.e., by panels of a lightweight aggregate of magnesium phyllosilicate, trivalent iron and aluminum, which is generally found in the form of laminar or sheet-like particles.

Vermiculite used in the building sector is obtained by baking micaceous rocks and is used as a heat insulation and soundproofing product.

One should also bear in mind that mica is a combination of chemical substances that have the following chemical characteristics:
Mica classification

Chemically, micas can be given the general formula

X2Y4–6Z8O20(OH,F)4

in which X is K, Na, or Ca or less commonly Ba, Rb, or Cs;

Y is Al, Mg, or Fe or less commonly Mn, Cr, Ti, Li, etc.;

Z is chiefly Si or Al but also may include Fe3+ or Ti.

Structurally, micas can be classed as dioctahedral (Y = 4) and trioctahedral (Y = 6). If the X ion is K or Na the mica is a common mica, whereas if the X ion is Ca the mica is classed as a brittle mica.


These panels were bonded by means of adhesive to the internal face of the columns, in direct contact with the corrosion-proofing paint.

Vermiculite has practically no structural strength, and its use is limited to thermal insulation and soundproofing work. If impacted, it breaks into pieces.

The Twin Towers contained enormous amounts of vermiculite in direct contact, by means of adhesives, with the painted face of the perimeter columns. Yet the researchers that signed the study do not appear to have considered and investigated correctly this possibility before claiming residues of "active thermitic material" in Ground Zero dust.

2009/04/09

"Materiale thermitico attivo" trovato nella polvere di Ground Zero?

di Henry62

Segnalo la pubblicazione del seguente articolo sul blog "11-Settembre":

in cui fornisco alcune valutazioni ed osservazioni personali sulla inconsistenza, a parer mio, delle frettolose conclusioni raggiunte dal gruppo di ricercatori sul materiale rinvenuto nella polvere di Ground Zero, in particolare sulla presunta presenza di alluminio elementare.

2009/04/08

Supertermite al WTC? I complottisti si sbufalano da soli

di Paolo Attivissimo, con il contributo dei chimici di Undicisettembre e su segnalazione di Screwloosechange

L'articolo di Open Chemical Physics Journal intitolato Active Thermitic Material Discovered in Dust from the 9/11 World Trade Center Catastrophe, esaltato in queste ore dai cospirazionisti perché asserisce la presenza di "materiale termitico non reagito" ("unreacted thermitic material") nella polvere proveniente dalle macerie del World Trade Center, ha una spettacolare falla logica che lo smonta irrimediabilmente. La cosa tragicamente ironica che sono i cospirazionisti stessi a sbufalarsi.

Dicono infatti che il "materiale termitico" citato nell'articolo, infatti, brucia violentemente non appena raggiunge i 430°C:

...ignition is observed when the red material is heated to no more than 430 ˚C...

When ignited in a DSC device the chips exhibit large but narrow exotherms occurring at approximately 430 ˚C, far below the normal ignition temperature for conventional thermite.

...highly energetic reactions occurring at approximately 430 °C...

...the material ignites and reacts vigorously at a temperature of approximately 430 ˚C, with a rather narrow exotherm, matching fairly closely an independent observation on a known super-thermite sample. The low temperature of ignition and the presence of iron oxide grains less than 120 nm show that the material is not conventional thermite (which ignites at temperatures above 900 ˚C) but very likely a form of super-thermite.


Ora, 430 °C è una temperatura raggiunta da qualunque incendio in ambiente domestico o d'ufficio (persino un semplice foglio di carta incendiato raggiunge questi valori).

Per cui agli autori dell'articolo e ai loro sostenitori chiediamo una cosa molto semplice.

Se la presunta "supertermite" brucia violentemente già a 430 °C ed era spalmata a rivestire tutte le colonne delle Torri Gemelle, come mai i grattacieli non si sono accesi come immensi fiammiferi non appena sono state incendiate dagli aerei?

2009/04/06

Rivista scientifica: "materiale termitico" nelle macerie del WTC

di Paolo Attivissimo, con il contributo di Screwloosechange e degli utenti del forum della James Randi Educational Foundation. L'articolo è stato aggiornato e ampliato dopo la pubblicazione iniziale.

E' stato pubblicato nell'Open Chemical Physics Journal un articolo, intitolato Active Thermitic Material Discovered in Dust from the 9/11 World Trade Center Catastrophe, che asserisce la presenza di "materiale termitico non reagito" ("unreacted thermitic material") in alcuni campioni di polvere provenienti dalle macerie del World Trade Center.

L'articolo è firmato da Niels H. Harrit, Jeffrey Farrer, Steven E. Jones, Kevin R. Ryan, Frank M. Legge, Daniel Farnsworth, Gregg Roberts, James R. Gourley e Bradley R. Larsen.

Alcuni di questi nomi saranno familiari ai lettori di Undicisettembre: Steven Jones e Kevin Ryan, per esempio, sono fra i più assidui assertori delle teorie di demolizione controllata del World Trade Center; Roberts e Gourley sono membri di associazioni che sostengono queste ed altre teorie di complotto riguardanti gli eventi dell'11 settembre 2001. Altri nomi, compreso quello del primo firmatario, sono meno noti.


Chi è Niels Harrit?


Niels H. Harrit (immagine qui a destra, tratta da questa apparizione televisiva danese) è il firmatario principale dell'articolo, che lo associa al "Department of Chemistry, University of Copenhagen, Denmark". Secondo il dipartimento di chimica in questione, ha il ruolo di "lektor" e un notevole elenco di pubblicazioni scientifiche in campo chimico.

Alcuni suoi scritti lo presentano come "Associate Professor at the Department of Chemistry, University of Copenhagen", con una dicitura ("has been") che sembra indicare che non sia più in attività, ma è possibile che si tratti di un semplice errore grammaticale. Cosa più importante, questi stessi scritti indicano che il suo sostegno alle teorie cospirazioniste è basato su premesse fasulle.

Per esempio, sostiene che il crollo del WTC7 fu anomalo perché richiese soltanto 6,4 secondi; ma i dati sismografici e le registrazioni video indicano che il crollo durò almeno 13 secondi, ossia almeno il doppio di quanto asserito da Harrit.

Sostiene che nessuna struttura in acciaio fosse mai crollata prima per incendio, mentre abbiamo visto che non è affatto così (dettagli; altri dettagli).

Sostiene che il mancato crollo completo della Windsor Tower di Madrid dimostra che le Torri Gemelle non dovevano crollare, ma abbiamo visto che la Windsor Tower aveva una struttura in cemento armato e acciaio (mentre il WTC aveva soltanto elementi strutturali in acciaio), per cui il paragone è grossolanamente errato. Anzi, tutta la parte in acciaio della Windsor Tower crollò, nonostante l'edificio non fosse stato colpito da un aereo di linea e non fosse stato incendiato da oltre 30.000 litri di carburante (dettagli).

In altre parole, Harrit è un esperto nel proprio settore, ma come spesso avviene, quando esce dal proprio campo di competenza rischia di sbagliarsi tanto quanto qualunque altra persona se gli vengono passate informazioni errate e non si ferma a verificarle.


L'importanza del "materiale termitico"


Steven Jones, altro firmatario dell'articolo ed ex professore di fisica alla Brigham Young University, sostiene da tempo che le Torri Gemelle sarebbero state demolite grazie a una sostanza a base di termite, una miscela incendiaria usata per le saldature in vari campi, che sarebbe stata applicata a mo' di vernice alla struttura dei grattacieli e innescata (sempre secondo Jones) tramite impulsi radio: una tesi presentata dal professore anche durante il programma radiofonico Air America Radio (8 maggio 2008), come descritto qui a suo tempo.

L'articolo dell'Open Chemical Physics Journal è quindi significativo, perché sembra dare un inizio di base scientifica a questa tesi. Infatti i siti cospirazionisti celebrano questa pubblicazione come un successo, come si può leggere su Luogocomune.net, su Megachip.info o su Effedieffe.com, che traduce in italiano la segnalazione in inglese di 911blogger.com:

In breve, il documento cancella la versione ufficiale secondo cui “non esistono prove” per dimostrare la presenza di materiale esplosivo/pirotecnico negli edifici delle Torri Gemelle.

(da Effedieffe.com)



Clamoroso: trovata sabbia nel deserto, acqua nel mare


Tanto entusiasmo pare lievemente prematuro. Lascio la discussione estesa dei dettagli tecnici al parere dei chimici di Undicisettembre, che stanno esaminando l'articolo, ma va segnalato il commento a caldo dei tecnici del James Randi Educational Forum.

L'articolo di Harrit, Jones et al. afferma, in sintesi, che le analisi hanno trovato ossido di ferro e alluminio in alcuni campioni di polvere e macerie minute del WTC. Secondo Steven Jones e colleghi, questo dimostrerebbe inequivocabilmente che al WTC fu presente della termite, che è appunto costituita principalmente da ossido di ferro e alluminio.

Ma i tecnici del JREF notano che c'era un'altra cosa che al WTC conteneva ossido di ferro (ruggine) e alluminio: la struttura stessa degli edifici. Le Torri Gemelle, infatti, erano costruite in acciaio (ossia ferro e carbonio) e rivestite in alluminio, e le vernici protettive anticorrosione che si applicano all'acciaio spesso contengono alluminio e ossido di ferro (come si può vedere per esempio qui e qui). Per non parlare del fatto che gli arredi degli uffici presumibilmente includevano parti in alluminio e del fatto che quella mattina furono aggiunte alle Torri Gemelle grandi quantità di alluminio: quello degli aerei.

Detta così, è come stupirsi di aver trovato sabbia nel deserto o acqua nel mare. Sembra che Harrit, Jones e colleghi, invaghiti della teoria della termite e ansiosi di trovare conferme, siano stati troppo frettolosi nell'escludere le altre possibili cause dei risultati analitici. Prima di saltare alla conclusione clamorosa che si tratta di termite, andrebbero escluse sistematicamente tutte le altre possibili origini di questi risultati: ma questo non è stato fatto.

Aspettiamo comunque il giudizio degli esperti che Undicisettembre sta consultando: intanto possiamo esaminare altri aspetti di questo apparente scoop pro-complotto.


Quand'anche fosse?


La teoria termitica sembra implausibile anche per motivi di ordine logico.

Supponiamo, per amor di discussione, che quella trovata da Harrit, Jones e colleghi sia davvero una sostanza termitica. I dati dell'articolo parlano di strati residuali sottilissimi, misurati in micron, ossia millesimi di millimetro ("Thicknesses vary from roughly 10 to 100 microns for each layer"), assolutamente insufficienti a fondere rapidamente le spesse lastre d'acciaio che formavano le colonne delle Torri Gemelle, come prevede la tesi della demolizione tramite termite.

Secondo quanto scritto dagli stessi complottisti in questo articolo del 2007, riveduto da Frank Legge, che è uno dei coautori del nuovo articolo, nel caso migliore ci vuole 1 grammo di termite per fondere 1,88 grammi di acciaio (grafico qui sopra, tratto dall'articolo del 2007). Il NIST è più generoso e dice nelle sue FAQ che bastano circa 130 grammi di termite per fondere 1 chilogrammo d'acciaio.

Come potrebbe uno strato di termite (o nanotermite o supertermite che dir si voglia) spesso al massimo un decimo di millimetro fondere di colpo delle colonne d'acciaio consistenti come quelle del World Trade Center? Anche supponendo che si tratti davvero di termite o simili, non ce n'è abbastanza per tranciare le colonne. E questo si evince dai dati degli stessi cospirazionisti.

Anche volendo essere più generosi con le ipotesi e supponendo che quel decimo di millimetro sia solo la termite residua, quanto avrebbe dovuto essere spesso lo strato originale per riuscire a tranciare le colonne? E perché la termite avrebbe dovuto lasciare residui incombusti? Come e quando sarebbe stata collocata senza che nessuno se ne accorgesse? Come sarebbe stata innescata? In che modo sarebbe stata tenuta a contatto con delle colonne verticali durante la sua violentissima reazione chimica? L'articolo di Jones e colleghi non spiega nulla di tutto questo.

In altre parole, ancor prima di approfondire gli aspetti tecnici dell'articolo, se ne accettiamo le conclusioni ci troviamo di fronte a una ulteriore serie di assurdità irrisolte dalla tesi cospirazionista. Questo fa pensare che la tesi sia errata e che quindi vi sia un'altra spiegazione per la presenza di questo materiale.

Se Harrit, Jones e colleghi vogliono sostenere seriamente la loro tesi, che facciano una prova molto semplice: spalmino la termite (super o nano o sol-gel o come la preferiscono) su una colonna verticale di struttura e spessore pari a quelle delle colonne del WTC, la inneschino (nel modo che preferiscono) e ci facciano vedere che si trancia in meno di dieci secondi. Undicisettembre è disposto a pagare il campione d'acciaio pur di assistere a questo fenomeno fantascientifico.

In breve: da qui a dire che quest'articolo di Harrit, Jones e colleghi "cancella" la ricostruzione tecnica fatta dal NIST e le testimonianze dei vigili del fuoco ce ne passa eccome.


Cos'è l'Open Chemical Physics Journal


C'è di più. Ci si potrebbe chiedere con incredulità come una rivista scientifica possa aver pubblicato un articolo contenente un errore logico apparentemente così madornale nelle sue conclusioni. Dopotutto, è noto che queste riviste sottopongono ogni articolo a una rigorosa selezione e all'impietosa revisione di colleghi (un processo chiamato peer review).

Ma c'è un fatto che chi non frequenta le riviste scientifiche per lavoro probabilmente non sa: non tutte queste pubblicazioni sono uguali, esattamente come non lo sono i giornali generalisti. Come ci sono quotidiani autorevoli e giornali spazzatura, così ci sono riviste scientifiche di alto livello e riviste di scarso valore.

L'Open Chemical Physics Journal ricade, secondo i dati finora disponibili, in questa seconda categoria: questa rivista pubblica qualunque cosa, basta che l'autore paghi, e non c'è nessuna revisione significativa da parte di esperti. Anche altre riviste blasonate chiedono un onorario di pubblicazione e revisione, ma nel caso dell'OCPJ sembra (stando a quanto emerso finora) che pagare sia l'unico criterio di selezione.

Secondo questa discussione su un forum dell'Università di Yale, l'editore del Journal, la Bentham Science Publishers, effettua addirittura operazioni di spamming alla ricerca di autori che scrivano articoli sulle sue riviste e persino di revisori che valutino questi articoli, ossia l'esatto opposto di quello che avviene nelle riviste normali, dove i ricercatori lottano non poco per riuscire a farsi pubblicare ed essere addirittura revisori è un attestato di esperienza e professionalità ambitissimo.

Un chiaro esempio del livello di serietà dell'Open Chemical Physics Journal arriva da Chris Reed, Distinguished Professor of Chemistry presso la University of California - Riverside, che nota il comportamento della Bentham nella lista di discussione CHMINF-L:

Nell'ultimo mese ho ricevuto ben tre inviti a far parte dei comitati di redazione di nuove riviste della Bentham – "Notizie di questo", "Frontiere di quello"nessuno dei quali ricadeva nei campi in cui sono effettivamente esperto.

In the past month, I have received no less that three invitations to join the editorial boards of new Bentham journals -- "Current this", "Frontiers of that" -- none in areas of my real expertise.


L'abitudine della Bentham di reclutare membri del comitato di redazione (editorial board) fra persone che non hanno alcuna competenza nella materia che vengono chiamati a valutare è testimoniata anche dal giornalista Richard Poynder, che la commenta qui:

Dopo la prima ondata d'entusiamo, tuttavia, i ricercatori cominciarono a mettere in dubbio le attività della Bentham, anche perché molti degli inviti che ricevevano sembravano decisamente mal mirati. Per esempio, gli psicologi venivano invitati a contribuire articoli sull'ornitologia; i ricercatori sulle politiche per la salute venivano invitato a inviare articoli di chimica analitica; e gli economisti ricevevano inviti a inviare articoli sulla ricerca sul sonno oppure, ancora più bizzarramente, ad unirsi al comitato di redazione di riviste sull'educazione. Questo ha inevitabilmente sollevato preoccupazioni sulla probabile qualità di queste nuove riviste, specialmente perché ai ricercatori veniva chiesto di pagare da 600 a 900 dollari per volta per il privilegio di esservi pubblicati.

Per aggiungere l'ingiuria al danno, alcuni degli inviti ricevuti dai ricercatori erano indirizzati a una persona completamente diversa o il campo del nome era vuoto e riportava semplicemente "Egregio Dott., ...". Era difficile non sentirsi più insultati che lusingati nel ricevere lettere di questo genere.

Oltretutto quello che era chiaramente un invio postale di massa automatizzato si stava dimostrando un po' troppo generoso con i suoi inviti, spedendoli non solo a ricercatori, ma a chiunque: per esempio, in almeno una occasione un giornalista (che ha chiesto di non essere nominato) è stato sorpreso di ricevere dalla Bentham una lettera che lo invitava a inviare un articolo "sulla base dei suoi contributi precedenti al campo della scienza dell'informazione". Come lui stesso spiega, "La cosa mi ha sorpreso abbastanza, visto che come giornalista scientifico in attività non sapevo di aver dato simili contributi!"

After the first flush of enthusiasm, however, researchers began to question Bentham's activities, not least because many of the invitations they were receiving seemed decidedly badly targeted. For instance, psychologists were being invited to contribute papers on ornithology, health policy researchers were being invited to submit papers on analytical chemistry and economists were being invited to submit papers on sleep research or, even more oddly, invited to join the editorial board of educational journals. This inevitably raised concerns about the likely quality of the new journals, particularly as researchers were being asked to pay from $600 to $900 a time for the privilege of being published in them.

To add insult to injury, some of the invitations researchers were receiving were addressed to a completely different person, or the name field was empty, and addressed simply to "Dear Dr.,". It was hard not to feel more insulted than flattered on receiving such letters.

Moreover, what was clearly an automated mass mailing exercise was proving a little profligate with its invitations, sending them out not just to researchers, but to any Tom, Dick or Harry. On at least one occasion, for instance, a journalist (who asked not to be named) was surprised to receive a letter from Bentham inviting him to submit a paper, "Based on your record of contributions in the field of information science." As he explains, "I was rather surprised by this, since — as a practicing science journalist — I wasn't aware that I had made any such contributions!"


Un'altra testimonianza arriva da Gunther Eysenbach, senior health care research scientist presso la University of Toronto:

Negli ultimi due mesi circa ho ricevuto ben undici mail dalla Bentham, tutte praticamente identiche per testo e forma, tuttte firmate da "Matthew Honan, Editorial Director, Bentham Science Publishers" o da "Richard Scott, Editorial Director, Bentham Science Publishers", che mi "invitavano" a inviare articoli di ricerca, revisioni e lettere a varie riviste (ho ricevuto una mail per ciascuna rivista!), fra cui "The Open Operational Research Journal", "Open Business Journal", "Open Management Journal", "Open Bioinformatics Journal", "Open Ethics Journal", "Open Analytical Chemistry Journal" e via dicendo – tutti inviti mandati a me "per via della sua eccellenza nel campo" [...]

La mail mi "invita" a inviare articoli e a pagare per la pubblicazione. [...] I ricercatori che avessero dubbi sulla reputazione e la levatura scientifica di una rivista dovrebbero controllare se la rivista stessa è indicizzata da Medline (nessuna delle riviste della Bentham lo è, nonostante la mail di spam suggerisca il contrario) e se la rivista riceve citazioni significative (si controlli Web of Science o Journal Citation Reports) prima di inviare alcunché a qualunque rivista Open Access.

In the past couple of months I have received no less than 11 emails from Bentham, all mostly identical in text and form, all signed by "Matthew Honan, Editorial Director, Bentham Science Publishers" or "Richard Scott, Editorial Director, Bentham Science Publishers", "inviting" me to submit research articles, reviews and letters to various journals (I got one email per journal!), including "The Open Operational Research Journal", "Open Business Journal", "Open Management Journal", "Open Bioinformatics Journal", "Open Ethics Journal", "Open Analytical Chemistry Journal" and so on - all of them sent to me "because of your eminence in the field" [...]

The bulk email "invites" me to submit articles and to pay for publication [... ] Researchers who are in doubt about the reputation and scientific standing of a journal should check if the journal is Medline-indexed (none of the Bentham journals is actually Medline-indexed, although the spam emails suggest otherwise), and whether the journal receives any significant citations (check Web of Science or the Journal Citation Reports) before submitting to any Open Access journal.


A tutto questo si aggiunge il dato che la rivista attualmente non ha impact factor. L'impact factor è un importantissimo indice di importanza settoriale, che si assegna a ogni rivista scientifica: viene calcolato sulla base della quantità e qualità delle citazioni di suoi articoli in altre riviste specialistiche.

L'Open Chemical Physics Journal non ha questo impact factor perché è stato fondato troppo recentemente per essere stato classificato, come ci ha confermato personalmente Nicola Pinna, Investigador coordenador (senior researcher) presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Aveiro, in Portogallo, che è membro del comitato di redazione (editorial board) della rivista, come si evince dal suo curriculum.

Pinna ha inoltre indicato che non ha "partecipato al 'reviewing' di questo articolo né come editor né come referee". Undicisettembre ha già preso contatto con l'editor in chief del Journal per conoscere l'iter reale di riesame e valutazione dell'articolo in questione.

Viene da chiedersi come mai Steven Jones, Kevin Ryan e gli altri autori dell'articolo si siano ridotti a pagare almeno 600 dollari (come indicato sopra) ad una rivista la cui reputazione è perlomeno equivoca, invece di sottoporsi all'esame di riviste più autorevoli di settore e conquistare quindi autorevolezza per le proprie teorie. Sembra quasi che il loro scopo sia screditare il cospirazionismo mediante gesti palesemente ridicoli. E' come se si vantassero di aver pubblicato un articolo di ginecologia in una rivista porno.

Al lettore attento non sfuggirà, inoltre, la profonda contraddizione della tesi cospirazionista, che sostiene l'esistenza di una congiura del silenzio da parte delle riviste scientifiche ma al tempo stesso si vanta di avere come prova una pubblicazione proprio su una rivista scientifica.



Zolfo al WTC, Steven Jones sbufala Zero e se stesso


C'è un altro aspetto interessante di questo articolo di Niels Harrit e Steven Jones: smonta una delle tesi presentate dal video Zero di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi.

In questo video, infatti, Paolo Marini afferma che nelle macerie del WTC si nota la presenza "a livello della struttura granulare del materiale dell'acciaio" di "un elemento che normalmente non dovrebbe essere presente, e soprattutto in quantità cospicua, cioè dello zolfo."

Il video Zero afferma anche che "siamo molto sicuri della provenienza di questo metallo. Proviene da un materiale chiamato "termate", che è polvere di alluminio, ossido di ferro e zolfo." L'affermazione è fatta dallo stesso Steven Jones.

Ma adesso, in quest'articolo, Steven Jones non è più molto sicuro di questa provenienza e inseme ai colleghi offre a pagina 11 una spiegazione più che banale per la presenza dello zolfo che per Marini "normalmente non dovrebbe essere presente":

I grandi picchi di calcio e zolfo possono essere dovuti a contaminazione dal gesso proveniente dal materiale in cartongesso polverizzato negli edifici.

The large Ca and S peaks may be due to contamination with gypsum from the pulverized wallboard material in the buildings.


Che è esattamente quello che il NIST afferma da tempo in risposta al presunto mistero dello zolfo al WTC: si vedano, in proposito, le FAQ del NIST datate 2006, alla domanda numero 12. Un complottista DOC, insomma, avvalora la "versione ufficiale".

Siamo dunque tornati al solito copione: si scatenano facili entusiasmi per l'ennesima "prova" sfoderata dal virtuosismo investigativo dei ricercatori della verità, ma quando si va a verificare (e lo fanno i debunker, perché i complottisti sono incapaci di autocritica) si scopre che la "prova" non è altro che l'ennesima cantonata autolesionista. Sembra di essere ancora i tempi dell'ormai mitico "Seven is exploding".

Considerato il ripetersi periodico di questi autogol, viene quasi da chiedersi se si tratti di un'operazione di discredito dall'interno ben pianificata. Quale modo migliore per creare confusione e depistare le ricerche serie sull'11/9, che piazzare nel "movimento per la verità" dei personaggi che sappiano conquistare la fiducia incondizionata dei cospirazionisti, facciano montare l'entusiasmo e poi devastino psicologicamente il movimento rivelandosi dei ciarlatani e addirittura abbracciando progressivamente la versione ufficiale?