2009/12/17

There But for the Grace of God

by Bruce

Note from the Undicisettembre editors: The following text was written on 12 September 2001 by a survivor of the World Trade Center attack who was in the North Tower when Flight AA11 hit the building. He has requested to be named only as Bruce. The text is published with his permission. Photographs are taken from Undicisettembre's image database. An Italian translation is available here.

On Tuesday morning at 7:am I was at my desk, as I am every weekday. Usually I go out of the building about 8:30 for breakfast, but on this Tuesday I was very busy so I continued with the work at hand. At 8:45 I heard a loud bang, my first thought was thunder, I continued to complete the thoughts I was documenting. Within seconds it seemed like all the air around me was sucked out, my ears popped. I stood up and looked out the window; I saw large chunks of debris falling by the window. Only one thought went through my mind, 'OH MY GOD!'

I had no idea what was going on, I only knew I had to get out of the building. I was on the 71st floor of World Trade 1. I ran for the closest staircase. I saw a co-worker at the end of the hall when I got there, he had a questioned look on his face but I could not speak, I just kept running. Fortunately he made it out okay, otherwise I would not have been able to forgive myself for not telling him what I saw. I flew down 20 or 30 floors before the stairwell backed up with people trying to get out.

The people were great; everyone was courteous and helpful towards others. Everyone moved over when the firefighters needed to get up, and when the wounded needed to get down. When I got to the 5th floor I felt a wind in my face, I thought great I'm almost out. Then the wind was so strong it was pushing me up the stairs. The stair well filled with smoke, the lights went out, and the build began to shake. This was the first moment when panic set in. I did not know if I would pass out from the smoke or be able to find my way out. We started going up, as people from below said we cannot get out this way. We exited the stairwell at the first floor we came to that had reentry.

The lights were still out; there was a foot of water on the floor. We went to the end of the hall to find another stairway, only to find hotwires dangling and sparking from the ceiling. We went back and up one more flight of steps. Here we found firefighters that guided us to another stairwell. We went down with a river of water flowing at our feet and finally came to an end of the steps; I walked out into a room that seemed completely foreign to me. I asked a firefighter, where am I. He told me just keep moving.

It took me a few moments to realize I was in the lobby I had gone through everyday many times. It was filled with smoke, dust, and debris. We were guided to an exit, once outside you could not tell you were out. It looked just as it did inside. The streets were deserted, covered in a foot of soot and debris. I looked up to get my first look at what had happened. I was stunned when I saw only one of the Twin Towers.

The air was unbreathable where I was, so I started to go north. I went about 10 blocks before I came to a place were I could breathe again. I stopped to clear my eyes and lungs to experience another rumbling, like an earthquake. I turned and looked up at the building I had just escaped from it to see it crumble and fall. These 2 buildings that have been a part of my life for more than 30 years were gone. I could not believe, I still cannot believe what has happened. My world has changed forever. It can never be the same. It can never be fixed.

I found a phone to call my family, to let them know I got out. And I started to walk; I walked for more than 8 miles until I came to the home of my parents on the Upper East Side. I went to their apartment where they were waiting for me and I collapsed, physically and mentally. I wanted to keep going, to go to Long Island to my wife and children, but I could not move, I had to stay the night.

It took me an hour and a half to get out of the building. 10 minutes to get to a safe spot before the building came down. I realized how lucky I was. I knew many thousands were not as lucky as I was. I was sure many of my co-workers had to die, but I was very happy to find out I was wrong about that. I was the last of my team to report into the home office in Denver; my group had made it out. I continue to think about those firefighters that were going up, when I was going down. There is no way they came out. I thank God that I got out.

Ne sono uscito, ma per grazia di Dio

di Bruce

Nota di Undicisettembre: Pubblichiamo di seguito un testo scritto il 12 settembre 2001 da un sopravvissuto all'attacco al World Trade Center che si trovava nella Torre Nord al momento dello schianto del volo American Airlines 11 e che ha chiesto di essere citato con il solo nome Bruce. Il testo è stato da noi tradotto in italiano e pubblicato con il permesso dell'autore. Le immagini a corredo sono di repertorio. La versione originale è pubblicata qui.

Martedì mattina alle 7 ero alla mia scrivania, come ogni giorno della settimana. Di solito esco dall'edificio verso le 8:30 per colazione, ma questo martedì ero molto impegnato e ho continuato il lavoro che stavo facendo. Alle 8:45 ho sentito un forte botto: il mio primo pensiero è stato che si trattasse di un tuono e ho continuato a completare i pensieri che stavo scrivendo. Pochi secondi dopo mi è sembrato che tutta l'aria attorno a me venisse risucchiata, mi si sono tappate le orecchie. Mi sono alzato e ho guardato fuori; dalla finestra ho visto grossi pezzi di macerie che cadevano. Solo un pensiero mi è passato per la mente: "Oh mio Dio!"

Non avevo idea di cosa stesse succedendo, sapevo solo di dover uscire dal palazzo. Ero al 71° piano del World Trade Center 1. Sono andato di corsa alla scala più vicina. Quando sono arrivato nell'atrio ho visto un collega dal lato opposto, aveva un'espressione interrogativa ma io non riuscivo a parlare, ho soltanto continuato a correre. Fortunatamente ne è uscito vivo, altrimenti non avrei potuto perdonarmi di non avergli detto quello che avevo visto. Sono sceso di corsa per 20 o 30 piani prima che la scala si riempisse di persone che tentavano di uscire.

La gente era straordinaria; tutti erano cortesi e si aiutavano a vicenda. Tutti si facevano da parte quando i pompieri dovevano salire e quando i feriti dovevano scendere. Quando sono arrivato al quinto piano, ho sentito un vento in faccia e ho pensato "bene, sono quasi fuori". Poi il vento è diventato così forte che mi spingeva su per le scale. Le scale si sono riempite di fumo, le luci si sono spente e l'edificio ha iniziato a tremare. Questo è stato il primo momento in cui si è diffuso il panico. Non sapevo se sarei svenuto per il fumo o se avrei trovato un'uscita. Abbiamo cominciato a risalire, perché la gente che stava più in basso ci ha detto che di lì non si poteva uscire. Abbiamo abbandonato la tromba delle scale al primo piano dotato di collegamento alle scale che siamo riusciti a raggiungere.

Le luci erano ancora guaste, a terra c'erano trenta centimetri d'acqua. Abbiamo attraversato l'atrio per cercare un'altra tromba di scale, ma abbiamo trovato cavi elettrici scoperti che pendevano dal soffitto facendo scintille. Siamo tornati indietro e abbiamo risalito un'altra rampa di scale. Qui abbiamo trovato dei pompieri che ci hanno guidato fino a un'altra tromba di scale. Siamo scesi con un torrente d'acqua che scorreva ai nostri piedi e finalmente siamo arrivati alla fine degli scalini; ne sono uscito entrando in una sala che mi sembrava del tutto sconosciuta. Ho chiesto a un pompiere "dove mi trovo?". Mi ha detto semplicemente di continuare a camminare.

Mi ci è voluto qualche momento a capire che ero nella lobby che attraversavo varie volte al giorno quotidianamente. Era piena di fumo, polvere e macerie. Siamo stati guidati verso l'esterno, una volta fuori non si capiva di essere usciti. Era tutto come all'interno. Le strade erano deserte, coperte da una trentina di centimetri di polvere e macerie. Ho guardato in su per vedere per la prima volta cosa era successo. Sono rimasto sconvolto quando ho visto solo una delle Torri Gemelle.

L'aria era irrespirabile dove mi trovavo, quindi ho cominciato a camminare verso nord. Ho camminato per circa dieci isolati prima di arrivare in un posto dove potevo respirare di nuovo. Mi sono fermato per liberarmi gli occhi e i polmoni e ho sentito un altro rombo, come un terremoto. Mi sono girato e ho visto l'edificio dal quale ero appena uscito che si sbriciolava e crollava. Questi due palazzi che erano stati parte della mia vita per oltre trent'anni non c'erano più. Non potevo crederci, ancora adesso non riesco a credere a ciò che è successo. Il mio mondo è cambiato per sempre. Non potrà mai più essere lo stesso. Non potrà mai essere riparato.

Ho trovato un telefono per chiamare la mia famiglia, per fare sapere loro che ne ero uscito. E ho cominciato a camminare; ho camminato per più di 12 chilometri, fino ad arrivare alla casa dei miei genitori nell'Upper East Side. Lì mi stavano aspettando e io sono crollato, fisicamente e mentalmente. Volevo proseguire fino a Long Island, da mia moglie e dai miei figli, ma non riuscivo a muovermi, ho dovuto fermarmi per la notte.

Mi ci è voluta un'ora e mezza per uscire dal palazzo. Dieci minuti per trovare un posto al sicuro prima che l'edificio crollasse. Mi sono reso conto di quanto ero fortunato. Sapevo che molte migliaia non erano state fortunate quanto me. Ero sicuro che molti miei colleghi fossero morti, ma sono stato molto felice di sapere che mi sbagliavo. Sono stato l'ultimo del mio gruppo a dare notizie alla sede dell'azienda a Denver; il mio gruppo era riuscito a uscire. Continuo a ripensare a quei pompieri che salivano mentre io stavo scendendo. E' impossibile che siano riusciti a venirne fuori. Ringrazio Dio di essere uscito.

2009/12/09

Rottami d'aereo al WTC: il carrello di UA 175 al 45 di Park Place

di Paolo Attivissimo

Il New York Times ha pubblicato un'immagine e alcuni dettagli del carrello del volo UA175, il secondo velivolo che colpì le Torri Gemelle.

La figura qui accanto, tratta dal capitolo 1 del FEMA Building Performance Study (2002), indica la traiettoria di un frammento del Boeing 767 della United Airlines che colpì il WTC2 alle 9.03.

Il New York Times riferisce che il frammento, etichettato nella figura come "landing gear", ossia "carrello", trapassò il tetto e due solai dell'edificio al 45 di Park Place, un edificio di cinque piani, in un'area che all'epoca ospitava una filiale della catena di negozi Burlington Coat Factory. Secondo il rapporto FEMA (sezione 7.7), l'impatto asportò tre travi del solaio del piano superiore dell'edificio.

Al momento dell'impatto il negozio non aveva ancora aperto e i dipendenti stavano facendo colazione nel seminterrato. Non vi furono feriti.

La fotografia è attribuita dal Times a Kukiko Mitani, moglie dell'allora proprietario dell'edificio, e non sembra mostrare il frammento d'aereo nella condizione in cui fu trovato all'impatto. E' infatti legato e collocato su un carrello, in un'area priva di altri detriti. Non è chiaro se la fotografia sia recente o risalente all'epoca immediatamente successiva agli attentati.

Tuttavia l'edificio risulta ancora oggi in gran parte abbandonato e lasciato com'era, secondo il quotidiano: "il tetto rattoppato era facilmente visibile in una visita recente all'edificio, insieme a tracce della sua repentina evacuazione: sacchetti di cibo rimasti tuttora in un frigorifero del personale al quinto piano e, ancora più inquietante, un foglio del registro dei collaudi del sistema d'allarme d'emergenza, che reca la firma d'inizio turno per l'11/9, ma nessuna firma di fine turno".



L'immagine si aggiunge alle molte altre di rottami dei due velivoli civili disponibili sia su Undicisettembre, sia presso siti come Debunk 9/11 Myths.

2009/12/01

Non aprite quella porta...

di John e Brain Use.

"La porta di accesso alla cabina di pilotaggio del Volo 77 è rimasta chiusa per tutto il volo, quindi nessun terrorista ha potuto accedervi".

E' questa l'ultima trovata del complottismo undicisettembrino, urlata ai quattro venti dal sito PFT (Pilots for Truth) e tosto ripresa dai siti complottisti di mezzo mondo, compresi il nostrano Luogocomune e quello di Zero.

Ricostruiamo la vicenda.

Robert Balsamo, responsabile del sito PFT, il 27 novembre 2009 ha scritto una "new" affermando che "Newly decoded data provided by an independent researcher and computer programmer from Australia exposes alarming evidence that the reported hijacking aboard American Airlines Flight 77 was impossible to have existed. A data parameter labeled "FLT DECK DOOR", cross checks with previously decoded data obtained by Pilots For 9/11 Truth from the National Transportation Safety Board (NTSB) through the Freedom Of Information Act."

Traduciamo: "Dati recentemente decodificati, forniti da un ricercatore indipendente e programmatore di computer australiano, rivelano prove inquietanti che il presunto dirottamento a bordo del volo American Airlines 77 non era fisicamente possibile. Un parametro denominato "Porta di accesso alla cabina di pilotaggio" va a incrociarsi con i dati precedentemente decodificati che Pilots For 9/11 Truth aveva ottenuto dal National Transportation Safety Board (NTSB) grazie al Freedom Of Information Act."

Che vuol dire?

Vuol dire che questo "ricercatore indipendente" avrebbe estratto, dai dati della "scatola nera" del Volo 77, il parametro che indica se la porta di accesso al cockpit (cabina di pilotaggio) è aperta o chiusa. 

Il dato, che sarebbe aggiornato ogni 4 secondi, mostrerebbe che per tutta la durata del volo la porta è rimasta sempre chiusa. Quindi – sempre secondo i complottisti – nessun estraneo, nessun terrorista, l'avrebbe aperta per accedere alla cabina di pilotaggio.

Ebbene, la notizia è l'ennesima gigantesca bufala.

Innanzitutto il parametro Flight Deck Door non è compreso tra quelli elaborati dall'NTSB, l'ente specializzato in questo tipo di indagini. Infatti nella relazione investigativa dell'NTSB datata 31 gennaio 2002, gli specialisti hanno elencato i parametri estratti dalla "scatola nera". Tra essi non c'è il parametro in questione, che invece è elencato sotto la voce "Parametri non funzionanti o non validati".

Ciò può significare due cose: o la registrazione di quel parametro era danneggiata, oppure il parametro non era funzionante in quanto il relativo sensore era assente o disattivato.

Ebbene, quest'ultima è la circostanza corretta. American Airlines 77 era un Boeing 757 costruito nel 1991 (scheda ASN). Come si evince dai documenti tecnici relativi al sistema di parametri dell'FDR dei velivoli di quel modello, il sensore relativo all'apertura o chiusura della porta di accesso alla cabina di pilotaggio è stato montato soltanto nei velivoli prodotti a partire dal 1997.

Quindi il parametro in questione non poteva segnalare l'apertura della porta, semplicemente perché il relativo sensore non c'era. E questo spiega perché l'NTSB ha inserito il parametro sotto la voce "Non funzionante o non validato".

Ulteriore conferma, semmai ve ne fosse bisogno, è data dal fatto che i dati della scatola nera, proprio quelle informazioni che il "ricercatore indipendente" dice di aver estratto dai file forniti dall'NTSB, dimostrano che il parametro in questione era impostato su CLOSED (ossia porta chiusa) anche per tutti i voli precedenti (per un totale di circa 40 ore) registrati dallo strumento.

A meno di sostenere che piloti e assistenti di volo accedevano al cockpit attraverso i finestrini, non si recavano mai alla toilette e non ricevevano i pasti o almeno un caffè dagli assistenti di volo, l'ennesima sparata complottista è quindi sbufalata in pochi minuti e ridotta a un miserevole rantolo.

Quanto accaduto, però, dimostra la sconcertante incompetenza di Pilots For Truth (e non è la prima volta che succede) e dei suoi piloti, veri o sedicenti che siano, oltre alla facilità con cui alla bufala hanno abboccato tutti i maggiori complottisti italiani.

Ci spiace aver loro spezzato l'illusione di aver trovato la "pistola fumante" che cercano invano da otto anni.

Anzi... non ci spiace affatto!

2009/11/22

An Interview with Mike Walter, Pentagon Eyewitness

di Hammer

English: This is the unabridged, unedited original text of an interview by email with Mike Walter, USA Today reporter and eyewitness to the Pentagon crash. An Italian translation is available here.

Italiano: pubblichiamo qui l'originale dell'intervista rilasciata via mail a Undicisettembre da Mike Walter, testimone oculare dell'impatto al Pentagono, di cui è già stata pubblicata la
traduzione italiana. Il testo di Walter è riportato tal quale, senza modifiche.

USA Today reporter Mike Walter is one of the best-known eyewitnesses of the Pentagon attack, partly because his words in a CNN interview on 9/11 have often been twisted and deliberately misquoted by conspiracy theorists to support their claims that the Pentagon was hit by a missile. This misquoting has been reported by many sources, including Der Spiegel and Undicisettembre's Italian-language documentary Misteri da Vendere.

Since 9/11, Walter is strongly committed to explaining to the public the actual course of the events of that day. He recently completed a documentary, Breaking News, Breaking Down, in which he reports on one of the less-known aspects of the 9/11 tragedy: the pain and distress that since then accompany anyone who witnessed it directly.

The Undicisettembre group recently contacted Mike Walter, who granted us an interview. This is an opportunity to dispel once and for all many of the most popular conspiracy theories, including Massimo Mazzucco's creative explanation that Walter actually mistook a missile for an airliner.

We would like to thank Mike Walter for his kindness and for the time and attention he has granted us.


Undicisettembre: Hello Mike, it's an honor to speak with you and to share your words with our Italian readers, who are often hindered by the language barrier. Thank you for taking the time to discuss your experience once again. Is it OK if we deal with the conspiracy theory stuff first and get it out of the way?

Mike Walter: Yes of course. I would first like to say thank you for giving me this forum to communicate directly with the people of Italy on this very important issue. For someone to witness the horror that I did that day I think it's very important to honor the people who died by being an honest witness to what happened. I believe those who twist the facts for whatever reason do a great dishonor to the people who died and the loved ones they left behind.


Undicisettembre: Can you give a brief account of what you saw and experienced that morning? What do you recall, generally speaking?

Mike Walter: I was on my way to work which at the time was about 5 minutes away from the Pentagon. I would drive on the freeway to highway 27 that took me right by the Pentagon. I would end up on the road to the Pentagon North Parking lot which would swing around and put me on 110. So this wasn't some random thing that I was there as some have suggested. I was running late that morning and stuck in traffic.

I was listening to radio accounts of what was happening in New York. I was very frustrated because I was the senior correspondent for the national newspaper USA TODAY. I rolled down the window to my car and heard the jet. I looked up to see it's underbelly, then it gracefully banked and began a steep decline. It would dive into the Pentagon.


Undicisettembre: The next question is inevitably about the size of the hole in the face of the Pentagon. Some people say it was too small for an airliner. What's your opinion about this topic? Did you get a good look at the hole before the section of the building collapsed?

Mike Walter: Yes...I have heard this account...but all I can say is when you are traveling with this force, over 500 miles an hour and you are going into a concrete structure, something has to give. As the jet smashed into the Pentagon it was traveling at such a high speed that when the wings hit they basically just folded back...that explains why the hole isn't so large.


Undicisettembre: Some other people on the Internet claim that you couldn't see the impact directly, because your view was blocked by some trees. Is that correct?

Mike Walter: This is from an earlier interview that I did here in the United States. My view was very good. There were some trees...so I was being honest....I wasn't exactly sure if the plane skipped before entering or just crashed into the Pentagon at a very low point in the building. But as far as my view...that was the only part that I had any question about..the exact way it entered. I saw the plane go into the Pentagon, there is no doubt, I had a very good view. I saw the wings fold back; I saw the huge explosion, the fireball and everything else that happened that day.


Undicisettembre: An Italian conspiracy theorist said you might have mistaken a cruise missile for an airplane. I guess you can rule out this crazy idea too, right?

Mike Walter: Here again people have taken my words and twisted them. The fact that I mentioned the trees has been used to discount my testimony.

This cruise missile notion also comes from an interview that day when someone asked if I thought the plane was really aiming at the Pentagon or was it simply an accident.

That's when I said "It was like a cruise missile with wings and it went right over there." I gestured to the area of impact. My point was that the plane was no longer a plane... Whoever was piloting the jet had every intention of turning it into a weapon... like a missile. But the notion that it was a missile and not a jet would be laughable if it wasn't so sad. I think it is really sad because some people actually believe this stuff.


Undicisettembre: Did you see any wreckage of the airplane on the ground?

Mike Walter: Yes I did. But I wasn’t alone, other witnesses and some reporters and photographers who were there to cover the attack also saw the wreckage.


Undicisettembre: Did you see any of the survivors or hear anything from them? What can you tell us about them?

Mike Walter: The story was broken up and different reporters covered different aspects of the story. I did not talk to any of the survivors inside the Pentagon who got out. I have spoken to people who were inside the Pentagon and got out, but they were other parts of the Pentagon. As I'm sure you know the Pentagon is enormous and it's made up of rings. Most of the people that I know and have spoken to were in other rings.


Undicisettembre: What can you tell us about the firefighters and the rescuers?

Mike Walter: They were really impacted by what they did. The hours they put in were long, and the work intense. I do know that many were traumatized by what they saw in the aftermath of the attack.


Undicisettembre: What's your reaction to being a witness of such a huge tragedy and then hearing the so-called "truthers" claim it all was fake?

Mike Walter: At first I thought these people were laughable and would go away, but unfortunately many people believe their accounts. In this age of the internet lots of wrong information can circulate... and the more it circulates the more traction it gets and the more people tend to believe it. I know a lot of young people believe this stuff... because my daughter is 22 and some of her friends have questioned me at length about this because they have seen so much of the stuff on the internet and are confused.


Undicisettembre: Many journalists here in Italy believe the MIHOP (made it happen on purpose) or at least the LIHOP (let it happen on purpose) theories. What's the situation among your colleagues in the US?

Mike Walter: I think my colleagues here ignored this movement for a long time. I started to see this phenomenon early on and was concerned about it. I was contacted by a French journalist about 6 months after the attack, which was after Thierry Meyssan had come out with a book saying that the attack was an inside job and there wasn't a plane.

I was alarmed when I heard that the book was a best seller. I felt like it would be good to do a story on this surge of stuff on the internet, and to do something about the false quality of this material. But initially American journalists thought it was crazy that people were saying this and they ignored it.

Now they do stories on these people as a curiosity. But unfortunately every time they approach the story that way they give these people more credence, more credibility. I feel strongly that they should spend more time putting together reasoned reporting that discounts their wacky theories.


Undicisettembre: Do you think there's anything even vaguely reliable in the various conspiracy theories?

Mike Walter: I think there is a general distrust in authority, and I think people find it hard to believe that one of the strongest nations in the world could be vulnerable to an attack like this. So you combine both of those things and you have the seeds for a conspiracy theory.


Undicisettembre: Leaving aside all the conspiracy theory rants, are there any aspects of 9/11 that you think deserve further investigation? Any unsolved mysteries, nagging gaps that need to be filled, perhaps to bring closure to the emotions surrounding the event? Which avenues of 9/11 investigation and research would you recommend to journalists?

Mike Walter: Unfortunately I'm the wrong one to ask. I have no doubts about what happened that day... because I saw it with my own eyes. The one story I would like to see reported on about 9/11 is this... the impact on journalists.

I've done a documentary on how it impacted me psychologically, but I think there are other medical ailments associated with 9/11 and there are lots of reporters and photojournalists who are now seeing medical issues associated with being involved in the reporting from New York on 9/11 and the days that followed. David Handschuh, a photojournalist in New York, is doing a fascinating study on this, and there are a lot of reporters suffering from doing their job that day and the days that followed.


Undicisettembre: OK, no more conspiracy stuff. Let's move on to somewhat more personal questions. How did this tragic event affect your everyday life?

Mike Walter: It really impacted me quite a bit after the attack. To see this horror was very difficult. I had covered mass murder trials in the past... but I had never seen a case of mass murder right in front of me.

A few days after the attack I had to interview a young widow with her two little children playing in the distance, she had kissed her husband that morning and he had headed off to work and she never imagined that his life might end just a short time later. To see this woman shattered emotionally and to see others who lost their loved ones on that day was tough because I had witnessed their final moments and saw the instrument of their deaths just moments before it hit.

That is tough to take. So I was plagued by nightmares’ about what I saw, and also pretty depressed after the attack. So I'm hoping my film will help others who have had to deal with tough stories or tragedies in their lives. That way some good can come out of that bad day.


Undicisettembre: On 9/11 you went from being a reporter to being an eyewitness, from being an interviewer to being the interviewee. Has this changed your reporting? Has it given you new insight into the art of journalism?

Mike Walter: This is a very good question, and very insightful. Yes, there is no way that you can cross over and not be impacted. I feel like it would be great exercises to have reporters have to be on the other side of a camera on occasion. I think the biggest change for me is that I don't want to waste my time on stories like Paris Hilton and Britney Spears. I want to do journalism about things that matter. I think I was always a compassionate reporter who had tremendous empathy... but now I think those skills have been strengthened.


Undicisettembre: Do you think the country and its people have recovered from the tragedy? Do you feel like the nation is still living in fear, or has it regained its standing in the world?


Mike Walter: I think this latest election, this is just my personal view, and this latest election was a referendum on that subject. Were we going to be a country of fear or a country of hope? I think the previous administration had spent a lot of time working on the fears of Americans.

Having said that, I do hope that we don't lose sight of what happened that day. Unfortunately there are people who hate us. We can take the fight to them as President Bush suggested, or we can try another way of doing things, of trying to understand why there is this hatred. I think hatred in most cases comes from ignorance. If people learn to understand one another they can find common ground and avoid war and tragedies like I witnessed on that day.

I do think as a result of the vote that we have recovered to a degree. I think the attacks on that day impacted different parts of the country in different ways. I know months after the attack when I would travel to California and people there would seem to be moving on, whereas here on the East Coast the people were still dealing with the after affects of that day.

So in closing I would say I hope we have recovered, but I hope we never forget, in fact we must never forget what happened that day. We must also never forget that there were a lot innocent people, mothers, dads, sons, daughters, sisters and brothers who died. Their families will move on, but their lives will never be the same.

2009/11/17

11/9: il processo si sposta a New York

di John - www.crono911.org

Eric Holder, Procuratore Generale degli Stati Uniti, ha decretato che i cinque imputati per gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 saranno processati da una corte federale di New York.

La decisione, comunicata il 13 novembre e voluta dall'amministrazione Obama, azzera il processo penale militare in corso a Guantanamo e prelude all'imminente chiusura del controverso campo di detenzione che ha ospitato sinora i terroristi e combattenti catturati nell'ambito della guerra globale contro Al-Qaeda iniziata all'indomani degli attacchi contro New York e Washington.

Gli imputati sono l'ideatore degli attacchi, Khalid Sheikh Mohammed (KSM), e i suoi complici Ramzi Binalshibh, Ali Abd al-Aziz Ali (alias Ammar al-Baluchi), Waleed bin-Attash e Mustafa Ahmad al-Hawsawi.

E' il caso di ricordare che i primi due hanno ammesso le proprie responsabilità prima ancora di essere catturati, nel corso di un'intervista rilasciata al giornalista arabo Yosri Fouda, in Pakistan, nel 2002.

La decisione ha scatenato un vero putiferio negli Stati Uniti in generale e a New York in particolare. Da un lato, si teme che il trasferimento dei detenuti in prigioni federali e la loro partecipazione alle udienze in un tribunale civile di New York comportino seri rischi di sicurezza.
Si temono tentativi di evasione e di liberazione, ma anche e soprattutto ulteriori attentati da parte di Al-Qaeda o di uno qualsiasi dei tanti gruppi fondamentalisti islamici che vivono a New York, città che con questo processo amplifica un significato simbolico che già le ha procurato tanti guai.

Dall'altro, si teme che in una corte federale, legata ai sistemi probatori tipici della giustizia ordinaria americana (estremamente garantista), potrebbe anche succedere che i cinque terroristi siano assolti.

In molti ricordano bene, infatti, il processo contro El Sayyid Nosair, un fondamentalista che nel 1990 assassinò a colpi di arma da fuoco il rabbino Meir Kahane durante una conferenza a Manhattan, sotto gli occhi di centinaia di persone. Intercettato da un poliziotto mentre fuggiva, Nosair fu arrestato dopo un breve scontro a fuoco nel corso del quale il poliziotto fu ferito.

A causa di imprecisioni nelle testimonianze (un po' quel che succede con i complottisti che si dilettano a contestare le dichiarazioni dei testimoni dell'attacco al Pentagono sfruttando le inevitabili approssimazioni nel ricordare dettagli insignificanti), gli avvocati riuscirono a far assolvere dall'omicidio Nosair (che restò comunque in carcere per gli altri reati commessi).

Si accertò in seguito che Nosair apparteneva alla stessa cellula fondamentalista che nel 1993 organizzò il primo attentato contro il World Trade Center, con il decisivo contributo di Ramzi Yousef, nipote di KSM.

Se Nosair non avesse sparato e ferito l'agente di polizia che lo aveva intercettato, sarebbe stato un uomo libero.

A favore dell'accusa, nel processo sull'11 settembre, gioca però la posizione mantenuta dagli imputati, i quali finora hanno ammesso – con orgoglio – le proprie responsabilità. Se non cambieranno dichiarazioni innanzi ai giudici federali, andranno incontro a una sicura condanna, proprio come è stato per Zacarias Moussaoui, condannato nel 2006.

In ogni caso, questo nuovo processo rappresenta un'ulteriore inchiesta sui fatti dell'11 settembre, che si aggiunge a quella della Commissione 9/11, del Joint Inquiry congressuale, del processo Moussaoui, dell'indagine PENTTBOM dell'FBI, del NIST e della FEMA, per non parlare delle inchieste giornalistiche.

Inchieste congressuali, tecniche, giudiziarie, indipendenti: eppure c'è qualche complottista che sbraita per chiedere "una nuova inchiesta" sull'11 settembre...

Il nuovo processo lascia anche sperare – così come avvenuto per il caso Moussaoui – che una nutrita serie di prove e documenti sia pubblicata sul Web dopo la sentenza, a beneficio di storici, ricercatori e studiosi (quelli veri).

E' infine appena il caso di notare che la reazione dei cittadini di New York e dei familiari delle vittime della tragedia smentisce clamorosamente i proclami dei complottisti, secondo cui i newyorkesi non crederebbero alla "versione ufficiale" dei fatti dell'11 settembre.

2009/11/14

Grattacieli crollano per cedimento di un singolo piano

di Paolo Attivissimo, con il contributo di AlienEntity1.

Uno dei temi ricorrenti delle tesi cospirazioniste riguardanti il crollo delle Torri Gemelle è l'asserita impossibilità che il cedimento di un singolo piano ai livelli alti di un grattacielo possa aver innescato il collasso catastrofico dell'intero edificio.

L'obiezione solitamente proposta è che il crollo dovrebbe arrestarsi perché la struttura sottostante, essendo intatta, resiste al carico. Dopotutto, si obietta, la struttura regge i piani soprastanti quando l'edificio è sano, ha un margine di sicurezza nel farlo, e quindi dovrebbe reggerli anche quando quei piani cadono per soli tre metri, oltretutto partendo da fermi. Se al WTC non lo fece, vuol dire che la struttura sottostante era stata indebolita e quindi le Torri Gemelle erano state sabotate.

Si tratta di un'obiezione che fa inorridire chiunque abbia competenza di strutture, ma che fa presa in molti, perché la percezione delle forze in gioco non è intuitiva. La distinzione fra carico statico (quello retto dall'edificio sano) e carico dinamico (quello che grava su una struttura quando le cade addosso la catasta di piani soprastanti) non è alla portata di tutti.

L'ideale sarebbe disporre di una dimostrazione pratica che faccia vedere cosa succede realmente quando viene indebolito un singolo piano di una struttura alta.

Segnalo quindi con piacere questo video ripreso in Francia: una demolizione senza esplosivi di due edifici di 20 piani, effettuata a Belfor, in rue Parant, il 21 febbraio 2008 dalla società Ferrari Démolition di Wittelsheim.


La tecnica utilizzata è quella del verinage: dei martinetti idraulici piegano e spezzano le colonne portanti di un singolo piano, in modo che la caduta dei piani soprastanti demolisca l'edificio.

Non occorrono esplosivi e non occorre alcun indebolimento preliminare dei piani sottostanti. Come si può vedere nel video, è sufficiente il cedimento di un singolo piano per innescare il crollo di tutta la struttura. La caduta dei sette piani soprastanti per soli tre metri basta a compiere l'operazione.

Questo è esattamente quello che accadde alle Torri Gemelle, su scala molto più vasta e con gli incendi al posto dei martinetti per indebolire la struttura.

In questa demolizione francese si nota inoltre la produzione di vistosi sbuffi nonostante non sia stato usato alcun esplosivo. Gli sbuffi sono generati dalla compressione improvvisa del volume d'aria all'interno dell'edificio, esattamente come alle Torri Gemelle.

L'asserita impossibilità di un crollo completo innescato dal cedimento di un singolo piano risulta quindi inesorabilmente demolita dai fatti.

2009/11/12

Recensione: "Breaking News, Breaking Down" di Mike Walter

di Hammer. An English translation is available below.

Se un giornalista che ha assistito di persona allo schianto del volo American Airlines 77 contro il Pentagono decide di farne un documentario, è normale aspettarsi un video che racconta l'11 settembre da un punto di vista insolito.

Ma "Breaking News, Breaking Down" di Mike Walter, uscito nei primi mesi del 2009 e già insignito di diversi riconoscimenti in vari festival del cinema, non è solo questo: è la storia di persone colpite da un disastro, delle loro emozioni e della loro voglia di non arrendersi davanti alle tragedie della vita.

Mike Walter (da noi intervistato nello scorso mese di giugno), dopo essere stato testimone della morte orribile di centinaia di persone innocenti, fu vittima di incubi ricorrenti, crisi depressive e un forte senso di solitudine che lo stava allontanando dalla sua stessa famiglia.

Nonostante la lunga carriera giornalistica, in cui aveva raccontato a un vasto pubblico più morti violente, sciagure e disastri di quanti ne potesse ricordare, ciò che vide quel terribile giorno lo sconvolse come non era mai successo prima. Le immagini del Boeing 757 lanciato come uno strumento di morte contro un edificio abitato continuavano a riproporsi nella sua mente.

Mike si accorse che raccontare notizie drammatiche può avere conseguenze devastanti, ma riuscì a uscire dalla depressione grazie allo spunto offerto da una nota scritta su un fazzoletto di carta da un collega, che aveva assistito al crollo del World Trade Center e aveva intrapreso il proprio cammino di guarigione presso il DART Center, un ente che aiuta giornalisti emotivamente provati dal loro lavoro a vincere i loro problemi psicologici. Il collega invitò Walter a fare altrettanto.

Grazie al DART Center, Mike Walter conobbe altri cronisti e fotoreporter afflitti dagli stessi suoi problemi. Nel documentario ci porta a conoscenza delle loro storie: storie di persone abituate a raccontare i fatti più tragici, ma che difficilmente hanno modo di esprimere le proprie emozioni.

Il gruppo in cui Mike venne inserito lavorò al progetto "Target New Orleans", in cui giornalisti provenienti da varie parti del mondo unirono i propri sforzi per contribuire ai lavori di sgombero delle macerie, pulizia e ricostruzione della città di New Orleans, colpita dall'uragano Katrina nel 2005.

Insieme impararono a superare il senso di solitudine che li affliggeva per il fatto di non poter condividere il loro tormento con nessuno che lo potesse capire. Così oggi, rimuovendo gli effetti più evidenti della catastrofe che aveva colpito molti di loro, hanno rimosso le proprie barriere emotive. Aiutando la comunità e sentendosi utili, hanno recuperato fiducia e gioia di vivere.

Non è, come dicevamo, solo un racconto insolito sull'11/9 e nemmeno il racconto della rinascita di New Orleans. Questa è la storia di chi ha superato le proprie difficoltà impegnandosi ad aiutare chi ne aveva più bisogno. E ci ricorda che anche i giornalisti, che spesso trascuriamo e vediamo come semplici e indifferenti intermediari, sono traumatizzati quanto e più di noi dalle vicende di cui sono testimoni e che portano nelle nostre case.

Come dice il film stesso: "this is a story of hope". "Questa è una storia di speranza".


English translation


If a journalist who directly witnessed the crash of American Airlines 77 into the Pentagon decides to make a documentary about his experience, naturally an unusual viewpoint on 9/11 is to be expected.

But "Breaking News, Breaking Down" by Mike Walter, which debuted in early 2009 and has already received many accolades at several movie festivals, is more than just a different viewpoint. It's a story about people struck by disaster, about their emotions and their will to stand up to the tragedies of life.

Mike Walter (whom we interviewed last June), after witnessing the horrible death of hundreds of innocent people, was plagued by recurring nightmares, depression and a strong sense of loneliness that began to estrange him from his own family.

Despite his many years as a journalist, in which he had reported to a vast audience more violent deaths, accidents and disasters than he could remember, what he saw that fateful day shocked him like never before. The image of that Boeing 757, hurled as an instrument of death against a building full of people, continued to resurface in his mind.

Mike realized that reporting dramatic news can have devastating consequences, but managed to escape from depression thanks to a note scribbled on a paper napkin by one of his colleagues who had seen the World Trade Center collapse and had started his healing process at the DART Center, an organization that helps journalists who have been shattered emotionally by their job to overcome their psychological problems. Mike's colleague invited him to do the same.

Thanks to the DART Center, Mike Walter met other reporters and photojournalists who were affected in the same way. His documentary allows us to get to know their stories. Stories of people who are accustomed to reporting the most tragic events but seldom have an outlet for their own emotions.

Mike joined a group on the Target New Orleans project: journalists from many parts of the world combined their efforts to help with clearing the debris, cleaning up and rebuilding New Orleans after hurricane Katrina in 2005.

Together they learned to overcome the loneliness that stemmed from being unable to share their pain with someone who could understand it. Today, by removing the most conspicuous effects of the catastrophe that struck many of them, they have also removed their emotional barriers. By helping the community and feeling useful, they have regained confidence and learned again to appreciate life.

"Breaking News, Breaking Down" is not just an unconventional angle on 9/11 or a story on the recovery of New Orleans. It's the story of someone who has overcome his troubles through his commitment to help the neediest of the needy. And it reminds us that while we often regard journalists as mere, indifferent intermediaries, they too are traumatized just like us, and even more than us, by the events they witness and bring into our homes.

As the documentary itself says, this is a story of hope.

2009/10/25

"Crash covers" da Ground Zero

di Enrico Manieri - Henry62

La corrispondenza che sopravvive ai disastri aerei è cercata dai collezionisti filatelici specializzati perché si compone di oggetti postali che testimoniano la tragedia degli schianti aerei.

Da sempre il collezionismo ha preservato questi rari documenti, passati incredibilmente quasi indenni fra crolli ed incendi.

L'11 settembre 2001 si salvarono almeno tre corrispondenze che erano state imbarcate a bordo degli aeroplani che si schiantarono contro le Torri Gemelle:



Fonti aggiuntive: ANSA; Unione Sarda.

2009/09/30

Le zone grigie: il viaggio di Atta e Al-Omari a Portland

di John - www.crono911.org

Come avevamo anticipato, iniziamo ad approfondire la tematica delle zone grigie dell'11 settembre 2001, ossia di quegli aspetti che non sono stati sufficientemente chiariti o spiegati e che – pur non modificando di punto la ricostruzione dei fatti – potrebbero rivelarsi utili per integrare e completare la conoscenza storica dell'evento.

In questo articolo parleremo delle ultime 24 ore di vita di Mohammed Atta, capo operativo dei 19 terroristi e pilota suicida del volo American 11, e di Abdulaziz Al-Omari, uno degli altri dirottatori dello stesso volo.


Il fatto anomalo


Alle 6 del mattino dell'11 settembre 2001, Atta e Al-Omari si imbarcarono su un volo diretto da Portland, nello stato del Maine, a Boston. L' immagine di apertura, ripresa dai sistemi di videosorveglianza dello scalo di Portland, mostra i due terroristi al momento dell'imbarco. All'aeroporto di Boston, dove erano atterrati alle 6:45, i due si imbarcarono sul volo AA11, il cui decollo era previsto alle 8.

Fin qui niente di strano, ma la circostanza anomala è che i due dirottatori si trovavano già a Boston il giorno precedente e si erano recati in auto a Portland, dove avevano trascorso l'ultima notte della loro vita.

E' quindi del tutto legittimo domandarsi per quale ragione i due terroristi fecero quel viaggio a Portland assumendosi il rischio – nel caso in cui il volo da Portland avesse subito ritardi – di perdere la coincidenza con il volo American 11, ossia l'aereo che avevano deciso di dirottare.

E in effetti la mossa non fu priva di conseguenze: le due valigie che i terroristi avevano imbarcato a Portland, entrambe registrate a nome di Atta, rimasero a terra, nell'aeroporto Logan di Boston, probabilmente a causa dei tempi stretti di coincidenza. I due bagagli si rivelarono una fonte preziosa di informazioni, per i documenti e il materiale che contenevano.


La cronologia


Ricostruiamo nel dettaglio i movimenti dei due terroristi.

Alle 18:08 del 9 settembre 2001 Atta ritirò un'autovettura Nissan Altima di colore blu da un'agenzia di noleggio di Boston. Il contratto prevedeva la restituzione dell'auto sempre a Boston alle 18 dell'11 settembre 2001.

Con quell'auto, il 10 settembre, Atta e Al-Omari raggiunsero Portland. Alle 17:37 presero una camera presso l'albergo Comfort Inn; in serata prelevarono denaro contante da apparecchiature Bancomat e furono ripresi dalla telecamera di uno sportello automatico (ore 20:41).

Successivamente effettuarono acquisti in alcuni negozi nei pressi dell'aeroporto di Portland e anche in questo caso furono ripresi dai sistemi di videosorveglianza installati negli esercizi commerciali (ore 21:15).

Risulta documentato che i due acquistarono un "adattatore per batterie da 6 volt". Anche se non è specificato l'utilizzo dell'adattatore, questo tipo di attrezzo è adoperato come accessorio per consentire l'impiego di comuni batterie AA nelle apparecchiature che utilizzano batterie da 6 volt, come taluni ricevitori GPS professionali.

La mattina dell'11 settembre, Atta e il suo compagno lasciarono l'albergo alle 5:33, raggiunsero l'aeroporto e si imbarcarono per Boston con il volo Colgan Air 5930. Al momento del check-in, i due pretesero all'arrivo il trasbordo diretto sul volo AA11, ma il personale aeroportuale di Portland comunicò loro che avrebbero dovuto ripetere il check-in a Boston.


Le indagini


La Commissione 9/11 si è posta il problema di capire lo scopo del viaggio di Atta e Al-Omari a Portland e ha indagato in tal senso.

Ramzi Binalshibh, il terrorista che manteneva i contatti con Atta dalla Germania, è stato interrogato sul punto ma non ha saputo spiegare la circostanza.

Le indagini della Commissione non hanno permesso di scoprire alcun indizio utile a chiarire il comportamento di Atta, ma è stato accertato che l'aeroporto di Portland era quello più vicino con un volo per Boston utile per imbarcarsi sull'American 11.

Atta aveva acquistato i biglietti per sé e Al-Omari il 28 agosto 2001, sul sito Internet dell'American Airlines, pagando 4226 dollari con carta di credito.

Infatti la Colgan Air era una compagnia sussidiaria dell'American Airlines, per cui la tratta coperta dai biglietti era unica: da Portland a Los Angeles via Boston.

Di conseguenza i bagagli furono caricati sul volo Colgan 5930 a Portland con destinazione Los Angeles: solo per essi (ma non per i viaggiatori) non era previsto un ulteriore check-in.

Quando apprese che avrebbe dovuto ripetere i controlli di imbarco a Boston per salire a bordo dell'AA11, Atta manifestò il proprio disappunto e protestò affermando che gli era stato garantito che avrebbero potuto imbarcarsi direttamente su quel volo.


Conclusioni e ipotesi


E' improbabile che Atta e Al-Omari si recarono a Portland per incontrare qualcuno. La distanza tra Boston e Portland è pari a circa 200 km e la percorrenza in auto non supera le due ore.

Se ci fosse stato un incontro prima delle 17:37, quando i terroristi affittarono la camera al Comfort Inn, non si vede la ragione per cui non avrebbero dovuto rientrare a Boston in auto.

Dopo le 17:37, i due erano soli sia quando fecero i prelievi Bancomat, sia quando fecero acquisti nei negozi, sia quando consumarono la pizza.

Questa circostanza, unita al fatto che l'aeroporto di Portland era l'unico ad avere un volo utile in coincidenza con la partenza di American 11, lascia ritenere che Atta e Al-Omari raggiunsero Portland perché il loro scopo era proprio quello di arrivare in volo a Boston.

La conclusione è pacificamente confermata dal fatto che i biglietti Portland-Boston-Los Angeles erano stati acquistati sin dal 28 agosto 2001.

Tra l'altro, il rischio che Atta e Al-Omari perdessero la coincidenza con American 11 era remoto: trattandosi di biglietti acquistati in “bundle” dall'American Airlines, quest'ultima era responsabile dell'intera tratta da Portland a Los Angeles (con cambio a Boston) e chiunque abbia viaggiato in aereo sa che le compagnie aeree non hanno problemi a ritardare di qualche minuto la partenza di un proprio velivolo se è necessario per garantire la coincidenza a passeggeri in arrivo con un altro velivolo della stessa compagnia.

Non c'è alcun dubbio, quindi, che Atta e Al-Omari intenzionalmente previdero e decisero di partire da Portland per imbarcarsi sull'American 11.

Questa constatazione lascia però in piedi l'interrogativo: perché optarono per questa soluzione?

La domanda è probabilmente destinata a rimanere senza risposte certe, perché non possiamo sapere cosa pensarono Atta e i suoi complici. Tuttavia si possono esaminare un paio di ipotesi.

L'ipotesi avanzata dalla Commissione 9/11 è quella che Atta pensava che a Portland i sistemi di sicurezza sarebbero stati meno severi che a Boston. A sostegno di questa ipotesi va il disappunto con cui Atta reagì alla notizia che avrebbe dovuto ripetere i controlli di imbarco a Boston.

Se l'ipotesi fosse corretta, però, ci sarebbe da chiedersi che senso avrebbe avuto non adottare lo stesso stratagemma per gli altri tre terroristi che componevano il team destinato a dirottare il volo AA11 o per i cinque destinati a prendere il controllo di United 175, anch'esso in partenza da Boston. Atta e Al-Omari da soli, infatti, avrebbero potuto fare ben poco.

Un'altra ipotesi è che il volo Portland-Boston fu una specie di controllo finale, l'ultimo test per verificare che i servizi di contro-terrorismo non fossero pronti a saltare addosso ai dirottatori nel momento in cui salivano a bordo degli aerei.

Quando Atta fece i biglietti, il 28 agosto, erano trascorse nemmeno due settimane dall'arresto di Zacarias Moussaoui, e all'inizio del mese Mohamed Al-Khatani era stato respinto all'ingresso negli Stati Uniti.

Entrambi erano coinvolti nell'operazione ed è verosimile che i due episodi abbiano indotto Atta a considerare la possibilità che l'FBI fosse venuta a conoscenza del piano.

Atta si era personalmente occupato di accogliere e smistare i vari terroristi in arrivo negli Stati Uniti, aveva personalmente mantenuto i contatti con i quadri di Al-Qaeda in Europa e aveva curato che nessun team fosse a conoscenza dell'identità e degli obiettivi degli altri team, per cui rappresentava l'anello di congiunzione tra tutti i terroristi implicati nel piano. Era quindi il più esposto nell'eventualità di una fuga di notizie.

Il suo biglietto online Portland – Boston – Los Angeles era una vera e propria esca, perché gli agenti dell'FBI eventualmente sulle sue tracce avrebbero avuto una precisa indicazione del volo su cui si sarebbe imbarcato e avrebbero potuto arrestarlo quando partiva da Portland o all'arrivo a Boston.

In tal caso gli altri dirottatori avrebbero avuto un preavviso sufficiente per tentare di allontanarsi dagli aeroporti e far perdere le proprie tracce.

Se invece si fosse imbarcato senza intoppi a Portland e fosse sbarcato a Boston per salire direttamente sul volo American 11 senza ulteriori controlli (come abbiamo visto, Atta era convinto che non ci sarebbe stato un secondo check-in), quella sarebbe stata una prova significativa che la segretezza dell'operazione non era stata compromessa.

Per tutte queste ragioni, l'ipotesi che la sortita di Portland sia stata concepita come una vera e propria esca appare quella più verosimile.


Le fonti


La recente discovery della documentazione e dei materiali provenienti dal processo Moussaoui, dall'indagine PENTTBOM dell'FBI, dai lavori della Commissione di Inchiesta consente oggi di affrontare il tema delle zone grigie in modo più completo e pertinente, perché conosciamo molti dettagli prima del tutto ignoti.

Tuttavia il materiale disponibile è così copioso che difficilmente potremo esaminarlo e analizzarlo nella sua interezza: l'aiuto dei lettori è certamente prezioso e ogni segnalazione utile a integrare o correggere quanto esposto sarà graditissima.

Per questo articolo abbiamo consultato:

– l'intervista rilasciata alla CNN da Michael Touhey, l'addetto aeroportuale che effettuò il check-in di Atta e Al-Omari a Portland;

– il documento Chronology of events for hijackers, reperto n. OG00020.2 / 01-455A, tratto dai documenti del processo Moussaoui;

– il rapporto Colgan 302, File 280350 FD302, tratto dagli atti investigativi dell'indagine PENTTBOM condotta dall'FBI;

– Il memorandum for record MFR04020016 tratto dagli atti della Commissione 9/11;

– Il documento dell'FBI Working Draft Chronology;

– gli atti redatti dall'FBI per il sequestro della Nissan Altima e dei bagagli di Atta e Al-Omari;

– il 9/11 Report, in particolare alle pagg. 451 e 533.

Sono state scartate invece le segnalazioni di fonte giornalistica che indicavano la presenza di Mohammed Atta, la mattina del 10 settembre 2001, a New York. Si è accertato infatti che quelle segnalazioni erano riferite a un omonimo del dirottatore.

2009/09/24

Sondaggio: complottismo USA in declino

di Paolo Attivissimo

LIHOP quasi dimezzato fra gli americani. Secondo un sondaggio pubblicato da Public Policy Polling e condotto su un campione di 621 elettori statunitensi fra il 18 e il 21 settembre 2009, il 14% degli americani crede che Bush abbia lasciato accadere gli attentati dell'11 settembre perché voleva un coinvolgimento bellico statunitense in Medio Oriente (teoria del "lasciar accadere intenzionalmente" o LIHOP, Let It Happen On Purpose). Un sondaggio della Zogby del 2007 indicava invece che il 26,4% degli americani riteneva valida questa teoria.

Alla domanda "Lei ritiene che il Presidente Bush abbia intenzionalmente permesso che avvenissero gli attacchi dell'11/9 perché voleva che gli Stati Uniti andassero in guerra in Medio Oriente?", il 78% degli intervistati ha oggi risposto "No" e l'8% ha risposto "Non sono sicuro". Il margine d'errore indicato è il +/-3,9%.

Si noti che la teoria LIHOP è la più "soft": non ipotizza demolizioni controllate effettuate di nascosto, aerei fantasma al Pentagono o in Pennsylvania, o gli altri scenari fantascientifici cari alla produzione cospirazionista. Ipotizza semplicemente che Bush sapesse degli attentati in preparazione da parte di Osama bin Laden e i diciannove terroristi e abbia ordinato di chiudere un occhio affinché gli attentati andassero a segno, in modo da avere un ritorno politico e avere carta bianca in Medio Oriente.

Essendo una teoria "soft", basata esclusivamente sulla sfiducia verso il governo, è quella più facilmente condivisibile, tanto che il sondaggio Zogby indicava che nel 2007 solo il 4,5% degli americani aderiva agli scenari di demolizione controllata, ologrammi, missili al Pentagono e altre diavolerie. Eppure questa teoria ha perso quasi metà dei propri sostenitori.

Il nuovo sondaggio permette anche di conoscere altri dati. Credono ad un "lasciar fare" di Bush:
  • per fasce d'età, il 18% delle persone fra 18 e 29 anni, il 14% delle persone fra 30 e 45 anni, il 14% delle persone fra 46 e 65 anni e il 13% di quelle oltre i 65 anni.
  • per etnia, l'8% degli ispanici, il 12% dei bianchi, il 34% degli afroamericani e il 14% delle altre etnie.
  • per sesso, il 14% delle donne e il 15% degli uomini.
  • per affiliazione politica, il 25% dei democratici, il 6% dei repubblicani e il 9% degli indipendenti o affiliati ad altri partiti.
  • per scelta elettorale, il 2% degli elettori di McCain, il 27% degli elettori di Obama e il 9% degli elettori di altri candidati o di coloro che non ricordano la propria preferenza.
  • per ideologia, il 27% dei liberali, il 12% dei moderati e il 10% dei conservatori.

Sulla base di questi dati, sembra ragionevole dire che il cospirazionismo è in netto declino e che il vasto sostegno popolare vantato frequentemente dai guru del "movimento per la verità" esiste soltanto nei loro sogni malati.

2009/09/19

Mazzucco e Chiesa: il solito brodo insipido

di John - www.Crono911.org

I recenti "interventi" di Massimo Mazzucco e Giulietto Chiesa sulla questione "9/11" ripropongono un problema ormai annoso: l'inconsistenza di questi personaggi sia come "ricercatori", sia come interlocutori.

Parto da Mazzucco.

L'ex regista, oggi gestore del blog/forum Luogocomune, dopo aver "sfidato" Piero Angela autodefinendosi "uno dei maggiori esperti in Italia fra chi critica la versione ufficiale dell’undici settembre" ha offerto a Paolo Attivissimo uno spazio in un non meglio precisato video complottista.

Entrambe le iniziative sono cadute nel vuoto, com'è logico aspettarsi (anche per i motivi che dirò più avanti). A quel punto Mazzucco ha pubblicato sul suo sito una lista di domande (dodici, dice) con tanto di video, pretendendo altrettante risposte da Paolo Attivissimo.

E il buon Paolo gli ha risposto. Ha replicato a Mazzucco, beninteso, spiegando le ragioni per cui quelle domande non meritavano riscontro.

L'articolo di Paolo è del 16 settembre. Eppure, il 18 settembre Mazzucco – a chi gli chiedeva se era giunta risposta da Attivissimo – ha risposto:

"No. Se lo facesse, pubblicherei immediatamente la sua risposta".


E al momento in cui scrivo queste righe, ancora Mazzucco non ha pubblicato la risposta di Paolo, lasciando intendere ai propri iscritti che il "nemico" tace.

Nel frattempo però, sul mio forum ho messo giù un commento ironico sulle domande di Mazzucco, evidenziando quanto esse siano inutili, fuorvianti e basate su premesse false e illogiche.

Mazzucco che ha fatto? Si è inventato dodici risposte, le ha attribuite a me dicendo che sono la mia risposta alle sue domande e che le avrei scritte usando un imprecisato nick di copertura, ha pubblicato il tutto e ha persino affermato (mentendo spudoratamente) di aver avuto una corrispondenza con il sottoscritto!

Scorrettezza e menzogna, e poi Mazzucco si meraviglia che nessuno gli dia corda.

Ma in questa vicenda saltano fuori due affermazioni di Mazzucco che la dicono lunga su quanto egli sia "uno dei massimi esperti" complottisti.

Nella sua "controrisposta" alla domanda "9B", infatti, parla di "3 anelli di cemento armato" che sarebbero stati "perforati" dal volo American 77, al Pentagono. Dopo otto anni, Mazzucco ancora ignora che il Pentagono, ai piani in cui fu colpito dal velivolo, non è composto da tre anelli. Il Pentagono, infatti, forma anelli separati soltanto ai piani superiori: al piano terra e al primo piano, ossia i livelli colpiti, i tre anelli esterni sono in realtà un volume unico.

Dal Pentagon Building Performance Report della American Society of Civil Engineers (2002).

Ormai lo sanno tutti i complottisti che abbiano fatto un minimo di studio sulla materia, ma Mazzucco lo ignora.

Poi, tra i commenti nel suo blog, quando l'utente Ashoka parla del passaporto di uno dei dirottatori rinvenuto in strada dopo l'impatto del volo American 11 contro la North Tower di New York – circostanza anche questa nota da otto anni e al centro di innumerevoli diatribe tra complottisti e debunker, citata praticamente in tutti i testi e i servizi che parlano di 11 settembre compresi numerosi documenti – Mazzucco è sorpreso dalla "notizia":

"ASHOKA quel passaporto mi mancava. Se poi è stato ritrovato prima del crollo, significa che è "volato via" al momento dell'impatto. Forse Al Suqami lo teneva in mano, con la mano fuori dal finestrino (pensava di essere al valico di Chiasso, in macchina, e non in aereo a New York).
Mi metteresti il link alla notizia, se ce l'hai sottomano?
Grazie."


E questo signore sarebbe uno dei "massimi esperti" di critiche alla "versione ufficiale" dell'11 settembre? Suvvia...

Ma non è da meno Giulietto Chiesa.

In un suo lungo post pubblicato su Megachip e datato 16 settembre 2009, Chiesa parte dalla rivelazione di "dati nuovi che sono emersi dopo il lavoro della Commissione".

E quali sono i "dati nuovi"? Tre libri. Uno è del 2002, l'altro del 2006. Sarebbero "dati nuovi".

Il terzo è del 2008, ed è il libro Commission scritto dal giornalista Philip Shenon, che mette in luce alcune presunte omissioni e distorsioni nell'ambito della Commissione d'inchiesta sui fatti dell'11 settembre.

L'apprezzabile lavoro di Shenon, però, è di discutibile utilità: le sue fonti, come lo stesso autore ammette, sono in gran parte coperte dall'anonimato per cui non è possibile verificarne le affermazioni.

Soprattutto, Shenon non contesta affatto ciò che è accaduto l'11 settembre 2001 (come invece Giulietto vorrebbe lasciar intendere) ma contesta che la Commissione avrebbe taciuto sul coinvolgimento dell'Arabia Saudita.

Ma se è per questo, altri autori prima ancora di Shenon avevano già focalizzato la questione delle responsabilità saudite (Coll, Wright, Lance) e loro hanno fatto anche nomi e cognomi.

Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, e la recentissima discovery di tutto il materiale della Commissione 9/11 – comprese le mail scritte dai componenti dello staff – consente a chiunque di verificare fino a che punto certi sospetti sull'Arabia Saudita siano giustificati o meno.

Chiesa supera poi del tutto il limite del ridicolo quando "scopre" che Khalid Sheikh Mohammed ha reso una confessione sotto tortura... e finge di ignorare che l'uomo aveva già confessato le proprie responsabilità - quand'era ancora libero e felice - al giornalista arabo Yosri Fouda; o quando afferma che la Commissione 9/11 servì per indurre gli Stati Uniti a invadere l'Iraq*, scordandosi che l'Iraq fu invaso un anno prima della pubblicazione del Rapporto; o quando "rivela" che quasi tutte le telefonate fatte dai voli dirottati sono false perché l'FBI ha scoperto che solo due di esse risultano partite dai telefoni cellulari... certo, infatti tutte le altre sono partite dai telefoni di bordo, come attestato dall'FBI e come noi diciamo da anni: sono i complottisti a sostenere che sono partite dai telefoni cellulari, mica noi.

Questa è quindi la profonda ignoranza dei complottisti "esperti" di casa nostra, che poi pretendono di vendere libri e film e di essere trattati da seri ricercatori.

Più che mai questi episodi dimostrano che il livello dei complottisti è quello dei banali venditori di fumo e paccottiglie, ed è per questo che ad essi non può riconoscersi la dignità di seri interlocutori.

*Nota: riferito al passaggio in cui Chiesa, interpretando a modo suo Shenon, sostiene che il governo «si servì della Commissione per promuovere la guerra contro l’Iraq».

2009/09/18

Mentre l'Italia piange i propri caduti, Giulietto Chiesa gigioneggia di complotti

di Paolo Attivissimo

Un'altra testimonianza dello scollamento dalla realtà che caratterizza il cospirazionismo è arrivato stamattina da Giulietto Chiesa su Radio 24. In una trasmissione dedicata alle riflessioni sulla morte di sei soldati italiani in un attentato in Afghanistan, Chiesa non ha trovato di meglio che riproporre le sue teorie di autoattentato dell'11 settembre, il tormentone vecchio di bin Laden non ricercato dall'FBI per l'11/9 e quello nuovo del libro di Philip Shenon che (secondo lui) dimostrerebbe che la Commissione 11/9 fu una farsa.

Il conduttore e gli ospiti (il giornalista Fausto Biloslavo e il generale Mini) si sono trattenuti a stento. Biloslavo ha detto esplicitamente che a lui pare che Giulietto Chiesa "vaneggi". Per chi volesse, la registrazione è negli archivi di Radio 24 qui. L'intervento di Chiesa inizia intorno al trentacinquesimo minuto della trasmissione.

2009/09/16

La verità in saldo

di Paolo Attivissimo

E' stagione di saldi per il complottismo. Quella che vedete qui accanto è la pubblicità inviata oggi via mail dal Mean More Store (Meanmore.com) statunitense.

La verità oggi costa il 20% in meno. Ma soltanto fino al 18 settembre. E se acquistate tre versioni alternative della verità ve ne danno una gratis in più. Perché accontentarsi di una sola, noiosa versione ufficiale, quando se ne possono avere tante?

Affrettatevi.

Domande stantie in cerca d'attenzione [UPD 2011/10/23]

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Alcuni complottisti più o meno noti mi hanno chiesto un confronto con le loro affermazioni e osservazioni. Qualcuno di recente ha anche preparato l'ennesima lista di domande "irrisolte", sfidandomi rumorosamente a rispondere. Magno cum fragore mons partorievit ridiculum mus.

Perché dovrei rispondere io? Le risposte sono già state date da anni, e dagli esperti più qualificati, ma i fanatici del complotto non le hanno ascoltate. Non c'è motivo di credere che stavolta andrebbe diversamente.

Le risposte, esaurienti, precise e ben documentate, sono nei rapporti e nei resoconti dei fatti accertati e attestati dai tecnici, dai testimoni, dagli investigatori, dai giudici, dai periti, dai colleghi giornalisti e persino dai rei confessi dell'11 settembre.

Rapporti e resoconti che evidentemente i cospirazionisti non si sono degnati di studiare, dichiarandoli falsi senza nemmeno conoscerli. Se li avessero studiati, saprebbero non solo le semplici risposte alle loro sempiterne domande, ma saprebbero anche che non esiste il concetto di "versione ufficiale" al quale loro si abbarbicano ostinatamente ormai da otto anni.

Infatti potremmo tranquillamente cancellare il rapporto della Commissione 11/9, al quale tanti cospirazionisti sembrano essere rimasti fermi: la storia dell'11 settembre resterebbe perfettamente coerente e comprovata da testimonianze, sentenze, video, inchieste giornalistiche, documenti e reperti. Potremmo anche buttar via i rapporti della FEMA e del NIST: resterebbero comunque i numerosi studi tecnici indipendenti, regolarmente sottoposti a peer review e pubblicati nelle riviste specialistiche anche da esperti italiani.

Diciamola tutta: sostenere che i rapporti tecnici del NIST e della FEMA sono falsi significa accusare di falso anche gli esperti italiani. Che i complottisti vadano a discutere con questi esperti, invece di accanirsi contro un semplice divulgatore come me. Ma non osano farlo, perché quando ci hanno provato ne sono usciti con le ossa rotte: si veda per esempio la loro intervista all'esperto di esplosivistica Danilo Coppe, che ha smentito categoricamente ogni teoria di demolizione controllata delle Torri Gemelle.

Quello che mi colpisce è che dopo otto anni, i cospirazionisti si siano ridotti ad elemosinare il confronto con un debunker, anziché decidersi finalmente ad affrontare i diretti attestatori tecnici dei fatti dell'11 settembre. Perché un debunker non attesta nulla: si limita a utilizzare il materiale attestato dagli esperti, per opporlo alle fandonie cospirazioniste, e lo presenta in forma divulgativa. Un debunker non dà fuoco a una struttura in acciaio per vedere se si ammorbidisce e cede in caso d'incendio: si consulta con i vigili del fuoco, che sanno bene come si comportano queste strutture, e riporta quello che i vigili del fuoco attestano. Tutto qui.

Se i complottisti volessero davvero risposte, andrebbero a chiederle a questi tecnici.

Se volessero davvero la verità, non ci espellerebbero dai loro forum.

Se volessero presentarsi come interlocutori seri, smetterebbero di tagliuzzare le dichiarazioni dei testimoni oculari e di truccare i video accelerandoli.

Se volessero davvero un dialogo civile, non tollererebbero di ospitare commenti come "personalmente ad Attivisismo potrei arrivare a pagargli al massimo l'iniezione letale che meriterebbe" o "la colpa è degli Attivissimo, degli Angela, dei Vespa (oltre che dei soliti noti) ... e la gente che ci ha portato a questa situazione non merita di vivere".

È evidente, quindi, che i sostenitori delle cosiddette "teorie alternative" che aspirano a confrontarsi con i debunker non hanno nessun interesse ad avere risposte. Le loro domande sono soltanto un pretesto: sono soltanto una patetica ricerca d'attenzione, visto che il complottismo undicisettembrino ormai giace morente, sostituito da teorie ancora più becere come la cura del cancro con il bicarbonato o la fine del mondo nel 2012. Vogliono fare un po' di chiasso, che serva a piazzare qualche libro o DVD rimasto invenduto o a mettersi in mostra con i propri seguaci, troppo infatuati per capire l'assurdità autolesionista dell'iniziativa.

Personalmente non intendo prestare il fianco a zuffe di questo genere, che sono un insulto ai morti dell'11 settembre e di tutte le tragedie che ne sono scaturite. Se e quando i complottisti dimostreranno di conoscere e saper citare correttamente tutto il materiale che costituisce quella che loro chiamano impropriamente "versione ufficiale" e sapranno porre domande che non siano viziate dall'ignoranza (colpevole o dolosa) di quel materiale quanto quelle fatte fin qui, allora ne riparleremo.

Undicisettembre resta, come sempre, a disposizione di chiunque voglia, senza ipocrisie, preconcetti e pregiudizi, conoscere meglio l'11 settembre.

Chi invece si ostina a pretendere risposte a domande dalle premesse bacate troverà ottime e dettagliate soddisfazioni qui e qui.

In quanto alle ripetute avances di Massimo Mazzucco nei miei confronti, già fattemi anche per le sue teorie di complotti lunari, vale la pena di documentare la sua ipocrisia. Mazzucco parla tanto di dialogo, ma la realtà è che dopo avermi bandito da Luogocomune con la finissima frase "hai insozzato a sufficienza le pareti di questo spazio", ha rincarato la dose escludendomi esplicitamente dalla sua magnanima "amnistia":

Restano esclusi dall’amnistia solo alcuni soggetti particolari, ovvero l’utente wewe, i debunkers professionisti (Attivissimo e soci), e quelli del Cicap espulsi durante la battaglia sui cerchi di grano.




Datemi una buona ragione, una soltanto, per la quale dovrei dialogare con un individuo del genere.


2011/10/20-23


Visto che a due anni di distanza non solo Mazzucco ma anche altri insistono ancora a chiedere una mia risposta personale a questa lista di domande (come se la mia opinione valesse qualcosa rispetto alle perizie tecniche e alle indagini giornalistiche) e continuano ad assillare Undicisettembre con questa questione come se fosse un ostacolo insormontabile, rispondo brevemente per chiudere il sospeso.


Domanda n. 1 : Perchè non è stato incriminato nessuno fra i responsabili del progetto e della costruzione delle Torri Gemelle, nè è mai stata nemmeno suggerita una responsabilità penale da parte loro?

Perché la colpa del disastro è dei terroristi che pilotavano gli aerei pieni di carburante che si sono schiantati contro le Torri, non dei progettisti degli edifici. Fra l'altro, le Torri non erano formalmente soggette al rispetto delle norme edilizie della città di New York perché erano di proprietà della Port Authority of New York and New Jersey, e questo consentì deroghe ed eccezioni importanti, sollevando i progettisti e i costruttori da eventuali responsabilità (dettagli).


Domanda n. 2 : Che cosa ha causato le pozze di acciaio e metallo fuso, piegato le colonne senza incrinarle, continuando a bruciare per settimane sottoterra?

Probabilmente le pozze di metallo furono causate dagli incendi che continuarono ad ardere sotto le macerie, come testimoniato dai vigili del fuoco di New York. Non è chiaro se si trattasse di acciaio o di altri metalli, come l'alluminio, che hanno temperature di fusione molto più basse dell'acciaio: non risultano esserci analisi metallurgiche di questo metallo fuso, ma solo descrizioni aneddotiche. La piegatura delle colonne può essere stata causata dalle enormi sollecitazioni meccaniche dovute ai crolli, coadiuvate dal fatto che le colonne nelle zone incendiate raggiunsero presumibilmente temperature tali da ammorbidirle (l'acciaio per costruzioni perde il 50% della propria resistenza già a 600°C).

L'ipotesi che questi fenomeni siano stati causati da termite o “nanotermite” non è plausibile, perché la reazione di queste sostanze sprigiona temperature altissime solo per brevi periodi, mentre gli incendi sotterranei rimasero attivi per circa tre mesi.


Domanda n. 3: Sapete spiegare come sia accaduto che le leggi della fisica, che prevedono che un corpo in caduta segua la linea di minore resistenza, siano state aggirate in ciascuno dei tre casi?

Le leggi della fisica non prevedono affatto che un corpo che cade debba sempre seguire la linea di minore resistenza. Un corpo cade nella direzione nella quale agisce la somma delle forze che lo interessano (somma vettoriale): nel caso delle Torri Gemelle, la forza di gran lunga prevalente era la gravità, quindi le Torri dovevano cadere verticalmente, come infatti è successo. La resistenza opposta dai piani sottostanti fu sostanzialmente trascurabile e comunque insufficiente a deviare lateralmente la massa che stava cadendo, perché la struttura era concepita per reggere i piani soprastanti come carico statico, non come massa in caduta. In altre parole, non fu aggirata nessuna legge della fisica.


Domanda n. 4 : Visto che quel giorno non c'era vento forte, e siccome nessuno ha sparato all'aereo in volo, come è stato possibile ritrovare dei resti dell'aereo a 14 Km. dal luogo di impatto?

Secondo i resoconti dei giornali, i resti dell'aereo trovati a queste distanze furono tutti frammenti leggeri che potevano essere stati scagliati in aria dall'urto violentissimo contro il terreno (con un'angolazione di circa 40°), sollevati dalla colonna ascendente d'aria calda prodotta dalla deflagrazione del carburante a bordo e poi portati dal vento (che soffiava a 16 km/h in direzione ovest-nord ovest). Dettagli: Flight93crash.com, CNN, BBC.

La disseminazione di frammenti leggeri a distanze notevoli dall'impatto in caso di caduta quasi verticale di aerei di linea non è un mistero: accadde, per esempio, per il Volo USAir 427, un Boeing 737, nel 1994 (Aviation Safety Network; rapporto NTSB; Flight93crash.com).


Domanda n. 5 : Visto che l'aereo sembra essere scomparso in questa buca, come è stato possibile ritrovare e identificare tramite il DNA i resti di ogni singolo passeggero? E anche il 95% dell'aereo, fra le altre cose?

L'identificazione fu possibile con le tecniche che si usano normalmente quando i corpi sono dilaniati (incidenti molto violenti, bombe fatte esplodere nella folla, e simili): l'impatto del Volo 93 dilaniò e carbonizzò in gran parte i corpi, ma per l'analisi del DNA è sufficiente anche un piccolo frammento di tessuto, anche se consumato da incendi (si veda, per esempio, Identification Of Exhumed Remains Of Fire Tragedy Victims, American Journal of Forensic Medicine and Pathology, 2005). Dalla zona d'impatto furono recuperati circa 1500 campioni di tessuti umani, anche al di fuori del cratere, per un totale di circa 300 chili (circa l'8% della massa complessiva delle 44 persone a bordo).

Il dato del 95% dell'aereo recuperato è citato per esempio da CNN qui, sulla base di dichiarazioni dell'FBI. Fu possibile perché il cratere (collassato su se stesso dopo l'impatto, seppellendo molti rottami, come accaduto anche in altri schianti aerei analoghi; per questo l'aereo “sembra essere scomparso”) fu scavato fino a una profondità di circa 15 metri (Pennsylvania Department of Environmental Protection) e perché i soccorritori setacciarono tutta l'area circostante, raccogliendo i resti umani e i rottami. Questo lavoro è documentato anche fotograficamente.


Domanda n. 6 : Se l'aereo bianco era davvero un aereo privato, perchè Popular Mechanics ha usato prove falsificate per sostentare la propria affermazione?

Popular Mechanics, nel proprio documentario citato da Mazzucco, non ha usato affatto “prove falsificate”: ha commesso un errore di montaggio. Succede: ne ha fatti anche Mazzucco nei suoi video. Ma non dipendiamo certo da un documentario di Popular Mechanics per sapere che l'aereo bianco che sorvolò l'area dell'impatto del Volo 93 era un aereo privato della VF Corporation. Questo fatto è documentato dalle perizie tecniche e dai reperti (tracciati radar, testimonianze del pilota dell'aereo bianco, eccetera): sono queste le prove che vanno esaminate, non i documentari, che sono sintesi narrative con tutti i compromessi che ogni sintesi comporta. Prendersela con un errore di un documentario, invece di studiare le fonti dirette dell'evento, significa creare un falso problema.


Domanda aggiuntiva: Lo sapevi che sul luogo di impatto sono stati trovati i seguenti oggetti: un intero e riconoscibile documento di identità di un dirottatore. Il testamento, non strappato nè bruciato, di un dirottatore. Una ricevuta con il nome di un dirottatore. Il foto-ritratto di un dirottatore. Un coltellino appartenuto ad un dirottatore. Una ricevuta della lavanderia, con il nome di un dirottatore. La bandana, non bruciata nè strappata, di un dirottatore. Il passaporto di un dirottatore, con foto e nome chiaramente visibili?

Sì, lo sapevo. Ma l'elenco non è completo: furono trovati anche gli effetti personali dei passeggeri, come gioielli, carte di credito, fotografie, documenti, portafogli, passaporti, patenti, carte d'identità: in totale sei scatole di effetti personali, come per esempio l'anello nuziale e il portafogli del passeggero Andrew Garcia o le credenziali e la spilla dello U.S. Fish and Wildlife Service di Richard Guadagno, la patente di John Talignani, la patente e la tessera Marriott Rewards dell'assistente di volo CeeCee Lyles, la scatoletta-regalo donata al comandante del volo, Jason Dahl, dal figlio (foto e dettagli).

Se la domanda è da intendere nel senso che Mazzucco è perplesso che degli oggetti fragili possano sopravvivere a un impatto così violento, questo è un fenomeno già osservato in altri incidenti aerei (per esempio l'attentato di Lockerbie o il rientro dello Shuttle Columbia).

L'elenco presentato da Mazzucco è disonesto, perché fa sembrare che furono misteriosamente trovati soltanto oggetti dei dirottatori.

Poiché la lista delle domande è lunga, le risposte alle altre domande verranno aggiunte man mano nei prossimi giorni.